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PREMESSA

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PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

In queste pagine si racconta di un viaggio compiuto lungo le coste d’Italia alla ricerca delle “case della luce”, come vengono romanticamente chiamate dagli anglofoni. Circa 2000 chilometri di coste esplorati per cercare di comprenderne ’ essenza, ormai celata, al di sotto della patina che le ricopre. Durante quelle settimane ho capito il motivo che mi ha portato alla scelta di questo tema di ricerca. Partito cercando la solitudine, inseguendola nelle sue fortezze, a sorpresa, ho scoperto che queste ne sono l’antitesi, inglobando in esse la vita che le circonda, erigendosi a sua difesa, ciclopici guardiani silenti. Osservavo i limitati orizzonti della mia conoscenza, i monoliti brillavano di lampi improvvisi al di à dei confini, mi chiamavano. Battendo piedi e pneumatici sul duro asfalto, sull’arida roccia, su sabbiosi lidi, ho cercato e ascoltato questi monumenti: narrano la propria storia attraverso le parole e gli sguardi delle persone, talvolta tacciono e ignorano chi li osserva. Le genti di terra non li notano, trascurano il modo in cui le generazioni passate riponevano le speranze del ritorno di un marito, di un padre, di un figlio, di un amato all’interno di quel fuoco che ardeva per indicare la via di casa.

Oggi, la luce arde ancora, la vita che la alimentava sta svanendo, ne permane unicamente il vacuo involucro. COME COLMARLO?

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Faro Di Capo San Vito

Se un assolato giorno d’estate ti trovi all’ombra del faro di Capo San Vito, temi di varcare la soglia del cancello, lo sguardo severo di una sfinge nera osserva tuoi movimenti. Consentitomi l’accesso, oltrepasso a occhi bassi il giudizio dell’immobile guardiano, ritrovandomi sotto la fresca protezione di mura più che centenarie, spesse un metro.

Alessandro Petti mi attende. Reggente, farista da 40 anni, occhio vispo e braccia robuste, mi stringe la mano e sento come una vita di fatica irrigidisca e ingrossi le dita, ma insegni anche la gentilezza del misurare la propria forza.

Mi fa accomodare nel suo ufficio e, senza bisogno che io ponga domande, comprende quel che voglio sapere prima ancora che io proferisca parola. Lo guardo fisso negli occhi, vedo quel che vede ascoltandolo, assorto nei ricordi, rivivendo quelle emozioni. Narra di un’infanzia vissuta tra un’isola e il tentativo di ritornare su di essa: passaggi di pescatori gentili, fughe a remi e manomissioni di telefoni a manovella pur di tornare in quel luogo e dal padre.

Il racconto prosegue con esplorazioni, gare di pesca, notti insonni in compagnia delle famiglie che vi abitavano. Perfino le narrazioni dei periodi in cui il mare non permetteva il rifornimento sono piene di gioia: impastare il pane con la crusca delle galline diventava gioco grazie allo spirito delle madri e la raccolta del sale da cucina sugli scogli si tramutava in una sfida tra i bambini. Le sue parole descrivono come la vita sembri più leggera avendo meno a disposizione.

“Il tempo non scorre da quanto è bello”. Nell’udire queste parole comprendo come il suo ricordo sia indelebile, attraverso la memoria è in grado di trovarsi ancora su quell’isola, all’ombra di quel faro.

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