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VECCHIO FARO DI FIUMICINO

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PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

Partendo con calma da Roma, per evitare gli ingorghi mattutini, arriviamo a Fiumicino verso le 11. Le indicazioni segnano la direzione del vecchio faro e, seguendole, la strada diventa sempre più dissestata e gli edifici più fatiscenti. Arrivare al cospetto di quello che un tempo fu il guardiano di questo luogo significa seguire la desolazione crescente: spaccature, macerie e ruggine. Incredibilmente all’estremità del molo, protetta da alte banchine in cemento, troviamo vita: gente indaffarata su piccole imbarcazioni, qualche famiglia con il passeggino e gli avventori di un bar. Io e chi mi accompagna ci sentiamo un po’ osservati, forse il fatto di essere overdressed ci segnala in un luogo di lavoro incatramato. Le mura che difendono la casa di luce privata della sua lanterna cascano ormai a pezzi, vien voglia di superarle con un balzo non fosse per i ferri arrugginiti che difendono il piazzale antistante. In lontananza vediamo una macchina della vigilanza aperta senza la sua guardia. Questo statico relitto viene ancora stranamente presidiato senza avere più un ruolo. Nel suo attuale stato sembra essersi assopito per sempre, voltando le spalle alla terra come se il suo ultimo battito di ciglia fosse stato fatto guardando, per un’ultima volta, il mare.

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Faro Di Anzio

Ultimati 70 chilometri di costa tra le pinete, nella lentezza del traffico dell’ora di pranzo raggiungiamo Anzio. Il sole caldo sulle nostre teste non ci da tregua, per cui optiamo per pranzare. Su una piccola terrazza ci troviamo a pasteggiare al fianco di una nutrita schiera di veraci signore riunitesi per festeggiare un addio al nubilato. Prese da irrefrenabile euforia, trasformano la sala in un campo di battaglia: discutendo e urlando tra di loro con toni e gesti da fiera, decidono di muover guerra ai camerieri per la lunga attesa. Il personale stizzito le accontenta in ogni richiesta. Domata la fame, ampliano il loro dominio finendo perfino al tavolo con noi. I bambini, lasciati liberi, corrono in spiaggia fino al punto di essere ripresi dai gestori della stessa che, così facendo, si tirano addosso l’ira funesta delle signore. Come ci si poteva aspettare, dopo aver mosso la terza battaglia contro ignoti malcapitati, capiamo che sono arrivate alle mani. Il nostro pranzo, diventato un allenamento di pazienza, a questo punto si conclude. La quiete che la spiaggia ci mostra penso risulti esaltata da questi episodi. La battigia piena di bagnanti stesi li vede armati di ombrelloni, ma la cosa più stupefacente è chi l’ombra la ottiene al di sotto di piccole volte di epoca romana che affondano i loro sostegni nella sabbia. Muovendo lo sguardo ci accorgiamo di quanto siano estese, quasi fosse una scenografia: le pietre squadrate di queste antiche strutture sembrano giocare a rincorrersi con le falesie della stessa materia. Lo spettacolo incanta, il mare accompagna il vociare lieto di chi si gode questo momento. Al di sopra di tutto ciò, eccolo spuntare: il faro. Ha l’aspetto di un maestro che osserva i propri allievi giocare in cortile. Pare sorridere. Una scala, purtroppo sbarrata, sale verso di lui attraversando una folta schiera di piante grasse. In questo luogo ameno, nessun rivale prova a ergersi più in alto, la reverenza di edifici e persone sembra palpabile di fronte a questo saggio.

Ripartiamo da questo luogo e, con la calma nel cuore, decido che il mio viaggio termina lì, ad Anzio, dove le schiume del mare lambiscono e inghiottono resti antichi sotto l’occhio vigile di quel bianco ciclope.

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