1 minute read

FARO DI MANFREDONIA

Next Article
PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

Advertisement

Raggiungo Foggia, una delle città d’Italia più martoriate dalla meschinità umana: segnata prima dal potere distruttivo della guerra, poi dalla cupidigia di chi si è occupato di riempire le proprie tasche anziché ridare splendore alle proprie strade e alle proprie case; oggi nominata esclusivamente per gli effetti della criminalità organizzata. Comprendo a pieno i motivi del detto “fuggi da Foggia”. Mi accorgo di come la bellezza del luogo alberghi e riverberi ancora in chi si nasconde tra le mura domestiche e la esterni con la propria gentilezza e la voglia di sedersi a chiacchierare anche con un parente mai conosciuto prima.

La strada che collega il capoluogo alla città marittima è larga e percorsa da infiniti autoarticolati, così carichi di pomodori da farli straripare a ogni curva, ma l’aspetto più incredibile di questa faccenda rimane il ritrovarsi poi a dover acquistare unicamente pomodori di Sicilia: la globalizzazione ci pone di fronte continuamente controsensi che ci ostiniamo ad ignorare.

Il golfo sembra aver accolto serenamente il mio arrivo, questa volta non solo, ma accompagnato da mia cugina. Contatto la capitaneria di porto, mi concede il contatto dell’ultimo guardiano del faro di questo luogo. Sotto consiglio di chi mi scortava decido di chiamare subito e scettico eseguo la telefonata. Una voce calma come acqua di lago risponde e mi comunica di poterci incontrare ipso facto sotto la lanterna.

Ottavio Greco ci attendeva lieto sulla soglia d’ingresso al faro, sul gradino che ha visto il posarsi dei suoi piedi innumerevoli volte negli ultimi 17 anni. Occhi grandi e ingialliti, aver mirato per quattro decenni, giorno e notte, l’incresparsi delle onde ha conferito agli stessi il medesimo colore dei suoi baffi, segnati dal fumoso tabacco di numerosi e leali sigari.

Una volta accomodati, inizia il racconto del servizio in numerosi fari: San Venerio, Punta

Maestra, San Cataldo, San Vito, concludendo questo lungo pellegrinare all’ombra del prisma poligonale che assiste muto alla nostra conversazione. Ciò che ci racconta è l’esatta antitesi della vita a cui siamo abituati oggi. Il saper attendere quieti, la compagnia unica di un libro, l’assenza di questo continuo essere in contatto con tutti tranne che con se stessi. Sembra che l’insieme delle moderne ansie e preoccupazioni non abbia mai albergato nel suo cuore. Che non sia forse questa l’educazione impartita dai ciclopi?

Nel suo sguardo si legge la passione di una vita dedicata a questo mestiere, si riempie di umidi riflessi al ricordo dei giorni passati nelle torri di luce. Totalmente rapito dalle sue parole e da quello scrutarmi, non vedo più le sue pupille, ma solamente il mare che si specchia nei suoi occhi.

41°53’21.11”N

16°11’3.45”E

This article is from: