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FARI DI ANCONA

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PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

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Per arrivare al Parco del Cardeto anconese è necessario attraversare la città. Passando per un’infinità di sensi e controsensi si evidenzia quanto poco sia sostenibile pensare di rimpire le città storiche di autoveicoli con questa sconsideratezza. L’aspetto pulito e curato dei suoi prospetti viene deturpato in maniera indistinta. Come sarebbe bello se, per anche solo un giorno, le macchine non potessero aggirarsi per le città. Che aspetto assumerebbero, allora, le costruzioni potendole vedere dai loro piedi ai loro colmi?

Ancona perde la sua immagine di grande città salendo i pendii di quella lingua di Conero che raggiunge la baia cittadina. Sembra di ritrovarsi in un borgo collinare: poche persone, case antiche, vegetazione e qualche animale che sifda gli ardenti terreni. Il parco ha il suo ingresso dal basso e la sommità va raggiunta tramite il più antico dei mezzi di locomozione: i piedi.

Aspettandomi di trovare l’apice della bellezza cittadina sul suo culmine, rimango sgomento. Il luogo, che permette di ammirare la maestosità della città di Ancona, si mostra affastellato di edifici fatiscenti e in preda all’abbandono. Luoghi che potrebbero rappresentare il massimo splendore di questa città sono stati riconquistati dalla natura che impera su di essi come una guardiana che non transige sull’accesso di alcun essere libero di vagare.

Raggiunto l’altopiano, cartelli gialli, recanti scritte di divieto, impediscono l’ingresso alle poche strutture che ancora ricevono la cura della manutenzione.

Così, giovane e breve, si eleva il ciclope di questo luogo, quasi adolescente imberbe affiancato al padre segnato dalle rughe sul volto. Si confronta con il ricordo eretto della vecchia torre che ospitava la lanterna antica, più pronunciata verso il mare. Mi sento in un Grand Tour percorrendo luoghi dimenticati di una vetusta città, allo stesso modo di coloro che nell’800 potevano perlustrare Roma nella libera fruizione di spazi mutati dall’incuria e dell’appropriazione impropria dei monumenti imperiali.

Un sentimento di romantico sublime mi rapisce sentendo le grida dei bambini che giocano nell’abbraccio delle rovine. Infine, una seduta solitaria si volge verso il porto: sembra rammaricata di poter mirare il futuro con alle spalle il puro abbandono della memoria.

43°43’11.75”N

13°13’15.04”E

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