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FARO DI SENIGALLIA

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PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

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Superato il capoluogo regionale, procedo verso Senigallia, città di cui, nella fretta, non ho la possibilità di fare esperienza, dirigendomi speditamente al litorale. Una morbida sabbia accoglie il peso dei miei passi mentre, incredulo, mi dirigo verso un edificio che non ha l’aspetto di quel che cerco. D’un tratto eccolo lì, un riflesso rivela che la direzione che ho intrapreso è corretta. La forma squadrata cela la sua sommità, il più particolare dei fari che ho incontrato finora è sul mio cammino.

Duro, netto e striato, il segnalamento luminoso di questo luogo tiene testa alla vastità del mare. La peculiarità che più mi attira è il fatto che a fronteggiarsi con esso non siano tanto gli altri edifici, quanto più le sue porzioni che digradano verso il vicinato. Ospita uffici d’ogni genere legati alle associazioni che si occupano delle questioni di mare. Osservandolo dal canale, diventa un tutt’uno con l’acqua fluente che raggiunge la sua ambita destinazione.

Mi dirigo verso l’estremità del molo, osservo come le sue striature lo evidenzino rispetto agli imponenti edifici d’intorno. Essi ne diventano sudditi governati dalla lanterna, questa appare come una corona visibile solo in lontananza. Quasi fosse un re vicino ai suoi vassalli, il ciclope, si mostra come uno degli elementi che li accompagna nella quotidianità sulla terra ferma, ma che, se osservato dalla distanza, emana una propria luce piena di grazia e il proprio potere regnante e salvifico.

L’aria sa di estate entrante e i bagnanti, che percorrono il bagnasciuga, hanno lo stesso aspetto di quelli che scorgevo da bambino frequentando i lidi romagnoli: sento che mi sto avvicinando a casa.

L’obiettivo dei fari è quello di essere visti dal mare aperto tanto nelle oscure notti quanto nei luminosi giorni, di certo, però, non da terra. Il ciclope di Fano sembra aver compreso quest’aspetto del suo ruolo, concentrando i suoi sforzi unicamente sui fronti rivolti verso l’acqua.

Sul lato terrestre il faro si mostra come un normale edificio in mattoni faccia vista, quasi fosse una torre o un campanile privato della sua voce. Come il suo più prossimo parente si rivela un regolare poligono a base quadrata; gli alloggi reverenti dei faristi non lo sfidano, si prostrano ai suoi piedi. Oggi ospitano la guardia costiera della città: “un altro luogo in cui un ciclope è scampato al totale abbandono, per fortuna” - penso.

Mi sporgo all’ingresso. L’infilata di cancello e porta inquadra un piccolo oblò che proietta il monolite direttamente in mare; quasi stesse navigando, riacquisice il suo valore, nonostante le navi ancorate lo separino dallo sfiorare il velo d’acqua.

Aggirandomi per il porto percepisco come nessuno ormai più lo noti. I passanti lo evitano, non desta alcuna attenzione a chi sfila lungo i suoi fianchi. Vedo la sua orbita farsi docile mentre le imbarcazioni lo lambiscono nel canale e, quasi fosse un antico inutile orpello, tutti lo ignorano. Differentemente da altri fari, vedo come questo stringa i denti per mantenere la sua funzione attiva, nonostante perfino il portastendardi sul suo ingresso ora non ospiti altro che il ricordo di un elemento un tempo essenziale.

43°55’23.44”N

12°52’54.46”E

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