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FARO DI GORO

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PENSIERI IN CALCE

PENSIERI IN CALCE

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La foce del Po porta con sé un intrico di canali che si ramificano come i capillari che si diramano dalla vena principale. Con essi, le strade si aprono a ventaglio cercando di assecondarli e, alle volte, attraversarli con improbabili ponti composti di barche in cemento in grado di gestire maree risalenti e piene del fiume. Fiumi d’inchiostro e pellicole intere sono state spese per descrivere l’essenza della vita che scorre lenta lungo queste rive; ha il sapore del passato ancora oggi attraversarle nella loro quiete.

Il piacere di scendere il fiume verso il mare in questo parco è così forte da farmi spegnere la musica, compagna di viaggio costante in questo lungo peregrinare. Il tutto è immobile, solo il vento conserva il diritto di spostare le spighe. Casolari in rovina costellano i chilometri che percorro senza scorgere anima viva. Questo luogo mi ricorda quante voci può avere il silenzio: il frinire degli insetti, il sentore dell’acqua che scorre placida e il battito delle ali di un airone.

Avanzando, un unico oggetto si staglia sul panorama verde: bianco e austero, ha l’aspetto del guardiano che è, con la sua fissitudine consapevole.

Il Ciclope di Goro vede il mare e percepisce ciò che si pone alle sue spalle. Il lato veneto del parco ospita il molo da cui una piccola imbarcazione preleva gli avventori diretti all’isola. Qui incontro Erik Scabbia, gestore dell’attività del faro e di questa porzione di spiaggia. Parlata e fierezza di un bolognese emigrato in Romagna, estasiato del ritrovato contatto con il mare, ma fedele alle sue radici pedemontane. Mi racconta della vita sull’Isola dell’Amore: calma, andate e ritorni in barca, figli felici di tornare a casa da scuola sapendo la loro destinazione, spazio e vita calibrata dall’andamento del sole. Il governatore dell’isola afferma fieramente: “Se avessi voluto del casino sarei sceso più verso Rimini o Riccione. Io voglio svegliarmi la mattina e avere la libertà di farmi il bagno nudo.” La sua schiettezza mi rivela la bellezza di poter vivere in armonia con il luogo che ospita la vita. Anni di sforzi e sacrificio gli sono serviti per ottenere questo diritto.

Perchè però vivere in pace con la terra dovrebbe richiedere sforzo e non essere naturale?

Questa domanda accompagna il mio tragitto verso la pianura e verso casa.

Il monolite guardiano, spettatore della nostra conversazione, continua ad osservare le acque calme della riviera sempre pronto a segnalare la presenza della terraferma ai naviganti in cerca di conforto durante i loro lunghi viaggi.

Genova

Portofino

Framura

44°24’16.25”N

8°54’16.21”E

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