Tir - La rivista dell'autotrasporto

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ROAD TO 2032

Le grandi opere infrastrutturali che cambieranno l’Italia

A cura di Lucia Angeloni

ROAD TO 2032

Le grandi opere infrastrutturali che cambieranno l’Italia

A cura di Lucia Angeloni

Enrico Finocchi

Presidente

Comitato Centrale

Albo degli Autotrasportatori

Gallerie, ponti, strade, nuove linee ferroviarie ad alta velocità: l’Italia sta vivendo, grazie alle ingenti risorse messe a disposizione dall’Europa e dal Governo, un fervore infrastrutturale che non si vedeva da decenni, forse addirittura dal secondo dopoguerra e dal miracolo economico. Oltre duemila i cantieri aperti lungo le strade italiane così come quelli sulla rete ferroviaria, a cui se ne aggiungeranno molti altri nei mesi a venire. Una situazione sicuramente non facile per chi - come gli autotrasportatori – passa la maggior parte del proprio tempo viaggiando sugli oltre 7mila chilometri di strade italiane, ma sicuramente necessaria per la modernizzazione e il rilancio del Paese.

Se da un lato l’Italia vanta una posizione geografica strategica, al centro del Mediterraneo e crocevia naturale per i flussi commerciali, dall’altro la sua conformazione, con le Alpi a Nord e il mare a Sud, impone la necessità di infrastrutture, di porti e di retroporti efficienti per superare queste barriere e affermarsi come ponte tra il Nord Europa e il bacino del Mediterraneo.

I dati ci mostrano che il trasporto delle merci continua ad aumentare, facendo registrare tassi di crescita superiori a quelli dell’economia e confermando la sua centralità strategica.

Tuttavia, bisogna considerare che oltre il 60% degli scambi commerciali italiani avviene con altri Paesi europei e che quindi solo grazie a infrastrutture moderne ed efficienti l’Italia sarà in grado di rimanere competitiva e di mantenere elevati questi scambi.

Gli autotrasportatori, è vero, stanno al momento subendo forti disagi a causa dei cantieri aperti, ma saranno anche i primi a beneficiare di queste nuove opere, che ridurranno i tempi di viaggio e i costi operativi e, allo stesso tempo, miglioreranno le condizioni di lavoro e la sicurezza di chi è sempre sulla strada.

In questo periodo di grande fermento anche l’Albo degli Autotrasportatori sta facendo la sua parte, contribuendo ad aumentare la sicurezza del settore e a renderlo più attrattivo, soprattutto per le nuove generazioni.

Anche per rispondere agli obiettivi della Ue – che prevedono che sulla rete TEN-T siano realizzate aree di parcheggio sicure, a una distanza massima di 150 km l’una dall’altra – il Comitato Centrale dell’Albo ha infatti predisposto un bando per il cofinanziamento della realizzazione in Italia di nuove aree di soste sicure e protette, le cosiddette SSTPA, e per l’upgrading di quelle già esistenti.

In Italia esiste infatti una grave carenza di aree di sosta certificate secondo gli standard europei: uno studio commissionato dall’Albo a RAM identifica circa 2900 nuovi stalli da realizzare entro il 2027, in particolare nelle Regioni del Sud, come la Calabria (450 stalli), la Campania (580) e la Basilicata (300), ma anche 500 nel Lazio, 300 nell’area tra Lazio, Umbria e Toscana, e 200 in Liguria. Per questo il Comitato Centrale ha messo a disposizione oltre 12 milioni di euro che saranno erogati a titolo di finanziamento. Il bando, che uscirà a settembre 2024, prevede che l’Albo potrà contribuire fino al 30% del costo complessivo dell’intervento e nel limite massimo di un milione di euro per ciascun progetto.

Tali investimenti - come dicevamo - non solo miglioreranno le condizioni di lavoro e la sicurezza per gli autotrasportatori, ma contribuiranno anche alla crescita economica complessiva del Paese, garantendo un futuro più prospero e sicuro per tutti.

Introduzione

Road to 2032. Il nome di questo numero speciale di Tir non è certo una scelta casuale.

La strada per il 2032 è un percorso diretto verso strade più moderne e connesse; collegamenti ferroviari per persone e merci, più veloci e con maggiore capacità; nuove infrastrutture per potenziare le connessioni fra il Sud, il Nord Italia e il resto d’Europa; un ponte per saldare le due estremità della Nazione.

È un progetto di rilancio infrastrutturale imponente quello portato avanti dall’attuale Governo, che era stato avviato già negli anni precedenti, per cercare di colmare un gap che ha sempre penalizzato le nostre imprese, la nostra economia, la nostra competitività.

Le infrastrutture uniscono, legano, connettono e sono l’ossatura che sostiene il sistema economico di ogni Stato; ancora più importanti in un mercato unico, come quello europeo, e in un mercato globale come quello che regola il commercio mondiale. Sono anche il luogo primario del trasporto merci e dell’autotrasporto e insieme ai veicoli sono lo strumento essenziale di ogni operatore del settore.

In questo volume, abbiamo passato in rassegna tutti i progetti in corso, finanziati anche grazie alla nuova linfa apportata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del Piano Complementare.

Stando ai cronoprogrammi, nel 2032 passerà dalla Torino-Lione il primo treno merci, ma anche il primo treno merci dal tunnel del Brennero, tra Fortezza e Innsbruck. Verrà completata anche la Diga Foranea di Genova, tassello prezioso del più ampio piano che comprende la realizzazione dei Terzo Valico dei Giovi e della Gronda, per potenziare i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie che portano le nostre merci dal Nord Italia al resto del mondo. Il 2032 è una data importante anche per il Sud che sarà dotato di linee ad alta velocità e alta capacità ferroviaria (pensiamo alla Salerno – Reggio Calabria), colmando una distanza infrastrutturale storica. E soprattutto potrà contare su un’opera che affonda le sue origini già nel XIX secolo e che, come spesso accade nel nostro Paese quando si tratta di grandi opere, ha subito alterne vicende fra rallentamenti, stop e nuovi impulsi. Il Ponte sullo Stretto di Messina, parte centrale del corridoio TEN-T Scandinavo Mediterraneo, sarà una cerniera fra Nord e Sud.

I vari capitoli offriranno un’istantanea su tutti questi progetti e sullo

stato di avanzamento dei lavori. Una sorta di vademecum per comprendere in che direzione sta andando il nostro Paese, arricchito anche del punto di vista delle associazioni di categoria dell’autotrasporto, dal momento che le imprese del settore saranno le prime a beneficiare delle nuove infrastrutture.

Maggior efficienza e velocità, accessibilità e coesione, sviluppo economico e occupazione, sostenibilità e competitività sono gli indubbi vantaggi di una rete infrastrutturale più moderna e interconnessa che consentirà di ridurre i tempi di percorrenza. Ciò si tradurrà in una logistica più efficiente, con un minor impatto ambientale e costi di trasporto più bassi per le imprese.

Ma come già accaduto in passato, nel pieno boom post bellico, lo sviluppo infrastrutturale rappresenta anche un’occasione per rilanciare l’immagine di un Paese moderno e capace di realizzare grandi progetti. Un vantaggio quindi non solo sociale ed economico, ma anche simbolico.

1 Un nuovo impulso per le infrastrutture

Un nuovo impulso per le infrastrutture

C’è una data chiave per le infrastrutture italiane. È il 2032, un anno destinato a segnare una svolta per l’Italia, un punto cruciale nel cammino verso la modernizzazione. Tra otto anni, l’Italia sarà più competitiva, più sicura e più veloce ed è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che sta guidando questo cambiamento attraverso un piano di investimenti di decine di miliardi di euro.

Anche il trasporto merci subirà una rivoluzione: secondo i cronoprogrammi, nel 2032, i primi treni merci attraverseranno la Tav Torino-Lione, segnando un passo significativo per il commercio internazionale, così come la Galleria di Base del Brennero, tra Fortezza e Innsbruck, migliorando le connessioni logistiche tra l’Italia e il resto d’Europa e riducendo significativamente i tempi di percorrenza.

Sempre nel 2032, inoltre, dovrebbe essere pronto il Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera che completerà il corridoio TEN-T Scandinavo-Mediterraneo, permettendo una connessione diretta da Palermo, attraverso Roma e Berlino, fino a Helsinki. Il ponte, quindi, non solo faciliterà il trasporto tra la Sicilia e il continente, ma rappresenterà anche un simbolo di unità e progresso per l’intera nazione.

Anche il triangolo industriale del Nord-Ovest consoliderà la sua posizione all’interno dell’economia nazionale. In questi anni il completa-

Capitolo UNO

Infrastrutture cruciali per la competitività

mento della Diga Foranea di Genova infatti permetterà alle grandi navi di entrare più facilmente nel porto genovese e i lavori al Terzo Valico dei Giovi potenzieranno i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d’Europa, rafforzando ulteriormente la posizione strategica di questa regione.

Si tratta sicuramente di una sfida ambiziosa per l’Italia, ma anche di un’opportunità unica per trasformare le sue infrastrutture - che scontano anni di mancati investimenti - con un approccio integrato che abbraccia sostenibilità, digitalizzazione e innovazione.

Vediamo quindi cosa prevede il piano infrastrutturale strategico 2023-2032 che coinvolgerà non solo strade e autostrade ma anche la rete ferroviaria, i combustibili del futuro, come l’idrogeno, o ancora il potenziamento delle infrastrutture idriche.

Un Paese senza infrastrutture adeguate non può essere competitivo. Senza infrastrutture non c’è crescita economica, né sviluppo sostenibile. E l’Italia, purtroppo, al momento non può ancora contare su una rete infrastrutturale adeguata. In base ai dati del Logistics Performance Index della World Bank, che misura le performance e l’efficienza del sistema logistico mondiale, l’Italia non si colloca in una buona posizione e, soprattutto, si sta muovendo più lentamente di altri Paesi.

Su una scala semplificata che va da uno a cinque, nell’edizione 2023, al primo posto troviamo Singapore (con punteggio di 4,3), seguito dalla Finlandia (4,2) e da altri quattro Paesi europei con punteggio di 4,1: Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svizzera. L’Italia, con un punteggio complessivo di 3,7, si trova nel gruppo al settimo posto (dietro a 18 Paesi), a pari merito con altri sette Stati (l’Australia, la Cina, la Grecia, la Norvegia, il Sud Africa, il Regno Unito).

Per quanto riguarda l’indice relativo alla qualità delle infrastrutture,

il nostro Paese ha avuto un punteggio di 3,8, al pari di Francia e Spagna, ma è stato superato da Singapore (4,6), Svizzera (4,4), Germania (4,3), Svezia, Finlandia e Paesi Bassi (4,2), Danimarca e Belgio (4,1) e ancora da Austria e Norvegia (4,1).

L’Italia è poi al 14esimo posto nei Liner Shipping Connectivity Index (LSCI), che misurano la competitività di un sistema portuale e logistico (su 237 Paesi) nonostante la sua collocazione geografica favorevole nel Mediterraneo. Anche il sistema portuale italiano necessita quindi di investimenti di ammodernamento e di connessione fisica e digitale a favore dell’intermodalità.

Secondo un report del 2023 del Centro Studi Divulga dal titolo “Logistica e competitività, il gap logistico dell’Italia tra guerra e pandemia”, l’Italia, nonostante l’ottima considerazione dei prodotti Made in Italy sui mercati globali, sconta un sensibile ritardo rispetto ai principali competitor internazionali proprio per la debolezza del suo sistema infrastrutturale. Un costo che per il Paese risulta pari a 77 miliardi di euro di “export perduto”, circa il 15% del valore complessivo delle esportazioni nazionali. Tra i settori più colpiti c’è quello agroalimentare, che registra perdite per 8 miliardi di euro, pari al 15% dell’intero export del settore.

Inoltre, all’interno del territorio nazionale emerge una chiara dicotomia tra le diverse aree del Paese, con le regioni centro-settentrionali (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Toscana) che possono contare su collegamenti più veloci e moderni e le regioni del Sud che scontano invece un grave ritardo: la dotazione di infrastrutture stradali del Sud è molto inferiore per estensione della rete autostradale (1,87 km per 100 km2 contro 3,29 al Nord e 2,23 al Centro).

Un miglioramento della programmazione infrastrutturale e la realizzazione di nuove opere è quindi fondamentale per consentire al nostro Paese di tornare a competere ad armi pari con le altre Nazioni e, allo stesso tempo, per far fronte alla crescente domanda di trasporto, sia merci sia passeggeri.

La riforma delle reti

TEN-T

Investimenti

Tra l’altro, il nuovo regolamento sulle reti TEN-T, le reti transeuropee di trasporto, ha portato da quattro a cinque i Corridoi che interessano il nostro Paese, confermandone il ruolo di hub logistico mediterraneo. In quest’ottica, la rimozione dei colli di bottiglia del traffico e lo sviluppo di infrastrutture in grado di aumentare l’efficienza dei sistemi di trasporto sono azioni assolutamente necessarie.

Come dicevamo, l’adozione da parte del Consiglio Ue del nuovo regolamento sui TEN-T ha aumentato i Corridoi che interessano l’Italia, che ora sono cinque:

- lo Scandinavo-Mediterraneo, che attraversa l’Europa da Nord a Sud e che è l’asse portante per l’Italia poiché si snoda lungo l’intero stivale, scendendo dal valico del Brennero fino alla Sicilia;

- il Corridoio Mediterraneo, che taglia il continente in orizzontale ed arriva in Ucraina;

- il Corridoio Mare del Nord-Reno-Mediterraneo, che cambia la sua precedente denominazione (Corridoio Reno-Alpi) per evidenziare il suo sbocco verso il Mar Mediterraneo attraverso il porto di Genova;

- il Corridoio Mar Baltico-Mar Adriatico, arricchito, sul lato italiano, dal prolungamento della “Dorsale Adriatica” fino a Bari;

- il nuovo Corridoio dei Balcani Occidentali-Mediterraneo Orientale, che prevede l’inserimento dell’Italia nel suo tracciato con la sezione di collegamento terrestre “Trieste-Lubiana” e la sezione marittima “Sofia-Skopje-Durazzo-Bari”.

Tra le altre novità rilevanti, ci sono anche l’inclusione del porto di Civitavecchia, quale porto di Roma, nella rete Centrale e il nuovo tracciato del Ponte sullo Stretto di Messina che rientrano entrambe nel Corridoio Scandinavo-Mediterraneo. Un inserimento importante, perché le infrastrutture che appartengono alla rete TEN-T possono ricevere finanziamenti europei proprio per mantenere gli standard richiesti da questo tipo di rete di trasporti. Tanto per fare qualche esempio, le strade dovranno essere dotate di carreggiate separate, per le due direzioni di traffico, da un’area non destinata al traffico o, eccezionalmente, ad altri mezzi.

Inoltre, dovranno essere realizzate aree di parcheggio sicure sulla rete centrale ed estesa per garantire migliori condizioni di lavoro e di riposo agli autisti professionisti. La rete ferroviaria TEN-T dovrà inoltre implementare il sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS) e consentire la circolazione dei treni merci di 740 metri di lunghezza. Il nuovo regolamento fissa anche scadenze precise per il completamento della rete, in tre fasi: fino al 2030 per la rete centrale, fino al 2040 per la rete centrale estesa e fino al 2050 per la rete globale.

Questo grande sviluppo infrastrutturale richiederà naturalmente importanti investimenti. Secondo un rapporto realizzato dalla Camera dei Deputati di agosto 2023, il volume degli investimenti necessari

ATLANTIC

NORTH SEA - RHINE MEDITERRANEAN

NORTH SEA - BALTIC

La nuova rete TEN-T

BALTIC SEA- ADRICATIC SEA

SCANDINAVIAN - MEDITERRANEAN

RHINE - DANUBE MEDITERRANEAN

WESTERN BALKANS - EASTERN MEDITERRANEAN

BALTIC SEA - BLACK SEA - AEGEAN SEA

alla realizzazione di infrastrutture strategiche e prioritarie per il nostro Paese è di circa 448 miliardi. Si tratta di un aumento di circa 53 miliardi rispetto alla precedente rilevazione del 2022, dovuto per circa 40 miliardi all’aggiornamento dei costi delle opere, per 13,5 miliardi all’inserimento tra le opere prioritarie del Ponte sullo Stretto di Messina e per 1,1 miliardi alle opere collegate allo stesso Ponte.

Sempre secondo il rapporto, le risorse complessivamente disponibili al 31 agosto 2023 per la realizzazione delle infrastrutture strategiche e prioritarie erano pari a circa 315 miliardi, pari al 70% del costo previsto.

A queste risorse si sono aggiunte quelle previste dalla Legge di Bilancio 2024 destinate soprattutto all’avvio dei lavori di costruzione del Ponte sullo Stretto. La Legge ha infatti finanziato la realizzazione del Ponte con 11,6 miliardi di euro dal 2024 al 2032 (9,3 miliardi a carico del bilancio dello Stato e 2,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione, di cui 1,6 miliardi a valere sui bilanci regionali di Calabria e Sicilia) e ha previsto anche diversi investimenti a vantaggio di regioni, enti territoriali e amministrazioni centrali.

Il tema delle infrastrutture è centrale anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: delle risorse richieste dall’Italia per realizzare gli interventi previsti nel PNRR, 40 miliardi di euro saranno utilizzati per la realizzazione di opere infrastrutturali, principalmente ferroviarie, e riforme a esse collegate da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. E a integrazione dei fondi europei, si aggiungono anche 20 miliardi di euro di risorse nazionali complementari per i progetti con un maggior grado di complessità.

Fin dall’inizio del suo mandato, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha annunciato un’attenzione particolare per la rete stradale e ferroviaria e le grandi connessioni, da realizzare anche grazie ai fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripre-

sa e Resilienza e dal Piano complementare e a un codice degli appalti più snello.

“È chiaro che negli ultimi tempi qualcosa sulla manutenzione e sulla prevenzione è mancato e quindi stiamo programmando investimenti per alcune centinaia di miliardi su strade, autostrade, ferrovie, corsi d’acqua”, ha sottolineato il Ministro a luglio 2023, durante il primo evento “L’Italia del sì – Progetti e grandi opere per il Paese”, pensato proprio per rappresentare l’impegno del MIT in questo senso. Salvini ha quindi illustrato il Piano infrastrutturale strategico 2023-2032, con le principali opere pubbliche da realizzare entro il 2032, ricordando che gran parte del piano è frutto del lavoro dei suoi predecessori e che verrà ultimato dai prossimi governi.

Ma quali sono i principali interventi previsti?

Il progetto prevede innanzitutto una rete stradale più moderna ed efficiente sia grazie alla realizzazione di nuove opere sia a seguito di importanti interventi di manutenzione.

Secondo i dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e aggiornati a giugno 2024, tra manutenzione programmata e nuove opere Anas investirà sulle strade italiane oltre 154 miliardi di euro. Di questi, 16,297 miliardi di euro sono destinati alla manutenzione programmata mentre 138,577 miliardi alle nuove opere. Gran parte dei progetti saranno finanziati anche grazie al nuovo contratto di programma MIT-Anas 2021-2025, che prevede oltre 40 miliardi di investimenti, tra nuove opere e manutenzioni.

Le regioni che riceveranno maggiori fondi sono la Sicilia, a cui andranno in totale 18,3 miliardi di euro, e la Calabria che riceverà circa 15,6 miliardi di euro.

Partiamo dalla Sicilia: 16,5 miliardi sono destinati alle nuove opere mentre 1,86 miliardi alla manutenzione programmata.

Tra le nuove opere, oltre al Ponte, è compreso, ad esempio, il collegamento stradale Ragusa-Catania per il quale è previsto un investimento complessivo pari a quasi un miliardo e mezzo di euro, o ancora la Pedemontana Palermo, che collegherà la A19 con la A29 per una lunghezza di 22 km, un costo di 3,2 miliardi di euro e un risparmio stimato di tempo di percorrenza, per i palermitani, di circa mezz’ora.

Dei 15,6 miliardi di euro destinati alla Calabria, invece, 14,3 sono dedicati alle nuove opere, per una serie di interventi, dalla statale 106 Jonica, che collega Reggio Calabria a Taranto, alla A2 Autostrada del Mediterraneo fino al completamento delle strade di accesso al porto di Gioia Tauro; i restanti 1,2 miliardi sono destinati invece alla manutenzione programmata. Fondi importanti - 8,48 miliardi - andranno invece alla Campania che serviranno, ad esempio, al raddoppio della SS268 del Vesuvio, nel tratto tra Angri e Bosco Reale; 6,32 miliardi andranno al Lazio per far partire, tra l’altro, gli interventi sulla via Salaria; 5,23 alle Marche per realizzare diversi interventi, tra cui la variante della Pe-

Gli interventi sulla rete stradale

INVESTIMENTI ANAS PER REGIONE

demontana marchigiana (per gli investimenti previsti in tutte le Regioni vedi infografica). A giugno 2024, sempre secondo i dati MIT, in tutta Italia sono in corso interventi per nuove opere per un totale di 11,7 miliardi di euro, mentre altri 5,6 miliardi saranno quelli impiegati per lavori di prossimo avvio.

Agli investimenti sulle strade di competenza Anas, si aggiungono poi quelli previsti sulle ferrovie. Sempre secondo i dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, RFI investirà sulla rete ferroviaria italiana 281,81 miliardi di euro. La quota maggiore di fondi, pari a 36,7 miliardi, va alla Regione Calabria per interventi che consentiranno l’alta velocità sulla linea Salerno-Reggio Calabria, l’elettrificazione sulla linea ferroviaria Jonica, o ancora il potenziamento dei terminali per la creazione di nuovi hub intermodali. Altri 28 miliardi andranno al Piemonte, per il collegamento veloce tra Torino Porta Nuova e Torino Porta Susa, l’elettrificazione della linea Biella-Novara, la cintura di Torino e il collegamento con la Torino-Lione. Al terzo posto troviamo poi la Lombardia con 25 miliardi, seguita dalla Sicilia con 23 miliardi e dal Veneto con 22,4 miliardi (le altre Regioni possono essere consultate nell’infografica a pag. 20).

Lo sviluppo infrastrutturale passa poi anche per Autostrade per l’Italia, competente su circa 3mila chilometri a pedaggio sugli oltre 6mila che formano la rete autostradale nazionale. Al momento è però impossibile fornire dati dettagliati sugli investimenti; Aspi aveva infatti un Piano economico finanziario di 14,7 miliardi di euro ma i costi per realizzare le varie opere, tra cui ad esempio la Gronda di Genova, sono aumentati e di conseguenza le risorse economiche necessarie. Nel momento in cui scriviamo è in corso una fase di verifica con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che dovrà portare ad un nuovo accordo economico e che si concluderà probabilmente per la ripresa autunnale.

E poi naturalmente ci sono le grandi opere per eccellenza, quelle ad alto valore strategico, pilastri fondamentali per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia. Stiamo parlando, ad esempio, della Galleria di Base del Brennero, del Ponte sullo Stretto di Messina, della TAV Torino-Lione, del Terzo Valico dei Giovi; progetti che non solo miglioreranno la connettività e l’efficienza logistica, ma stimoleranno la crescita economica, promuovendo allo stesso tempo la sostenibilità ambientale. Nelle prossime pagine quindi analizzeremo nel dettaglio questi ed altri progetti volti a modernizzare il sistema logistico italiano, facilitando e diminuendo i tempi di trasporto delle merci, incrementando il commercio con gli altri Stati membri dell’Ue e soprattutto riducendo il gap con gli altri Paesi competitor.

Investimenti sulla rete ferroviaria

Le autostrade

Le grandi opere

GLI INVESTIMENTI RFI DIVISI PER REGIONE

REGIONI

ABRUZZO

BASILICATA

CALABRIA

CAMPANIA

EMILIA ROMAGNA

FRIULI-VENEZIA GIULIA

LAZIO

LIGURIA

LOMBARDIA

MARCHE

MOLISE

PIEMONTE

PUGLIA

SARDEGNA

SICILIA

TOSCANA

TRENTINO ALTO ADIGE

UMBRIA

VALLE D'AOSTA

VENETO TOTALI

Galleria di Base del Brennero, il tunnel nel cuore dell’Europa

Tra le infrastrutture più importanti per lo sviluppo dell’economia nazionale rientra la Galleria di Base del Brennero, snodo cruciale per il trasporto merci, non solo per i due Paesi geograficamente collegati, Italia e Austria, ma per l’intera Europa. La sua funzione strategica è talmente importante che già in tempi lontani, nel 1847, s’iniziò a parlare della “galleria di vertice sotto il Passo del Brennero”. Ipotesi dell’ingegnere italiano Giovanni Qualizza, che già all’epoca intuì l’importanza che avrebbe avuto il Brennero per il passaggio delle merci dall’Italia al resto del continente.

Infatti, da tempo la questione Brennero è al centro di un braccio di ferro tra le amministrazioni dei due Paesi confinanti, Italia e Austria, perché riveste un’importanza strategica nel transito delle merci e le limitazioni unilaterali al traffico imposte dal Paese mitteleuropeo pongono le imprese italiane di autotrasporto in una condizione di costante svantaggio commerciale.

Il corridoio del Brennero non solo collega la città di Verona con Monaco di Baviera in Germania, ma è parte del corridoio Scandinavo-Mediterraneo, che connette Helsinki, in Finlandia, a La Valletta, sull’isola di Malta, come una linea retta Nord-Sud.

Ad oggi, è il corridoio alpino più trafficato: secondo i dati diffusi da Autostrade del Brennero, nel 2023 sono transitate circa 56 milioni di tonnellate di merci, di cui il 26% su rotaia e il 74% su gomma, per un totale di ben 5,2 miliardi di chilometri percorsi, pari al 10,5% dell’intero import-export nazionale.

Numeri che evidenziano quanto l’asse del Brennero sia cruciale per un efficace funzionamento del motore economico europeo, ma soprattutto come solo un quarto delle merci viaggi su ferrovia. Una sproporzione dovuta, in gran parte, alle criticità strutturali dell’attuale direttrice ferroviaria, la Ferrovia del Brennero, dove le pendenze in alcuni punti superano il 25 per mille.

L’autostrada del Brennero soffre anche per questo di problemi cronici di sovraccarico e congestione da cui deriva la ben nota azione dell’Austria nei confronti dei mezzi pesanti provenienti dall’Italia. L’aumento del traffico e il conseguente inquinamento, legato però soprattutto al traffico di automobili, è stato infatti preso a pretesto dall’Austria per applicare, da anni, divieti e limitazioni al transito dei mezzi pesanti, dando vita a una lunga contesa con l’Italia che ha portato recentemente il nostro Governo a intervenire formalmente in Europa.

Il contenzioso

Italia-Austria

Il motivo, come dicevamo, è noto: Vienna impone, in modo del tutto unilaterale, il blocco della circolazione dei mezzi pesanti creando disagi ai trasportatori italiani che devono valicare la frontiera. La situazione crea non pochi problemi agli autisti, costretti a lunghe file, e alle imprese di autotrasporto, per le quali ogni ora persa negli incolonnamenti significa

un enorme danno economico. Secondo le stime, le merci italiane subiscono un danno da 170 milioni di euro per ogni ora persa, più altri 200 milioni in termini di competitività.

Ufficialmente i blocchi austriaci sono stati introdotti per allentare la morsa dell’inquinamento e salvaguardare l’ambiente; una tesi contestata più volte dalle associazioni di categoria dell’autotrasporto anche sulla base dei dati Ispra e dell’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima nella Valutazione della qualità dell’aria 2017-2020, che mostrano come la qualità dell’aria sia migliorata. I divieti, quindi, finiscono solo per penalizzare il settore dell’autotrasporto italiano, discriminando le imprese del nostro Paese.

A febbraio 2024 il Governo, su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha attivato la Commissione Ue per violazione da parte dell’Austria dell’art. 259 del TFUE, il Trattato Funzionamento Ue, in conseguenza dei diversi divieti di circolazione dei veicoli per il trasporto merci in transito sull’asse del Brennero: divieto di transito notturno, divieto settoriale, divieto di circolazione invernale e sistema di dosaggio.

Nel documento inviato a Buxelles, l’Italia ha sottolineato l’incompatibilità di tali divieti rispetto al fondamentale principio della libera circolazione delle merci, specificando che “le restrizioni non arrecano solo un enorme pregiudizio all’economia italiana e a quella di altri Stati membri ma si configurano altresì come una lesione al principio di integrità del mercato interno”.

E la risposta della Commissione ha dato ampia ragione al nostro Paese. Dopo aver valutato le osservazioni di entrambi gli Stati membri, l’organismo europeo ha censurato alcune delle limitazioni imposte in Austria perché “mancano di coerenza” e non possono essere

Il parere della Commissione Ue

“giustificate nella loro interezza”, in quanto limitano uno dei principi fondanti dell’Ue, come la libera circolazione di merci e persone prevista dagli articoli 34 e 35 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Nel dettaglio la Commissione ha censurato: il divieto al transito notturno dei mezzi pesanti; i divieti settoriali che colpiscono i tir che trasportano determinate categorie di merci; il divieto invernale di circolazione nelle giornate di sabato e il sistema di dosaggio, ovvero tutte quelle misure che in determinati giorni limitano a un massimo di 300 veicoli l’ora il numero di autocarri che possono immettersi sull’autostrada A12 nei pressi di Kufstein.

L’unica bocciatura di Bruxelles all’Italia riguarda l’eccezione sulla presunta mancanza di leale cooperazione, mossa dal nostro Paese a Vienna, su cui la Commissione ritiene che non siano state fornite prove sufficienti a sostegno di tale accusa. Su tutto il resto, l’Italia ha espresso grande soddisfazione e un certo senso di vittoria, così come hanno fatto anche le associazioni di categoria degli autotrasportatori, che plaudono alla decisione dell’Ue.

L’Italia ha quindi deciso di presentare ufficialmente ricorso alla Corte di Giustizia europea e all’Avvocatura dello Stato e sta preparando un dossier minuzioso e dettagliato che sarà presentato probabilmente entro la fine dell’estate.

I limiti dell’attuale ferrovia

Se la situazione autostradale è complicata, la ferrovia esistente, da parte sua, non consente nessuno sviluppo del traffico. L’attuale ferrovia del Brennero, che collega Innsbruck a Verona, fu infatti aperta nel 1859 e ampliata nel 1867. Tempi lontanissimi, in cui il problema principale era il trasporto dei passeggeri, e non delle merci; la pendenza massima, che in alcuni punti raggiunge il 25 per mille, non consente la velocità del convoglio ferroviario, quindi, ormai da decenni, non è un mezzo economicamente competitivo.

Come dicevamo, il 24 agosto del 1867 fu inaugurata la ferrovia del Brennero per collegare la preesistente Nordtiroler Bahn tra Kufstein e Innsbruck con la Südtiroler Bahn. Come integrazione, la Südbahngesellschaft costruì anche la tratta Maribor - Fortezza nella linea ferroviaria

della Val Pusteria. Ben presto, però, anche la ferrovia del Brennero, quasi tutta a binario unico, si rivelò un collo di bottiglia. Mentre nel Tirolo del Nord la rete ferroviaria era stata potenziata e Innsbruck era divenuta uno snodo importante, l’Alto Adige e il Trentino ebbero la peggio nella competizione con Vienna per aggiudicarsi collegamenti ferroviari più efficienti. La linea attraverso il passo del Brennero può essere percorsa alla velocità massima di 100 km all’ora anche perché il percorso presenta una pendenza massima molto elevata, problema serio per i carri ferroviari in transito, e raggiunge il punto più alto presso la stazione di Brennero, a 1.371 metri sopra il livello del mare, costituendo così il punto più elevato della rete ferroviaria ordinaria sia austriaca che italiana.

Da anni l’attuale sistema ferroviario è così in una condizione limite con 15 milioni di tonnellate di merci che vi transitano ogni anno, e a causa della saturazione della linea e dei terminali ferroviari per i trasbordi dei mezzi, per gli autotrasportatori italiani è quasi impossibile incrementare lo shift modale in favore della ferrovia.

Secondo uno studio condotto dai Ministeri dei Trasporti d’Italia, Austria e Germania “il volume di traffico ferroviario di merci nell’asse del Brennero dovrebbe raggiungere un incremento percentuale di circa il 215% entro il 2040”, cifre che l’attuale ferrovia non riesce a soddisfare senza il completamento del potenziamento previsto con la Galleria di Base del Brennero.

All’acuirsi della questione Brennero contribuisce anche un altro fattore, tutt’altro che secondario: i numeri di ricorso alla Ro.La, la cosiddetta “autostrada viaggiante”, che nel 2023 è stata utilizzata da 104mila tir, una percentuale inferiore del 17% rispetto all’anno precedente, secondo quanto considera il giornale tedesco Tiroler Tageszeitung. Secondo le associazioni di categoria, il trasporto combinato accompagnato, oltre ad avere una percorrenza di soli 100 km, offre “servizi inadeguati, non competitivi e non efficienti per motivi di costi, poche capacità di carico su un treno, pesi morti trasportati (motrice) e capitale umano (autista) improduttivo”. A questo va aggiunto un tempo superiore di circa 4-5 ore al tragitto su strada. Anche se l’offerta per la Ro.La è aumentata, è ancora ben lontana dal target annunciato di 400mila posti per complessi veicolari. La stima del danno economico relativo all’utilizzo della Ro.La è di un costo aggiuntivo annuo di 58.625.000 euro che, se quantifichiamo per il periodo 2017-2023, raggiunge un valore di oltre 410 milioni di euro.

Le problematiche legate alla Ro.La

La genesi della Galleria di Base

Si capisce quindi perché è necessaria una nuova infrastruttura ferroviaria, la Galleria di Base del Brennero, la cui entrata in funzione è prevista per il 2032. Ci è voluto più di un secolo prima che l’intuizione dell’ingegnere Qualizza venisse ripresa; solo nel 1971, infatti, il gruppo UIC, Union internationale des chemins de fer, diede l’incarico di avviare uno studio di fattibilità per una nuova ferrovia del Brennero con una galleria di base. Fino al 1989 vennero elaborati tre studi di fattibilità, mentre cinque anni dopo, nel 1994, l’Ue inserì il corridoio Berlino-Napoli nell’elenco dei progetti prioritari e dieci anni dopo, Austria e Italia sottoscrissero l’Accordo di Stato per la realizzazione della Galleria di Base del Brennero. Dal 1847 siamo giunti quindi al 2004, quando fu fondata la società a partecipazione italo-austriaca, BBT SE, acronimo di Brenner Basistunnel, il cui scopo era la progettazione della Galleria di Base del Brennero, che iniziò la sua opera di costruzione nel 2008 con i lavori di scavo per il cunicolo esplorativo.

Le principali caratteristiche

La Galleria di Base del Brennero si estende tra Innsbruck (Austria) e Fortezza (Italia) per una lunghezza complessiva di 55 km, a una quota di 794 metri sotto il valico del Brennero, che con un’altitudine di 1.370 metri è il valico più basso dell’arco alpino.

L’opera sarà destinata esclusivamente al trasporto ferroviario e il progetto del tunnel prevede due gallerie principali a binario singolo. Ai 55 km della galleria se ne aggiungono altri, in prossimità di Innsbruck, perché si raccorderà all’esistente circonvallazione della città austriaca, raggiungendo una lunghezza totale di 64 km. Chiaro è che l’obiettivo da raggiungere è alleggerire il trasporto merci su gomma, favorendo lo spostamento del traffico pesante dalla strada alla rotaia. Tuttavia, la galleria avrà un ruolo secondario anche nel trasporto passeggeri. L’auspicio è che il trasporto ferroviario delle merci vivrà il suo periodo d’oro quando

l’opera sarà pronta, perché potrà contare sull’abbattimento quasi totale delle pendenze - che oscilleranno tra il 4 per mille e il 7 per mille - quando dal 1867 ad oggi i treni in transito sono costretti ad affrontare impegnative salite e discese, con pendenza del 27 per mille, limitando fortemente velocità e carico.

I vantaggi? Anzitutto quelli temporali, con una percorrenza stimata in 25 minuti, dagli 80 attuali, perché il treno raggiungerà i 250 km orari per il trasporto passeggeri e 160 km/h per il trasporto merci (fonte BBT SE) e, secondo il motto il tempo è denaro, il risparmio di tempo si tradurrà in costi più bassi per gli operatori dell’autotrasporto. E non solo. Più autocarri sceglieranno il trasporto su rotaia, meno traffico ci sarà al passo del Brennero, con una conseguente riduzione delle code in entrata e uscita.

A proposito di ambiente, una gestione attenta delle risorse naturali è un elemento di base della progettazione e della realizzazione della Galleria di Base del Brennero, tanto che sono numerose le misure migliorative che accompagnano la costruzione della galleria. La società costruttrice BBT SE cerca di ridurre al minimo gli interventi sulla natura, motivo per cui gli imbocchi delle gallerie sono inseriti nel paesaggio con cura e attenzione e i depositi sono ubicati nelle vicinanze delle gallerie di accesso laterali. Inoltre, in prossimità dei cantieri sono stati realizzati nuovi punti di nidificazione e alimentazione per gli animali. Già prima dell’inizio dei lavori, la BBT SE aveva iniziato a raccogliere dati importanti su fauna e flora, agricoltura e silvicoltura, aria e rumore nonché sulle risorse idriche, una documentazione dettagliata che aiuta ad identificare e, ove necessario, a compensare gli eventuali cambiamenti verificatisi durante e dopo le opere di costruzione.

I finanziamenti

Il punto sui lavori

Stando alle previsioni del cronoprogramma i quattro cantieri attivi, uno sul territorio italiano e tre su quello austriaco, dovrebbero concludersi nel 2032. Da quell’anno, inizierà la “nuova vita” del Brennero, la cui realizzazione è frutto del grande impegno italiano, nella fattispecie del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che da anni sottolinea la necessità di un’opera portante per l’economia italiana, e nel dettaglio dell’economia dell’autotrasporto. La previsione del nuovo costo a vita intera è pari a 10,5 miliardi di euro, di cui 8,54 miliardi di euro per la realizzazione dell’opera, comprensivo dell’attrezzaggio ferroviario, a cui si aggiungono i costi previsti per i rischi, che ammontano a 1,092 miliardi di euro; infine 903 milioni di euro sono previsti per l’adeguamento monetario preventivo, ovvero l’inflazione futura presunta per i costi ancora da sostenere. Fino ad oggi, l’Ue ha cofinanziato il progetto nella misura del 50% per le attività di progettazione e prospezione e 40% per le attività di realizzazione delle gallerie principali, per un importo di oltre 1,6 miliardi di euro. Il resto del finanziamento è suddiviso al 50% tra Italia e Austria.

I lavori di scavo, intanto, proseguono in modo lineare, tanto che ad aprile 2024 la BBT SE ha comunicato che i cantieri sono al 75% del totale, con 169 km di galleria scavati su un totale di 230 km. Sono già stati realizzati 70 km di gallerie per il transito treni, 58 km del cunicolo

esplorativo, 43 chilometri di galleria di accesso, cunicoli di soccorso e gallerie logistiche.

A marzo 2023, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini era presente alle fasi finali di scavo a Mules in Alto Adige, dove ha ribadito il ruolo strategico della Galleria per il nostro Paese, sottolineando che una volta ultimata la connessione tra Fortezza e Innsbruck sarà il tunnel ferroviario più lungo al mondo. “È un cantiere modello, un capolavoro ingegneristico a firma italiana facente parte del progetto transfrontaliero tra Austria e Italia - ha sottolineato il Ministro, aggiungendo che “nel secolo scorso le gallerie si scavavano per combattere, ora si costruiscono per unire”.

Nel dettaglio, i lavori di uno dei lotti (H21), denominato “Gola del Sill”, che comprende la costruzione del collegamento tra la Galleria di Base del Brennero e la stazione centrale di Innsbruck, sono al 90% e dovrebbero concludersi nel dicembre 2024. Al 30% invece, la cantierizzazione della Gola Sill-Pfons (H41), partita a luglio 2022, in cui sono già iniziati i lavori di scavo in direzione di Innsbruck. Già completati invece il lotto lavori Tulfes-Pfons e quello di Hochstegen nel comune di Steinach am Brenner, mentre prosegue il tratto Pfons-Brennero, il più grande nell’area austriaca di progetto, iniziato a maggio 2023, che comprende anche la realizzazione del cunicolo esplorativo fino al confine italo-austriaco del Brennero, per un totale di 29 km di gallerie, (circa 15 km con scavo meccanizzato e i restanti 14 km con metodo tradizionale).

Quando la Galleria di Base del Brennero entrerà nel pieno della sua operatività, grazie alla nuova linea ferroviaria potranno circolare i treni con una lunghezza fino a 740 metri, rispetto ai 450 metri attuali, trasportando fino a 2mila tonnellate di merci, mentre ad oggi il massimo carico possibile è di 1.400 tonnellate. E ovviamente una linea ferroviaria moderna, con una pendenza ridotta al 4-6 per mille, quindi pianeggiante, consentirà la circolazione di un numero maggiore di treni. La capacità della Galleria di Base del Brennero sarà di circa 400 treni al giorno, di cui oltre 300 adibiti al trasporto delle merci.

Pur essendo l’opera strategica più importante, la Galleria di Base del Brennero non è l’unico intervento previsto per potenziare la ferrovia e quindi il trasporto merci. Nel 2017, infatti, è stata approvata dal Cipe la realizzazione della linea ferroviaria Verona-Fortezza, collegata al nuovo tunnel di base del Brennero. A Rete Ferroviaria Italiana è stata affidata la pubblicazione di un bando su scala europea per selezionare le aziende a cui affidare la progettazione esecutiva e la realizzazione del tratto di linea tra le stazioni di Fortezza e Ponte Gardena. I lavori consistono nella realizzazione di circa 22,5 chilometri di nuova linea ferroviaria a doppio binario. Il tracciato si sviluppa prevalentemente in sotterraneo, con due gallerie a doppia canna, Scaleres e Gardena, della lunghezza rispettivamente di 15,4 e 6,3 chilometri, collegate da

Altri interventi per potenziare la ferrovia

un ponte sul fiume Isarco. La nuova linea, inoltre, riduce al 12,5 per mille la pendenza massima, permettendo il passaggio di treni merci più pesanti. Questa linea, che dovrebbe essere completata nel 2029, è la prosecuzione naturale sul versante italiano della Galleria di Base del Brennero, ai fini del complessivo potenziamento dell’asse Verona-Monaco di Baviera all’interno del corridoio ferroviario europeo TEN-T Scandinavia-Mediterraneo, la cui attivazione sarà contestuale all’apertura del tunnel di base del Brennero.

Con le nuove opere potranno essere separati i flussi di traffico merci da quelli passeggeri e, tra questi, i servizi di lunga percorrenza da quelli locali, con enormi benefici per i viaggiatori. Sul fronte merci, invece, la specializzazione delle linee permetterà un aumento del traffico da Nord in ingresso al Nodo di Verona, con un notevole impatto anche per il terminale intermodale gomma/ferro Quadrante Europa, sempre più centrale all’interno del sistema logistico italiano ed europeo in quanto punto di intersezione di due Core Corridor europei TEN-T, lo Scandinavo-Mediterraneo e il Mediterraneo, nonché delle due autostrade Brennero (direttrice nord-sud) e Serenissima (direttrice ovest-est).

Le grandi opere per lo sviluppo del Nord-Ovest

Le grandi opere per lo sviluppo del Nord-Ovest

Ci sono tre Regioni in Italia - Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – che insieme rappresentano il 41% del Pil e il 51% del commercio estero italiano. Capire come si muovono le imprese di questi territori, quindi, consente di avere una fotografia dettagliata dei principali corridoi logistici del Nord Italia. A farlo, ormai da sei anni, ci pensa un’indagine effettuata dal centro studi SMR – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno e da Contship, società che opera nei terminal container, trasporto intermodale e logistica. L’ultima survey, presentata a marzo 2024 e condotta su un campione di 400 imprese manifatturiere che esportano e importano via mare tramite container, ha messo in evidenza che Genova è il porto più utilizzato per le esportazioni (61% delle imprese) e per le importazioni (71%, in aumento rispetto al 66% dell’anno precedente).

Il Terzo Valico dei Giovi

Grazie alla sua posizione strategica sul Mar Ligure e alla presenza di importanti porti come Genova e Savona, la Liguria funge da snodo fondamentale per il commercio e la logistica, non solo a livello nazionale ma anche internazionale.

Si capisce quindi come le infrastrutture liguri siano fondamentali per lo sviluppo di tutto il tessuto produttivo del Nord Ovest e come la Liguria abbia una fame enorme di grandi opere. L’ampliamento e la realizzazione di nuove infrastrutture portuali, ferroviarie e stradali sono infatti indispensabili per sostenere la crescita economica, migliorare l’efficienza dei trasporti e facilitare il flusso delle merci.

Un’importanza che il Governo ha compreso perfettamente. Mai come oggi, infatti, la Liguria ha avuto tanti cantieri aperti: c’è il Terzo Valico dei Giovi, tassello terminale a Sud del Corridoio Mare del Nord-Reno-Mediterraneo, i cui lavori sono ormai superiori all’80% e che vedrà la luce nei prossimi due anni; c’è la Gronda autostradale di Genova, che mira a bypassare il traffico cittadino e per la quale sono iniziati i lavori propedeutici; la Diga Foranea di Genova, che servirà a proteggere il porto dal moto ondoso e ad accrescere il transito in sicurezza delle grandi navi portacontainer. E non da ultima la Torino-Lione, la famosa TAV, anello di congiunzione fra Italia e Francia, che secondo i dati della Commissione europea nel 2022 si sono scambiate attraverso le Alpi 46,9 milioni di tonnellate di merci.

Vediamo quindi nel dettaglio ognuno di questi progetti e come contribuiranno a ridurre i tempi di trasporto delle merci, collegando più rapidamente i porti liguri con le principali aree industriali del Nord Italia e Nord Europa.

Il Terzo valico dei Giovi è un’opera fondamentale per il Corridoio TEN-T Mare del Nord-Reno-Mediterraneo, volto a potenziare i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d’Europa, soprattutto con i porti di Anversa e Rotterdam.

Il Terzo Valico, che in estrema sintesi è una linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità che si snoda quasi completamente in galleria,

permetterà di sviluppare il Porto di Genova come hub di accesso al corridoio europeo, intercettando il traffico commerciale che dall’Estremo Oriente va all’Europa, con l’obiettivo di risparmiare circa cinque giorni di navigazione necessari alla circumnavigazione atlantica verso i porti del Mare del Nord. Allo stesso tempo la linea ottimizzerà i trasporti al momento affidati a due linee obsolete, la linea dei Giovi e la Succursale, che hanno pendenze molto elevate (la prima addirittura del 35 per mille) e un tracciato tortuoso.

Grazie a questo terzo tracciato, da qui il nome, i tempi di percorrenza sulle tratte Genova-Milano e Genova-Torino si ridurranno di circa un’ora e quelli sulla Genova-Venezia di circa 3 ore.

Il Terzo Valico, come molte delle opere infrastrutturali nel nostro Paese, ha una genesi lunga e travagliata. Il primo progetto risale al 1991 quando l’allora Governo italiano avviò gli investimenti sull’alta velocità. Nel 2001 l’opera viene inserita nel programma di Infrastrutture Strategiche, ma si arriva fino al 2006 prima di ottenere il via libera definitivo del Cipe con lo sblocco, nel dicembre 2008, di una quota di 7,3 miliardi di euro. Bisogna però attendere ancora il 2012 per l’avvio dei lavori. Fino al maggio del 2017 vengono attivati i primi quattro lotti costruttivi dell’opera e il tracciato comincia a prendere forma.

Nel corso del 2018 la prosecuzione dell’opera viene condizionata all’esito di una analisi costi-benefici: dopo settimane di studio e calcoli l’analisi parla di costi superiori ai benefici. Tuttavia, abbandonare l’opera avrebbe avuto costi notevoli tanto che l’allora Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, decide di proseguire potenziando però i collegamenti con Genova e arrivando con i binari fin dentro al porto. L’opera viene quindi accorpata con il Nodo di Genova e viene stanziato il finanziamento per il quinto e il sesto lotto.

La storia

Terzo valico: il tracciato

Nel 2021 la realizzazione del Terzo Valico viene inserita anche tra gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per cui verranno spesi i finanziamenti del bando Next Generation EU, con l’obiettivo di completarlo entro il 2026. Al momento gli scavi nelle gallerie risultano completati quasi al 90%.

Caratteristiche tecniche

Ma in cosa consiste il progetto nel dettaglio?

Il Terzo Valico dei Giovi rappresenta il fulcro della nuova linea ad alta capacità, una grande infrastruttura che insieme al Nodo di Genova permetterà ai treni di viaggiare a una velocità massima di 250 km/h, attraversando le province di Genova e Alessandria e interessando 14 comuni fino a raggiungere la città di Milano. Il progetto si sviluppa complessivamente per 53 km, la maggior parte dei quali in galleria, ben 37 km. La linea parte dal Nodo Ferroviario di Genova (Bivio di Fegino) e fino alla Piana del Novi si sviluppa quasi interamente in galleria, passando sotto alla Galleria di Valico e Galleria Serravalle. A Serravalle inizia il tratto all’aperto fino alla Galleria di Pozzolo, all’uscita della

quale la linea prosegue di nuovo all’aperto fino all’innesto sulla linea esistente Pozzolo Formigaro-Tortona (itinerario per Milano).

Il collegamento tra la linea storica Genova - Torino e il Terzo Valico dei Giovi avviene tramite l’interconnessione di Novi, realizzata a partire dalla galleria di Serravalle attraverso due gallerie a singolo binario che si inseriscono sulla linea ferroviaria esistente prima del tratto urbano di Novi Ligure.

Con i suoi 27 chilometri, la Galleria di Valico è l’opera principale. I tratti in sotterraneo sono per la maggior parte realizzati in due gallerie a singolo binario affiancate e unite tra loro da collegamenti trasversali in modo che ognuna possa servire da galleria di sicurezza la galleria gemella.

Segue poi la Galleria Serravalle, lunga quasi 7 chilometri, che attraversa i comuni di Novi Ligure e Serravalle Scrivia, una zona particolarmente urbanizzata che ha richiesto avanzati sistemi di monitoraggio.

Le altre due gallerie sono più corte: la Campasso si estende per circa 700 metri e prevede un doppio binario che rappresenta il primo punto di giunzione della linea storica in corrispondenza del Bivio Fegino; la Pozzolo, lunga circa 2 km, è una galleria artificiale dotata di un’area di sicurezza intermedia e di punti di evacuazione e soccorso presso entrambi gli imbocchi.

Ad oggi gli scavi delle gallerie risultano attivati intorno al 90%; una volta completato il Terzo Valico avrà vantaggi indubbi per i trasporti, diminuendo i tempi di percorrenza, e per l’ambiente, grazie ad una riduzione delle emissioni di CO2 del 55%, secondo le stime.

La pendenza del 12,5 per mille, uguale a quella dei trafori alpini del San Gottardo e del Ceneri, unitamente al raggio di curvatura di 3,5 chilometri e al modulo di 750 metri, permetterà sia la circolazione di treni merci a standard europeo e più competitivi rispetto al trasporto su

strada, sia l’aumento di produttività del treno: con un solo locomotore sarà infatti possibile trainare treni di peso fino a 1.750 tonnellate, che oggi richiedono l’uso di due locomotori, con un dispendio energetico quindi molto minore.

La velocità dei treni merci sarà di 100-120 km/ora e quella dei treni passeggeri di 200-250 km/ora, con limitazioni a 100-160 km/ora nei tratti di collegamento con la rete esistente.

A regime il Terzo Valico assicurerà il collegamento tra Genova e Milano in 50 minuti e tra Genova e Torino in 50 minuti.

Nodo di Genova

L’impatto del Terzo Valico sulla circolazione sarà rafforzato dal Nodo di Genova che altro non è che il potenziamento della capacità delle linee ferroviarie fin dentro il porto storico di Genova. L’obiettivo è quello di separare i flussi di traffico di lunga percorrenza e merci da quelli metropolitani e regionali con il conseguente incremento dell’offerta. Sarà predisposta una corsia preferenziale su ferro per le merci che dal porto di Genova sono dirette verso l’Europa, proprio sui binari dell’alta capacità veloce ferroviaria del Terzo Valico.

Anche il Nodo prevede opere in sotterraneo, tra cui la costruzione di tre gallerie naturali: la Nuova San Tomaso, a singolo binario, lunga 1.500 metri; la Nuova Cristoforo Colombo, sempre a singolo binario, lunga 1.409 metri e la Galleria Polcevera, lunga 2.167 metri, a doppio binario.

Il progetto è suddiviso in tre fasi funzionali: - il “Sestuplicamento” tra le stazioni di Piazza Principe e Brignole, che prevede la realizzazione di due nuovi binari di collegamento tra

le stazioni dedicati esclusivamente al traffico regionale e metropolitano; - il “Quadruplicamento” Voltri-Sampierdarena, che consiste nella realizzazione di due nuovi binari per la lunga percorrenza (merci e viaggiatori), che permetteranno la connessione diretta al Terzo Valico dei Giovi per i treni merci con origine/destinazione al Porto di Prà-Voltri;

- il potenziamento B. Fegino-Campasso Porto Storico, che ripristina una linea merci esistente adeguandola ai nuovi standard prestazionali. L’intervento prevede il potenziamento dello scalo ferroviario di Campasso, a servizio del Porto Storico e integrato con il suo sviluppo conseguente alla realizzazione della Nuova Diga Foranea, con la realizzazione di otto binari di lunghezza 750 m per l’arrivo/partenza dei treni dal porto verso le linee del Nord.

L’area di Genova sarà potenziata da un’altra opera, considerata minoritaria rispetto alle altre più colossali, ma comunque utile a creare il nuovo sistema di connessione del Nord-Ovest. Stiamo parlando del tunnel subportuale: 4,2 km per migliorare l’attraversamento della città – di cui 3,4 che passano al di sotto del bacino portuale – dal nodo

Il tunnel subportuale

Un primo cassone della nuova Diga Foranea

di San Benigno, a ponente, fino a Viale Brigate Partigiane nel quartiere Foce, a Levante.

L’idea di un attraversamento stradale del bacino del Porto Antico di Genova ha origine all’inizio del nuovo Millennio. Il progetto preliminare risale al 2003 ed è stato approvato dal Consiglio Superiore dei lavori pubblici nel 2005. Nel 2006 è stato inserito fra le Infrastrutture strategiche dal MIT. Nel 2021, infine, il progetto è stato ripreso e rientra ora in una serie di interventi di interesse pubblico definiti nell’Accordo stipulato il 14 ottobre 2021 tra Autostrade per l’Italia, la Regione Liguria, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e il Comune di Genova.

Dal punto di vista realizzativo, il tunnel sarà costituito da due canne principali separate, una per ogni senso di marcia, con corsia di marcia, corsia di sorpasso e corsia di emergenza, e dai relativi tratti di raccordo con il nodo autostradale e con la viabilità cittadina. Si tratta del primo tunnel sottomarino in Italia, ad almeno 45 metri sotto il livello del mare, e con diametro più grande in Europa.

L’avvio ufficiale del primo cantiere è stato dato lo scorso 4 marzo nell’area di San Benigno. L’apertura al traffico è prevista entro l’agosto 2029. Il progetto è collegato a un’ampia operazione di riqualificazione urbana. Sulla superficie saranno recuperate, infatti, 3,2 ettari di aree pedonali e 4,7 di aree verdi e parchi.

Diga Foranea

Per consentire a Genova di competere con i grandi porti del Nord, però, l’infrastruttura ferroviaria e stradale non basta. Oggi le caratteristiche del canale di Sampierdarena, lo spazio navigabile tra le banchine e la vecchia diga foranea, l’opera di sbarramento antistante il porto, impediscono di servire le grandi navi, che sono quindi costrette a deviare dal loro itinerario ottimale orientandosi verso porti più attrezzati. Per questo è stata decisa la realizzazione nella Nuova Diga Foranea, situata più al largo rispetto a quella attuale, che servirà a proteggere il porto dal moto ondoso e a consentire il transito di grandi navi portacontainer lunghe oltre 400 metri e larghe 60 metri (il doppio di quelle che possono transitare oggi), e delle navi da crociera.

La Nuova Diga Foranea, il cui costo stimato è di 1,3 miliardi, sarà la più profonda d’Europa e unica nel suo genere. Il progetto, che sarà finanziato con i fondi del Piano complementare, prevede la realizzazione del nuovo sbarramento a circa 450 metri oltre l’attuale diga; il suo basamento poggerà su fondali fino a una profondità record di 50 metri e nella sua configurazione finale raggiungerà una lunghezza complessiva di 6,2 chilometri.

La posa del primo cassone

400m larghezza del nuovo canale

CANALE SAMPIERDARENA

800m

diametro nuovo bacino di evoluzione 310m

larghezza del nuovo canale di accesso

Per realizzare il basamento saranno impiegati sette milioni di tonnellate di materiale roccioso, sul quale verranno posizionati elementi prefabbricati in cemento armato. Per i primi 4mila metri della diga saranno posizionati oltre 90 cassoni cellulari grandi come dei veri palazzi, con un’altezza di 33 metri, una larghezza di 35 e una lunghezza di 67 metri.

La realizzazione dei cassoni costituisce una delle parti più complesse dell’opera, visto che sono realizzati direttamente in mare, su una piattaforma galleggiante in cui viene allestita la cassaforma metallica che riproduce la struttura del cassone. Sulla cassaforma viene eseguito il primo getto di calcestruzzo e quando si solidifica si procede con un secondo e poi un terzo fino a che non viene raggiunta l’altezza necessaria.

Una volta realizzato un cassone, questo viene trasportato nel punto di posa prefissato mediante rimorchiatori, affondato riempiendo le celle con acqua di mare e, una volta posato sul basamento della diga, si procede con il riempimento delle celle con materiale lapideo. Il cassone viene infine chiuso da una sovrastruttura sui cui poggia il muro paraonde, la parte più visibile della diga, studiato per ridurre l’effetto dell’impatto delle onde.

I lavori sono iniziati da poco e il 24 maggio 2024, alla presenza del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, si è tenuta la cerimonia per la posa del primo cassone. Secondo le previsioni nel 2026 dovrebbe terminare la prima fase, che prevede la realizzazione del nuovo ingresso da levante, largo oltre 300 metri, e l’estensione del-

Diga da smantellare

Nuova diga

Diga storica

PORTO ANTICO
FOCE BISAGNO

I vantaggi

Caratteristiche

lo spazio di manovra per le navi. Nella seconda fase, che verrà conclusa nel 2030, sarà completato l’ampliamento del canale di Sampierdarena, che arriverà come dicevamo a una larghezza di 400 metri, aumentando così l’operatività e la competitività di tutti i terminal.

Secondo le stime, la nuova opera avrà la capacità di generare un aumento del traffico portuale di circa il 40%, con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro in settori strategici come logistica, industria e servizi. L’incremento stimato, secondo quanto sottolineato dal Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi, sarà tra i due e i tre milioni di TEU per Genova e altri due milioni di TEU per i porti del Nord Tirreno, con un beneficio economico di almeno 4,2 miliardi di euro, in termini di maggiori introiti da traffico container, di diritti e tasse portuali. Nell’arco di un decennio, si ipotizza un risparmio sui costi operativi per minori percorrenze navali di circa 800 milioni di euro, con una riduzione di costi ferroviari superiore a 1,3 miliardi e di costi stradali pari a 300 milioni. E ancora è attesa una maggiore sicurezza in porto e in manovra con costi esterni medi per gli aspetti di sicurezza del trasporto marittimo che portano a un risparmio di 153 milioni di euro, in linea con i migliori porti del mediterraneo tra cui Barcellona, Pireo, Marsiglia e Trieste.

Un’altra opera fondamentale per il territorio genovese, anche se purtroppo ancora in una situazione di stallo, è la Gronda, un nuovo tratto autostradale a due corsie destinato ad alleggerire dal traffico pesante il tratto più interconnesso dell’A10, cioè quello dal casello di Genova Ovest (Porto di Genova) sino all’abitato di Voltri.

Anche la Gronda ha una lunga storia, che risale addirittura agli anni ’80, quando venne finanziata una bretella in zona Rivarolo, che poi non venne realizzata perché il Tar della Liguria si pronunciò contro. L’idea della Gronda torna in auge a inizio del Duemila: nel 2002 viene realizzato un primo studio di fattibilità in cui vengono individuate quattro alternative di tracciato. Da lì in poi si è andati avanti con i vari progetti (con relativo dibattito pubblico) e nel frattempo si è iniziato a lavorare sulla valutazione dell’impatto ambientale e sull’individuazione del sito dove raccogliere il materiale di scavo delle gallerie. È solo nel 2011 che viene inviato al MIT il progetto definitivo per l’approvazione tecnica. Nel corso degli anni il progetto è stato messo in discussione molte volte fino a che a dicembre 2022 il Ministro Matteo Salvini ha siglato il Protocollo d’intesa con Autostrade per l’Italia, società incaricata di realizzare l’opera.

Per capire bene l’utilità di questa opera, partiamo dal presupposto che la rete viaria genovese è caratterizzata da volumi di traffico molto elevati (in alcuni punti si registrano flussi che superano i 60mila tran-

La Gronda

siti quotidiani), con una forte presenza di veicoli commerciali legati al porto, e dalla necessità di alleggerire i transiti in modo da impattare il meno possibile sull’ambiente e sulla viabilità della zona. Si calcola che l’opera permetterà un risparmio di dieci milioni di ore all’anno per gli utenti del sistema di viabilità autostradale e locale.

Il progetto mira, infatti, a separare il traffico cittadino da quello di attraversamento e dai flussi connessi con il porto della città, nel tratto di A10 più interconnesso con la città di Genova (dal casello di Genova Ovest (Porto di Genova) a Voltri. La nuova infrastruttura affiancherà quella esistente – che sarà utilizzata dai mezzi dei cantieri delle gallerie poste in prossimità delle carreggiate – e si allaccerà agli svincoli che delimitano l’area cittadina (Genova Est, Genova Ovest, Bolzaneto). Il tracciato è frutto di un lavoro di confronto con gli enti territoriali e con i cittadini genovesi; un modello di concertazione basato sul dibattito pubblico che ha permesso di individuare la migliore soluzione progettuale.

Si tratta in tutto di 72 chilometri di nuovi tracciati autostradali, attraverso un sistema di 25 gallerie, pari a circa l’81% del totale. Vista la particolare conformazione del territorio genovese, infatti, il nuovo sistema viario ha uno sviluppo quasi interamente sotterraneo, realizzato

LA GRONDA IN NUMERI

7,2 km di nuovi tracciati autostradali

25 gallerie per 50 km

37 viadotti

con due tipologie di scavo, quello meccanizzato e scavo tradizionale, a seconda delle caratteristiche del terreno. Le opere all’aperto, invece, comprendono 37 viadotti.

Anche il tratto della A10 fra gli svincoli di Genova Voltri/Prà, Genova Pegli e Genova Aeroporto sarà oggetto di interventi di ammodernamento e sarà libero da pedaggio, con un ruolo di connessione per spostamenti prettamente urbani.

Un’altra infrastruttura che beneficerà di questa opera strategica è l’aeroporto di Genova Sestri. I lavori saranno realizzati, infatti, all’interno di una parte del canale del Porto di Genova, che si sviluppa tra la piattaforma dell’aeroporto “Cristoforo Colombo” e la diga foranea. Al suo interno verrà depositata parte delle terre proveniente dagli scavi, consentendo di ampliare la striscia di sicurezza della pista aeroportuale.

Per quel che riguarda i tempi di realizzazione, che si sono via via allungati, l’ad di Aspi, Roberto Tomasi, ha reso noto che il cantiere zero è attivo. Resta però di risolvere il tema del finanziamento dal momento che, come ha confermato il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, i costi sono aumentati rispetto ai 4,2 miliardi previsti.

La TAV

Torino-Lione

Se fosse nata quando è stata pensata oggi avrebbe più di trent’anni. È una storia lunga e complessa quella del collegamento ferroviario fra Italia e Francia, inserito nel Corridoio Mediterraneo della rete TEN-T, noto come Torino-Lione, o semplicemente TAV.

La Nuova Linea Torino Lione (NLTL) è la linea ferroviaria per merci e passeggeri di circa 270 chilometri (70% in Francia e 30% in Italia) che mira a spostare dalla gomma al ferro, ogni anno, circa un milione di mezzi pesanti sull’arco alpino tra Francia e Italia. L’opera principale è il tunnel di base del Moncenisio, la più lunga galleria ferroviaria mai costruita. Un tunnel a doppia canna a singolo binario, lungo 57,5 chilometri, di cui 45 chilometri in territorio francese e 12,5 in territorio italiano.

I lavori in corso prevedono lo scavo totale di 162 chilometri di gal-

lerie. Per la prima volta se ne parlò ufficialmente nel 1990, a Nizza, durante un summit in cui rappresentanti italiani e francesi espressero l’interesse alla costruzione di un collegamento ferroviario fra i due Paesi; collegamento che, dopo aver avuto il placet dell’Unione europea, fu inserito nel 1994 nella lista dei progetti della rete TEN-T.

Dal 1996, quattro trattati internazionali ne hanno sancito la realizzazione (nel 1996, appunto, 2001, 2012 e 2015), integrati da un Protocollo addizionale del 2016. È stata istituita, inoltre, la CIG, Commissione Intergovernativa italo-francese per il collegamento ferroviario Torino-Lione con il compito di presiedere alle attività necessarie alla definizione, realizzazione e gestione dell’opera.

Nel 2006, inoltre, la presidenza del Consiglio dei ministri ha istituito l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione quale sede tecnica di confronto di tutte le istanze interessate alla sua esecuzione.

Un’altra sigla da ricordare in questa storia è TELT, che sta per Tunnel Euralpin Lyon Turin, la società metà italiana e metà francese che ha lo scopo di progettare, realizzare e successivamente gestire la sezione transfrontaliera della TAV: tra Susa/ Bussoleno in Piemonte e Saint-Jean-de-Maurienne.

La Torino-Lione si pone lungo la linea storica di collegamento Italia-Francia rappresentata dal Tunnel ferroviario del Frejus, inaugurato nel 1971 e posto a 1.300 chilometri di altezza. Oggi, per attraversare il Moncenisio i treni devono salire fino a quell’altitudine con un notevole consumo di energia e con un consequenziale rallentamento della velocità. TELT stima che tutto questo comporti fino al 50% di maggiori costi di trasporto.

Si calcola che la nuova opera offrirà enormi benefici in termini di risparmio di Co2 (un milione di tonnellate risparmiate ogni anno). Benefici che non sono legati soltanto alla riduzione del numero di mezzi pesanti sulla strada. Una volta terminati i lavori, infatti, il tracciato senza dislivello avrà le caratteristiche di una ferrovia di pianura, con risparmi energetici del 40% grazie alla riduzione della pendenza massima e al raddoppio della capacità di carico. Inoltre, per quel che riguarda il servizio merci, la linea a standard europeo consentirà il passaggio di treni con portate fino a 1.500 tonnellate, contro le 600-700 tonnellate di oggi.

La nuova infrastruttura risponde a ragioni di natura ambientale, ma anche economica considerando il flusso delle merci fra i due Paesi. L’attraversamento alpino è infatti un elemento cruciale per l’import-export di un mercato unico come quello europeo. La Francia e l’Italia sono rispettivamente la seconda e la terza economia dell’Unione europea e sono il secondo partner commerciale l‘una dell’altra.

Stando al sito della Farnesina InfoMercatiEsteri, lo scorso anno

L’opera

l’export italiano verso i cugini francesi è valso 63.318,05 milioni di euro; viceversa, quello dalla Francia verso l’Italia è stato di 46.535,44 milioni di euro.

Nello speciale “Valichi alpini: percorso a ostacoli per le merci”, pubblicato nel mese di aprile 2024, avevamo reso noti i dati 2022 del traffico merci attraverso i valichi francesi. Ricapitoliamo. Quell’anno, circa il 20% delle merci italiane ha varcato le Alpi, passando per Ventimiglia, Monginevro, Fréjus e Monte Bianco, per un totale di 46,9 milioni di tonnellate. Circa 43 milioni di tonnellate, pari al 96,3%, hanno viaggiato su strada e 3,1 milioni, il 6,8%, su ferrovia.

Secondo i dati della Commissione europea, la quota maggiore di merci tra Italia e Francia è passata da Ventimiglia (9,7%). Nel complesso si tratta di 22,445 milioni di tonnellate, di cui il 96,3%, pari a 21,6 milioni di Ton, via gomma e il 3,7% (839mila) via ferro. Al secondo posto troviamo il valico del Frèjus con 15,9 milioni di tonnellate di merci (6,9%). Anche in questo caso, la stragrande maggioranza (85,3%, pari a 13,5 milioni di Ton) ha viaggiato su camion mentre il 14,7% (2,3 milioni) si è mossa su ferrovia. Infine, attraverso il Monte Bianco sono transitati 8,5 milioni di tonnellate di merci (il 3,7% del totale), tutti tramite la strada.

Ciò vuol dire che ogni anno, dunque, più di 40 milioni di tonnellate di merci viaggiano lungo l’arco alpino tra Italia e Francia quasi completamente su gomma.

Fin qui abbiamo raccontato la genesi, le ragioni e le caratteristiche generali dell’opera. Più complessa è la questione della sua realizzazione. In Italia la TAV è stata sin dall’inizio un’opera piuttosto controversa attorno alla quale si è creato un vero e proprio movimento antagonista che nel corso del tempo ha rallentato l’avvio dei lavori, a colpi di ricorsi, opposizioni e sabotaggi dei cantieri.

Il 21 marzo 2018 il (CIPE) ha dato il via libera al progetto di Variante di caratterizzazione per la parte italiana della sezione transfrontaliera della Torino-Lione.

Nel dicembre 2023, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha inaugurato in Valsusa il cantiere di Chiomonte per lo scavo del tratto del tunnel di base del Moncenisio di nostra competenza, a un anno dall’avvio dei lavori del tunnel di base in Francia. La data fissata per la sua conclusione è il 2032.

I lavori prevedono l’impiego, al picco delle attività, di oltre 700 persone per circa 30 chilometri di scavi: oltre alle due canne del tunnel di base si devono realizzare anche la galleria Maddalena 2, da dove partiranno le frese, i rami di collegamento tra le due canne, il sito di sicurezza di Clarea e la galleria artificiale all’imbocco est di Susa.

Stando agli aggiornamenti forniti da TELT, al mese di giugno, l’avanzamento dei cantieri della Torino-Lione segna in totale 37 chilometri di gallerie scavate sui 164 km da realizzare, di cui 13,5 del tunnel di base.

I lavori civili del tunnel e gli appalti per la trasformazione dei materiali di scavo risultano tutti affidati.

Sul lato italiano, al cantiere di Chiomonte procedono in parallelo le due attività del sito principale e vanno avanti anche altri lavori legati all’esecuzione dell’opera, come il cantiere per realizzare il nuovo svincolo di collegamento con l’autostrada A32 che permetterà l’accesso diretto dei mezzi di lavoro al cantiere, senza impatti per la viabilità locale. Avanza anche il cantiere per il nuovo autoporto di San Didero, per la rilocalizzazione dell’autoporto di Susa, opera connessa agli interventi per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Il nuovo insediamento comprenderà un’area parcheggio per i mezzi pesanti, un’area di servizio e un nuovo posto di controllo centralizzato. L’accesso dall’A32 sarà garantito tramite due rampe di immissione e uscita a scavalco dell’autostrada.

L’inizio dei lavori

4 Alta capacità ferroviaria, anche le merci andranno ad alta velocità

Alta capacità ferroviaria, anche le merci andranno ad alta velocità

In uno spazio economico comune anche il sistema dei trasporti deve parlare un linguaggio comune.

Questo vuol dire armonizzazione delle norme tecniche, amministrative e di sicurezza, soprattutto quando si ha a che fare con il trasporto ferroviario che si basa su un legame inscindibile fra mezzo di trasporto e infrastruttura. Una delle parole magiche in questo senso è interoperabilità, che consente la comunicazione dei diversi sistemi nazionali.

Da definizione l’interoperabilità è la capacità del sistema ferroviario di consentire la circolazione sicura e senza soluzione di continuità dei treni garantendo il livello di prestazioni richiesto.

L’Unione europea ha definito un quadro normativo di riferimento con la Direttiva 797 del 2016 che chiarisce come “l’esercizio commerciale di treni lungo la rete ferroviaria richiede, in particolare, una forte compatibilità tra le caratteristiche dell’infrastruttura e quelle dei veicoli, ma anche un’efficace interconnessione dei sistemi di informazione e di comunicazione dei diversi gestori e delle diverse imprese ferroviarie. Da questa coerenza e da questa interconnessione dipendono il livello delle prestazioni, la sicurezza, la qualità e il costo dei servizi e su questa coerenza e su questa interconnessione si basa principalmente l’interoperabilità del sistema ferroviario dell’Unione”.

L’efficienza del trasporto ferroviario è funzionale allo sviluppo di questo tipo di modalità che, viste le sue caratteristiche, è ritenuta essenziale per raggiungere il traguardo di decarbonizzazione posto dal Green Deal. In questo quadro, i trasporti devono ridurre le loro emissioni di CO2 del 90% entro il 2050 e del 55% entro il 2030. E pertanto la Commissione ha fissato il target di aumentare il trasporto ferroviario delle merci del 50% entro il 2030 e di raddoppiarlo entro il 2050.

Un obiettivo che a vedere i dati europei sulla quota di cargo ferroviario sembra particolarmente difficile da raggiungere. La stessa Cor-

obiettivi Ue

Capitolo QUATTRO
Gli

te dei Conti Ue, in una relazione sull’intermodalità del marzo 2023, l’aveva definito irrealistico, sottolineando come nonostante gli sforzi compiuti per ridurre il trasporto merci su strada questa modalità resta il modo più flessibile di consegnare le merci, oltre che, molto spesso, il più veloce ed economico.

Nel testo della Corte si dice che “utilizzare treni più lunghi che raggiungano la lunghezza standard europea di 740 metri potrebbe essere uno dei miglioramenti più convenienti dal punto di vista dei costi. Il problema è che, però, questi treni possono in teoria essere utilizzati solo sulla metà dei corridoi centrali della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)”.

Una delle misure efficaci in questo senso è il completamento della rete centrale e della rete globale TEN-T (rete che recentemente è stata aggiornata) per cui sono previsti sostanziosi fondi comunitari, basti pensare al CEF - Connecting Europe Facility -, il meccanismo finanziario per collegare l’Europa che prevede importanti incentivi per l’attuazione della rete transeuropea di trasporto.

Solo nel periodo 2014-2020, il CEF Trasporti ha concesso 23,2 miliardi di euro in sovvenzioni per cofinanziare progetti di interesse comune.

I requisiti della rete TEN-T sono standardizzati: treni merci lunghi di 740 metri, con sagome e pesi assiali uniformi per trasportare più merce in un solo convoglio e per favorire il trasporto combinato.

In questo piano rientra anche lo European Rail Traffic Management System/European Train Control System (ERTMS/ETCS) sulle nuove linee della rete ad alta velocità/alta capacità; il sistema – anch’esso basato su standard europeo – che permette ai treni dei diversi Stati di circolare senza soluzione di continuità su tutte le linee che ne sono dotate, sulla base di informazioni scambiate dai sottosistemi di terra e di bordo, con un linguaggio comune e gestite con componenti interoperabili. Lo standard definisce le modalità di scambio delle informazioni di segnalamento tra gli impianti di terra e i treni.

La rete ferroviaria italiana si estende su un totale di 16.718 chilometri a cui si aggiungono circa 3mila chilometri di linee secondarie. La nostra è la quarta rete ferroviaria europea per estensione, dietro la Germania (38.836 km), la Francia (27.812 km) e la Polonia (19.355).

Il traffico merci percorre le linee utilizzate anche dal traffico viaggiatori, connotate in generale da caratteristiche prestazionali (sagoma limite e modulo di linea) inferiori alle recenti aspettative del mercato di trasporto, con conseguenze anche sulla velocità di transito e sulla qualità del trasporto.

Stando agli ultimi dati Eurostat, con una quota modale del 12,4%, l’Italia si pone ben al di sotto della media Ue del 17,1%. Ci sono Stati confinanti che, ad esempio, raggiungono il 30,2% come l’Austria, o la Svizzera che investe da anni in questo settore (il progetto AlpTransit, approvato da un referendum popolare nel 1992 ha previsto il potenziamento degli assi transalpini del Gottardo e del Lötschberg mediante

Il caso italiano

La quota di cargo ferroviario nei vari Paesi Ue

Lettonia

Lituania

Svizzera

Slovenia

Slovacchia

Austria

Svezia

Estonia

Ungheria

Croazia

Romania

Polonia

Bulgaria

Finlandia

Rep. Ceca

Germania

Norvegia

Italia

Belgio

Portogallo

Francia

Danimarca

Olanda

Lussemburgo

Spagna

Grecia

Irlanda

Cipro

Malta

Il ritardo del Sud

la costruzione di due tunnel di base) e che ora è a quota 33,6%. Sul confine orientale, troviamo poi la Slovenia con il 32,7%. Nell’Unione europea a 27 Stati membri è però la Lettonia a segnare il record assoluto con il 53,2%. Ovviamente in questa sperequazione conta molto anche la conformazione fisica della nazione. In Italia, ad esempio, le 1.670 gallerie e i 23mila ponti e viadotti presenti sulle linee ferroviarie danno bene la misura della complessità della rete.

Guardando meglio la situazione del cargo ferroviario italiano, ci viene in aiuto l’ultimo rapporto annuale di Fermerci, associazione che rappresenta gran parte degli operatori del settore in Italia, fra cui Mercitalia del Gruppo Fs. Il documento evidenzia come la distribuzione della rete ferroviaria sul territorio italiano si estenda per il 45% in Piemonte, Lombardia e Veneto (7.520 km) e lungo l’arco Tirrenico dalla Liguria alla Campania (26% del totale nazionale). L’offerta ferroviaria è quindi prevalentemente concentrata nelle regioni settentrionali, che sono anche quelle dove si registra la maggior produttività.

Il grande ritardo della rete ferrovia del Sud era stato messo in evidenza nello studio di Svimez (associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), realizzato per Conftrasporto, sottolineando come fino all’anno scorso nell’Italia meridionale fossero presenti solo 181 chilometri di rete ad alta velocità (pari a 12,3% del totale) esclusivamente in Campania.

Disparità enorme anche per l’elettrificazione della rete (58,2% al Sud a fronte dell’80% al Centro-Nord) e per il doppio binario (31,7% contro il 53,4% al Centro-Nord). Senza contare che anche le infrastrutture stradali al Sud sono molto penalizzate (la presenza della rete autostradale è 1,87 km per 100 km2 contro 3,29 al Nord e 2,23 al Centro; mentre in Sardegna non esistono autostrade). Ovviamente tutto questo crea una barriera insormontabile per l’economia. Solo per citare alcuni dati, sempre di Svimez, la distanza media per gli acquisti delle imprese è pari a 264,3 km contro il 122,7 del Centro, i 105 del Nord-Ovest e i 94,4 del Nord-Est.

Si capisce bene, dunque, perché anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbia deciso di investire una parte dei fondi messi a disposizione dal Next Generation EU nelle infrastrutture ferroviarie, soprattutto del Sud, per tentare di colmare parte di questo gap.

Alla luce della rimodulazione accolta dalla Ue nei mesi scorsi nella Missione 3, Infrastrutture per la Mobilità sostenibile, per i collegamenti ad alta velocità verso il Sud sono stati messi sul piatto 1,254 miliardi per la Napoli-Bari; 799 milioni per la Palermo-Catania; 1,8 miliardi per la Salerno-Reggio Calabria. Per il Nord ci sono 8,73 miliardi in tutto (Liguria-Alpi, 4,26 miliardi; Brescia-Verona-Padova, 4,47 miliardi); in questo capitolo è compreso anche il Terzo Valico dei Giovi di cui si parla nel capitolo 3.

Altro elemento centrale in questa missione del PNRR sono gli investimenti per lo sviluppo del sistema di gestione del traffico ferroviario, una formula che indica gli ERTMS per i quali il budget è di 2.466 milioni di euro.

Quelli del PNRR non sono, però, degli unici investimenti.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti già con l’Allegato Infrastrutture al Documento di Economia e Finanza del 2015 aveva individuato alcune opere essenziali e di rilevanza nazionale ed europea, necessarie alla competitività del Paese. Opere prioritarie che comprendono anche infrastrutture per l’alta capacità ferroviaria, che consentono il trasferimento sulle linee utilizzate dall’alta velocità.

RFI è impegnata nella realizzazione di oltre 30 opere strategiche distribuite su tutto il territorio italiano, per un totale di 281 miliardi divisi tra le varie regioni (vedi infografica nel capitolo 1).

Gli investimenti previsti

BresciaVerona-Padova

Vediamo quindi quali sono le infrastrutture ferroviarie principali, partendo dai progetti per il Nord e arrivando fino a quelli per il Sud, che avranno effetti benefici anche per l’alta capacità.

Uno dei tasselli che rafforzerà il Corridoio Mediterraneo, che parte dalla Spagna e arriva ai confini con l’Ucraina (attraversando la Francia, la Spagna, l’Ungheria), passa per Brescia, Verona e Padova.

È la tratta di 152 chilometri in tutto che fa parte dell’asse AV/AC Milano-Venezia e riveste un’importanza strategica sia a livello nazionale sia europeo perché, una volta conclusa, consentirà di incrementare l’offerta di trasporto ad alta velocità lungo la direttrice orizzontale Milano-Venezia, che è uno dei punti nevralgici per le merci in ingresso e in uscita dal nostro Paese.

Il progetto è stato avviato nel 2014 e i lavori hanno avuto inizio nel 2018. La realizzazione è prevista per il 2026.

La nuova tratta AV/AC Brescia-Verona-Padova consiste nel quadruplicamento dell’infrastruttura attuale e garantisce una migliore separazione dei flussi di traffico, permettendo il transito di treni veloci alla velocità massima di 250 chilometri/orari, con recuperi dei tempi di percorrenza tra Milano e Venezia Santa Lucia.

I vantaggi previsti? Maggiore capacità e regolarità della circolazione e specializzazione dei servizi.

Milano-Genova

Nel frattempo, sono in corso anche i lavori per l’ammodernamento dei collegamenti tra Milano e Genova per upgrade infrastrutturali e tecnologici finalizzati alla velocizzazione dei collegamenti, in particolar modo sulla tratta di 70 chilometri Milano Rogoredo-Tortona, per innalzare la velocità massima in alcune tratte fino a 180-200 chilometri/orari. Recentemente sono stati attivati 8,5 chilometri nel tratto tra Rivalta Scrivia e Tortona e sono state concluse le attività di restyling della stazione di Rivalta Scrivia che ha ora anche uno scalo merci all’a-

vanguardia. Nelle varie fasi di lavorazione allo scalo merci sono stati infatti realizzati quattro nuovi binari per accogliere i treni merci europei più lunghi e il doppio accesso ai raccordi (Rte e Interporto) presenti in stazione che consentono il potenziamento della capacità dello scalo esistente e la sosta di treni più lunghi. A questi interventi si aggiunge un nuovo binario dotato di un moderno impianto antincendio in grado di gestire il trasporto di merci pericolose che incrementa ulteriormente le potenzialità dello scalo.

Interventi di quadruplicamento sono in cantiere anche tra Milano Rogoredo e Pavia attraverso la realizzazione di una nuova coppia di binari in affiancamento a quelli esistenti per un’estensione complessiva di circa 29 chilometri.

Anche in questo caso il progetto risale al 2018; mentre i lavori sono stati avviati nel 2023. Si stima la fine dei lavori a partire da dicembre 2026, per differenti step. Da allora la velocità massima consentita arriverà a 180 chilometri/ orari.

L’intervento, articolato in due fasi (la prima fase prevede il quadruplicamento nella tratta Milano Rogoredo-Pieve Emanuele, circa 11 km, mentre la seconda fase riguarda il completamento fino a Pavia, circa 18 km), permetterà l’incremento della capacità (passando da 10 a 20 treni all’ora) e la separazione tra le tipologie di traffico, specializzando le due linee.

Ci spostiamo in Liguria per il raddoppio della linea costiera Genova-Ventimiglia che impatta su un territorio fortemente urbanizzato e fulcro del transito di una cospicua quantità di merci. Viste le caratteristiche orografiche della zona, di cui abbimao parlato anche nel capitolo precedente, l’80% del tracciato corre in galleria. L’intervento sulla tratta prevede la realizzazione del raddoppio tra Andora e Finale Ligure, in variante rispetto al tracciato in esercizio. Si tratta di circa 32 chilometri, di cui 25 in galleria, che consentiranno di completare il raddoppio della linea internazionale Genova-Ventimiglia.

L’obiettivo è di aumentare la capacità passando da quattro a dieci treni all’ora nei due sensi di marcia; treni che viaggeranno alla velocità massima di 200 chilometri orari. Si ridurranno così i tempi di percorrenza. L’ammodernamento avrà ripercussioni positive sugli standard prestazionali ma naturalmente anche sui livelli di sicurezza con benefici per il traffico merci in un collegamento strategico verso la Francia.

Il progetto ha preso avvio nel 2021 e la fine dei lavori è prevista per il 2029.

Milano
Rogoredo-Pavia
GenovaVentimiglia

TortonaVoghera e BussolenoOrbassano

Le merci che approdano al Porto di Genova, o che dallo scalo ligure prendono avvio verso il resto del mondo, troveranno beneficio anche da altre due opere di capacità ferroviaria come la Tortona-Voghera e la Bussoleno-Avigliana-Orbassano.

Nel primo caso il progetto riguarda, fra le altre cose, interventi sull’infrastruttura per collegarla con il Terzo Valico dei Giovi e il quadruplicamento della tratta Tortona-Voghera; circa 16 km in affiancamento al tracciato esistente. In questo modo sarà possibile separare i flussi di traffico tra i collegamenti Torino/Alessandria-Piacenza e Milano–Genova garantendo un contestuale incremento di capacità.

Si passerà, infatti, da dieci treni orari a venti, sul complesso delle due linee; allo stesso tempo, la specializzazione dei traffici sulle due linee permetterà di migliorare la regolarità della circolazione. La velocità massima consentita sarà 200 chilometri orari. L’attivazione è prevista per il 2030.

Nel secondo caso, ci troviamo di fronte alla realizzazione di una nuova linea in variante di tracciato da Avigliana allo scalo di Orbassano: circa 24 chilometri di cui circa 17 in galleria. Ma sono in programma anche il potenziamento tecnologico e l’adeguamento alle specifiche tecniche di interoperabilità della linea esistente Bussoleno-Avigliana. Anche in questo caso, i lavori hanno l’obiettivo di aumentare la capacità da dieci a venti treni all’ora sul complesso delle due linee. Si ridurranno inoltre i tempi di percorrenza considerando anche la velocità massima di 200 chilometri orari.

La nuova infrastruttura è pensata per gestire treni di lunghezza fino a 750 metri nell’impianto di Torino-Orbassano.

Passante di Firenze

Spostiamoci adesso al Centro Italia, dove troviamo un’opera che con soli 8,5 chilometri offrirà una serie di benefici al traffico merci e passeggeri. Parliamo del Passante di Firenze, fra le opere strategiche realizzate dal Polo Infrastrutture del Gruppo FS che, attraverso un

sottoattraversamento ferroviario della città medicea, consentirà una separazione dei flussi tra i treni regionali e quelli ad alta velocità, aumentando la capacità della rete di superficie.

Il progetto risale al 2005 e i lavori, che hanno avuto inizio nel 2007, saranno conclusi nel 2028. Il tratto urbano della nuova linea AV/AC si svilupperà per circa 7 chilometri in sotterranea con due gallerie parallele poste mediamente a 20 metri al di sotto della superficie. Oltre a ridurre i tempi di percorrenza per i servizi AV/AC, grazie alla separazione dei flussi di lunga percorrenza, regionali e merci, migliorerà anche la regolarità dei servizi.

Si calcola che il volume del traffico sulla stazione di Firenze Santa Maria Novella passerà dai 414 treni al giorno fino a circa 616.

Sono 145, invece, i chilometri che cambieranno l’assetto delle connessioni nel Sud Italia. Questa è la dimensione dell’opera di potenziamento della Napoli-Bari, una delle tratte ferroviarie che è parte del Corridoio centrale Scandinavo-Mediterraneo, che si snoda tra la Norvegia e la Svezia per raggiungere l’Italia, passando per la Danimarca, la Germania e l’Austria.

I lavori, avviati nel 2016, si concluderanno a partire da quest’anno. Il cronoprogramma prevede, infatti, l’attivazione delle varie tratte che compongo tutto il tracciato dal 2024 e fino al 2026.

L’obiettivo principale è velocizzare i collegamenti – la velocità consentita raggiungerà i 200/250 chilometri orari – e migliorare l’accessibilità sia dei servizi per i passeggeri, sia di quelli per le merci. Questo

Napoli-Bari

Salerno–Reggio Calabria

si traduce in termini di tempo di percorrenza nel dimezzamento della durata del viaggio Napoli-Bari da 4 a 2 ore. Anche fra Roma e Bari si guadagneranno 2 ore, passando da 5 a 3 ore di viaggio.

Si tratta quindi di uno snodo cruciale dal Centro al Sud che rappresenta anche un importante bacino occupazionale considerando che tra ingegneri, tecnici e operai nel progetto sono impegnate oltre settemila persone.

Dato particolarmente importante per il trasporto merci è la possibilità di far circolare sulla tratta Napoli-Foggia treni con semirimorchi, con peso per asse fino a 22,5 tonnellate e della lunghezza di 750 metri. Su questa stessa tratta la capacità teorica passerà dagli attuali quattro treni orari in entrambi i sensi di marcia a dieci treni orari per senso di marcia. Inoltre, sarà migliorata l’accessibilità agli impianti merci presenti nel casertano per contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Libro Bianco dei Trasporti Ue sul trasferimento del traffico merci oltre i 300 km dalla gomma al ferro.

L’attivazione avverrà per fasi dal 2024 fino a metà 2027.

Altro fiore all’occhiello della strategia nazionale per favorire lo shift modale ferro-gomma è la Salerno-Reggio; un progetto per l’Alta Velocità/Alta Capacità su cui punta molto anche il PNRR.

Il piano prevede la realizzazione di una nuova linea ferroviaria che rappresenta un collegamento strategico per le merci e per i passeggeri fra il Nord e il Sud della nostra Penisola. Un asset fondamentale anche per il commercio considerando che i benefici ricadranno anche sul Porto di Gioia Tauro, il primo in Italia per il trasbordo di container e quindi centrale per i trasporti internazionali.

Vediamo meglio di che si tratta.

Dal punto di vista tecnico-operativo, l’intero itinerario da Salerno a Reggio Calabria è stato suddiviso in lotti funzionali; il progetto prevede quindi la realizzazione in più tappe: la prima, la Battipaglia-Romagnano, sarà operativa in linea con i tempi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e quindi per il 2026. Le successive seguiranno tempistiche diverse. Da cronoprogramma, le ultime due tappe – Romagnano-Praja e Praja-Paola – saranno attive per il 2030.

Si tratta di 207 chilometri totali su cui si potrà transitare a una velocità di 200/300 chilometri orari.

È previsto anche il raddoppio della tratta Paola-Cosenza per potenziare l’itinerario merci per il Porto di Gioia Tauro. Si stima che al completamento di tutta l’opera, il tempo di percorrenza Roma-Reggio Calabria arriverà a ridursi anche di quattro ore.

I lavori mirano, come si diceva, a promuovere maggiore mobilità fra Nord e Sud Italia, a beneficio anche dei collegamenti da e per la Sicilia. Il tassello finale sarà dunque il Ponte sullo Stretto a cui è dedicato il prossimo capitolo.

Le carenze infrastrutturali in Sud Italia e in Sicilia sono storia ben nota. Il piano di rafforzamento dei trasporti ferroviari nel Meridione si completa di un altro segmento dell’Alta Capacità, e cioè la PalermoCatania-Messina.

Il nuovo collegamento ferroviario è un’opera strategica prevista dal Decreto Legge “Sblocca Italia”, finanziata con i fondi del PNRR e anch’essa parte del Corridoio Scandinavo-Mediterraneo.

Una volta conclusa, l’infrastruttura collegherà i centri urbani a maggiore densità abitativa (Agrigento, Caltanisetta, Enna e Catania) con le aree interne e costiere e assicurerà una maggiore mobilità delle merci (oltre che dei passeggeri).

Il collegamento ferroviario Palermo-Catania prevede dei tratti a doppio binario intervallati da tratti a semplice binario (in una seconda fase buona parte dei tratti di singolo binario saranno adeguati a doppio binario elettrificato).

La linea Messina-Catania sarà potenziata grazie al raddoppio del tratto Giampilieri-Fiumefreddo, per circa 42 chilometri. Anche in questo caso, il progetto è suddiviso in lotti funzionali.

Le opere saranno operative tra il 2025 e il 2029, a seconda del completamento e dell’attivazione dei diversi lotti.

Nel complesso, parliamo di 223 chilometri, lungo i quali sarà possibile percorrere una velocità massima di 250 chilometri orari, riducendo la durata della percorrenza.

Palermo e Catania saranno collegate in due ore invece che in tre;

PalermoMessinaCatania

mentre Messina e Catania in 45 minuti, contro l’attuale un’ora e 15. Ma non è solo una questione di regolarità e frequenza. L’intera infrastruttura avrà un adeguamento in termini di modulo e sagoma, uno step essenziale per sviluppare il traffico ferroviario delle merci all’interno dell’isola, anche nell’ottica di sfruttare al meglio il futuro attraversamento stabile dello Stretto.

Il

Ponte sullo Stretto, un’opera strategica anche per l’Europa

Il Ponte sullo Stretto, un’opera strategica anche per l’Europa

Ci sono idee che partono da lontano e che per concretizzarsi richiedono lo scorrere dei decenni, perché la società non è ancora pronta ad accoglierle, la tecnologia non è ancora matura o per questioni politiche nazionali o internazionali. Se si pensa al Ponte sullo Stretto di Messina, l’idea di collegare l’isola siciliana al resto dell’Italia è datata almeno al 1840, quando Ferdinando II delle Due Sicilie pensò alla realizzazione di un ponte che unisse Sicilia e Calabria. Un’idea che diventò in parte esecutiva perché diede l’incarico a un gruppo di architetti e ingegneri di fornirgli idee per la realizzazione. Quando i costi ipotizzati risultarono talmente esorbitanti da mettere a rischio le casse del Regno, il passo indietro fu però immediato. Pochi anni dopo l’Unità d’Italia, nel 1866, l’allora Ministro dei lavori pubblici Stefano Jacini, fece lo stesso ragionamento e affidò all’ingegnere Alfredo Cottrau, un tecnico di fama internazionale, il compito di studiare un progetto per il ponte; la risposta fu però negativa, per un motivo prettamente tecnologico: la costruzione di piloni in mare non era considerata fattibile.

Capitolo CINQUE

Un altro progetto del 1870 si ispirava niente di meno che a Napoleone, prevedendo un allacciamento sottomarino di 22 km, su proposta dell’ingegner Carlo Alberto Navone; il progetto prevedeva di entrare in galleria a Contesse e, scendendo a 150 metri, sottopassare Messina e Ganzirri attraversando lo stretto fino a Punta Pezzo e risalendo a Torre Cavallo. Sul piano politico l’idea del ponte piaceva, ma quando nel 1908 un catastrofico terremoto distrusse Messina, preceduto circa un secolo prima dal sisma in Calabria, il problema delle condizioni sismiche divenne un elemento da valutare attentamente in previsione del progetto. Nelle ipotetiche difficoltà di realizzazione tornano alla mente le figure leggendarie dell’Odissea, i mostri Scilla e Cariddi che Omero colloca geograficamente nello Stretto di Messina e che ostacolarono il viaggio per mare di Ulisse per tornare a Itaca. I due mostri, nel mito, sono la personificazione dei pericoli che hanno da sempre caratterizzato la navigazione in queste acque di mare a causa dei venti impetuosi, delle forti correnti e di violenti terremoti. Nel 1909, infatti, fu pubblicato uno studio geologico dell’area, ma solo nel 1921 si riparlò di galleria sottomarina, quando l’ingegner Emerico Vismara, al Congresso geografico di Firenze, presentò uno studio di galleria sotto lo stretto di Messina. Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale e solo nel 1952 l’opera fu rilanciata dall’iniziativa dell’Associazione dei costruttori italiani in acciaio (ACAI), che incaricò un americano, l’ingegnere David B. Steinman, di redigere un progetto preliminare. Il progetto prevedeva tre campate con due piloni, alti 220 metri sopra il livello dell’acqua e 120 metri sotto il mare, con ascensori di controllo delle strutture dal basso sul fondo dello stretto fino alla sommità. Se fosse stato realizzato avrebbe superato il record mondiale di campata libera allora detenuto dal Golden Gate Bridge di San Francisco con 1.275 metri. La costruzione avrebbe messo al lavoro 12mila operai dietro una spesa intorno ai 100 miliardi di lire. Si parlava di società americane disposte a finanziare l’opera e si offriva la garanzia del progettista, realizzatore del famoso ponte a San Francisco.

Per quel progetto, nel 1955 la Regione Siciliana commissionò alla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano uno studio geofisico allo scopo di verificare la natura delle formazioni sia sulle sponde sia sul fondo dello stretto; fu costituito da alcune tra le maggiori imprese di costruzioni nazionali, tra cui Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli, Italstrade, il Gruppo Ponte Messina SpA per promuovere una serie di approfondimenti, tramite specifici studi ingegneristici e ambientali, finalizzati alla realizzazione di un collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente. Il primo concorso di idee internazionali sulla costruzione è indetto dal Ministero dei Lavori Pubblici italiano nel 1969. Con la Legge n. 1158/1971 è istituita la società concessionaria Stretto di Messina SpA, che viene costituita dieci anni dopo, nel 1981, a cui partecipa con il 51% il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ferrovie dello Stato, Anas, Regione Siciliana e Regione Calabria in percentuali uguali del 12,25% ciascuno, mentre l’opera nella sua soluzione definitiva viene individuata nel 1992.

Nel 2003 viene approvato il progetto preliminare e nel 2006 la Società Stretto di Messina affida la progettazione definitiva e la costruzione dell’opera al consorzio Eurolink, di cui è leader il Gruppo Webuild. Il 20 dicembre del 2010 Eurolink consegna il progetto definitivo al termine di studi e analisi dettagliate sul territorio. Il 29 luglio del 2011 la società Stretto di Messina approva il progetto definitivo studi ingegneristici e ambientali finalizzati alla realizzazione.

Dopo un lungo periodo di dibattito politico a cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Duemila si è arrivati al riavvio del progetto del ponte per opera del Governo guidato da Giorgia Meloni, grazie soprattutto all’impegno del Vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini Nel 2013 l’allora premier Mario Monti aveva infatti chiuso il progetto del ponte, ma fin dall’arrivo al Governo il Ministro Salvini si è speso molto per far ripartire l’opera e dare un’accelerazione al progetto “vecchio” di circa 180 anni. Fino a che, con il Decreto Legge 31 marzo 2023, n. 35 (poi convertito in Legge 26 maggio 2023, n.58), recante “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”, è stato stabilito il ripristino delle attività finalizzate alla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, aggiornando e integrando la Legge costitutiva n. 1158/1971 e definendo il nuovo as-

Il riavvio dell’opera

Il ponte opera strategica europea

setto societario, composto da: MEF, Anas SpA, RFI SpA, Regione Calabria e Regione Siciliana. A seguire è stato riavviato anche l’iter realizzativo dell’opera attraverso la prosecuzione del rapporto concessorio con la Società Stretto di Messina SpA, oltre alla risoluzione del contenzioso pendente e in continuità con l’iter approvativo del progetto definitivo del 2011-2012. Allo stesso tempo si è stabilito l’adeguamento alle più recenti norme tecniche di costruzione, di pari passo con la normale evoluzione tecnologica degli ultimi anni, deliberando l’utilizzo dei più idonei materiali da costruzione, nel pieno rispetto delle normative vigenti in ambito archeologico, ambientale e paesaggistico.

Società Stretto di Messina: la composizione

Un altro tassello del puzzle realizzativo risale al 14 febbraio 2024, quando la Commissione Trasporti del Parlamento europeo ha ratificato e approvato l’emendamento sulla revisione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), che prevede per l’appunto, l’inserimento all’interno del corridoio ‘Scandinavo-Mediterraneo’ di un collegamento stabile per collegare la Calabria alla Sicilia, mentre il giorno successivo, il 15 febbraio, il Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina ha approvato la Relazione del Progettista che integra il Progetto Definitivo del 2011, attestando la rispondenza del Progetto Definitivo al Progetto Preliminare.

All’interno di un quadro europeo, la realizzazione del ponte si inserisce nel tracciato del Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo, un asse Nord – Sud considerato dall’Ue di cruciale importanza, di cui fa parte un’arteria ferroviaria commerciale, che attraverserà l’Europa da Helsinki e Stoccolma fino a Palermo e Catania per raggiungere l’isola di Malta.

Lo scopo principale di questa importante infrastruttura è quello

di rendere più sostenibile il trasporto di merci e passeggeri riducendo l’impatto ambientale, e spostando progressivamente la circolazione da gomma a rotaia, facilitando allo stesso tempo il commercio attraverso la rimozione dei colli di bottiglia che attualmente causano rallentamenti e ritardi, anche molto pesanti.

I lavori sarebbero dovuti partire entro l’estate 2024. Tuttavia, i tempi si sono allungati anche a seguito della richiesta di alcune integrazioni al progetto. Il Ministro Salvini ha comunque precisato che “l’obiettivo è approvare il progetto entro l’anno e aprire i cantieri entro il 2024”, dopo l’approvazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipess) che valida i singoli progetti del Programma delle Infrastrutture Strategiche per il Paese. L’avvio del cantiere sarà preceduto da una fase propedeutica che prevede la bonifica degli ordigni bellici, le indagini archeologiche, geognostiche e geotecniche e la predisposizione dei campi base, per poi entrare nella parte pienamente operativa. Sta iniziando dunque la fase finale del countdown per la costruzione del ponte che avrà ricadute occupazionali per l’intero Paese. Si stima infatti che il cantiere comprenda l’impiego di 4.300 addetti all’anno, con picchi di 7mila risorse nel periodo di maggiore produzione. Per sette anni, dunque, il cantiere del ponte allargherà la forbice di quota lavoro a circa 30mila persone all’anno, senza dimenticare un ulteriore impatto occupazionale indiretto e indotto, fino a 120mila unità lavorative totali. I lavori, già affidati al Consorzio Eurolink, dovrebbero concludersi nel 2032 quando è prevista l’apertura a camion, treni e

Avvio del cantiere

Caratteristiche tecniche

Il ponte, come detto, servirà a unire e collegare Sicilia e Calabria (ma non solo) nel punto in cui le due sponde sono più vicine, con una struttura che costituirà lo snodo di un sistema infrastrutturale integrato, al servizio del territorio e dei cittadini.

L’opera è stata progettata secondo lo schema del ponte sospeso, con una lunghezza della campata centrale di 3.300 metri (3.666 metri considerando anche le campate laterali) che lo renderà il ponte sospeso più lungo al mondo, con 60,4 metri di larghezza dell’impalcato, con 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (veloce, normale, emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità massima dell’infrastruttura pari a 6mila veicoli l’ora e 200 treni al giorno.

Nel perimetro del progetto sono previste, inoltre, diverse opere di adduzione della viabilità esistente al ponte, con la realizzazione di 20,3 km di collegamenti stradali e 20,2 km di collegamenti ferroviari, comprensivi della realizzazione di 3 nuove stazioni nell’area di Messina.

Il ponte in numeri

• Lunghezza complessiva: 3.666 m (comprese le due campate laterali di 183 m ciascuna)

• Campata sospesa centrale: 3.300 m

• Altezza delle torri sulle due sponde: 399 m

• Cavi di sospensione: 4 del diametro di 1,26 m (ciascuno formato da 44.323 fili di acciaio)

• Larghezza dell’impalcato: 60,4 m

• 3 corsie stradali per senso di marcia 2 corsie di servizio

• 2 binari ferroviari

• 2 corsie di servizio

• Franco navigabile: 65 m per una larghezza di 600 m, in presenza di gravose condizioni di traffico stradale e ferroviario. Il franco si innalza a 72 m in assenza di traffico ferroviario

• aperto 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno

• 200 anni vita utile

L’impalcato

• Impalcato metallico di tipo alare multi-cassone (definito di “terza generazione”) stabile aerodinamicamente fino a velocità del vento di 75 m/s (270 km/h)

• Larghezza del cassone ferroviario: 7,5 m

• Larghezza dei cassoni stradali: 14,2 m

• Armamento ferroviario “embedded rail” che consente una riduzione del peso rispetto a soluzioni tradizionali, limitando le emissioni acustiche

Le torri

• Due torri metalliche formate ciascuna da 2 gambe collegate da 3 traversi

• Altezza: 399 m

• Peso: 55.000 Ton

Collegamenti stradali e ferroviari

• Struttura di 1 torre: 2 gambe composte da 22 conci di altezza variabile

• Conci: sezione ottagonale 20×12 m, di altezza massima 20m e peso 1.200 t. Sono interamente realizzati in officina, trasportati via mare e assemblati in opera

• Fondazioni: 2 plinti circolari in cemento armato collegati da un traverso (diametro 55 m per la torre Sicilia e 48 m per la torre Calabria).

Nella realizzazione si lavorerà su un doppio “binario”: i collegamenti via ferro, quindi il treno, e quelli su gomma, veicoli pesanti e automobili. Per quanto riguarda le opere stradali e ferroviarie di collegamento del ponte al territorio, queste comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari, circa l’80% sviluppati in galleria, che collegheranno, dal lato calabrese, l’autostrada del Mediterraneo (A2) e la stazione FS di Villa San Giovanni e, dal lato siciliano, le autostrade Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20) nonché la nuova stazione FS di Messina. Nel dettaglio ci saranno 20,3 km di collegamenti stradali, il 56% dei quali in galleria, 20,2 km di collegamenti ferroviari, dove il 92% del tracciato ferroviario sarà in galleria. In particolare, verranno realizzate sul lato siciliano tre fermate ferroviarie in sotterraneo (Papardo, Annunziata, Europa) che, unite alle stazioni di Villa S. Giovanni, Reggio Calabria e Messina daranno concretezza al sistema metropolitano interregionale dell’area dello Stretto, al servizio degli oltre 400mila abitanti dell’area.

È prevista anche la realizzazione di una struttura Smart Road, coerentemente con il quadro comunitario e nazionale di digitalizzazione delle infrastrutture stradali, con i più avanzati livelli di assistenza alla

guida, nell’ottica di ridurre l’impatto sul territorio e di velocizzare la circolazione stradale.

Per la realizzazione del ponte è stato stimato, ad opera completata, un costo complessivo pari a circa 13,5 miliardi di euro, sulla base di parametri prudenziali, che comprendono anche possibili prescrizioni in fase di approvazione del progetto definitivo e devono tenere in considerazione anche gli eventuali aggiornamenti di costo. Attualmente, la “Relazione del Progettista” di completamento del progetto definitivo predisposta da Stretto di Messina SpA ha prodotto, con le stime di dettaglio ad oggi disponibili, un costo di investimento per i lavori di realizzazione dell’opera pari a circa 12 miliardi di euro, finanziati con la Legge di Bilancio per il 2024 e con il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC 21-27), compresa una quota di pertinenza delle Regioni Calabria e Sicilia. Per quanto riguarda le opere di connessione al ponte, la cui realizzazione è a carico di RFI e di Anas, i finanziamenti vengono regolati tramite i rispettivi Contratti di programma.

Grazie al nuovo ponte i tempi per attraversare lo Stretto saranno decisamente ridotti. E tempi di percorrenza ridotti significano trasporto di persone e di merci più veloci. Il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria, aperto a treni e auto 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, è quindi la migliore risposta alla domanda di un più efficiente e moderno sistema di collegamento con il resto del Paese. Le stime indicano che saranno sufficienti appena 15 minuti per i servizi ferroviari diretti tra Villa San Giovanni e Messina Centrale. Oggi senza ponte il servizio ferroviario impiega invece circa 120 minuti per i treni passeggeri e almeno 180 minuti per i treni merci.

I servizi ferroviari di lunga percorrenza comprendono servizi AV Fast che percorreranno l’intera direttrice tra Palermo e Roma, ad integra-

Costi del progetto

Tempi di attraversamento molto ridotti

zione dei servizi AV Fast tra Reggio Calabria e Roma, e servizi Intercity di collegamento tra Palermo, Agrigento, Siracusa con l’Italia continentale.

Su strada si impiegheranno 10/13 minuti tra lo svincolo di Santa Trada e lo svincolo di Giostra, mentre oggi, con traffico ordinario, si impiegano circa 70 minuti per le auto (Terminal San Francesco) e 100 minuti per i veicoli merci (Terminal Tremestieri). In occasione di traffico straordinario (esodo estivo, festività) si registrano invece tempi di attraversamento anche di diverse ore, con incolonnamenti già lungo l’A2 Autostrada del Mediterraneo e le altre vie di adduzione alle aree di traghettamento. Questi valori sono contenuti nell’aggiornamento 2023 dell’Analisi Costi Benefici, per il quale sono state seguite linee guida operative nazionali ed europee per la valutazione degli investimenti in opere pubbliche. Inoltre, in quanto parte della Rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), nell’ambito del corridoio ‘Scandinavo-Mediterraneo’, il ponte rappresenta una tessera del mosaico trasportistico nazionale ed europeo, che rende sostenibile il prolungamento del sistema di alta velocità/capacità ferroviaria nazionale ed europeo in Calabria e in Sicilia.

A questo si deve aggiungere anche il franco navigabile (lo spazio tra superficie del mare e struttura) del Ponte sullo Stretto di Messina che è di 72 metri, per una larghezza di 600 metri e raggiunge i 65 metri solo in presenza di condizioni eccezionali di traffico pesante stradale e ferroviario. Per fare un esempio con un iconico ponte, il Golden Gate Bridge di San Francisco ha un franco navigabile di 67 metri. Si tratta di

parametri in linea con i ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali, in coerenza con le procedure stabilite dalle norme IMO (International Maritime Organization)

Il progetto del ponte prevede che l’opera avrà i requisiti di integrità strutturale più elevati al mondo, compatibili con un sisma di magnitudo 7,1 della scala Richter. I ponti sospesi come quello sullo Stretto sono strutture con una caratteristica insensibilità ai terremoti grazie alla loro sostanziale estraneità alle frequenze delle azioni sismiche. L’azione sismica sul ponte, con particolare attenzione alle opere a terra, è stata oggetto di grandissima attenzione sin dalle fasi iniziali degli studi per la progettazione. Il potenziale sismogenetico dell’area dello Stretto non è in grado di produrre terremoti di magnitudo più elevata di quella di progetto considerato per il ponte (7,1 scala Richter). Con un sisma di questa magnitudo, il ponte rimane in campo elastico, ossia non subisce danni, mantenendo quindi ulteriori margini di sicurezza oltre la soglia prevista.

Per quanto riguarda la resistenza ai venti, grazie alle caratteristiche aerodinamiche del profilo alare è stato progettato per resistere a venti con velocità superiore a 216 Km/h, anche se in oltre venti anni di monitoraggi eolici effettuati da un centro meteo locale non è mai stata raggiunta una velocità di vento superiore ai 150 Km/h. Massima attenzione è stata dedicata anche ai venti medio-bassi, ovvero sotto i 70 Km/h, che per molti ponti hanno rappresentato una vera insidia. Gli anni di studi in galleria del vento hanno permesso di portare il comfort di attraversamento e la stabilità a livelli ottimali. Il profilo alare, inoltre, grazie alle verifiche effettuate in galleria del vento, consente un regolare svolgimento del traffico anche in presenza di forte vento.

Concepito in un periodo storico in cui l’attenzione all’impatto ambientale è uno dei temi più importanti nell’agenda internazionale dettata dall’Onu e condivisa dall’Ue, quindi dall’Italia, nei criteri di pro-

Resistenza ai terremoti e al vento

Un ponte che rispetta l’ambiente

gettazione del ponte si è posta la massima attenzione alle tematiche di sostenibilità ambientale e sociale. Attraverso l’analisi degli eventuali impatti sull’habitat marino e sull’ecosistema terrestre, sono state definite soluzioni di costruzione e mitigazione ispirate alle più recenti innovazioni nel campo dell’ingegneria ambientale. L’azienda concessionaria, infatti, ha adottato soluzioni tecniche, strutturali e tecnologiche per rendere le infrastrutture del progetto più resilienti, riducendo al minimo l’impatto, anche attraverso operazioni di ripristino e miglioramento degli habitat oltre che di riqualificazione delle aree degradate. Infatti, il monitoraggio delle componenti ambientali consente di individuare eventuali cambiamenti da porre in corso d’opera e quindi di intervenire tempestivamente in caso di anomalie, sia nella fase di costruzione che in quella di esercizio dell’opera.

Smart Road, tutti i progetti per le strade intelligenti

Smart Road, tutti i progetti per le strade intelligenti

Nel prossimo futuro, sempre più vicino, le strade e le autostrade saranno anche intelligenti e i mezzi pesanti potranno trasportare le loro merci grazie a una tecnologia sempre più pervasiva, che garantirà un’esperienza di guida connessa. Anzi interconnessa, perché tir e auto “parleranno” tra loro, si scambieranno informazioni e dati, grazie alla presenza della rete ultraveloce 5G e dell’elettronica a bordo, che trasformerà (lo sta già facendo) i veicoli in dispositivi digitali viaggianti, con interscambio di big data anche con altre strutture stradali, persino i pedoni e i loro dispositivi. Stiamo parlando delle cosiddette Smart Road che permetteranno anche di incrementare la sicurezza stradale, riducendo sempre più i rischi per chi viaggia.

Il progetto di queste strade intelligenti nasce in Europa, con la Direttiva 2010/40/UE1, che incoraggiava gli Stati membri a sviluppare tecnologie di trasporto innovative, denominate Intelligent Transportation System (ITS), con l’introduzione di specifiche che fossero comuni su tutto il territorio dell’Unione europea, permettendone l’integrazione.

Dall’Europa all’Italia il passo non è stato così breve. L’input, infatti, è partito solo con il Decreto Smart Road 70/2018, che ha dato il via libera alla sperimentazione a livello nazionale su strade e autostrade. Il Decreto ha disciplinato lo sviluppo delle Smart Road in Italia, dettando le regole per la sperimentazione e creando l’Osservatorio per le Smart Road e i veicoli autonomi e connessi che ogni anno ha il compito di pubblicare una relazione sullo stato dell’arte delle iniziative individuate sul territorio nazionale. L’Osservatorio è presieduto dal Direttore gene-

Capitolo SEI
Il Decreto Smart Road

rale per la Digitalizzazione ed è composto da quattro Direttori generali come membri effettivi, nello specifico il Direttore generale per la Motorizzazione, il Direttore generale per la Sicurezza stradale e l’autotrasporto, il Direttore generale per le Strade e la sicurezza delle infrastrutture stradali e il Direttore generale per la Vigilanza sui contratti di concessione autostradali) insieme a due rappresentanti della Struttura Tecnica di Missione e un rappresentante del Ministero dell’Interno.

E ancora, nel Decreto Smart Road sono indicati sia gli standard per la realizzazione delle strade intelligenti, sia le specifiche relative agli interventi che “riguarderanno le tratte autostradali o statali di nuova realizzazione”, suddividendoli in due fasi temporali: la prima nel 2025, con interventi sulle infrastrutture italiane appartenenti alla rete europea TEN-T, sulla rete autostradale e statale. Nel Decreto è indicata anche una seconda data, il 2030, quando saranno attivati ulteriori servizi collegati alle tecnologie implementate, come deviazione dei flussi, suggerimento di traiettorie, gestione dinamica degli accessi, dei parcheggi e del rifornimento. Già entro il 2024, si prevede che si concluda una prima fase degli interventi introdotti dal Decreto del 2018.

Sono due le aziende che si occuperanno di sviluppare tecnologia e infrastrutture per consentire la ramificazione e il funzionamento delle Smart Road in Italia: Autostrade per l’Italia ed Anas. Quest’ultima, in particolare, dovrà digitalizzare oltre 6.700 km di strade per un investimento da un miliardo di euro.

Il ruolo di Autostrade per l’Italia

Ma iniziamo dalla concessionaria per le autostrade italiane, Aspi, che per sperimentare i veicoli a guida autonoma sulla propria rete, si è avvalsa delle competenze del Politecnico di Milano, ateneo che ha ottenuto l’autorizzazione ai test, supportato dall’Osservatorio tecnico di Supporto per le Smart Road e per il veicolo connesso e a guida automatica del MIT.

Le prime prove su strada sono partite a luglio 2023 sull’A26 dove l’auto a guida autonoma ha percorso 20 km, in un tratto dove non erano presenti gallerie. A fine ottobre invece, la sperimentazione è proseguita per altri 30 km, sempre in A26, passando questa volta anche nella galleria Valsesia. Questi test sono fondamentali per comprendere il livello di precisione con cui il veicolo si localizza nel suo percorso, rilevando ad esempio, la segnaletica verticale e orizzontale e la copertura satellitare del GNSS, un sistema di navigazione globale che fornisce

informazioni sulle posizioni geografiche dei dispositivi in tempo reale. Nel necessario sviluppo tecnologico per le Smart Road è stata coinvolta anche Movyon, la società del gruppo Autostrade per l’Italia specializzata in ricerca e innovazione e nei servizi di Intelligent Transport Systems, che oltre ad aver prodotto la tecnologia ha anche partecipato alla fase di testing lungo la rete autostradale.

La società, infatti, nei mesi scorsi ha avviato la sperimentazione di un sistema che consente al veicolo di comunicare con l’infrastruttura, al fine di mantenere lo stesso livello di guida autonoma, anche in assenza del segnale satellitare; in quest’ottica in programma ci sono ulteriori test a traffico aperto nella galleria Valsesia, per verificare l’affidabilità del posizionamento di precisione dell’auto abilitato da antenne distribuite nel tunnel. E ancora, il gruppo sta dotando alcune tratte autostradali di una tecnologia capace di segnalare in anticipo al veicolo la presenza di eventuali pericoli, come eventuali cantieri, prima che entrino nel campo visivo.

Oltre i test, la messa in funzione vera e propria ha già interessato 26 chilometri del tratto autostradale tra Firenze Sud e Firenze Nord, in entrambe le direzioni e altrettanti chilometri sul nodo urbano di Bologna, per un totale di 52 km di “strada intelligente” lungo l’Autostrada A1.

Inoltre dalla collaborazione tra Aspi, Movyon e Volkswagen Italia sono state testate le prime vetture a guida autonoma, dotate di una specifica tecnologia, la Car2X, integrata nelle vetture di nuova generazione, che ha reso possibile questa prima attivazione, permettendo all’auto di dialogare con l’ambiente circostante; ma il passaggio successivo per Aspi sarà quello di portare avanti i progetti sull’auto autonoma che permettano ai veicoli di comunicare con l’infrastruttura stradale mantenendo lo stesso livello di automazione, anche in assenza del segnale satellitare. Ed in tal senso, sono due le sperimentazioni condotte con successo, in ambiente protetto e in un tratto autostradale attualmente chiuso, ovvero la Galleria “Le Croci”, posizionata fra Calenzano e Barberino.

L’altro attore nella complessa partita delle Smart Road come dicevamo è Anas, che gestisce una rete nazionale di oltre 30mila km di strade ma che, come abbiamo anticipato, ha in programma di trasformare circa 6.700 km di strade in arterie digitali entro il 2032.

Al momento, sono già state realizzate strade intelligenti, basate su un primo prototipo di Smart Road, il “Modello Full”, ossia ad alta capillarità di tecnologie e sensori. Si tratta della SS 51 di Alemagna, in Veneto, che si estende per una settantina di km; di un tratto dell’A90,

I progetti Anas

26 km

nel tratto autostradale tra Firenze Sud e Firenze Nord in entrambe le direzioni

Ecco dove sono le Smart Road in Italia

71,5 km

SS51 di Alemagna

25 km Porto di Trieste

26 km

sul nodo urbano di Bologna lungo l’Autostrada A1

17,5 km

A91 Autostrada Roma-Fiumicino

4 km

A90 Grande Racc. Anulare di Roma

173 km

A2 Autostrada del Mediterraneo

24 km

Ra15 Tangenziale di Catania

più nota come il Grande Raccordo Anulare di Roma, e dell’A91, ovvero la Roma-Fiumicino, per circa 17 chilometri; di circa 173 km sulla A2-Autostrada del Mediterraneo; di circa 24 Km della Tangenziale di Catania e infine di circa 25 km tra l’interporto e il porto di Trieste. In totale circa 315 chilometri di strade, dal Nord al Sud dell’Italia, dotate di sensori, fibra ottica, telecamere e altri sistemi intelligenti.

Ma nel breve periodo questi tratti sono destinati ad aumentare. Secondo il cronoprogramma che ci è stato fornito da Anas, l’A2 sarà completata entro la fine dell’anno, così come la RA06 in Umbria mentre nel Lazio l’A90 si dovrebbe concludere nel 2025. Sempre nel 2025 la road map prevede la conclusione dei lavori sull’A19 in Sicilia e sulla strada E45/E55 che coinvolge diverse regioni (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria). Infine, sulla SS279 in Sardegna i lavori termineranno per il 2026.

Affrontiamo ora la parte più tecnologica di questo complesso progetto, quella in cui raccontiamo come è possibile digitalizzare infrastrutture di cemento e ferro, trasformandole in “oggetti” connessi alla rete, come fossero un qualsiasi device. Movyon, l’azienda del gruppo Aspi che come già sottolineato è incaricata di sviluppare la tecnologia, è direttamente coinvolta nel progetto chiamato Cooperative Intelligent Transport Systems, che si fonda sull’installazione di antenne su strada, in grado sia di acquisire i dati dai veicoli in transito dotati di tecnologia specifica – quali posizione, direzione, velocità, trasporto di merci pericolose – sia di inviare messaggi che contribuiscano ad aumentare la sicurezza e migliorare l’esperienza di viaggio, segnalando la presenza di veicoli fermi, code, incidenti, cantieri, strada sdrucciolevole, ostacoli o condizioni meteo.

Lo scambio di tutte queste informazioni procederà gradualmente in due fasi: dapprima con la fase Infrastructure-to-vehicle (I2V), in cui lo scambio dati è limitata tra infrastruttura e veicolo, in seguito con la fase vehicle-to-everything (V2X), che consente la comunicazione tra veicoli, asset stradali e altri utenti, come ad esempio i pedoni. Il dispositivo che permetterà la digitalizzazione dell’autostrada sarà la roadside unit C-ITS V2X, che abilita la comunicazione wireless bidirezionale tra l’infrastruttura stradale e la on-board unit (OBU) presente nel veicolo, assicurando elevati livelli di sicurezza e affidabilità nello scambio dei dati, per un monitoraggio evoluto degli eventi su strada e una gestione efficiente del traffico.

La tecnologia adottata da Aspi

Il ruolo di big data e AI

Oltre alla tecnologia V2X, ci sono molti altri servizi abilitanti, frutto di una combinazione di sistemi e sensoristica installata su strade, ponti e gallerie che solo integrandosi tra loro permetteranno di raggiungere l’obiettivo: stiamo parlando di IoT, big data, intelligenza artificiale e cloud computing. IoT, acronimo di Internet of Things, indica qualsiasi oggetto connesso alla rete; una tecnologia già collaudata per molti altri dispositivi che connetterà anche la strada, permettendo di conoscere in tempo reale lo stato del traffico e trasformando la segnaletica stradale da statica a dinamica. Grazie ai big data saremo in grado di prevedere i flussi veicolari in determinate fasce orarie e in giorni specifici, o effettuare calcoli probabilistici sui possibili incidenti che potrebbero verificarsi in certe condizioni di traffico. L’intelligenza artificiale contribuirà invece a migliorare e ottimizzare la gestione della manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture stradali. Ma tutta questa velocità di trasmissione non sarebbe possibile senza la tecnologia 5G, la connessione a bassa latenza che garantisce funzionalità e il miglioramento delle prestazioni e dei servizi disponibili.

Un’altra implementazione tecnologica riguarda il cosiddetto Edge computing, che grazie all’IoT e al 5G può trasmettere informazioni pressoché in tempo reale con meno latenza e minori richieste di larghezza di banda del server cloud, tutto questo aggiungendo un ulteriore livello di sicurezza per i dati sensibili, favorendo quindi il debutto della guida autonoma.

Previsti in volo sulle Smart Road anche i droni, utili come una sorta di occhi volanti per sorvegliare viadotti, gallerie e aree non facilmente ispezionabili dai mezzi tradizionali.

Ci sono poi le tecnologie DAS, cioè un sistema di antenna distribuito, ovvero una rete di nodi di antenna collegati a una sorgente comune tramite un mezzo di trasporto che fornisce un servizio wireless all’interno di un’area o una struttura geografica, utili per il rilevamento acustico distribuito.

Infine, da ricordare il sensore DTS per il rilevamento termico distribuito, tecnologia a fibra ottica in grado di rilevare in maniera distribuita la temperatura lungo l’intera tratta del cavo fino a un massimo di 25 km con una risoluzione di temperatura fino a 0,1 °C e una risoluzione spaziale fino a 1 metro.

Anas, da parte sua, sta implementando una serie di componenti tecnologiche installate a bordo strada e sotto il manto stradale, mentre altre tecnologie lavorano tramite connessione centralizzata remota con le unità periferiche locali. Tra le tecnologie messe in campo da Anas, la rete in fibra ottica, necessaria per il collegamento con i Centri di Controllo Locale e con il Centro di Controllo Remoto, e ovviamente per la trasmissione e la gestione del traffico dati di tutti i sistemi in campo; la rete di comunicazione cellulare mobile in banda 3G/4G/5G che deve essere presente sui veicoli per connettersi al web e poter dialogare con tutta la rete; il modulo Road-Side Unit, utilizzato per lo scambio di messaggi C-ITS tra infrastruttura e le On-Board Unit a bordo di ogni veicolo; le smart camera, ovvero sensori progettati per le Smart Road, dotati di tecnologia di image processing che svolge, tra le altre, la funzionalità di Advanced Image Detection, cioè riconoscimento di immagini per la rilevazione di condizioni pericolose e congestioni di traffico, che permettono agli operatori di sala da remoto di intervenire in tempi più rapidi. Il Road Weather Information System, invece, monitora costantemente il meteo segnalando presenza di precipitazioni in corso, innalzamenti della temperatura dell’ambiente circostante e condizioni di scarsa visibilità della strada.

Oltre alla tecnologia finora descritta l’ecosistema Anas Smart Road può contare su una rete di centri di controllo su cui si basa la gestione delle strade. Si tratta delle cosiddette Green Island, cabine di regia del sistema Smart Road che permettono di controllare l’arteria stradale, il traffico e tutti i dati potenzialmente utili alla gestione dell’infrastruttura. All’interno delle Green Island è presente infatti un vero e proprio centro di elaborazione dati. Il nome “green” è dato dalla presenza di fonti di energia rinnovabili che sono capaci di alimentare le tecnologie installate in campo in maniera autonoma. La Green Island si caratterizza tipicamente per la presenza di un Centro di controllo locale (CCL) che elabora i dati di tipo messaggi C-ITS e flussi video, raccolti dalla comunicazione V2X e li trasmette al Centro di Controllo Remoto (CCR) a supporto delle attività di monitoraggio e controllo delle tratte stradali. A Roma, Anas ha sviluppato uno Smart Road Center, esempio di riqualificazione di un’area dismessa e inutilizzata, ridisegnata per diventare la Sala di controllo dell’autostrada A91 “Roma-Aeroporto di Fiumicino”, diventata poi Sala di controllo nazionale. Lo Smart Road Center rende disponibili spazi interni ed esterni destinati a molteplici utilizzi, come la sperimentazione di nuove tecnologie su strada. Inoltre, Anas prevede la presenza di una piattaforma digitale a supporto della gestione del traffico che permetterà la generazione di report relativi alla distribuzione geografica del traffico giornaliero medio mensile e annuo, la verifica integrata dei dati di traffico e la visualizzazione dei livelli di traffico; dati che consentiranno di elaborare una previsione delle condizioni di traffico, a seconda del giorno della settimana e fascia oraria.

La tecnologia sulle strade di Anas

I centri di controllo

La voce delle associazioni

Patrizio Ricci

Vicepresidente Comitato

Centrale Albo degli

Autotrasportatori

per le associazioni di categoria

Le grandi opere che vedranno la luce nei prossimi anni contribuiranno allo sviluppo e alla modernizzazione delle nostre infrastrutture e consentiranno una maggiore connettività tra regioni e Paesi dell’Ue. Questa è opinione diffusa tra tutte le associazioni di categoria dell’autotrasporto; associazioni che, nel mio ruolo di Vicepresidente del Comitato Centrale dell’Albo, ho consultato raccogliendo i vari punti di vista.

La realizzazione della Galleria di Base del Brennero, la TAV Torino-Lione, il Ponte sullo Stretto di Messina, insieme ad adeguate trasformazioni digitali, contribuiranno ad abbattere i costi e ad aumentare i fattori della produzione a tutto vantaggio dell’economia, del Made in Italy e di positivi ritorni anche per l’autotrasporto.

Nell’ambito della rete di connessione denominata TEN-T (le reti transeuropee dei trasporti), un ruolo di primo piano lo avrà il Ponte sullo Stretto, che sarà una parte essenziale del collegamento infrastrutturale tra Nord Europa e Mediterraneo. Così come un ruolo fondamentale nei collegamenti Est-Ovest e per il Corridoio Mediterraneo lo avrà la Torino-Lione.

Nella programmazione di medio-lungo periodo, queste ed altre grandi opere contribuiranno a rafforzare il sistema logistico e a dare una spinta all’integrazione tra le diverse modalità di trasporto.

In Italia i trasporti e la logistica valgono 135,4 miliardi di euro, pari all’8,2% del PIL. Le proiezioni vedono in crescita i volumi di merci trasportate e, sebbene il nostro Paese abbia sfruttato al meglio la propria vocazione industriale per affermare il valore del Made in Italy oltre confine, c’è bisogno di intervenire sul sistema infrastrutturale perché questo garantisca la mobilità delle merci e accresca l’efficienza della

supply chain, nazionale così come europea, contribuendo a rafforzare la performance del comparto produttivo.

Nonostante ciò, le riflessioni in materia raccolte tra le associazioni di categoria, evidenziano un contesto con luci ed ombre.

In primo luogo, emerge lo scetticismo sui tempi di realizzazione delle opere.

I tempi disattesi di altri eloquenti annunci in passato consigliano molta prudenza sulle date annunciate di ultimazione dei lavori.

Le associazioni di categoria ritengono inoltre necessario che la programmazione infrastrutturale del Paese abbia un approccio olistico, che tenga conto delle grandi opere ma anche della cosiddetta viabilità secondaria, senza trascurare una necessaria attenzione per i porti più rilevanti d’Italia e i valichi alpini.

La vetustà della nostra rete viaria, con la maggior parte delle opere che risalgono agli anni Settanta del secolo scorso, è un dato di fatto.

E gli effetti indotti da questo contesto si riscontrano purtroppo nei tragici eventi che ricorrono troppo spesso.

A tal proposito, nel 2018, l’Unione delle Province d’Italia, rendeva pubblico un documento dove si evidenziava che nel nostro Paese c’erano 5.931 opere su cui era urgente intervenire, con un impegno di spesa di circa tre miliardi.

Una situazione di criticità delle condizioni delle nostre strade piuttosto diffusa che, in alcuni casi, assume una rilevanza veramente impattante per il territorio.

Ad esempio, Genova e la Liguria rappresentano uno dei casi emblematici di territori in cui è in atto una sorta di lockdown da manutenzione stradale.

Pur condividendo gli interventi che garantiscono la sicurezza, si stigmatizza che l’adeguamento ai requisiti minimi di sicurezza delle gallerie superiori a 500 metri, in atto nel territorio ligure, è sancito da una Direttiva europea che risale al lontanissimo 2003; programmare i lavori nell’arco di 21 anni avrebbe sicuramente garantito maggiore sicurezza e arrecato meno danni di quelli che l’incuria di chi le ha gestite sino ad ora sta determinando.

Una condizione di criticità riconosciuta addirittura dal soggetto gestore dato che esiste uno specifico protocollo d’intesa al fine di riconoscere un ristoro per i disagi alla circolazione subiti nei tratti autostradali liguri di competenza Aspi.

Altro caso emblematico è l’A24, ovvero la “Strada dei Parchi”, che collega l’Ovest con l’Est del Paese e, dal sisma del 2009, è ritenuta arteria strategica in caso di eventi tellurici.

Nonostante ciò, sono anni che in questo tratto autostradale forti criticità danneggiano le imprese di autotrasporto e gli utenti in generale.

Per altri tratti della rete stradale, è intervenuta anche l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato (AGCM), che in base agli elementi raccolti nelle indagini effettuate, ha evidenziato che, negli

ultimi anni, alcuni tratti autostradali sono stati interessati da consistenti disagi nella viabilità e nella regolare fluidità della circolazione. La causa è stata rinvenuta nelle gravi carenze della società di gestione e nella mancata programmazione della manutenzione delle infrastrutture ad essa affidate in concessione e quindi ai conseguenti massicci interventi di manutenzione straordinaria e di messa in sicurezza di numerose tratte autostradali.

Tra le realtà regionali coinvolte in queste penalizzanti condizioni, vi sono anche le isole: in Sicilia l’A19 è costantemente un percorso ad ostacoli tra cantieri infiniti.

Nel 2020, uno studio di una delle associazioni di categoria evidenziò che l’autotrasporto di merci per conto di terzi siciliano, per i veicoli superiori a 3,5 Ton, interessati dalle deviazioni obbligatorie allora in corso, sostenne maggiori costi per un importo pari a 20.761.594‬ euro al mese.

I negativi effetti indotti da questa drammatica situazione della viabilità sono molteplici, tra cui:

 sicurezza stradale: perenni cantieri stradali, strade mal tenute, segnaletica mancante o inadeguata e incroci pericolosi possono aumentare il rischio di incidenti stradali;

 costi economici: deviazioni, congestione del traffico, scarsa manutenzione delle strade generano costi aggiuntivi in termini di carburante, tempi di percorrenza e manutenzione dei veicoli;

 inquinamento atmosferico: il traffico intenso genera emissioni nocive per l’ambiente e la salute umana, contribuendo al deterioramento della qualità dell’aria;

 qualità della vita: traffico congestionato, lunghi tempi di percorrenza, ritardi e stress determinano una pessima qualità della vita per i conducenti.

In estrema sintesi, la presenza di criticità nella viabilità diffusa ha conseguenze negative sui costi delle imprese, sulla qualità della vita degli autisti, sull’ambiente e sull’economia in generale.

Critica è anche la situazione del sistema portuale italiano che, nonostante si caratterizzi per una posizione geografica favorevole, risente pesantemente dei maggiori costi logistici (rispetto ad altri Paesi Ue), dei colli di bottiglia in entrata e in uscita dalle aree portuali, dei lughi tempi di attesa per effettuare le operazioni di imbarco/sbarco - carico/scarico.

I livelli di servizi portuali, seppur rimessi alla lungimiranza/discrezionalità dei Presidenti delle Autorità di Sistema Portuale, avrebbero necessità, per quanto possibile, di essere uniformati dettando linee guida comuni e condizioni obbligatorie di applicazione.

Un sistema portuale adeguato e integrato con un sistema logistico che possa contare su un’accessibilità e funzionalità dei collegamenti retroportuali che debbono avere collegamenti rapidi con gli interporti, costituisce un’autentica chiave di volta per garantire la mobilità delle merci.

Se non si interviene urgentemente, tra gravi carenze del sistema portuale, continuo incremento dei noli marittimi, fattori congiunturali

e crisi internazionali, saranno ben poche le imprese che trasportano container, e in genere quelle del comparto marittimo, che riusciranno a sopravvivere sino al taglio del nastro delle “Road to 2032”.

Il gap infrastrutturale che frena la competitività dei mercati coinvolge anche i traffici con l’estero, esacerbati da numerosi colli di bottiglia. Le proiezioni vedono l’export in crescita: il 3,7% quest’anno e con una media di oltre il 4% nel prossimo triennio.

Sappiamo che il 60% degli scambi complessivi che l’Italia intrattiene con il mondo, prendendo in considerazione il valore delle merci, si svolge proprio con i Paesi europei e, ad avviso delle associazioni, gli investimenti e le politiche devono essere orientati in modo equo anche per garantire la permeabilità dell’intero arco alpino.

Qui il 70% dei flussi viaggia su strada, ad eccezione dei valichi svizzeri dove la ferrovia è prevalente a testimonianza delle serie politiche di promozione del trasporto intermodale che la Confederazione elvetica ha messo in atto ormai da diversi anni.

Si dovrebbe accelerare la realizzazione di tutte le opere che oggi sono in lavorazione ai valichi – che nel 2022 sono costate al Paese 93 miliardi di euro di mancate esportazioni – e, allo stesso tempo, si dovrebbe incoraggiare l’adozione di un Piano di emergenza per la mobilità transalpina, sulla base di un’attenta analisi dei flussi attraverso un’indagine CAFT (Cross Alpine Freight Transport).

Gli autisti, durante i circa 100mila chilometri che percorrono annualmente, hanno poi bisogno di aree di sosta che garantiscano adeguati servizi alla persona e alle merci.

Nella fase della macro-programmazione delle opere viarie, dovrebbero essere coinvolte, nella debita misura, anche le associazioni di categoria al fine di apportare quel contributo in termini di esperienza che potrebbe rappresentare un valore aggiunto per la realizzazione dell’infrastruttura e per il suo completo e ottimale utilizzo.

Altrimenti il rischio è quello che si verifichi quanto accaduto in Veneto, per la Pedemontana, dove si è realizzata una nuova e moderna strada, che però non ha aree di sosta per i veicoli pesanti.

Risultano pertanto non essere poche le priorità evidenziate dalle associazioni di categoria, che devono essere affrontate e risolte urgentemente in quanto cruciali per la sopravvivenza stessa delle imprese di autotrasporto.

Da una parte quindi, vi è la previsione per un futuro infrastrutturale, accompagnato da trasformazioni digitali ed ecologiche, oltre che dalle efficienti integrazioni logistiche, co-modali e reti di trasporto, che dimostra un orientamento politico, costituzionale e imprenditoriale di valore straordinario, che mira a migliorare la qualità della vita delle imprese e dei cittadini e a sostenere lo sviluppo economico.

Dall’altra, a seguito della gravosa situazione viaria evidenziata, è fondamentale, soprattutto in tempi di ristrettezze economiche, identificare e sapere gestire correttamente le priorità immediate per evitare conseguenze pesantissime alle imprese di autotrasporto e al Paese.

È pertanto essenziale adottare una visione globale e integrata della programmazione infrastrutturale, che sia in grado di considerare l’interazione tra le diverse esigenze.

Solo così sarà possibile superare le difficoltà e valorizzare appieno il potenziale delle infrastrutture per lo sviluppo sostenibile e la qualità della vita.

ROAD TO 2032

Le grandi opere infrastrutturali che cambieranno l’Italia

Allegato a Tir

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Hanno collaborato: Francesco Parente

Stefano Romano

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