Riccardo Galiani, Stefania Napolitano (a cura di)
La gelosia Profili di un affetto fondamentale (1921-2019) Scritti di: S. Freud dalla traduzione di J. Lacan, D. Lagache, J. Riviere e di F. Coblence, J.L. Donnet, A. Ginzburg, R. Gori, Libres Cahiers pour la psychanalyse, S. Andreassi, M. Bottone, C. Colangelo, G. Di Mezza, A. D. Di Sarno, M. Fasano, R. Galiani, S. Gallo, C. Lombardi, S. Napolitano, R. Petrillo, M. Pirozzi, M. Sommantico, E. Tescione
Collana i Territori della Psiche diretta da Doriano Fasoli Board Scientifico: Alberto Angelini, Andrea Baldassarro, Nicoletta Bonanome, Marina Breccia, Carla Busato Barbaglio, Nelly Cappelli, Giuseppina Castiglia, Domenico Chianese, Cristiana Cimino, Antonio Di Ciaccia, Riccardo Galiani, Roberta Guarnieri, Lucio Russo, Marcello Turno, Adamo Vergine
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Riccardo Galiani, psicoanalista ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalythical Association, insegna come professore associato presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università “Luigi Vanvitelli”. È autore di numerosi articoli e di tre volumi (Amleto e l’Amleto nella cultura psicoanalitica, Roma, 1997; Un sesso invisibile. Sul transessualismo in quanto questione, Napoli, 2005; Contenimento Seduzione Anticipazione, Roma, 2010 e 2017). Co-curatore di Il transessualismo. Scritti psicoanalitici (Angeli, 2001), ha curato le edizioni italiana e francese dell’antologia di scritti di P. Fédida Aprire la parola (Roma 2012, Paris 2014) e la pubblicazione (Roma, 2009) della traduzione di Umano/Disumano, ultimo seminario di Fédida. Per le edizioni Alpes ha curato l’edizione italiana di Psicoanalisti in seduta. Glossario clinico di psicoanalisi contemporanea (2018) e, insieme a S. Napolitano, il volume Il problema del transfert. 1895-2015. Redattore di notes per la psicoanalisi. Stefania Napolitano, psicoterapeuta di formazione lacaniana, è dottore di ricerca in Studi di Genere. È autrice di diversi articoli e dei volumi Dal “rapport” al transfert. Il femminile alle origini della psicoanalisi (Macerata, 2010) e di Clinica della differenza sessuale. Fantasma, sintomo, transfert (Macerata, 2015). Co-curatrice di Il problema del transfert. 1895-2015.
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Indice generale I profili della gelosia Riccardo Galiani, Stefania Napolitano, Eugenio Tescione ............................... VII
Parte I Freud, Riviere, Lagache 1. “Alcuni meccanismi ...”. Presentazione Françoise Coblence e Jean Luc Donnet ...................................................... 3 2. Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, nella paranoia e nell’omosessualità Sigmund Freud........................................................................................... 7 3. Duellum. Un commento a “Alcuni meccanismi …” Redazione dei Libres Cahiers pour la psychanalyse........................................ 17 4. La gelosia come meccanismo di difesa Joan Riviere................................................................................................ 25 5. La gelosia Joan Riviere................................................................................................ 37 6. Commento agli scritti di J. Riviere Silvia Andreassi.......................................................................................... 41 7. Daniel Lagache: la gelosia tra psicologia descrittiva e psicoanalisi Marzia Fasano, Riccardo Galiani, Sonia Gallo............................................. 43 8. Della gelosia non patologica o psicologica Daniel Lagache...............................................................................................
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La gelosia - Profili di un affetto fondamentale (1921-2019) Parte II Altri profili (1950-2019)
9. Dal bacio negato alla gelosia retrospettiva nell’ultimo sogno di Swann Alessandra Ginzburg................................................................................... 71 10. Lacan e Jaspers: la gelosia tra sviluppo di una personalità e processo psichico Mario Bottone, Rosanna Petrillo.................................................................. 89 11. Uno sguardo sospeso tra Narciso ed Edipo. La gelosia, 1940-1949 Gilda Di Mezza......................................................................................... 103 12. La gelosia e l’invidia nell’opera di Melanie Klein Silvia Andreassi.......................................................................................... 111 13. Lacan. La gelosia nelle altalene del desiderio Stefania Napolitano................................................................................... 119 14. La gelosia bambina, 1950-1959 Alfonso Davide Di Sarno............................................................................. 139 15. Lo sviluppo kleiniano e il ritorno a Freud. La gelosia, 1960-1979 Gilda Di Mezza, Alfonso Davide Di Sarno, Marzia Fasano, Christian Lombardi, Eugenio Tescione.......................................................... 159 16. Bion: lo zelo della conoscenza Eugenio Tescione ....................................................................................... 173 17. Avanzamenti e ritorni. La gelosia, 1980-1999 Christian Lombardi.................................................................................... 189 18. La gelosia nel legame fraterno Massimiliano Sommantico........................................................................... 207
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Indice generale
19. L’odio della gelosia Roland Gori............................................................................................... 227 20. Tra zelo e competizione. La gelosia, 2000-2019 Maria Pirozzi............................................................................................. 235 21. “Fantasia ombrosa e triste”? Rousseau, Starobinski e la logica della preferenza Carmelo Colangelo...................................................................................... 251
Gli Autori.....................................................................................................
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I profili della gelosia Riccardo Galiani, Stefania Napolitano, Eugenio Tescione
Poi la sua gelosia ne godeva, quasi che questa avesse avuto una vitalità indipendente, egoistica, vorace di tutto quanto l’alimentasse, foss’anche a sue spese. (M. Proust, Un amore di Swann)1.
Gelosia: 'Stato d’animo proprio di chi dubita dell’amore e della fedeltà della persona amata, o sa di averne perduto i favori a vantaggio di atri'. (Giacomo da Lentini, 1250, in M. Cortellazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana).
Sentimento tormentoso provocato dal timore, dal sospetto o dalla certezza di perdere la persona amata ad opera di altri. Invidiosa e puntigliosa rivalità. Cura attenta e affettuosa, scrupoloso riguardo. Serramento di finestra che ha lo scopo di impedire la vista dell’interno di un ambiente pur permettendo a chi vi si trova di guardare fuori. (Devoto-Oli, 2015).
“Perché attardarsi sulla gelosia? non è forse un’esperienza talmente diffusa che chiunque può farvi direttamente riferimento per comprendere su di una scala comune ciò che Otello vive in modo smisurato?” André Green (1969, p. 119) si poneva questi interrogativi nell’avviare un’indagine sul “vero soggetto” (da leggere con attenzione alla polisemia) del dramma shakespreariano; interrogativi che ci siamo a nostra volta posti quando, sollecitati da alcune esperienze cliniche e sulla scia del lavoro fatto intorno al “problema del transfert” (Lagache et al. 2016), siamo ritornati prima a De l’homosexualité à la jalousie poi ad alcune sezioni di La jalousie amoureuse (Lagache 1949a; 1947a). Seguendo Green, siamo andati oltre la prima impressione; abbiamo allora cominciato a immaginare un percorso di ricerca che aiutasse noi, e in seguito dei potenziali lettori, a ripensare quanto la pratica psicoanalitica può rimandare della “maniera smisurata” 1 Tr. it. di Natalia Ginzburg, ed. Einaudi, Torino, 1979 (collana I Millenni); p. 300.
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La gelosia - Profili di un affetto fondamentale (1921-2019)
di vivere la gelosia e della “comprensione diretta” di una sua misura non eccessiva. Gli interrogativi sintetizzati da Green ne racchiudevano altri: è proprio così semplice riportare la gelosia su una scala comune? Una gelosia che non sia “smisurata”, è vera gelosia? E se la gelosia non fosse altro che un desiderio che ha rinunciato ad ogni forma di attenuazione? Pensiamo tutti alla stessa cosa quando nominiamo la gelosia? Se “geloso” è colui che, escluso da uno spazio in cui un altro è immaginato intento a soddisfarsi di altro, sa di avere così perduto “i favori” di cui godeva, non lo è altrettanto colui che non tollera che si dubiti del suo conoscere ciò che un altro fa in quello spazio da cui resta fuori? D’altronde, non è certo un caso che “gelosia” sia anche il nome – in italiano e non solo – di un “serramento” che con le sue fessure tiene fuori e sollecita uno sguardo mentre a un altro consente di vedere non visto2. Manufatto, ma soprattutto – e ben da prima – stato d’animo, affetto; perché qualcosa di quanto, attraverso le lingue e le traduzioni, sembra gravitare nell’orbita di ciò che l’italiano, facendolo discendere da zelos, chiama gelosia, sollecita l’attenzione dell’uomo sin dalle origini del vivere insieme, come testimoniano miti, religioni, filosofie. “Geloso” è un attributo che il dio dell’Esodo (20, 5) dà a se stesso; gelosi sono spesso gli dei dell’olimpo; rivali, in concorrenza, gelosi, vengono considerati personaggi, stati e affetti che attraversano da secoli il racconto che con le voci più diverse la cultura occidentale fa di se stessa. Lunga è insomma la storia della gelosia; una storia non sempre distinta da quella dell’invidia, spesso associata a quella delle passioni, ma non necessariamente parte di quella dell’amore, tant’è che in un testo come L’amour en Occident (de Rougemont 1947), della gelosia non v’è traccia. Di questa lunga storia culturale, parte dei lettori potrebbe non conoscere alcune tappe; un percorso preliminare – rispetto a quello suggerito da questo volume – implicherebbe almeno la ripresa delle indicazioni di Aristotele, Platone, Shakespeare, Spinoza, Tolstoj, Rousseau, Proust. Se per questi ultimi possiamo fare affidamento sulle pagine scritte da Colangelo e Ginzburg (infra), per gli altri avremmo bisogno di spazi che non è possibile concederci. Ci limitiamo allora a interrogare a nostra volta Shakepeare, maestro di rappresentazione delle vicende dell’animo umano, e a segnalare i primi capitoli di La gelosia. Una passione inconfessabile, di Giulia Sissa (2015).
2 Di queste “fessure di una gelosia semiaperta”, dei movimenti di apertura e chiusura che le rendono protagoniste al pari dei personaggi, ha scritto A. Robbe Grillet (1957).
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I profili della gelosia
Nell’opera shakespeariana la messa in scena della gelosia è insieme moderna e classica, e costituisce un canone, una sorta di paradigma aristotelico, a cui riferirsi per poter spiegare l’esperienza che l’emozione confonde. E l’opera paradigmatica della gelosia è, come indicato da Green, ovviamente l’Otello: insieme a Il racconto d’inverno, essa ritorna in molti degli articoli reperiti nella letteratura prodotta nei decenni sul tema. Ma tutto il teatro di Shakespeare mostra quanto questo mostro degli occhi verdi, nelle sue forme più familiari così come in quelle più perturbanti, presente nelle trame delle tragedie, nelle commedie così come negli ultimi drammi romanzeschi (i romences), sia un affetto fondamentale. Anche quando non è, come in Otello, il tema del testo, essa non di rado appartiene al contesto narrativo, partecipando alla trama e all’ordito che sostengono la narrazione pur non essendo al proscenio. La gelosia è dunque una condizione affettiva connaturata ai personaggi in scena, e non è mai spiegata: le opere shakespeariane non tendono a dimostrare ma a mostrare i moti affettivi, e la grandezza che le abita è fatta dello spazio che in esse si realizza mediante la parola, capace di contenere e esprimere la turbolenza dell’amalgama di emozione e logica che li connota. Nella loro ampiezza prende posto, in maniera perturbante ed attraente, l’esperienza del limite della ragione, o quel dialogo tra logos e aloghìa che già era della tragedia greca ma che in Shakespeare si svolge sotto un cielo svuotato di divinità, e nella nostra contemporaneità di uomini amleticamente alle prese con la coscienza di questo vuoto. Nel disegnare il profilo della gelosia, nel procedere dalla normalità di un affetto all’ardore annichilente di una passione, risulta dunque facile trovare nell’opera shakespeariana un costante riferimento. Negli articoli esaminati in questo volume, l’Otello e Il racconto d’inverno rappresentano i luoghi dell’arte del bardo più frequentati dalla procedura deduttiva e induttiva della interpretazione psicoanalitica, rivolta a dare ragione della gelosia nello spazio intrapsichico così come nella relazione clinica. Ma non è solo nel suo teatro che è possibile leggere la sua presenza. Secondo Girard (1990), i Sonetti descrivono una gelosia sostenuta da un “dubbio radicale”, ossia sono esempi poetici della triangolazione amorosa espressa in modo da rivelare la componente omosessuale. Questo ne farebbe un’opera “troppo moderna”, tanto da giustificare un loro accostamento alla dubbiosità esistenziale di Kafka, o anche (e forse più congruamente) alla gelosia ossessiva di Proust. Per Harold Bloom (1998) essi sono invece la dimostrazione della fondamentale bi-sessualità dell’uomo, che, in un modo troppo sbrigativo (che però spesso convive con l’uso delle concezioni psicoanalitiche), definisce una scoperta fatta da Shakespeare “ben prima di Freud”. Freud sapeva bene che la psicoanalisi non scopre niente che poeti ed artisti non abbiano già scoperto: “i poeti sono alleati preziosi […] essi san-
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La gelosia - Profili di un affetto fondamentale (1921-2019)
no una quantità di cose tra cielo e terra che il sapere accademico neppure sospetta” (1907). Il corpus freudiano è ricco di riferimenti a Shakespeare: il breve saggio del 1913, Il motivo della scelta degli scrigni, prende spunto proprio da due scene shakespeariane (una tratta dal Mercante di Venezia, l’altra dal Re Lear), usate “per risolvere un piccolo problema”, quello della scelta pulsionale, e Freud le utilizza al fine di descrivere la processualità dell’investimento libidico che ineluttabilmente conduce al necessario riconoscimento della vecchiaia e della morte. E il problema della scelta del destino delle proprie pulsioni, il drammatico o tragico dover risolvere la conflittualità esistente non più tra cielo e terra, come nel teatro greco del V secolo, ma dentro di sé, nel proprio pensiero, è quello che fa di Shakespeare il drammaturgo della modernità. Nell’interpretazione dell’Otello gli articoli analizzati concordano nel considerare la relazione tra Iago e Otello illuminante molti degli aspetti connotativi della gelosia proiettiva e paranoidea. Bloom considera quest’opera in maniera duplice, sottolineando che essa rappresenta il dramma di Iago e la tragedia del Moro (un diverso che nel matrimonio vede il mezzo della propria integrazione e della conferma del proprio valore), e prevalentemente la interpretazione psicoanalitica (sia rivolta a illustrare la clinica, sia finalizzata all’esercizio speculativo) individua nella relazione tra l’alfiere Iago, portabandiera ambizioso e avido di conferme, e il condottiero Otello, eroe e divinità fragile nella sua identità, la possibilità di dimostrare la componente omosessuale. Molti articoli puntano i riflettori su Iago, l’alfiere ferito dal suo amato generale il cui dramma doloroso si manifesta mediante un continuo ricercare significati e disporli in modo da gestire la realtà per trovare in essa la sua vendetta. Nel testo dunque sono reperiti segni che indicano quanto l’odio di Iago derivi dalla caduta del suo amore per Otello. La promozione di Cassio per Iago significa “[…] vedere la propria volontà ridotta a un nulla e assistere alla violazione del senso di potere dell’Io” (Bloom p. 327). Alla promozione desiderata viene spesso dato il valore di un simbolo di accoppiamento sessuale: essa avrebbe rappresentato per Iago un riconoscimento del proprio valore e della propria potenza, una risposta all’ossequio e all’obbedienza mostrati nella fedeltà verso il valore e la potenza di Otello. L’affezione omosessuale frustrata, trasformatasi in odio omicida rivolto a distruggere Otello mediante il dubbio istigato, ha come scopo ultimo la distruzione della sua donna: l’omicidio di Desdemona è per Iago una vendetta e, al contempo, anche una rappresentazione dell’offesa subita per la mancata promozione. In questa prospettiva la dinamica drammaturgica dell’Otello rende manifesta la misoginia implicita nella gelosia maschile: “Otello è la rappresentazione shakespeariana più offensiva della vanità maschile e della paura della sessualità femminile, e
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I profili della gelosia
dunque dell’equazione maschile che fonda in un unico timore la paura del tradimento e la paura della mortalità” (Bloom p. 339). Ma la relazione tra Otello e Iago è vista anche come una rappresentazione di un conflitto intrapsichico e dunque come una relazione tra un Super-io avido di sadica soddisfazione, ricercata nel risarcimento all’offesa portata dalla realtà alla propria esigenza megalomanica, e un Io arreso alla lusinga dell’amore, disposto a sacrificare in suo nome la propria natura. Nell’Otello il tradimento è perciò interpretato come la rappresentazione di una morte che non consente la sopravvivenza del buon nome, della reputazione e dell’identità: queste qualità sarebbero conservate in Iago se avesse ottenuto la promozione, e in Otello se fosse morto sul campo di battaglia. E la prova del tradimento sessuale rende la perdita d’identità troppo vicina al sentimento d’una castrazione che impedisce la fantasia narcisistica della sopravvivenza del nome e dell’amabilità. In fondo, l’omicidio e il suicidio di Otello dichiarano che chi si sente tradito odia e si odia: “Con brillante intuizione sulla gelosia sessuale maschile, Shakespeare comprende che questo sentimento è una maschera dietro la quale si cela la paura di essere castrati dalla morte […] gli uomini trovano nel tradimento, reale o immaginario, il simbolo della loro natura effimera, la consapevolezza che il mondo andrà avanti senza di loro” (Bloom p. 340). Le interpretazioni che utilizzano il Racconto d’inverno vedono in essa la messinscena delle sofferenze tormentose che derivano dalle dinamiche che sostengono la gelosia delirante. Leonte e Polissene, rispettivamente re di Sicilia e di Boemia, si ritrovano alla corte siciliana dopo gli anni della fanciullezza trascorsi insieme, in un rapporto che Shakespeare descrive come un’esperienza arcadica, ma intrisa di un allusivo erotismo omofilico sottolineato dall’immagine di due innocenti agnellini che giocano toccandosi l’un l’altro. Quando Polissene è sul punto di partire e lasciare l’amico, questi chiede alla moglie Ermione di intercedere perché lo convinca a rimanere. Ermione ci riesce e Leonte si infiamma di gelosia alle sue parole, che gli sembrano persuasive perché segni di attrazione sessuale reciproca: “Troppo calore, troppo calore, mischiare così l’amicizia col sangue…”. L’area affettiva in Leonte, definito da Girard “un Otello che diventa il suo stesso Iago”, è connotata dall’evidenza iniziale dell’amore coniugale e dalla rimozione dell’amore omosessuale per Polissene: Ermione dunque riesce ad essere quello che il marito le chiede di essere, vale a dire il tramite per avere, o continuare ad avere, il contatto con l’amico. Il successo della moglie si traduce nella necessità di difendersi dalla possibilità che lo spazio della relazione sia invaso o allagato dal rimosso amore omosessuale. Per chiarire il subitaneo trasformarsi dell’amore in odio, le interpretazioni si richiamano tutte alla dinamica della gelosia connotata dal delirio paranoico:
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l’improvvisa follia di Leonte (avvicinata talvolta alla tragica figura di Lear) è spiegabile con la necessità di un controinvestimento, potente e cieco, distruttivo della vita affettiva (questo atteggiamento provocherà la morte del figlio, e il desiderio di morte della moglie, trasformatosi in una assenza di sedici anni). Leonte trova la giustificazione al suo odio, verso la moglie e l’amico, nella formula freudiana che capovolge il destino dell’impulso inaccettabile e rimosso: “non sono io ad amarlo, è lei che lo ama”. La scena shakespeariana non rappresenta però unicamente le trame più oscure della gelosia; al di là del continuum affettivo che connota le relazioni tra i personaggi in molte commedie, è la gelosia normale ad essere al centro dell’intreccio di Cimbellino, un romances ricco di colpi di scena, travestimenti e agnizioni. Come nell’Otello anche in questa opera la struttura edipica dell’affettività gelosa emerge illuminata in quelle componenti che sostengono l’orgoglio e l’ambizione, qui però trasmessi per via materna e nella forma esplicita di una rivalità di classe da soddisfare fino a lasciare che la infiltrazione della invidia e della pulsione di morte le trasformi nei motori di una ideazione violenta e vendicativa. I personaggi rappresentano la classica triangolazione amorosa: Postumo (il protagonista maschile) a differenza di Otello si trova di fronte a rivali che hanno maggiori connotazioni di realtà rispetto a Cassio, ed anzi uno di questi è eletto a questo ruolo da lui stesso (qui non c’è un deuteragonista demoniaco come Iago) al fine di vedersi confermata, mediante la sfida lanciata all’avversario in amore da lui stesso creato per mettere alla prova la fedeltà della moglie Imogene (personaggio corrispettivo di Desdemona), quella onnipotenza che il sentirsi amati alimenta, ma insaziabilmente. L’intreccio, derivato da una novella del Decamerone di Boccaccio, è l’innesco di una gelosia proiettiva alimentata dalla lontananza che colloca Postumo in una posizione in cui è la sua fedeltà che si trova nella condizione di essere messa alla prova. Infatti Imogene, per spiegarsi quella che le sembra una improvvisa e immotivata gelosia del marito, sospetta che egli abbia avuto come amanti “…donnacce italiane, cortigiane di Roma”. Postumo rispetto a Otello ha prove più concrete del tradimento ma esse ugualmente non indicano il vero, portando a conseguenze simili ma non similmente tragiche, perché a differenza dell’Otello qui la passione è contenuta e mediata: Imogene non sarà uccisa. Contributo fondamentale all’invenzione dell’uomo moderno, alla costituzione di una sua coscienza, l’opera di Shakespeare disegna un profilo non lineare della gelosia, che sollecita una maggiore definizione del tratto che congiunge il segno tragico della passione con le sfumature di un vissuto capace di comparire in esperienze affettive diverse; un compito in attesa della psicoanalisi, potremmo dire.
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I profili della gelosia
Nel gennaio del 1921 Freud cominciava a discutere con il comitato degli allievi più fedeli (Abraham, Eitingon, Ferenczi, Jones, Rank, Sachs) idee che avrebbero trovato forma, nel 1922, in uno dei pochi lavori di cui fu dichiaratamente soddisfatto: Di alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, nella paranoia e nell’omosessualità. “Bel lavoro”, scriveva infatti il 4 febbraio 1921 a Max Eitingon di questa pubblicazione, sorella gemella di uno scritto sulla telepatia rimasto invece inedito fino alla sua morte3. Pubblicazione coeva a Les délires passionnels: Erotomanie, jalousie, di de Clerembeault, contemporaneità che fa risaltare per contrasto il ruolo assegnato da Freud all’“accattivante” deciframento della logica della gelosia, portato a termine seguendo il gioco di “permutazione” tra “donna infedele” e “uomo segretamente amato” e predisponendo quella che Assoun (2011 p. 33 e 24) considera una “spettroscopia basale” della gelosia che ci sembra possa tornare utile al lettore anche per un posizionamento dei successivi contributi psicoanalitici sull’argomento (cfr. Pirozzi, infra). Per presentare lo scritto di Freud abbiamo potuto affidarci ad un’essenziale quanto lucida introduzione di Françoise Coblence e Jean Luc Donnet e ad un pungente “dialogo” inscenato dalla redazione dei Libres Cahiers pour la Psychanalyse. Per il nostro compito di traduttori ci siamo invece riferiti all’analogo lavoro fatto nel 1932 per la Revue Française de Psychanalyse da Jacques Lacan; traduttore “interessato”, che nella propria teoria clinica assegna alla gelosia un ruolo da protagonista, facendone l’elemento centrale dello stadio dello specchio, per arrivare poi a sostenere (come ricordano tanto Bottone e Petrillo, quanto Napolitano) che ogni coscienza umana ha la sua fonte nella dialettica della gelosia vista come una manifestazione primordiale delle comunicazioni. Attribuzione di valore che fa evidentemente di Lacan un traduttore non solo interessato, ma interessante; è dai suoi spunti, dalle sue forzature, dalle sue accentuazioni, dalle sue interpretazioni, che abbiamo scelto di partire nel proporre al lettore italiano una nuova traduzione del testo freudiano. La versione che presentiamo è dunque traduzione di traduzione, doppia “prova dello straniero”, in grado di agevolare secondo Berman (1984) l’emergere, nella lettura, del “recondito” di un testo. Il titolo scelto da Freud obbliga, come dice Assoun (2009 p. 1110), ad interrogarsi sul senso di una “trilogia eterogenea” – gelosia, paranoia, omosessualità – e sulla “omologia” dei meccanismi che operano al loro interno (“non si tratta dei meccanismi di, ma dei meccanismi in questi fenomeni”; ibidem). Il saggio freudiano può per questo essere visto come “un tentativo transnosografico” che utilizza l’indagine sulla paranoia per definire il ruo3 cfr. Duellum, infra. Frequenti incroci con alcune delle questioni poste a Freud dalla gelosia (tra allievi, tra pazienti) sono segnalati, non casualmente, anche da M. Pierri nel suo Un enigma per il dottor Freud. La sfida della telepatia, FrancoAngeli, Milano-Roma, 2018.
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lo della proiezione anche nella nevrosi e, reciprocamente, utilizza il complesso nucleare della nevrosi, ossia l’Edipo, come orientamento aggiuntivo nell’indagine della psicosi (cfr. Wolf-Fédida 2007, p. 76). Grazie a Freud, per interessarsi alla gelosia la clinica psicoanalitica non avrà bisogno di assistere a un dramma (“il dramma della gelosia”) o ad altre forme di messa in scena oscillanti tra tragico e grottesco, tra vergogna del presente ed esibizione del passato o del futuro (“ci si vergogna di confessare che si prova gelosia, ma ci si vanta di averne provata e di essere capaci di provarne”: La Rochefoucauld 1664, n. 472). Al di là dei fenomeni psicopatologici in cui si manifesta, al di là anche del suo fungere spesso da segnale di ingresso nella dimensione propriamente passionale del transfert (cfr. de Urtubey 1997), non di rado nelle stanze d’analisi la gelosia viene riconosciuta come affetto fondamentale. Riconoscimento che ha più di un sostenitore, spesso ispirato dallo stesso Freud; come Ludwig Binswanger, che commentando alcune pagine del “caso Schreber” scrisse al loro autore: “proprio la gelosia sembra poterci dare la più profonda comprensione della vita psichica, sia normale che patologica”4. Definire “il problema della gelosia” seguendo innanzitutto Freud significa pertanto pensarvi come ad uno stato affettivo che è possibile classificare tra quelli normali. Ne consegue che dopo essere stata essenziale per filosofi (Lalande 1968) e psichiatri, la relazione della gelosia con la passione diviene per la psicoanalisi una delle possibili manifestazioni di questo stato affettivo, possibilità di cui Gori esplora in particolare la dimensione “odiosa” (infra)5. Nonostante la tardiva conquista di un titolo che resterà il solo ad essa dedicato, la gelosia è presente – e sin dall’inizio – nei luoghi topici dell’indagine freudiana: ambivalenza, complesso edipico, differenze tra i sessi e le generazioni, scelta d’oggetto, invidia del pene (che pure nel lavoro del 1921 non è menzionata), relazioni di concorrenza tra pari. Come si vedrà leggendo il volume, questi topoi freudiani verranno ripresi e approfonditi da molti altri ricercatori, anche al di là dei riferimenti espliciti al testo del 1921. Sarà però ancora da questo scritto che prenderà le mosse Joan Riviere, seppur per rovesciarne l’indicazione d’apertura. Freud comincia scrivendo: “La gelosia appartiene a quegli stati affettivi che è possibile classificare come la tristezza tra gli stati normali”; quindici anni dopo, nel 1937, Riviere apre “La gelosia” così: “La gelosia non è affatto una reazione così semplice come crediamo, anche se la consideriamo tanto ‘naturale’”. Di questo breve scrit4 La lettera datava 7 gennaio 1920 e così proseguiva, entrando a sua volta nel vivo della cosa: “In nessun modo ho operato una conversione da Freud verso Jung o Adler, e probabilmente non lo farò mai”. 5 Per questa relazione di distinzione tra stato affettivo e passione e per alcune riflessioni sulla Leidenschaft freudiana, cfr. Bottone, Galiani, 2006, p. 11 sg.
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to e di quella che si può considerare come la sua matrice (“La gelosia come meccanismo di difesa”, 1932), tappe significative dell’evoluzione di una tra le più acute compagne di strada di Melanie Klein, proponiamo due nuove traduzioni, commentate da Andreassi. La prima parte della nostra rassegna si chiude con “Della gelosia non patologica o psicologica”, un estratto da La jalousie amoureuse (1947), testo monstre di Daniel Lagache; testo molto citato ma di cui non è stato sinora possibile leggere nulla in italiano. Un profilo psicoanalitico a prima vista singolare, quello tratteggiato da Lagache, che riparte da un tema della psichiatria ottocentesca, ossia la dimensione amorosa della gelosia; una scelta finalizzata a ridefinire dall’interno l’associazione gelosia-stato passionale. Rispetto ad altri fenomeni cui la psichiatria dell’epoca si dedicava, la gelosia amorosa si presentava come un fenomeno “più frequente” e non accessibile “solo agli specialisti”, ossia in grado di “permettere di porre correttamente i problemi della psicogenesi e della patogenesi” (Lagache 1947, pp. 1-3). Nonostante il suo punto di vista sia spesso quasi esclusivamente il risultato di un confronto con la fenomenologia di quegli anni, adoperando lo stesso linguaggio e le stesse categorie del suo interlocutore, La jalousie amoureuse non solo, come scrive Sissa (2015 p. 144 ed. fr.), riprende con altrettanta finezza le distinzioni freudiane, ma solleva più di una questione di interesse, questioni che lo scritto di Fasano, Galiani e Gallo prova a riassumere. Sotto il segno di Lagache si pone per noi anche la seconda parte del volume, poiché è in essa che, come ricordavamo all’inizio, per proseguire la sequenza di profili psicoanalitici riproponiamo parzialmente l’impostazione adottata nella redazione de Il problema del transfert (Lagache et al., 2016): cinque capitoli di rassegna bibliografica, che coprono un arco temporale compreso tra il 1940 e il 2019, sono intervallati da sette brevi saggi che affrontano la questione della gelosia non soltanto dal vertice di alcuni “maestri” della psicoanalisi (Klein, Lacan, Bion) ma pure, in questo caso, da quello offerto dall’indagine filosofica e dalla ripresa in ottica psicoanalitica sia di un testo letterario che di un passaggio chiave della storia della psichiatria. La rassegna bibliografica è stata organizzata in intervalli temporali costituiti da due decenni (1940-49; 1950-59) e tre ventenni (1960-79; 1980-99; 2000-19); per ciascuno dei periodi considerati è stata condotta, con il ricorso alle principali banche dati del settore, una ricerca sugli indici di buona parte delle riviste psicoanalitiche in lingua inglese, francese, italiana, cui abbiamo affiancato il resoconto di numerose pubblicazioni in volume. Per quanto concerne le riviste, i criteri di ricerca adottati sono stati piuttosto ampi, selezionando articoli che contenessero un esplicito riferimento
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alla gelosia nel titolo, sottotitolo e/o abstract e quelli che mostrassero una frequente ricorrenza del termine gelosia nel corpo del testo. Questa ricognizione bibliografica ha prodotto un inventario di 230 articoli e volumi, a partire dal quale è stata poi operata una selezione che individuasse i contributi maggiormente rappresentativi dell’evoluzione della riflessione psicoanalitica sulla gelosia in ciascuno degli intervalli temporali considerati; questi contributi sono stati commentati o solamente segnalati dagli autori (Di Mezza, Di Sarno, Fasano, Lombardi, Pirozzi, Tescione) all’interno dei capitoli di rassegna. Ne deriva un panorama in cui a spiccare maggiormente sono quelle che potremmo intendere come diverse scie di un movimento di partenze e ritorni a Freud, a quella riflessione freudiana sulla gelosia che comprende già, nei suoi spunti, i differenti attributi che costituiscono l’impalcatura della teorizzazione psicoanalitica su questo affetto fondamentale: gelosia infantile e adulta, fraterna e edipica, normale e patologica, proiettiva e delirante6. Un’indagine sui profili psicoanalitici della gelosia non può che dedicare un’attenzione particolare agli insegnamenti di Klein e Lacan, che tornano come riferimenti per diversi autori. A Melanie Klein e Jacques Lacan dobbiamo infatti le più efficaci sollecitazioni a prestare particolare attenzione ad alcuni aspetti differenziali concernenti l’invidia e la dimensione speculare-narcisistica, aspetti che Green (1969, p. 148) ha saputo ben riassumere: “In Invidia e gratitudine Melanie Klein fa una differenza …: mentre la gelosia comporta una dominante proiettiva e ammette l’esistenza di un terzo che gode di ciò di cui il geloso è privato, l’invidia implica un desiderio di introiezione distruttrice che mira alla degradazione diretta dell’oggetto, senza intermediari, nel quadri di una relazione duale. Un’altra distinzione, che occorre aggiungere a quella di Melanie Klein: la gelosia è un desiderio che si indirizza all’oggetto, mentre l’invidia concerne soprattutto il narcisismo”. A Klein e Lacan sono quindi dedicati due specifici saggi (di Andreassi e Napolitano); due prospettive, le loro, che mostrano affinità che la lente della gelosia consente di far risaltare - si pensi al ruolo decisivo dell’invidia come precursore della gelosia, riscontrabile nella concezione kleiniana non meno che nella prima fase dell’insegnamento di Lacan - e altrettanto fondamentali divergenze, in particolare a partire dalla teorizzazione lacaniana sul linguaggio e dalla revisione strutturalista dell’Edipo. 6 Un ulteriore obiettivo della ricerca resta come mandato di lavoro per il gruppo: la costituzione di una specifica banca dati e, attraverso la conoscenza acquisita nel costruirla, di un “expertise”, utile a far funzionare un osservatorio sulle manifestazioni della gelosia patologica (che spesso sostiene atti violenti), con un’attenzione particolare a ciò che accade nell’ambito dei “social” (anche in ottica differenziale rispetto alle manifestazioni “non social”), per le declinazioni secondo l’identità sessuale (il c.d. “genere”) e per l’oggetto della relazione sessuale.
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Muovendo dall’assunto di una totale coincidenza tra “gelosia” e “gelosia amorosa”, lo “sviluppo kleiniano” (Meltzer 1978) rappresentato dal pensiero di Wilfred Bion è illustrato nel suo saggio da Tescione. L’aderenza della teoria bioniana alla riflessione clinica sull’esperienza del soggetto psicotico conduce a indagare la relazione tra gelosia e sapere. Se infatti il geloso appare animato da un’insaziabile passione di sapere, di avere la prova della fedeltà/infedeltà dell’oggetto amato, ciò che cerca è in realtà il contrario di un’autentica conoscenza, è la negazione del sapere. Fondato sull’identificazione proiettiva, il “sapere” del geloso, anche quando non raggiunge la fissità della certezza psicotica, vi si approssima rimandando ad argomentazioni circolari che sterilizzano il processo di pensiero. La complessità dell’affetto della gelosia, anche nella sua dimensione non patologica, emerge nella ricognizione di Sommantico sulla gelosia nel legame fraterno. Ripercorrendo i passaggi dedicati all’argomento nell’insegnamento di Freud, Klein, Winnicott, Lacan, Sommantico espone il difficile intreccio di rivalità, competizione, invidia ma anche identificazione e alleanza che abita la “stanza dei giuochi” (Freud 1915-17 p. 374), lasciando tracce che spesso determinano il destino delle relazioni future del soggetto con l’altro-simile. Dagli anni ’80 ad oggi, i contributi più rilevanti proseguiranno l’indagine dei legami della gelosia con la rivalità e l’invidia, insieme al confronto tra gelosia normale e patologica; sono anni in cui, al di là di una sua accezione strettamente lacaniana, il ritorno a Freud nelle elaborazioni teoriche sulla gelosia è evidente nelle frequenti riprese del lavoro freudiano del 1921 e con esso della complessità delle dinamiche che investono il desiderio nella sua struttura triangolare, l’odio/amore per il rivale, la natura dei processi proiettivi. Si può dire che sono due i filoni di indagine che attraversano i decenni in maniera più o meno costante: da un lato quello clinico della prossimità tra la gelosia intesa come affetto evolutivo (ossia strutturante l’esperienza edipica e la socializzazione) e la gelosia nella sua versione regressiva (che conduce la vita amorosa nelle impasse della sofferenza nevrotica o psicotica); dall’altro quello che concerne invece l’analisi o il ricorso esplicativo ai testi letterari (in primo luogo l’opera di Shakespeare). La presenza della gelosia in quasi tutte le manifestazioni della vita umana ne fa infatti un oggetto di indagine ibrido, che necessita di essere inquadrato da prospettive diverse, non solo strettamente psicoanalitiche. È per rimarcare questa necessità che la seconda sezione del volume si apre con un contributo di Ginzburg sulla gelosia nella Recherche di Proust; alla luce della teorizzazione di Matte Blanco sull’inconscio bi-modale, l’affetto geloso configura una serie di analogie nelle esperienze dei personaggi proustiani il
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cui prototipo è il “bacio negato” dell’infanzia del narratore, il dolore-eccitazione del piccolo Marcel confrontato con l’alterità della madre. L’insegnamento della psichiatria a cavallo tra Ottocento e Novecento viene invece riletto da Bottone e Petrillo attraverso un confronto tra le tesi di Jaspers e le prime teorizzazioni lacaniane sulla struttura della personalità. Chiude la sezione – e il volume – il lavoro di Colangelo sulla gelosia in Rousseau, affetto che il filosofo ginevrino ascrive all’emergenza della disuguaglianza che individua il passaggio dal mitico “stato di natura” alla civiltà propriamente umana. La gelosia risponde infatti a una logica della preferenza derivante dall’ascesa del confronto sociale: perso il collante della condivisione dei bisogni vitali, la società lascia spazio all’amore e al desiderio, sentimenti estranei alla giustizia distributiva poiché indirizzati alla singolarità. Sarà l’educazione a poter rimediare a una deriva aggressiva e rivalitaria della gelosia; come evidenzia Starobinski nella sua lettura di Rousseau, l’uguaglianza può essere ripristinata nel momento in cui ciascuno ammette e rispetta per gli altri lo stesso diritto alla “preferenza” che riconosce per se stesso. Un’azione non troppo diversa da quella compiuta secondo Freud dalla famiglia come “formazione collettiva naturale”, in cui la gelosia può rivolgersi in solidarietà (Freud 1921 pp. 308 e 313; cfr. Kahn 2013 p. 99). Nell’insieme, i profili che il lettore vedrà delinearsi nelle pagine di questo volume offrono dunque una conferma sia della qualità fondamentale dell’affetto geloso, sia dell’attenzione prestata dalla psicoanalisi ai gradi più estremi e vistosi delle sue manifestazioni psicopatologiche. Dal bambino agli amanti, dal pensiero ordinario al delirio, dal voler sapere su una coppia immaginata vivere in un eden da cui il soggetto è escluso alla possibilità di trasformare un lamento rivendicativo (“tu eri solo per me, e per l’eternità!”) in spinta a conoscere più da vicino l’altro, gli altri che sembrano essere ora fatti (s)oggetto della generosa preferenza esclusiva di chi un tempo è apparso in possesso di ogni bene.
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