′ PAULINA SZCZEPANCZYK
COME VAPORE Saggio sulla morte libera
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© Copyright Alpes Italia srl Via G. Romagnosi, 3 00196 Roma – tel./fax 06-39738315 I Edizione, 2021
Paulina Szczepanczyk Psicologa, Criminologa esperta in Criminologia investigativa, scienze forensi e valutazione scena del crimine. Esperta Hypnoterapist Coach per diversi tipi di dipendenze. È impegnata in ambiti diversi di studio, ricerca e formazione in materia di profiling psicopatologico degli ′ autori di reati aggressivo-violenti e l’autopsia psicologica dai suicidi alle morti equivoche. In copertina: «L'istante prima» olio su tela 80 × 110 di Denis Bachetti
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INDICE Prefazione di Alfredo De Risio .................................................................
IX
Introduzione L’inizio di un discorso .................................................... XIII CAPITOLO PRIMO. Cominciamo dal principio ...............................
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CAPITOLO SECONDO. Alienazione .................................................
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CAPITOLO TERZO. La Morte e il Rito .............................................
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CAPITOLO QUARTO. L’esperienza comune del dolore .................
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CAPITOLO QUINTO. Congedo..........................................................
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Postfazione di Paolo Cruciani ...................................................................
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Bibliografia ...............................................................................................
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III
A Denis e Perico
Io sono! Ma cosa sono? a nessuno importa e nessuno sa. Abbandonato dagli amici come un ricordo inutile: solo mi alimento delle mie sofferenze; – Sorgono e muoiono, nell’oblio disperso, come sottili ombre negli spasimi soffocati dell’amore. – Ma io sono e vivo, proprio come vapore. Nel nulla del disdegno e del rumore, nel vivo mare dei sogni a occhi aperti, Dove né di vita né di gioia v’è senso, ma solo il grande naufragio di tutti i miei traguardi, Perfino i più cari, quelli più amati mi sono estranei – anzi, ancora più estranei degli altri. Anelo luoghi che nessun uomo abbia mai violato, Luoghi in cui mai una donna abbia sorriso o pianto, per dimorare con il mio creatore, Dio; E dormire il dolce sonno dell’infanzia, senza disturbare, indisturbato, immobile, sotto di me l’erba, sopra di me la volta celeste.
John Clare, 1848
PREFAZIONE Alfredo De Risio1
Ho accolto con molto piacere l’invito a scrivere la prefazione al saggio di Paulina Szczepańczyk sia per l’amicizia con l’autrice, alla sua prima esperienza letteraria di non facile approccio, sia per avervi ritrovato quel tratteggio che rimanda al complesso tema del suicidio non solo come conseguenza di un disturbo mentale, ma anche come manifestazione di un disfunzionamento psicosociale, in bilico tra disperazione e speranza, rilanciando così l’idea che, per operare un vero contrasto, bisogna “aiutare le persone” a prevenire l’irreversibilità del gesto. Alcuni anni orsono, ho avuto il piacere di leggere il bel romanzo della scrittrice francese Maylis de Kerangal dal titolo “Riparare i viventi”, nel quale l’autrice racconta le 24 ore che passano dalla dichiarazione della morte cerebrale del soggetto, all’espianto dei suoi organi ed al conseguente impianto nel corpo di altri. Alla penna dell’autrice, la forza di narrare i sentimenti, i pensieri e le azioni di tutti coloro che entrano in gioco per attuare questo. I primi passi però, quelli più difficili e dolorosi, sono quelli che devono compiere soprattutto i genitori del ragazzo, per accettare l’irreversibilità della situazione del loro figlio. Ed è proprio la parola irreversibile che mi ha particolarmente stimolato a pensare e a ragionare anche sulla fatica che essa comporta nell’essere accolta e verbalizzata. La situazione irreversibile è quella che non lascia scampo, quella che pone la parola fine ad ogni prospettiva, ad ogni orizzonte. La situazione che apre alla nostra realtà il suicidio è quella che definiamo irreversibile, dalla quale non si torna indietro … indietro dove, se non a quella paura di vivere che trova forza nelle parole di Albert Camus: Psicologo, psicoterapeuta ad orientamento analitico adleriano, è specialista in Psicologia Clinica. È Dirigente Psicologo Alta Specializzazione presso il DSM-DP ASL Roma 6. Di vasta esperienza accademica è oggi Professore di Criminologia Clinica e Psicoterapia forense presso l’Università LUMSA di Roma. È socio fondatore della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria e Presidente eletto del Collegio dei Probiviri.
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IX
Come vapore
“Vi è solamente un problema veramente serio: il suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia” e che, come vapore, titolo scelto dall’autrice del presente saggio, rimanda all’amletico dubbio esistenziale (atto terzo, scena prima del dramma shakespeariano) del vivere soffrendo (essere) o ribellarsi rischiando di morire (non essere), come scoperta della propria idea della irreversibilità. La persona, soggetto di questa, si sente in una condizione tale da cercare una possibile via d’uscita che le permetta qualcosa di nuovo. Ci sono due immagini molto belle e significative in questa direzione: la prima si trova nello splendido romanzo di Marguerite Yourcenar “L’opera al nero” ove il protagonista, Zenone, giunto al termine del suo percorso umano, si ribella attraverso il suicidio alla condanna che ha subìto all’interno di un processo civile ed ecclesiastico, recuperando così quello che è tutto il senso della sua vita, appunto opus di lui, che ne è l’artefice. Diverso è il sentire che si prova di fronte al suicidio assistito del protagonista di “Mare dentro” un film, tratto da una storia vera, di qualche anno fa sul tema del rapporto tra l’uomo e la morte. Ramòn è un giovane che, a causa di un tuffo in mare, si paralizza completamente e passa il resto del tempo a compiere la sua battaglia per il suicidio assistito fino a trovare la persona che decide di collaborare affinché il suo desiderio si realizzi. Qui si resta con l’amaro in bocca perché, nonostante il protagonista lo voglia e compia un lungo cammino per giungervi, si ha la sensazione della rinuncia, dell’esistenza non accolta e non superata. Tutti e due, Zenone e Ramòn però cercano la morte come possibilità di un oltre che la loro condizione esistenziale non permette più. Credo che la maturazione di un’idea suicida avvenga in un contesto di questo tipo in cui si è “costretti” a prendere coscienza sull’irreversibilità della situazione esistenziale. Proprio il fatto che la condizione appare irreversibile, spinge il soggetto a cercare una soluzione oltre quell’irreversibile. È in questo spaccato di vita, in questa linea di confine, che il sopra richiamato monologo di Amleto nel dramma di William Shakespeare “[…] Morire, dormire. Dormire, forse sognare” sembra consegnarci il caleidoscopico strumento del sogno, che ritengo assolutamente fondamentale nella vita di ognuno, ma soprattutto nella vita di chi è entrato in una situazione irreversibile. Per la Psicologia Individuale di Alfred Adler, ove per X
Prefazione
cultura e formazione mi riconosco, anche i sogni, proprio in relazione agli aspetti della biografia del sognatore, possono essere legati alle vicende dell’autostima. Ci sarebbe una relazione, dunque, sia con le tappe dello sviluppo della fiducia di base, che consente la costruzione di un’immagine differenziata e coerente di sé, sia con gli eventi che minacciano successivamente l’autostima, quando comunque il soggetto può interagire in modo autonomo con il proprio ambiente sociale. Se consideriamo dunque una teoria generale dei sogni, possiamo riproporre in termini complessivi, “l’affermazione che il fondamento del sogno è una particolare presa di posizione nei confronti della vita” (Adler, Menschenkenntis, 1926) e la considerazione che “se scopriamo cosa gli uomini si aspettano (dai sogni), allora giungeremo molto vicino a vederne lo scopo” (Adler, ibid.). Il sognare si configura, inoltre, come la possibilità di vivere un presente oppressivo e costrittivo perché mi viene permesso di proiettarmi in un futuro che, in questo momento, appare molto lontano. Anche qui vi è una immagine molto bella e profonda da lasciare sorpresi. Una canzone di Lucio Dalla, “La casa in riva al mare” racconta la condizione di un detenuto che si trova in un carcere probabilmente posizionato su di un’isola e la prima sottolineatura che viene fatta è che l’uomo dalla sua cella vede solo mare, come a significare la totale assenza di possibilità. Ma sulla spiaggia, in riva al mare, una casa con una finestra che si apre e una donna che vi appare permettono al detenuto di volare, di sognare che quella donna è la sua e di sognare di vivere insieme e la canzone si conclude con l’uomo che si perde nel blu, immagine evidente della sua morte, mentre canta ancora la mia donna sei tu. Il sogno lo ha accompagnato per tutta la vita sostenendolo all’interno di una situazione insostenibile. Proprio in questa direzione mi viene da offrire una riflessione conclusiva a partire anche qui da due immagini distanti tra loro eppure molto vicine. Tutti sappiamo che il paese di Giacomo Leopardi si trova in quella condizione stupenda delle colline marchigiane che, da ogni punto, attraverso il dolce digradare di esse verso il mare, permette la vista della distesa blu. Ci si aspetterebbe che una poesia che parla dell’Infinito sia scaturita dalla contemplazione di quel mare ed invece quando il poeta pensa l’infinito lo pensa a partire dal limite della siepe che gli impedisce lo sguardo. Proprio questa contraddizione dice che è possibile sognare, andare XI
Come vapore
oltre e imparare a vivere l’insopportabile e l’opprimente in questo andare oltre, lasciando che il cuore e la mente non si appiattiscano sul presente, ma siano capaci di pensare il futuro con la speranza di vederlo farsi incontro e con l’impegno paziente di costruirlo ogni giorno, sapendo vivere il mistero della vita come qualcosa di incompiuto che deve sempre realizzarsi. Se mi viene restituita la possibilità di sognare a partire dalla coscienza di me, che non sono semplicemente quello che faccio, anche le sbarre di ferro e quelle invisibili della vita, possono cadere e lasciarmi andare oltre.
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INTRODUZIONE
L’inizio di un discorso Il dolore mentale influenza il nucleo più profondo dell’animo umano e mina i diversi aspetti dell’esistenza, al punto da non poter essere più accettata nella sua attuale condizione. “Come vapore” è il titolo di questo saggio, che da una parte vuol essere un approfondimento sulla tematica del suicidio, sulla sua ragion d’essere possibile, sul rapporto che ha l’uomo con la morte nelle diverse culture, e dall’altra si propone come quadro di riflessione sul tema del dolore e le sue diverse forme, difficili da cogliere, se non nell’incontro con l’altro e attraverso la filosofia esistenziale e la poesia. Il mistero della morte volontaria ha stillato in me la febbrile determinazione di chiedermi come sia possibile, in certi casi, che la vita riesca a resistere. Come fa la vita ad andare avanti con tutta questa esperienza mai finita del dolore? Qui giunge il mio pensiero che si articola attraverso ogni possibile interpretazione del male di vivere; un’interpretazione che cerca di cogliere le sfumature di questa vita che esala, proprio come vapore, quel senso tanto moderno di frammentarietà dell’esistenza umana capace di una spinta tale da trasformare il dolore in abbandono trasfigurato: di trasformare il dolore in arte. La finalità di questo saggio è parlare di suicidio e della sua relazione con le esperienze distruttive, alcune delle quali, finiranno per condizionare la creatività, diventando così un fattore protettivo alla vita umana. Il lettore si interrogherà sul senso della morte attraverso un profilo storico e artistico dei grandi geni della letteratura, della musica, della poesia e della pittura, arrivando a capire che il suicidio può diventare una scelta razionale.
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