COVID-19 e psicoterapia

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Idee in psicoterapia

Rivista scientifica a cura di un Board di Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Rivista quadrimestrale fondata e diretta da Luigi Janiri e Piero Petrini

Covid-19 e Psicoterapia Sommario Luisa Martini, Luigi Janiri, Giuseppe Ruggiero. Federazione Italiana Associazioni di Psicoterapia (FIAP) Editoriale - Lo scambio delle parole al tempo del COVID-19................................ 3 Giulia I. De Carlo, Annamaria Mandese, Piero Petrini. (SAPP) Il COVID-19… Solo un nemico invisibile e una cruda realtà o anche una possibilità di crescita?.............................................................................................................. 11 Mario Becciu, Anna Rita Colasanti, Antonella Sinagoga, Massimiliano Fratocchi, Ilaria Mucci, Lina Gelyana, Sana Zuhir Hanna Rofo. (CRP) La qualità della vita di relazione al tempo del COVID: una ricerca su coppie e genitori . 25 Anna Maria Rapone (SIIPE) “Hypnosis is in the air, ovvero l’ipnosi online ai tempi del Covid-19: creatività e fantasia a servizio della resilienza” ..................................................................... 43 Aristide Iniotakis; Rolando Di Piero (SIAB) Quando la paura ti toglie il respiro…; Riflessioni-testimonianza di due psicoterapeuti bioenergetici durante il lockdown ...................................................................... 69 Gian Francesco Arzente (IPOL) Il legame o il virus ............................................................................................. 75 Antonietta Bozzaotra, Angelo Capasso, Alice Gargiulo, Federica Gerli, Giovanna Vasto, Marcella Autiero (IIPR) La psicoterapia con gli autori di violenza di genere. Un’esperienza clinica ai tempi del Covid-19 .................................................................................................... 79 Anna Rizzuti, Valeria Verrastro (ISP) Psicoterapia online: luoghi comuni e riflessioni ...................................................... 87 Alberto Passerini, Laura Arnaboldi (SISPI) Covid-19: effetti psicosociali, emergente immaginativo, adattamento della psicoterapia 95 Giuseppe Sampognaro, Margherita Spagnuolo Lobb (Gestalt HCC Italy) Terrore di morire, ansia di vivere: la terapia della Gestalt nell’epoca del Coronavirus. 109 Francesco D’Ambrosio (SFPID) L’approccio psicodinamico ai tempi della pandemia da COVID-19: quale il ruolo dei meccanismi psichici nella riposta immunitaria....................................................... 121 Recensioni ..................................................................................................... 133


Idee in psicoterapia Rivista scientifica a cura di un Board di Scuole di Specializzazione in Psicoterapia

Rivista fondata da Luigi Janiri e Piero Petrini Direzione scientifica: Luigi Janiri e Piero Petrini Direttore responsabile: Alessandro Battaglia Vice-Direttori: Antonio Buonanno, Angelo Bruschi, Alessia Cangi, Daniela Tedeschi Comitato di lettura: Annibale Bertola, Antonio Bonanno, Laura Buongiorno, Daniela Cataldo, Davide Ceridono, Tatiana Crespi, Barbara D’Amelio, Marina D’Angeli, Francesco D’Ambrosio, Annamaria Di Gioia, Benedetto Farina, Stefano Iacone, Giovanni Martinotti, Ciro Ruoppolo Comitato direttivo: Antonio Attianese, Maria Rosaria Filoni, Massimo Gubinelli, Margherita Spagnuolo Lobb, Annamaria Mandese, Rosa Elena Manzetti, Ezio Menoni, Alberto Passerini, Anna Maria Rapone, Alessandra Ripa, Luigi Schepisi, Lucio Sibilia, Fabio Carnevale, Valeria Verrastro, Coordinamento di Segreteria: Daniela Tedeschi, Giulia Iolanda De Carlo Segreteria: Sara Acampora, Giorgia Marziani, Laura Monti, Martina Petrollini Comitato scientifico: Massimo Ammaniti, Maurizio Balsamo, Godfrey BarrettLennard, Annibale Bertola, Susanna Bianchini, Massimo Biondi, Stefania Borgo, Luigi Cancrini, Vincenzo Caretti, Anita Casadei, Davide Ceridono, Francesco D’Ambrosio, Barbara D’Amelio, Nino Dazzi, Massimo Di Giannantonio, Benedetto Farina, Alessio Gori, Robert Elliott, Andrea Fossati, Michael Lambert, Ronald Levant, Vittorio Lingiardi, Giovanni Martinotti, Camillo Loriedo, Marisa Malagoli Togliatti, Mario Maj, John McLeod, Patrizia Moselli, Romolo Petrini, Filippo Petruccelli, Gianmarco Polselli, Anna Rizzuti, Giuseppe Ruggeri, Alberto Siracusano, Cristiano Violani, Renata Tambelli, Nicoletta Visconti, Alberto Zucconi Direzione e Redazione: Via G. Romagnosi – 00196 Roma – e-mail: psicoterapia@alpesitalia.it ISSN: 1974-059X Abbonamento per l’Italia, € 45,00 – Abbonamento per l’estero, € 90,00 Richiesta di singoli numeri o arretrati: € 18,00 Per informazioni rivolgersi ad Alpes Italia srl (info@alpesitalia.it) Versamento sul c/c bancario: 000000000800 intestato ad Alpes Italia srl

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Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 1/2008 del 10/01/2008


L. Martini, L. Janiri, G. Ruggiero – Editoriale: Lo scambio delle parole al tempoo del Covid-19

EDITORIALE Luisa Martini, Luigi Janiri, Giuseppe Ruggiero Federazione Italiana Associazioni di Psicoterapia (FIAP) Lo scambio delle parole al tempo del Covid-19 Nella prima ondata pandemica da SARS-CoV-2 il compito della gran parte degli psicoterapeuti è stato quello di ascoltare e offrire il proprio contributo di accoglienza e di supporto alle persone sofferenti e a disagio. Necessariamente tale atteggiamento terapeutico ha implicato un livello osservativo e diagnostico, che ha consentito un primo orientamento conoscitivo rispetto a un fenomeno di inusitata portata e dalle imprevedibili ricadute. Numerosi colleghi psicoterapeuti, che afferiscono alle diverse Associazioni dei vari orientamenti che fanno parte della FIAP, hanno messo a disposizione della cittadinanza colpita direttamente o indirettamente dal virus le proprie competenze professionali, attraverso un servizio telefonico di consulenza, ascolto e orientamento. Molti studi pubblicati su riviste internazionali, tutti strutturalmente preliminari, hanno segnalato cambiamenti significativi in vari aspetti della salute mentale, ma alcuni dati raccolti grazie allo sforzo di questo gruppo di operatori della FIAP valorizzano una dimensione esperienziale che ha la caratteristica unica di rappresentare la percezione e il vissuto di un’intera categoria nazionale, quella degli psicoterapeuti, di fronte a un evento catastrofico così particolare. L’organizzazione del servizio ha previsto, come prima cosa, la necessità di trovare una linea comune utilizzando le inevitabili differenze come una risorsa per pianificare una modalità di intervento che fosse adeguata a colloqui di ascolto. L’aspettativa era che tali colloqui avrebbero evidenziato il forte bisogno di poter comunicare le sensazioni di disagio, le paure, le preoccupazioni della popolazione sicuramente elicitate dalla situazione pandemica, ma anche le problematiche psicologiche, relazionali e psicopatologiche preesistenti, in certi casi mai affrontate, amplificate dalla situazione di chiusura e dalla paura del contagio. I più di 1.500 colloqui effettuati hanno confermato le iniziali previsioni. L’esperienza di ascolto è iniziata con il timore che, nel corso dei colloqui, si spalancassero porte tenute lungamente chiuse, senza la possibilità di un’apertura lenta e rispettosa come avviene invece nel corso di una psicoterapia. Nella consapevolezza quindi che i colloqui di ascolto non sarebbero stati e non sarebbero dovuti diventare una psicoterapia, si è trovata una metodologia di intervento adeguata al particolare tipo di lavoro con gli utenti, considerando diversi aspetti e possibilità: 3


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– tenere presente che l’utilizzo di strumenti quali il telefono o, solo quando possibile, piattaforme on line non avrebbe consentito, al di là dei contenuti portati, di osservare completamente, o solo in parte, il reciproco non verbale che riveste una grande importanza nella comunicazione interpersonale. L’attenzione dell’operatore quindi doveva necessariamente focalizzarsi su aspetti paraverbali quali il tono e il ritmo della voce, le pause ecc., sia dell’utente che dell’operatore stesso, da utilizzare per una maggiore comprensione della situazione psicologica della persona che stava chiedendo un supporto, ma anche per riuscire a trasmettere una vicinanza; – considerare l’inevitabile coinvolgimento che il lockdown e la situazione pandemica stava comportando anche per gli stessi operatori e quindi prestare particolare attenzione alla possibilità dell’instaurarsi di isomorfismi non utili; – analizzare la richiesta e valutare eventuali invii ai servizi del SSN deputati dandone corretta motivazione; – riuscire a utilizzare le competenze di base dello psicoterapeuta, quali la dimensione empatica e la capacità di percepire e utilizzare la sfera emotiva per effettuare un intervento efficace, anche se necessariamente limitato nel tempo; – valutare sempre quali domande porre in base alla richiesta di aiuto, procedendo in modo graduale, tenendo conto del tipo di risposte dell’utente e della qualità del rapporto stabilito e riuscendo a sviluppare così regole proprie di conversazione con ciascun utente; – concordare con l’utente la distanza temporale tra un colloquio e l’altro; – cogliere nelle narrazioni capacità e caratteristiche che rappresentano una risorsa, esplicitandole e sottolineandole; – cercare di offrire un punto di vista diverso, utile per affrontare la situazione di disagio. In realtà in molti casi il solo fatto di poter parlare con uno psicoterapeuta: – della propria ansia legata alla paura del contagio, – della solitudine che, soprattutto negli anziani, si stava sperimentando, – della preoccupazione per non riuscire a contattare i servizi per il figlio disabile o affetto da disturbi psichici, – delle problematiche di coppia che si stavano verificando a causa della forzata convivenza 24 ore su 24 in appartamenti che spesso non consentivano la possibilità di anche minimi spazi individuali è stato di per sé un aiuto. In altre situazioni più articolate e complesse i colloqui di ascolto hanno aperto la strada alla consapevolezza, da parte dell’utente, della necessità di intraprendere un lavoro psicoterapeutico continuativo (ovviamente non con l’operatore), in molti casi a lungo rinviato se non addirittura rifiutato nonostante la profonda sofferenza. La particolare modalità telefonica o online ha contribuito a diminu4


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ire le resistenze: i colloqui di ascolto potevano essere vissuti come qualcosa a cui approcciarsi per “andare a vedere” senza un effettivo impegno, perché non è facile chiedere aiuto quando nella propria storia personale ci sono profonde ferite che rendono molto difficile potersi fidare e parlare di sé. In queste situazioni è stata importante e utile la delicatezza e la non intrusività dell’operatore sfiorando appena le tematiche portate, limitandosi a riconoscerle e rinviando all’altro la capacità dimostrata di essere stato in grado di condividerle. È noto che molte persone non comunicano le proprie sofferenze emotive proprio ai familiari nel timore di angosciarli e preoccuparli e si abituano a soffocare il proprio disagio o a rivolgere la loro richiesta di aiuto esclusivamente al farmaco. Esempi di interventi effettuati La possibilità di essere ascoltati da un professionista dell’ascolto ha spesso fatto sì che si riuscisse a trovare le parole per esprimere quello che a lungo non si era potuto, rendendo dicibile ciò che era stato per lungo tempo indicibile, come è avvenuto, per esempio, nel corso dei colloqui effettuati da una collega di un’associazione della Gestalt con una signora che chiameremo Maria. Maria chiama per un forte stato d’ansia e difficoltà a dormire: ha ultimamente incubi ricorrenti in cui uomini in tuta con la mascherina vogliono farle del male. La psicoterapeuta chiede se Maria ha qualche idea rispetto a cosa questi incubi possano rappresentare e Maria, dopo aver collegato gli incubi alle immagini che continuamente vengono mostrate in televisione, racconta di aver subito per anni maltrattamenti da un marito violento, dal quale solo dopo tanto tempo è riuscita a separarsi senza però mai raccontare a nessuno la condizione nella quale aveva vissuto, e dice di aver trovato in questo spazio telefonico la possibilità di parlare di sé senza far preoccupare i figli. Nel corso dei successivi colloqui la signora Maria parla dei suoi figli che sono particolarmente affettuosi con lei e rivela alla psicoterapeuta la sua preoccupazione per le difficoltà economiche che, dato il momento, stanno incontrando. La psicoterapeuta sottolinea la protezione e la capacità di prendersi cura dei suoi figli che Maria è riuscita a mettere in atto in passato, nonostante la dolorosa situazione familiare: l’affetto che i figli le dimostrano ne è la prova. Anche in questo momento, in cui non c’è la possibilità di incontrarsi, ella è evidentemente in grado di trasmettere ai figli la sua vicinanza nel comprendere le loro difficoltà. Nel terzo colloquio Maria riferirà di aver parlato con i figli dei brutti momenti del passato: hanno pianto insieme condividendo le emozioni dolorose lungamente nascoste che ciascuno aveva provato. 5


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Nell’ultimo colloquio Maria riferisce di stare bene: gli incubi sono cessati e si sente più tranquilla, ringrazia la terapeuta per il servizio prestato. Matteo ha 32 anni, lavora come infermiere in un reparto COVID del nord Italia. Vive con la compagna, Alessandra, che è un medico impegnato in un altro ospedale con pazienti ricoverati in fase acuta. I loro turni sono massacranti, si dividono tra notti di guardia, rituali di sanificazione prima di entrare in casa, misure di protezione e tentativi malcelati di non pesare l’uno sull’assetto emotivo dell’altra. Non possono incontrare i loro congiunti, sono preoccupati per la loro salute. Stare insieme da una parte li fa sentire meno soli e più protetti, ma dall’altra li espone al rischio di una tensione emotiva crescente, che si esprime con difficoltà comunicative e spesso momenti di aperta conflittualità, legati a richieste reciproche di comprensione e di sostegno, a cui è sempre più difficile e faticoso rispondere in maniera soddisfacente. Matteo ed Alessandra, prima della pandemia, stavano facendo progetti per la loro vita di coppia, lui cercando di tenere a bada alcuni pensieri a sfondo pessimistico sul futuro, lei più propositiva, ma al tempo stesso ancora molto coinvolta dalle dinamiche della sua famiglia di origine e dal peso di una distanza geografica resa ancora più insostenibile dai criteri restrittivi dovuti al COVID-19. Il lavoro di supporto psicologico si orienta alla gestione dei sintomi ansiosi di Matteo, delle sue angosce ipocondriache, amplificate dallo stress lavorativo, che lo espone ogni giorno al contatto con la sofferenza e la morte. Ma i colloqui cercano anche di sollecitare un diverso atteggiamento nello stile relazionale di questa giovane coppia, che sente ancora l’appartenenza ai due nuclei familiari di origine, e contemporaneamente sta portando avanti a fatica il proprio progetto di vita: costruire una famiglia, avere dei figli, ritornare a passeggiare tra le montagne del nord e lungo le coste del sud. Il legame è solido, tiene, Matteo si ripromette di intraprendere un percorso psicoterapeutico individuale, appena la situazione diventerà più tranquilla. Non così per Angelo e Renata, che durante il lockdown vedono i loro confini di coppia progressivamente irrigidirsi fino a sfociare in una vera e propria escalation simmetrica, che li spinge a cercare un aiuto, entrambi consapevoli di non riuscire a trovare le risorse necessarie a collocare nella giusta cornice l’acuirsi di alcune vecchie problematiche mai risolte. Minacciano di separarsi, le liti quotidiane sono esasperate dalle richieste dei bambini, che vogliono attenzione e che risentono di un clima familiare niente affatto sereno. Sarà necessario in questo caso, dopo i primi colloqui telefonici, finalizzati a contenere la deriva conflittuale, incontrarli successivamente attraverso una piattaforma online, prima di indirizzarli verso un setting più adeguato. 6


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E infine anche storie di legami familiari resilienti, come quella di un giovane trentenne che perde il papà in due settimane, per COVID-19, e non potrà né assisterlo in ospedale, né partecipare ai funerali, ma soltanto ricordarlo al telefono, con l’operatore sconosciuto dall’altro capo, al quale racconterà la sua storia e quella della sua famiglia, tra i singhiozzi e la paura del futuro incerto che lo aspetta, quando “poi tutto questo un giorno sarà finito e torneremo alla vita di prima”. Un osservatorio live dei problemi di salute mentale in tempo di pandemia Bisogna anche essere consapevoli delle particolari condizioni epocali in cui tale regime di domanda (aiuto) e offerta (ascolto) si è sviluppato. Viene in mente il “silenzio assordante” delle strade e delle piazze durante il lockdown e l’associazione con l’horror vacui delle situazioni di deprivazione. Vengono in mente gli spazi dilatati della clausura, i ritmi anomali della nuova quotidianità e quanto ciò abbia rischiato di influenzare negativamente la tenuta di un setting già difficile e insicuro, poiché a distanza, come quello telefonico. Un carattere alieno e perturbante della modalità di comunicazione da remoto poteva essere alimentato dalla psicosi collettiva dell’epidemia, che si ripete invariata dai tempi storici della peste o del colera, e dalla coercizione esterna ope legis alla reclusione e al distanziamento. L’audio dei collegamenti era talvolta “inquinato” da sirene di ambulanze e rintocchi di campane, in un’atmosfera da film apocalittici di fantascienza. L’eclissi del corpo dello psicoterapeuta è stata comunque limitante per il suo stesso sentimento di autoefficacia, oltre che per la recettività dell’utente a fruire dell’intervento. La simmetria delle posizioni di terapeuta e utente è stata rinforzata dalle uguali difficoltà e dai comuni timori di entrambi rispetto a una iperrealtà che traumaticamente premeva dall’esterno. Ciononostante è stato svolto un grande lavoro e si è di fatto costituito un importante osservatorio dei problemi di salute mentale correlati alla diffusione del COVID-19. Schematicamente, si sono potuti rilevare problemi insorti ex novo in persone mai prima colpite da problemi psichici e cambiamenti della sintomatologia di pazienti già portatori di disturbi mentali. Gli psicoterapeuti ovviamente sono potuti venire a contatto solo con casi di peggioramento di tali disturbi, anche se bisogna riconoscere, sulla base di ricerche del tipo survey, che alcuni pazienti hanno reagito al lockdown, e altri alla successiva riapertura, con un miglioramento della loro condizione. Il fattore che di certo ha sensibilmente accresciuto il grado di disagio delle persone, sia pazienti che non, è stato proprio il clima persecutorio e di panico tipico delle psicosi collettive epidemiche. Le statistiche generali, relative al motivo della richiesta di aiuto, rivelano freddamente una netta prevalenza di stati ansiosi (60%), che si 7


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incrementano di un altro 12% di attacchi di panico, e una discreta quota di depressioni (15%), con restanti problemi relazionali, lutti traumatici e problematiche psicologiche legate direttamente al contagio (disturbi di somatizzazione, reazioni ipocondriache, patofobie, insonnia). Ma è difficile, nell’analisi dettagliata dei casi, differenziare i disturbi d’ansia da quelli somatici, affettivi, ossessivo-compulsivi e da stress post-traumatico. Un groviglio emozionale traspare dalle motivazioni riportate per esteso dagli psicoterapeuti e su tutte incombe il COVID-19 e il suo corteo psico-sociale: una donna agorafobica non riesce a uscire di casa, un pensionato entra in ansia perché non può muoversi fuori di casa, un’insegnante prova un freddo inspiegabile, c’è chi ha paura del contagio e chi è ansioso perché contagiato. Compaiono fobie nuove (per il soggetto), come quella di toccare le maniglie e di venire contaminato; molti parlano di “angoscia” come di una qualità speciale e più grave di ansia. Operatori sanitari sono in apprensione a causa del loro lavoro e altre persone sono in crisi perché perdono il lavoro o temono di perderlo, entrambi con i fantasmi delle ripercussioni familiari sullo sfondo. Qualcuno invece è concentrato paurosamente sul ritorno al lavoro. Emergono sentimenti pervasivi di abbandono in anziani e timori abbandonici anche nei giovani. Una signora, evidentemente più grave e già paziente psichiatrica, sviluppa una fobia per i mezzi tecnologici con rimuginazioni ossessive e idee deliranti di controllo da parte dei medesimi mezzi. Riaffiorano ricordi del passato, antichi sintomi, pezzi di traumi infantili. Si fa strada in realtà, dai resoconti dei colloqui telefonici, un intreccio di vite in difficoltà che convocano altre vite di familiari, amici, amanti, colleghi. Si leggono brani di storie pandemiche, con spostamenti da città e da regioni e mancati spostamenti, ansie di ricongiungimento e angosce da separazione e distanziamento oppure da eccessiva e prolungata intimità. Un universo brulicante intorno a ospedali, medici, quarantene, isolamenti, sintomi infettivi o presunti tali, ansima, si commuove, si agita o si lamenta. Gli incubi notturni sono popolati di virus, mascherine, poliziotti e untori. Per quanto i colloqui avvengano da remoto, le narrazioni lasciano trapelare nodi e blocchi esistenziali, pregressi e attuali, impasse relazionali di ogni tipo e coinvolgimenti somatici contorcenti e distorcenti. È un’umanità varia e dolente, che si risveglia per effetto della pandemia virale, del lockdown e del ritorno turbolento alla vita, situazioni che fanno da cartina di tornasole o da trigger per sintomi, sofferenze e disabilità e che catapultano violentemente gli individui verso un futuro opprimente o indietro verso un passato infantile traumatico. Il quale, come sostiene Freud nella teoria della nevrosi in due tempi, è richiamato e conformato dai traumatismi del presente. Tutta questa gran mole di lavoro non è stata vana e i report degli psicoterapeuti circa gli esiti dei loro interventi dimostra quanto sia fondamentale offrire una sia pur rudimentale ed episodica occasione di incontro a una popolazione 8


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sostanzialmente smarrita, confusa, in crisi di fronte a una catastrofe incombente e immane, e alla disperata ricerca di accoglienza, ascolto e partecipazione empatica. Le osservazioni compiute sul campo, le descrizioni da queste generate e i dati che ne sono stati tratti sono in linea con quanto osservato e inferito da ricercatori di altri paesi. Nella letteratura internazionale va prendendo forma il concetto di “ansia da COVID-19”, come una sindrome specifica che è indotta dalla depressione e dall’ansia di tratto o predisposizione ansiosa. Le notizie sul virus e sulla pandemia, così contrastanti e soprattutto martellanti tramite i mass media, contribuiscono in misura consistente all’“ansia da COVID-19”. Alcuni fattori, quali l’incertezza del futuro, la solitudine, il distanziamento sociale, la malattia e il lutto sembrano aumentare il rischio di mettere in atto comportamenti insalubri (ad esempio di abuso/dipendenza) e strategie di coping disadattive. Altri fattori, più cogenti, quali problemi economici, isolamento sociale e stress lavorativo, appaiono mediare l’inizio vero e proprio e l’incremento di queste strategie comportamentali disadattive, con depressione e suicidalità quali prodotti psicopatologici intermedi. Tutto ciò si riscontra anche nella casistica raccolta dalla FIAP, in cui si mettono a fuoco problematiche di alcolismo o di gioco d’azzardo, così come è prevedibile da vari report che adolescenti costretti alla clausura e all’isolamento e adulti “condannati” allo smartworking, abbiano sofferto di psicopatologia web-mediata, Internet addiction, dipendenza da videogames e uso problematico di smartphone. Diversi studi, soprattutto cinesi, confermano tale tendenza. Qualche tentativo di conclusione Avvertiamo la necessità di continuare a costruire progetti terapeutici finalizzati a gestire in maniera efficace situazioni di emergenza come quella determinata dall’attuale pandemia, ma anche a migliorare le prestazioni sanitarie e l’organizzazione dei servizi territoriali, attraverso una più capillare organizzazione delle risorse istituzionali e professionali, partendo dal presupposto che la salute deve essere intesa in senso globale, senza fratture ideologiche e metodologiche tra dimensione somatica e dimensione psicologica. Mai come in questo tempo di crisi diventa forte l’attenzione alla salute mentale, alla componente psicologica e relazionale che accompagna la sofferenza di coloro che con modalità diverse stanno affrontando le conseguenze di questa pandemia. Si tratta evidentemente di conseguenze che investono al tempo stesso la dimensione sanitaria, sociale, educativa, economica, culturale, locale e globale del mondo in cui viviamo. Come ci ricorda Edgar Morin, dobbiamo rifondare il nostro modo di conoscere all’interno di un mondo che si fa sempre più complesso ed incerto, 9


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per comprendere come una crisi sanitaria possa provocare una crisi economica che, a sua volta, produce una crisi sociale e, infine, esistenziale. Parlare di economia non vuol dire, infatti, solo stabilire finanziamenti per la ripresa di un paese, ma anche provare ad entrare nelle case, nella vita delle famiglie, in quella che è anche e soprattutto un’ecologia degli affetti e dei legami. Del resto la parola “economia” contiene l’immagine della casa, “oikos”. È probabile che anche nel corso di questa seconda ondata pandemica o in possibili successive ondate i risultati relativi alla salute mentale della popolazione italiana vengano confermati. Ci si attende tuttavia che alcune attuali peculiarità di tale realtà comportino nuove e ignote conseguenze. Ci riferiamo ai pazienti che sono usciti dalla malattia da COVID-19 e che presentano sequele a medio o lungo termine: alcune di queste potrebbero essere di natura neuropsichiatrica. Inoltre già da qualche dato preliminare è noto che il Disturbo Post Traumatico da Stress in questi soggetti potrebbe mostrare aspetti particolari dal punto di vista psicopatologico, di frequenza e di decorso. In ultimo, le questioni legate ai tamponi e ai test diagnostici per il coronavirus, molto più diffusi e specializzati rispetto alla prima ondata, stanno già provocando disorientamenti, paure e incertezze di vasta portata. E che dire del vaccino alle porte? Già stiamo osservando diffidenza, ansia da acquisizione e reazioni eccessivamente euforiche o, al contrario, paranoiche. E, ancora, cosa sta succedendo e che cosa accadrà ai bambini, agli adolescenti, alle coppie, alle famiglie, adesso che se ne stanno stretti in abitazioni non sempre confortevoli, e dopo, quando dovremo tutti riabituarci ad una ripresa dei nostri consueti programmi giornalieri? E come sarà la scuola, dopo tanti mesi di esperienze formative a distanza? Siamo sicuri che tornerà tutto come prima? Cosa ci porteremo di questo periodo di pausa dove in un modo o nell’altro abbiamo interrotto schemi e ritmi consueti? Saremo in grado di riflettere ancora sul rapporto tra utile e superfluo? Riusciremo a dare più valore alle parole, ai gesti, ai sorrisi, agli abbracci, dopo un così lungo periodo di forzata astinenza? Tanti interrogativi che ancora non trovano risposte esaurienti, ma che ci consentono di riflettere sulla necessità di attuare un cambiamento profondo negli stili di vita e nell’atteggiamento verso gli altri, che metta al centro il principio di responsabilità, che a sua volta potrà innescare processi virtuosi di solidarietà e cooperazione nella collettività. La sensazione è che ci aspetta un lungo lavoro di ricostruzione dei legami familiari e sociali, di elaborazione delle vicende traumatiche più o meno importanti vissute dai nostri pazienti e dai medici e infermieri che li hanno curati, ma anche di confronto nelle sedi opportune sui nuovi bisogni che emergeranno, sulle forme del disagio che incontreremo nella nostra attività professionale, a cui dovremo essere in grado di offrire risposte adeguate ed efficaci. Siamo solo all’inizio. 10


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