Gli anziani e Covid-19

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Marco Trabucchi (a cura di)

Gli anziani e Covid-19 Dall’angoscia alla speranza

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I Edizione: 2020

Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca geriatrica di Brescia. Ha fondato il primo centro italiano per la cura della Malattia di Alzheimer, ha insegnato Neuropsicofarmacologia nelle Università di Padova, Perugia e Roma Tor Vergata. È socio delle principali società scientifiche di area geriatrica. È autore di oltre 500 lavori pubblicati su riviste internazionali, prevalentemente riguardanti argomenti di ambito geriatrico, e di 40 volumi in italiano e in inglese.

In copertina: Lucio Fontana, Ombra lunga (particolare). I diritti d’Autore maturati saranno devoluti dal Prof. Trabucchi all’A.I.P. (Associazione Italiana di Psicogeriatria) di cui è presidente.

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Marco Trabucchi - Dall’angoscia alla speranza: la clinica, la scienza, le comunità

Indice Introduzione di Marco Trabucchi ............................................................. V Dall’angoscia alla speranza: la clinica, la scienza, le comunità Marco Trabucchi ............................................................................................... VII

Sezione I − Esperienze cliniche Riflessioni e pensieri, dopo l’emergenza (Alessandro Padovani) ................ 1 La Medicina al tempo del Covid-19: piccola cronaca di un medico… che diventa paziente (Giuseppe Bellelli) .................................................... 5 Covid-19 e gestione degli anziani nell’emergenza e fuori dell’emergenza: vecchie e nuove paure dalle RSA alla società in Puglia, in Europa e nel Mondo (Giancarlo Logroscino, Francesco Scapati) .................................................. 9 La Geriatria al tempo del Covid-19: le due facce della medaglia (Antonino Maria Cotroneo) ...................................................................... 15 Il neurologo (e malato) al tempo del Covid-19 (Carlo Ferrarese) ............. 21 La relazione e la comunicazione con le persone ricoverate in ospedale con disturbo neurocognitivo maggiore e con Covid-19 (Orazio Zanetti, Silvia Spanu, Paola Bettini, Davide V. Moretti, Marialuisa Sorlini, Cristina Geroldi, Stefania Orini) ................................. 27 Lettera da un distretto dell’Appennino parmense (Giovanni Gelmini) .... 33 Diario Covid da un Covid Hospital qualsiasi … (Alberto Cester) ............ 37 Di nuovo in corsia (Laura De Togni) ....................................................... 39 Il Covid-19 in Poliambulanza, il quarto cavaliere. Appunti dal mio diario (Renzo Rozzini) .................................................. 41

Sezione II − Le case di riposo: esperienze Vita ed esperienze nei centri di servizi al tempo del Covid-19 (Maria Mastella) ...................................................................................... 49 Nelle RSA lombarde la mortalità epidemica per il virus viene da lontano (Antonio Guaita) ...................................................................................... 57 Un tentativo di diario nella stagione del Covid-19 nelle RSA della provincia di Cremona (Walter Montini) .................................................. 61 L’emergenza Coronavirus e le RSA (Melania Cappuccio) ......................... 67 Un’esperienza difficile (Corrado Carabellese) ............................................ 85 III


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Un’esperienza veronese (Maria Beatrice Gazzola) .................................... 89 La forza della tenerezza (Renato Bottura) ................................................. 93

Sezione III − I malati a casa La cura dei malati a casa: luci e ombre. La prospettiva di un medico di famiglia (Germano Bettoncelli) ................ 99 Diario di un medico di base a Cremona (Luisa Gugliemi) ....................... 103 La cura dei malati a casa: luci e ombre (Federica Gottardi) ...................... 109 Il futuro dei servizi del territorio: dai CDCD ai Centri Diurni, ai Caffé Alzheimer (Stefano Boffelli) .......... 113 La cura degli anziani in tempo di Covid-19: un diario dalla Geriatria (Andrea Fabbo) ........................................................................................ 125

Sezione IV − Verso il futuro: le ferite provovcate dal virus e la rinascita Tra congiunti e affetti stabili andrà tutto bene (Diego De Leo) ................ 141 Quali conseguenze dell’epidemia sugli operatori sanitari? (Fabrizio Asioli) . 145 Appunti di Psichiatria del pandemonio (Leo Nahon) .............................. 151 Verso il futuro: le ferite provocate dal virus e la rinascita (Ottavio Di Stefano) ................................................................................. 159 Dai pensieri e dalle identità ferite alla Recovery e alla ripresa (Luigi Ferrannini) .................................................................................... 163 Il Coronavirus alla fine della fase 1: dubbi e certezze (poche) prima della fase 2 (Vincenzo Canonico) ............. 175 Il futuro degli ospedali al tempo del Covid-19 (Angelo Bianchetti) .......... 183 Riferimenti bibliografici ............................................................................ 187

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Introduzione Il volume raccoglie le esperienze difficili di medici che, con diversi ruoli, hanno affrontato il Covid-19. Il lettore vi troverà la passione, la fatica, l’impegno intellettuale e pratico di chi si è speso nelle scorse settimane per garantire ai malati, in particolare a quelli più fragili, cure adeguate. In alcuni casi la scelta di onorare la professione di medico è costata molto; però, dalle parole degli interessati non si percepiscono sentimenti di rinuncia, ma, anzi, la chiarissima volontà di andare avanti, per riprendere un lavoro solo temporaneamente sospeso. Questo impegno ha superato qualsiasi problematica psicologica a livello personale, anche se in futuro dovremmo essere vicini a chi ha affrontato con coraggio situazioni molto, molto stressanti. Non è ancora tempo per i bilanci, ma è possibile trarre dall’esperienza del dolore la certezza che oggi in Italia disponiamo di operatori di ogni livello che, al momento del bisogno, sono in grado di bilanciare le inefficienze del sistema per rispondere alle angosce di chi chiede le cure. Questa constatazione ci permette di guardare al futuro con speranza, ma, allo stesso tempo, ci impegna perché gli aspetti organizzativi della sanità siano all’altezza delle professionalità, dell’intelligenza e della generosità degli operatori. Marco Trabucchi

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Marco Trabucchi - Dall’angoscia alla speranza: la clinica, la scienza, le comunità

Dall’angoscia alla speranza: la clinica, la scienza, le comunità Marco Trabucchi* Presidente Associazione Italiana di Psicogeriatria

Questo libro tratto dal supplemento della rivista Psicogeriatria è stato costruito, su indicazione del Consiglio Direttivo AIP, per testimoniare l’impegno della nostra Associazione in questi mesi di dolore e di fatica. Siamo stati guidati dal desiderio di descrivere alcuni aspetti della tragedia che abbiamo vissuto attraverso le testimonianze dirette di chi ha lavorato senza pace e senza tregua. Non siamo ancora in grado di elaborare il nostro lutto personale e collettivo; ma, mettendo a disposizione tante narrazioni, che si assommano alla raccolta dei molti dati clinico-epidemiologici che stiamo compiendo, potremo, seppure con fatica, dare qualche idea riguardante il passato e qualche indicazione sul futuro. I soci di AIP hanno pubblicato in questi giorni su riviste internazionali contributi di rilevo; sarà nostro compito raccoglierli e diffonderli, anche come testimonianza che l’Italia può contare su studiosi di alto livello, e non solo in ambito… virologico! I testi sono diversi fra di loro, seguono impostazioni non omogenee, riguardano ambiti di impegno e modalità di cura profondamente difformi; in questa logica, il supplemento è aperto anche ad altri contributi che si vorranno aggiungere nelle prossime settimane. Non abbiamo alcuna intenzione di offrire uno scenario unitario, che richiederà tempi lunghissimi e metodologie di lavoro innovative per essere tracciato; la complessità impone infatti metodi rispettosi delle differenze biologiche, cliniche, psicologiche, sociali, culturali, storiche, organizzative; chi pensasse di semplificare un quadro come quello disegnato dal Covid-19 non darà un contributo serio alle analisi del futuro. Il pensiero che precede ogni altro va ai colleghi che si sono ammalati in queste settimane, ma che, tutti, oggi sono vivi. Sì, vivi! Qualcuno avrebbe usato un’espressione più mediata (meno a rischio di essere obiettivo di gesti scaramantici) per esprimere il sentimento profondo che in tanti abbiamo provato quando giungevano notizie positive sul loro stato di salute. La vita contro la morte: gli estremi di un sentire che ci ha pervaso nelle ultime settimane. Alcuni di questi carissimi colleghi hanno accettato di scrivere i brani riportati di seguito: a loro un grazie anche per questo atto * trabucchi.m@grg-bs.it

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di generosità. Un titolo recente del New York Times recitava così: “Physicians are perfectionists who suffer in silence”… una frase che dice moltissimo e non ha bisogno di commenti. Fortunatamente oggi i medici impegnati negli ospedali covid non si ammalano più, perché la qualità delle protezioni è migliorata in maniera radicale. Ovviamente il ringraziamento di AIP si estende a tutti gli operatori che hanno lavorato con intelligenza e senza alcun risparmio in questi mesi (chi ha seguito le newsletter settimanali e i post su Facebook conosce i nostri sentimenti di ammirazione e di gratitudine); permettetemi inoltre di inviare un pensiero di riconoscenza non solo ai Paesi forti che sono intervenuti in nostro aiuto, ma anche a quelli più deboli, che colpevolmente abbiamo sempre giudicato con sufficienza. Penso, tra gli altri, all’Albania, a Cuba, alla Tunisia… . Un ringraziamento anche all’esercito della Federazione Russa, il cui intervento è stato criticato da qualcuno come rischioso; quando ho visto che i loro soldati sono intervenuti a Brescia per sanificare l’istituto Nikolajewka, ho pensato davvero che la pace deve e può vincere sulle guerre. Una considerazione di contesto riguarda i numeri dell’epidemia. I dati Istat e ISS hanno evidenziato che la mortalità direttamente attribuibile a Covid-19 è stata nel primo trimestre 2020 di circa 13.700 decessi. Esiste però una quota ulteriore di circa altri 11.600 per i quali sono ipotizzabili tre cause di morte: un’ulteriore mortalità da Covid-19 in persone sulle quali non è stato eseguito il tampone, una mortalità indiretta causata da Covid-19 in persone affette da gravi patologie, infine una mortalità attribuibile a difficoltà del sistema ospedaliero o al timore di recarsi in ospedale (la narrativa dei momenti più drammatici riporta che questa evenienza è stata molto frequente). Le discussioni sull’epidemiologia indicano quanta incertezza vi sia ancora intorno a dati che dovrebbero essere indiscutibili; allo stesso tempo, però, indicano che i tentativi di sminuire le dimensioni degli eventi sono privi di fondamento. Alcuni spunti di discussione Non è lo spazio per una revisione della letteratura, ma solo per alcuni accenni sulla realtà. Un primo riguarda la vicenda del Remdesivir e la sua contrastata storia di fallimenti e di successi, inquinata da interferenze politiche e da interessi di parte. Sempre in ambito terapeutico è ancora molto aperta la discussione sull’efficacia terapeutica del plasma di persone ammalate e che hanno conservato un alto tasso anticorpale. Il dibattito coinvolge anche la tematica dell’identificazione degli anticorpi come documentazione di un’avvenuta infezione; infatti non è chiaro se l’alto tasso di IGG e di IGM indichi VIII


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una possibile protezione da ulteriori infezioni, dato molto rilevante nella prospettiva di allentare le attuali restrizioni. L’enorme quantità di finanziamenti dedicati alla ricerca in questo campo rischia di provocare nel prossimo futuro inutili sprechi. La concorrenza spietata tra i colossi mondiali della farmaceutica ha indotto investimenti mostruosi; in questo momento, quindi, una guida, purché non oppressiva, da parte dei sistemi pubblici di ricerca potrebbe essere utile. Bill Gates prevede che si arriverà al vaccino in 12 mesi; sarebbe un risultato bellissimo, purché poi sia messo a disposizione di tutti i paesi e non solo di chi ha lo inventato (vedi gli USA). Un secondo aspetto che ritengo di particolare delicatezza all’inizio della fase due riguarda la trasmissione asintomatica del virus, definita da un editoriale del NEJM del 26 aprile “il tallone d’Achille delle attuali strategie per controllare il Covid-19”. Ogni tentativo per allentare le misure di distanziamento sociale deve prevedere l’esecuzione di controlli anche in persone asintomatiche che operano in aree delicate. Questa ricerca potrebbe rispondere agli interrogativi, sempre più diffusi, sul fatto che il corona virus è “capriccioso” nella sua diffusione. Ad esempio, è stato riportato che in Iran ha ucciso moltissime migliaia di persone, mentre nel vicino Iraq i morti sono stati meno di 100. Un altro esempio particolarmente esplicativo è quello della Repubblica Dominicana, dove si sono contati più di 7600 morti, mentre nella contigua Haiti ne sono stati rilevati solo 85. Ovviamente si sono lette molte e svariate interpretazioni di questo fenomeno, ma nessuna è sembrata soddisfacente (perché Londra, New York, Parigi hanno subito danni enormi, mente New Delhi, Lagos, Bangkok sono state largamente risparmiate, almeno fino a oggi?). Non abbiamo risposte oggi; però ci auguriamo che si possa arrivare presto a dare spiegazione ai tanti fenomeni oscuri che hanno accompagnato l’epidemia. Non mi riferisco ovviamente a qualche farneticazione di scienziati e politici, ma ad osservazioni seriamente comprovate. Incertezze simili a quelle sulla diffusione dell’epidemia riguardano anche l’effetto differente sviluppato dal virus in situazioni apparentemente simili. La sopravvivenza di ultracentenari (in particolare ultracentenarie) non è solo una condizione che richiama l’attenzione dei media; la ragione è da attribuire alle differenze individuali, che giocano un ruolo preponderante? Ma cosa ne sappiamo di queste? All’opposto degli anni, si sa ancora pochissimo di cosa succede a livello biologico nelle persone molto giovani. Un ulteriore interrogativo senza una precisa risposta: la ridotta mortalità che si è ottenuta in questi ultimi tempi (da metà aprile) è attribuibile alle cure farmacologiche o ad altre condizioni, come la possibile perdita IX


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di virulenza da parte del virus. Oggi negli ospedali su tre persone che afferiscono, due vengono rimandati a casa perché si ritiene che vi possano trovare adeguate condizioni di cura, mentre fino a poco tempo fa tutti venivano ricoverati. Non si tratta di una questione secondaria, soprattutto nella prospettiva del futuro: quali saranno i quadri clinici con i quali verremo in contatto in futuro? La pandemia ha già iniziato la fase discendente, come sempre è avvenuto nella storia: perché Covid-19 dovrebbe comportarsi in maniera diversa? In questa veloce revisione di alcuni spunti non mi sono soffermato sugli aspetti etici sollevati dal coronavirus e dalle terapie adottate. Lascio gli eticisti interrogarsi su cosa sarà più opportuno fare, anche perché abbiamo ben chiaro il nostro dovere è di curare sempre, rispettando il bene dei pazienti, anche quando dovessimo operare alcune scelte. Però, siamo dolorosamente sorpresi dalla constatazione di alcuni pensatori, come Houellebecq: “Mai prima d’ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore; che a partire da una certa età (70, 75, 80 anni), è un po’ come fossero già morti”. Ma, mi domando, noi medici abbiamo diffuso messaggi così ambigui? Mi permetto di ricordare che in molte circostanze la malattia dipende anche dalle situazioni generali di vita. Conosciamo, ad esempio, il forte rischio che l’allargamento delle povertà all’interno di popolazioni che non avevano problemi prima della crisi attuale possa indurre un aumento della diffusione della malattia; infatti, la recessione economica dei prossimi mesi potrebbe aumentare il rischio di infezione virale. È stato infatti confermato anche per il Covid-19 il rapporto forte tra condizioni economico-sociali, stato di salute e comparsa di malattia. Ad esempio, durante l’epidemia si sono verificate notevoli differenze nel livello di ospedalizzazione e di mortalità tra i 5 quartieri di New York City. Il più povero, e con una popolazione meno scolarizzata, il Bronx, è stato quello più colpito; Manhattan, al contrario, il quartiere più ricco e prevalentemente bianco, è stato il meno colpito dalle conseguenze cliniche dell’epidemia. Le residenze per anziani Un capitolo specifico dell’impegno AIP per il futuro riguarda le residenze per anziani. Dovremo occuparci seriamente, nel prossimo futuro, di questo settore importantissimo dell’assistenza all’anziano: la crisi ha indicato con chiarezza l’esigenza di progettualità innovative. L’organizzazione attuale dovrà subire notevoli adeguamenti in risposta all’evidente cambiamento avvenuto in questi anni e che il Covid-19 ha messo in luce, provocando un’inedita accelerazione nella richiesta di nuova progettualità. X


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Un aspetto rilevante per il prossimo futuro fa riferimento al ruolo delle residenze nell’ambito complessivo dell’assistenza sanitaria. Regione Lombardia ha recentemente emanato indicazioni sul trattamento farmacologico del Covid-19 e anche altre regioni si sono messe sulla stessa strada. Il fatto è di rilievo, perché autorizza le strutture residenziali alla prescrizione di farmaci che richiedono forte impegno sul piano clinico, sia per la selezione degli ospiti da trattare sulla base di dati oggettivi, sia per la gestione di eventuali effetti collaterali. Questo è solo un atto dettato dalla pressione del momento o rappresenta il riconoscimento di una funzione clinica esercitata dalle residenze per anziani? Sarà necessario discuterne seriamente, uscendo dall’ambiguità di funzioni di fatto, che però non sono formalmente riconosciute. Purtroppo, alcune decisioni pubbliche non sembrano andare nella direzione di un compito esercitato con competenza e sensibilità, ma indicano il perdurare di un’esclusione di fatto; ad esempio l’opportuna decisone della regione Veneto di istituire un fondo integrativo per i lavoratori degli ospedali che hanno affrontato la crisi di questi mesi ha escluso dal provvedimento i dipendenti della rete delle case di riposo. L’atto testimonia che il legislatore considera il settore una realtà a parte, sulla quale non sente il dovere di intervenire. Nel prossimo futuro le residenze dovranno fare i conti con il personale e le sue esigenze. I comportamenti eroici non possono durare per tempi lunghissimi e quindi presto sarà importante rifare i conti non solo rispetto agli standard, che nella gran parte dei casi sono rispettati, ma rispetto alla realistica possibilità di proseguire i servizi, dovendo moltiplicare le equipe (covid e non covid), per dare il giusto riposo a chi ha lavorato più di 12 ore al giorno per intere settimane, dovendo anche sopperire alla fuga di operatori verso l’ospedale. Un ulteriore aspetto che potrebbe rivelarsi critico è la salute psichica degli operatori, dopo lo stress prolungato che hanno subito. Ancora non si discute formalmente di “postcovid syndrom”, ma sarà una condizione da sorvegliare con attenzione per rispetto verso i dipendenti e per le possibili ricadute sull’organizzazione del lavoro. Chi si preoccupa di questa problematica per analizzarla nella specificità delle residenze, ma anche degli ospedali? Sarebbe necessario costruire su questo problema un’alleanza con i centri clinici più qualificati. Oggi si discute sulla possibilità di riaprire le normali attività con l’ingresso di nuovi ospiti. La situazione generale fuori dalle strutture non è chiara; vi è l’esigenza di ricoveri per cittadini anziani in difficoltà, che non trovano adeguate risposte tecniche al domicilio. Questi però sono sotto una pressione duplice e di senso contrario: da una parte l’assistenza a casa, quella poco o tanta che ricevevano prima della crisi, si è ulteriormente XI


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ridotta, per cui aumenta la richiesta di interventi come quelli offerti da una residenza; dall’altra sono ancora molto vivi, particolarmente in alcune zone, le paure e i timori collegati alle notizie sulla pericolosità e sui rischi mortali di un ricovero. Occorre che su questo tema vi sia un chiaro pronunciamento delle autorità; infatti ci si deve interrogare su come e dove verranno collocati i nuovi eventuali ospiti. Sarà certamente necessario fare i tamponi, ma la frequente incertezza dei risultati imporrà la collocazione dei nuovi arrivati in aree separate; come trovare spazi adeguati? Per quanto tempo e come le residenze dovranno preoccuparsi di organizzare il duplice percorso, per ospiti negativi e positivi al virus? Negli ospedali è in corso una vivace discussione sulla collocazione e la realizzazione di settori per i malati covid positivi che affluiranno nei prossimi mesi, affetti dalle più diverse patologie acute e croniche: cosa si progetta per le strutture residenziali? È necessario studiare le possibili soluzioni, partendo dalla fantasia realizzatrice che ha ripreso a caratterizzare molte strutture. Gli ospedali La discussione sull’ospedalocentrismo sarà particolarmente vivace nel prossimo futuro, quando si affronterà il problema principale rispetto al futuro dell’assistenza sanitaria in Italia. Il dibattito tra il modello lombardo e quello veneto sarà molto interessante, anche perché si fonda su una certa omogeneità politica e quindi scevro di tonalità ideologiche, anche se difendere la centralità del territorio, della casa, di una rinnovata medicina di famiglia è di per sé carico di un’ideologia umana molto forte. Si continuerà a programmare fondandosi sui calcoli di programmatori asettici, senza guardare quale sia, e come si definisce, un risultato di salute? Per l’immediato occorrerà riprendere le normali attività cliniche, recuperando un’enorme quantità di lavoro rimandato nei momenti più drammatici. Non sarà facile conciliare i nuovi compiti con la stanchezza del personale, dopo tantissimo lavoro e tensioni. Per il futuro sarà importante definire come e dove collocare gli ospedali Covid, che il ministero della Salute ha stabilità debbano essere uno per ogni milione di abitanti. Non sarà assolutamente una decisione facile, ad esempio, definire come e dove collocare i 10 ospedali previsti per la regione Lombardia. Dovranno essere in grado di affrontare le diverse patologie, quando il Covid-19 sarà associato alle normali malattie che colpiscono le persone di ogni età. Con che personale? Dovrà essere mantenuto un personale dedicato, sottraendolo alle normali attività cliniche negli ospedali non covid? Quale sarà il futuro degli ospedali costruiti in tempi velocissimi dall’equipe di Guido Bertolaso (quelli di Milano e di Civitanova Marche), XII


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ma anche quelli più precari costruiti con l’ausilio di organizzazioni straniere (l’ospedale del Qatar o quello evangelico della Pennsylvania, ad esempio). La comunità Infine, un ricordo per la sofferenza dei nostri concittadini colpiti dalla malattia, per il dolore delle separazioni, per l’angoscia di morti lontane dagli affetti. Sono state scritte pagine poetiche sul trasporto notturno su camion militari delle bare degli anziani di Bergamo. Al di là della metafora della forza dell’esercito al servizio della più profonda debolezza, la visione resterà impressa nella nostra memoria e in quella delle comunità. La malattia ha inaridito le nostre anime? Ha certamente ridotto (o cancellato) gli spazi comuni, le relazioni; saremo in grado di ricostruire con facilità o avremo bisogno di un impegno faticoso, per uscire di nuovo dalle nostre barriere artificiali? Le comunità locali saranno al centro degli interventi nel prossimo futuro, incominciando da un’utilizzazione razionale dei tamponi come strumento preventivo? La telemedicina sarà seriamente implementata per la cura delle malattie croniche, invece di inventare approcci fantasiosi e fallimentari, come è stato fatto in alcune regioni? Pensando al futuro, uno sguardo dovrà anche essere dato all’evoluzione demografica. Il superamento del confine simbolico dei 400.000 nati anno era previsto dall’Istat per il 2032. Sembra invece che già nel 2021 si ridurrà a 396.000: come se la pandemia ci avesse tolto 12 anni di curva demografica. Sarà un danno enorme per il nostro paese, sia a breve, perché vi sarà una sovrabbondanza di servizi, sia a lungo termine, tra 25-30 anni perché non vi sarà la possibilità di recuperare il tempo perduto. Nei prossimi anni avremo meno di 400.000 nascite e 800.000 morti, dei quali circa 100.000 avvenuti nelle residenze. La stessa struttura famigliare subirà anch’essa una crisi drammatica sotto la pressione di questi numeri. Guardando all’immediato, speriamo che il governo provveda rapidamente alla regolarizzazione dei lavoratori in agricoltura; la cosa ci interessa come cittadini che rischiano un forte aumento delle derrate fresche a causa della difficoltà nella raccolta. Ma, ancor più, siamo preoccupati per la regolarizzazione delle badanti, intervento indispensabile per la serenità di molte famiglie che devono curare gli anziani in un tempo di grandi difficoltà, perché i sistemi domiciliari non sono ancora a punto e le residenze per anziani tendono giustamente a opporsi all’ingresso di nuovi ospiti senza avere la certezza di evitare una nuova diffusione del virus. In generale speriamo che i provvedimenti delle autorità permettano di ridurre le restrizioni, e quindi la ripresa − seppure progressiva − della vita XIII


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di relazione. Però, la selezione dell’app per il contact tracing è avvenuta in maniera così incerta da indurre qualche preoccupazione per il futuro. Nessuno ha colto il significato (di burla o di tragica fiducia nel paranormale?) del temine “bending spoons”? Finirà, prima o poi, lo stile di continuare ad affidarsi a dilettanti improvvisati, anche per situazioni drammatiche, che incidono pesantemente sulla vita degli individui? Un grazie, infine Un vivo ringraziamento da parte di tutta l’AIP agli autori di questa pubblicazione che hanno permesso di raccogliere voci davvero significative in ambiti diversi, tutti importanti nel tempo del Covid-19. Questo libro è aperto a integrazioni, correzioni, critiche: vorremmo diventasse un forum di AIP, aperto a coloro che in queste settimane si sono occupati, in particolare, della situazione degli anziani fragili. Personalmente aggiungo un ringraziamento alle centinaia di colleghi che in questi giorni mi hanno chiamato o inviato mail, sia per chiedermi aiuto e consigli, sia − e per me ancora più importante − per aiutarmi a superare l’angoscia di notizie e di atti davvero difficili da accettare. Un ringraziamento del tutto particolare ad Angelo Bianchetti, direttore della medicina interna dell’Istituto Sant’Anna di Brescia, a Roberto Borin, baby pensionato che ha tenuto in piedi (psicologicamente e operativamente) l’ospedale di San Bonifacio nei giorni della disperazione, e a Massimo Calabrò, direttore della geriatria dell’ospedale di Treviso: con le loro telefonate di mattina presto o di sera tardi mi hanno aiutato nella posizione di chi osserva, ricorda, soffre, cerca di pensare. La letteratura clinica ha descritto come “pandemic fatigue” oppure “covid fadigue” la condizione che ha accomunato molti operatori sanitari in queste settimane di pesante e doloroso impegno; un lenimento significativo è stata la vicinanza tra di noi, che anche AIP ha contribuito ad alimentare, con modalità diverse, ma con una presenza sempre viva. Infine, un ringraziamento a Papa Francesco (chissà in quanti l’avranno fatto in questi giorni!) per i suoi messaggi che ci hanno ripetutamente ricordato il grandissimo valore civile, oltre che religioso, dell’impegno a favore delle persone più deboli e della loro cura. Noi, per scelta culturale ma soprattutto professionale, non apparteniamo a chi pensa, come il sindaco di Tubinga in una recente dichiarazione: “Lasciatemelo dire brutalmente; stiamo salvando in Germania persone che sarebbero comunque morte nel giro di sei mesi”.

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