Laura Corbelli, Laura Bonalume (a cura di)
Come posso esserti utile? Ricerca in psicoanalisi e dintorni
Collana i Territori della Psiche diretta da Doriano Fasoli Board Scientifico: Alberto Angelini, Andrea Baldassarro, Nicoletta Bonanome, Marina Breccia, Carla Busato Barbaglio, Nelly Cappelli, Giuseppina Castiglia, Domenico Chianese, Cristiana Cimino, Antonio Di Ciaccia, Roberta Guarnieri, Lucio Russo, Marcello Turno, Adamo Vergine
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© Copyright Alpes Italia srl Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 0639738315 I edizione, 2020
Laura Corbelli, psicologa clinica, psicoanalista della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe) e docente di Psicopatologia evolutiva della Scuola di Specializzazione in psicoterapia ad indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”. Docente del laboratorio ‘Casi Clinici’ dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. Past-President dell’Ordine Psicologi della Repubblica di San Marino (2012-2018). Referente dello sportello “Gioco Responsabile” dell’Ente di Stato dei Giochi della Repubblica di San Marino. Membro di redazione dal 2017 della rivista Ricerca Psicoanalitica. È membro del Centro Ricerca della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe). Laura Bonalume, psicologa, psicoanalista della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe), dottore di ricerca in Psicologia clinica presso Università di Milano Bicocca, dove è anche docente a contratto. Collabora con l’Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica (ARP) e la U.O. Riabilitazione Psichiatrica degli Istituti Clinici Zucchi (Gruppo San Donato, Carate Brianza). È membro eletto del board di ricerca in psicoterapia dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. È membro del Centro Ricerca della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe) e docente di Metodologia della ricerca presso la Scuola di Specializzazione in psicoterapia ad indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”. In copertina: immagine vettoriale di Lisaalisaill da 123RF.
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Indice generale Prefazione di Massimo Fontana........................................................................................ XI Ricerca in psicoanalisi e dintorni: una possibile introduzione di Laura Corbelli, Laura Bonalume ................................................................. XV
Domanda n. 1 Come e quale ricerca in psicoanalisi e psicoterapia psicodinamica? 1. Il rapporto tra clinica e ricerca. L’efficacia dei trattamenti psicoterapeutici: nuove evidenze e sfide metodologiche di Gianluca Lo Coco........................................................................................ 3 2. L’efficacia della psicoterapia psicodinamica per l’età evolutiva di Francesca Locati e Laura Parolin..................................................................
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3. Quattro obiezioni alla psicoanalisi e quattro possibili risposte alla luce della ricerca empirica di Antonello Colli e Giulia Gagliardini.............................................................
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4. Ricerca e psicoanalisi: da un ingaggio politicamente corretto ad uno curioso di Maria Pia Roggero ...................................................................................... 55
Domanda n. 2 A proposito di relazione e soggettività di paziente e analista in psicoanalisi? 5. “Non ci si può mai nascondere dietro il lettino”: La soggettività del terapeuta tra clinica e ricerca di Laura Muzi, Vittorio Lingiardi ................................................................... 73 6. Quando psicoanalisi e ricerca evidence-based si incontrano: la Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP) per i disturbi di personalità di Rossella Di Pierro, Emanuele Preti, Fabio Madeddu...................................... 95
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Come posso esserti utile? - Ricerca in psicoanalisi e dintorni
Domanda n. 3 Psicoanalisi e Formazione? 7. Odi et amo. Atteggiamenti terapeutici e risposte emotive negli psicoterapeuti in formazione presso gli istituti di psicoterapia psicodinamica di AA.VV. Gruppo GSPP................................................................................. 113 8. La ricerca fa bene alla formazione? di Emilio Fava e Silvia Paola Papini................................................................ 143
Domanda n. 4 Esperienze e problemi affini? 9. Come la ricerca ha aiutato la psicoanalisi in Germania di Ingrid Erhardt e Laura Meinardi-Weichhart................................................. 173 10. Supportare empiricamente l’efficacia dei modelli di psicoterapia psicodinamica emergenti o marginalizzati con disegni di ricerca sistematica sul caso singolo: l’esperienza dell’analisi transazionale di Enrico Benelli.............................................................................................. 185
Ringraziamenti............................................................................................. 203
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Note biografiche degli Autori Enrico Benelli è psicologo, psicoterapeuta, Analista Transazionale didatta e supervisore in training (PTSTA-P). Dottore di ricerca in psicologia sociale e della personalità, professore aggiunto di Psicologia Dinamica presso l’Università degli Studi di Padova. Vicepresidente della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Dinamica Integrata del Centro Psicologia Dinamica di Padova. Antonello Colli è psicoanalista, ricercatore, professore associato, settore disciplinare M-PSI/07, Università di Urbino “Carlo Bo”. Dottore di ricerca in Psicologia Dinamica, Sapienza Università di Roma; è interessato a ricerche empiriche sul processo terapeutico, valutazione dell'efficacia delle psicoterapie, della psicoanalisi e delle psicoterapie dinamiche; si interessa di teoria, clinica e ricerca empirica nella relazione terapeutica. Rossella Di Pierro è psicologa, psicoterapeuta, dottore di ricerca in Psicologia clinica presso Università di Milano Bicocca. Attualmente ricercatore a tempo determinato in Psicologia Clinica presso l’Università Milano-Bicocca, socio dell’Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo (IIPG) e del Personality Disorders Lab (PDLab). Psicoterapeuta in training della Transference-Focused Psychotherapy. Membro del International Society for the Study of Personality Disorders (ISSPD) e della International Society of Transference-Focused Psychotherapy (ISTFP). Ingrid Erhardt è psicologa, piscoterapeuta psicoanalitica e musicoterapeuta. Ha studiato a Monaco di Baviera, a Nijmegen, a Padova. Ha svolto il dottorato (PhD) in Psicologia clinica presso l’Università di Monaco di Baviera e condotto ricerche sul processo in terapia psicodinamica in collaborazione con la Harvard Medical School a Boston, gli ospedali dell’università LMU, gli ospedali dell’Università TUM di Monaco e l’università di Kassel. Lavora nel suo studio privato (con adulti, bambini, adolescenti, coppie e famiglie) ed è docente in tre istituti psicoanalitici di Monaco. Emilio Fava è psichiatra e psicoterapeuta, è professore a contratto di Psicopatologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. È stato Direttore della Clinica Psichiatrica Universitaria S.C. Psichiatria 4 dell’A.O. Niguarda a Milano. Tra i fondatori della SPRItalia è stato direttore scientifico di “Ricerca in Psicoterapia” ed è coeditor di “Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome”. Massimo Fontana è medico, specialista in Psicologia Clinica, psicoanalista SIPRe. Si occupa principalmente di psicoterapia, disturbi della personalità, depressione, stress e fobie. Direttore della sede di Roma della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”, dove ricopre anche il ruolo di Docente di Psicopatologia, Diagnostica Clinica, Psicofarmacologia, nelle sedi di Roma e Milano e di Psicopatologia Evolutiva nella sede di Parma. Membro e supervisore dell’International Federation of Psychoanalytic Societies.
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Come posso esserti utile? - Ricerca in psicoanalisi e dintorni Giulia Gagliardini è psicologa, dottoranda di ricerca in studi umanistici, cultrice della materia per i corsi di laurea di Teoria e tecniche del colloquio (CdL Scienze e tecniche psicologiche) e Psicologia Dinamica II (CdL psicologia clinica) presso l’Università di Urbino “Carlo Bo”, vincitrice del premio 2015 Small Research Grant della Society for Psychotherapy Research (SPR) con il lavoro “Mentalization and personality: an empirical investigation”, i suoi interessi si rivolgono alle tematiche di mentalizzazione e funzione riflessiva. Vittorio Lingiardi è psichiatra, psicoanalista, professore ordinario di psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Università Sapienza di Roma. È psicologo analista con funzione di training presso il Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA) e socio analista della International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapy (IARPP). Autore di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali, è stato di recente coordinatore scientifico, insieme a Nancy McWilliams, della nuova edizione dello Psychodinamic Diagnostic Manual (PDM-2, 2017). Francesca Locati è psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva. Dottore di ricerca in Psicologia Dinamica e Clinica, conseguito presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, dove è assegnista di ricerca e docente a contratto di Valutazione diagnostica in età evolutiva e Valutazione e intervento in psicopatologia dello sviluppo. Psicologa e psicodiagnosta forense e Ausiliario del Giudice presso il Tribunale Ordinario e il Tribunale per i Minorenni di Milano. Gianluca Lo Coco è psicologo, psicoterapeuta, professore ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università di Palermo. È Presidente SPR-Italia (Society for Psychotherapy Research). Si occupa di criteri di scientificità e di validità epistemologica della psicologia clinica e della psicoterapia ad orientamento psicodinamico. Ha partecipato, come componente delle unità di ricerca, al progetto sulla psicologia delle criminalità organizzate nel meridione. Fabio Madeddu è psichiatra, psicoanalista, professore ordinario di Psicologia clinica presso l’Università Milano-Bicocca. È analista con funzione di training presso il Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA), affiliato all’International Association for Analytical Psychology (IAAP) e fellow dell’American Academy of Psychoanalysis and Dynamic Psychiatry. È socio fondatore del Personality Disorder Lab (PDLab) e membro dell’International Society of Transference-Focused Psychotherapy (ISTFP). Laura Meinardi-Weichhart è psicologa. Dopo aver lavorato per molti anni come infermiera pediatrica con genitori e bambini ed essersi interessata al tema dell’attaccamento, ha studiato psicologia presso l’università di Innsbruck (Austria) e Monaco (Germania), dove al momento lavora e svolge attività di docente. Attualmente lavora anche come libero professionista, svolge ricerca sull’interazione genitori-bambini nei gruppi ad alto rischio e offre corsi di formazione per personale nell’ambito scolastico e nel sociale. Laura Muzi è psicologa, dottore e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Sapienza Università di Roma, presso il quale collabora all’attività didattica della cattedra di Psicopatologia: Valutazione Clinica e Diagnosi. Allieva della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo Psicoanalisi della Relazione (SIPRe).
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Note biografiche degli Autori Silvia Paola Papini è psicoterapeuta e psicoanalista SIPRe, socia SIPRe, socia del Gruppo Zoe, lavora come libero professionista. È membro di redazione della rivista “Ricerca Psicoanalitica”, trainer OPD-2. Laura Parolin è psicologa e psicoterapeuta. Professore associato presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca dove insegna Psicodiagnostica Clinica. Segretario dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Padova. Da anni collabora con l’Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica (ARP) di Milano di cui è membro Associato. Si occupa di ricerca sui test di personalità e di studi sul processo ed esito delle psicoterapie. È autrice di numerosi contributi scientifici nazionali e internazionali, principalmente sul tema della valutazione diagnostica e della ricerca in psicoterapia. Emanuele Preti è psicologo e psicoterapeuta, dottore di ricerca in Psicologia clinica presso Università di Milano Bicocca, dove è ricercatore a tempo determinato in Psicologia Clinica. Psicoterapeuta certificato di Transference-Focused Psychotherapy (TFP) e sociofondatore del Personality Disorders Lab (PDLab). Membro del European Society for the Study of Personality Disorders (ESSPD) e della International Society of Transference-Focused Psychotherapy (ISTFP). Maria Pia Roggero è psicologa, psicoanalista della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe). Membro dell’International Federation of Psychoanalytic Societies, membro dell’International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapy. Collabora attivamente con IPMH Umass-Boston (Infant-Parent Mental Healt). Docente della Scuola di Specializzazione in psicoterapia ad indirizzo “Psicoanalisi della Relazione” e supervisore. Responsabile del Centro Ricerca della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione (SIPRe). Il Gruppo delle Scuole di Psicoterapia Psicoanalitica (GSPP), nato nel 2010, è frutto di un incontro e confronto spontanei tra esponenti di diverse scuole di specializzazione in psicoterapia psicoanalitica. Le istituzioni che ne fanno parte sono: AIPPI; Area G; Coirag; Il Minotauro; IIPG; SIPRe Milano, Parma, Roma; SPP Adulti Milano, Torino; SPP Evolutiva Milano, Torino; Associazione Paolo Saccani; Ruolo Terapeutico. Nel 2016, in occasione del primo progetto di ricerca promosso dal gruppo, si è formato un sottogruppo di ricercatori, afferenti delle diverse scuole, composto da Laura Bonalume, Daniela Brambilla, Chiara Gnesi, Mauro Di Lorenzo, Rossella Di Pierro, Chiara Marabelli, Daniela Marzana, Chiara Suttora. Alla stesura del capitolo presente nel libro hanno contribuito: Daniela Brambilla, Mauro Di Lorenzo, Chiara Marabelli, Chiara Suttora.
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A Michele (1935-2020), in continua ricerca
Prefazione di Massimo Fontana
Solitamente, i clinici di ambito psicodinamico non sono molto interessati alla ricerca, soprattutto quando si parla di studi sull’efficacia della psicoterapia. Certamente molte cose sono cambiate rispetto al passato, quando prevaleva il disinteresse per la ricerca tout court, ai tempi in cui la psicoanalisi tendeva a rimanere chiusa nelle sue teorie e nei suoi linguaggi idiosincratici, considerando la sperimentazione in campo psicoanalitico come impossibile, non necessaria o irrilevante (Shedler, 2002). A livello di maggiore diffusione delle conoscenze, un punto di svolta è avvenuto con la pubblicazione del libro di Stern Il mondo interpersonale del bambino (1985), con l’enorme successo riscontrato e il conseguente ingresso dell’infant research nelle biblioteche dei clinici. Alle spalle vi era stata l’emancipazione dal modello pulsionale e il progressivo passaggio alle teorie che in maniera più o meno esplicita mettevano la relazione al centro del paradigma teorico di riferimento. Il lavoro sperimentale di Sander (2007) sullo sviluppo infantile, iniziato negli anni ’60 e proseguito con l’istituzione di gruppi di ricerca come il BCPSG (Boston Change Process Study Group), ha parallelamente fornito le basi empiriche per la comprensione dell’interazione bambino-caregiver e dei sistemi diadici in generale. Oltre a Sander e Stern, nomi come quello di Beebe e Lachman, Lyons-Ruth, Tronik e altri ancora sono diventati familiari per gli psicoterapeuti, favorendo una conoscenza dello sviluppo infantile e del processo clinico maggiormente basata sulla ricerca, piuttosto che sulle teorie costruite nelle stanze d’analisi (come si può leggere nel capitolo di Locati e Parolin, in questo volume). Tuttavia, la ricerca empirica sulla pratica terapeutica tende a suscitare ancora perplessità e diffidenza in molti clinici psicodinamici riguardo alla sua utilità e al beneficio che ne può derivare per il lavoro sul campo, fatto di relazioni umane uniche e irripetibili. Uno dei motivi di questa diffidenza è legato all’idea che parlare di ricerca sui risultati della psicoterapia coincida con la metodologia RCT (Randomized Controlled Trial), nota per il suo impiego nella sperimentazione dei farmaci; tale metodologia serve per dimostrare se un determinato trattamento è efficace per una determinata patologia, in confronto a “nessun trattamento” o a un trattamento alternativo. Viene condotta in condizioni controllate (e, dunque, “in laboratorio”), valutando specifiche variabili selezionate e isolate dal contesto: il trattamento (un farmaco o, nel nostro caso, una procedura psicoterapeutiXI
Come posso esserti utile? - Ricerca in psicoanalisi e dintorni
ca manualizzata) e le caratteristiche distintive della patologia (i parametri clinici o i sintomi psicopatologici). Tipicamente, le persone (il terapeuta e il paziente) rimangono fuori dal campo di osservazione. Questa idea, insieme alla vulgata secondo la quale sarebbero altre le terapie supportate empiricamente (specificamente, le terapie cognitivo-comportamentali) (Shedler, 2010), basta a spiegare la repulsione verso tale materia e verso lo studio e l’approfondimento di articoli scientifici e pubblicazioni che in vario modo trattano dell’argomento. In realtà, il mondo della ricerca in psicoterapia è molto più complesso e articolato di ciò che emerge da opinioni superficiali come quelle appena accennate (si veda il capitolo di Colli e Gagliardini). È soprattutto in questo che, a parere di chi scrive, risiede l’utilità del presente volume, per l’insieme di contributi che, da vari punti di vista, illustrano i diversi aspetti della materia, mettendo il lettore in condizione di apprenderne le nozioni e i principi fondamentali e di orientarsi fra le diverse metodologie e risultati che possono fornire conoscenze preziose per la qualità del lavoro clinico. La prima cosa da tener presente è che non è vero che vi sia dimostrazione di una maggiore efficacia di altre forme di psicoterapia, rispetto a quelle di tipo psicoanalitico, come Jonathan Shedler ha chiaramente esposto nel sopra citato e noto articolo del 2010 dal titolo “L’efficacia della terapia psicodinamica” (pubblicato su Psicoterapia e scienze umane, in contemporanea all’edizione americana): le meta-analisi delle ricerche pubblicate dimostrano che l’efficacia della terapia psicoanalitica è paragonabile e, in alcuni casi, superiore ad altre forme di intervento comunemente propagandate come le uniche evidence based. Anche la psicoanalisi si è ampiamente cimentata con la costruzione di protocolli manualizzati per specifiche patologie, necessari per la ricerca sull’efficacia del trattamento. Basti pensare alla Terapia Focalizzata sul Transfert di Kernberg e colleghi (che in questo volume è oggetto del capitolo a firma di Di Pierro, Preti e Madeddu) e alla Terapia Basata sulla Mentalizzazione di Bateman e Fonagy, che fanno parte dei trattamenti manualizzati cosiddetti “gold standard” per i disturbi gravi di personalità. Sebbene i protocolli manualizzati siano di scarso interesse per il clinico, la loro validazione sperimentale può comunque fornire indicazioni e dati utili sull’appropriatezza di alcune tecniche o comportamenti nel lavoro con determinati tipi di pazienti o quadri sindromici. È vero che la loro validità non può essere automaticamente estesa alla pratica sul campo, fatta di relazioni umane in cui incidono massivamente le caratteristiche personali dei partecipanti; ma è anche vero che in psicoanalisi si parla da sempre di implicazioni terapeutiche della diagnosi, come in anni più recenti testimoniato dai contributi di Nancy McWilliams e dalle due edizioni del PDM.
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Prefazione
La cosa fondamentale è che ricerca, in psicoterapia, non significa unicamente RCT. Oltre, ovviamente, agli studi sul processo terapeutico già noti ai più (soprattutto attraverso i contributi del BCPSG e di Beebe e Lachman [2002]), si sta affermando sempre più una ricerca basata sulla pratica clinica, che segue una logica opposta a quella dei RCT i quali, come nel caso della sperimentazione sui farmaci, hanno l’obiettivo di rendere possibile invece, una pratica clinica basata sulla ricerca. Il limite dell’evidence based practice, come si accennava sopra, è che non può essere esportata direttamente sul campo, perché non è possibile applicare un protocollo di intervento senza tenere conto del contesto relazionale. A tale proposito, grande interesse ha suscitato nel 2004 un articolo di Westen e colleghi sullo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente (pubblicato anch’esso in Italia su Psicoterapia e scienze umane e poi nella prima edizione del PDM), dove si critica l’assunto in base al quale i Randomized Controlled Trial rappresenterebbero il meglio della ricerca sulle prove di efficacia. In questo lavoro gli autori evidenziano la debolezza di tale asserzione, considerato che questi disegni di ricerca devono necessariamente tenere fuori dal campo di studio le caratteristiche personali del terapeuta, del paziente e della relazione fra essi; tutte variabili che, come ogni clinico (e ogni paziente) sa, hanno una grande incidenza sul processo e sui risultati della psicoterapia. Un’incidenza ampiamente studiata a livello empirico, come si può leggere in diversi capitoli del presente volume. Le caratteristiche del terapeuta (capitolo di Muzi e Lingiardi), con i suoi pattern di attaccamento, la sua capacità riflessiva e le sue caratteristiche di personalità, risultano fondamentali per la capacità di comprendere o meno e di gestire determinate situazioni cliniche e tipologie di pazienti (in termini di diagnosi e livello di gravità). Delle caratteristiche del paziente (personalità, cultura di appartenenza) è necessario tenere conto per comprendere il disturbo che, avulso dal suo contesto, difficilmente potrà essere curato. La qualità della relazione terapeutica è poi l’ambito su cui maggiormente si concentra l’interesse, risultando quello al quale più probabilmente appartengono quei “fattori comuni” alle diverse terapie, che sostengono il famoso “verdetto di Dodo” (“Tutti hanno vinto e tutti meritano un premio”). Da quanto sopra esposto deriva la necessità di affiancare (e non sostituire) una ricerca basata sulla pratica clinica sul campo ad una ricerca che indaga gli effetti delle specifiche tecniche di intervento. I capitoli a firma di Lo Coco, Roggero e Benelli, Erhardt e Meinardi-Weichhart, sebbene con obiettivi diversi, accompagnano il lettore in questo mondo, permettendogli di scoprire le diverse filosofie di ricerca e i disegni sperimentali che, come quello sul caso singolo, se condotti con sufficiente rigore metodologico risultano scientificamente validi, favorendo un dialogo fra clinica e ricerca.
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Come posso esserti utile? - Ricerca in psicoanalisi e dintorni
Per lo psicoterapeuta clinico avvicinarsi al mondo della ricerca può comportare lo sforzo, spesso non gradevole, di familiarizzare con concetti e termini avulsi dal proprio contesto di provenienza: RCT (Randomized Controlled Trial), EBP (Evidence Based Practice), EST (Empirically Supported Treatments), SCED (Single Case Experimental Design) e altri acronimi come questi sono relativi a metodologie e pratiche difficili da comprendere e tenere a mente per chi non fa della ricerca il proprio mestiere. Tuttavia, acquisire e accrescere le proprie conoscenze in questo campo può risultare utile proprio nel lavoro clinico (si vedano i capitoli di Fava e Papini e del gruppo GSPP). Non tanto perché, in un’ottica competitiva fra le psicoterapie, le evidenze empiriche ci possano indicare quali siano gli approcci e le tecniche più efficaci per determinati disturbi (ad es., Terapia Focalizzata sul Transfert vs. Terapia Dialettico-Comportamentale). Ma perché il corpus di evidenze che via via si rende disponibile può arricchire significativamente il bagaglio di conoscenze che ci guida nella pratica clinica quotidiana. Gli anni di formazione, lo studio, l’analisi personale, la supervisione, l’esperienza di lavoro e il confronto continuo con i colleghi, infatti, contribuiscono allo sviluppo di atteggiamenti, scelte e tipi di intervento ritenuti validi sulla base dell’esperienza condivisa, sedimentata in anni di pratica e di letteratura psicoanalitica. Una riprova empirica della loro validità (e in quali circostanze) o una loro messa in discussione, non può che affinare l’abilità terapeutica, senza che ciò necessariamente comporti l’adozione di alcun protocollo o manuale d’intervento.
Bibliografia Beebe, B., e Lachmann, F. (2002). Infant research e trattamento degli adulti: un modello sistemico-diadico delle interazioni. Tr. it. Cortina, Milano, 2003. Sander, L.W. (2007). Sistemi viventi. Cortina, Milano. Shedler, J. (2002). Un nuovo linguaggio per la diagnosi psicoanalitica. Tr. it. in J. Shedler, D. Westen, e V. Lingiardi, (a cura di) (2014), La valutazione della personalità con la SWAP-200. Nuova edizione, Cortina, Milano. Shedler, J. (2010). “L’efficacia della terapia psicodinamica”. Tr. it. Psicoterapia e scienze umane, XLIV, 1, pp. 9-34. Stern, D.N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1987. Westen, D., Novotny, C. M., e Thompson-Brenner, H. (2004). “Lo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente: assunti, risultati e pubblicazione delle ricerche”. Tr. it. Psicoterapia e scienze umane, 2005, XXXIX, 1, pp. 7-90.
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Ricerca in psicoanalisi e dintorni: una possibile introduzione
di Laura Corbelli e Laura Bonalume
Ricerca e Psicoanalisi: amici nemici? Parlare di ricerca in psicoanalisi è tanto attuale e necessario quanto paradossalmente scomodo e difficile. Questa duplice veste, che implica quindi uno slittamento tra positivo e negativo, dipende da molti fattori che, se volessimo fornire un’immagine immediata, si disporrebbero come una ragnatela, al cui centro però si trovano non uno, ma due nodi fondamentali: i luoghi comuni e gli psicoanalisti (o in senso più allargato, i terapeuti). Come il ragno, anche chi ha lunghi capelli sa che i nodi sono inevitabili, rappresentativi in fin dei conti della lunghezza stessa dei capelli. Tuttavia, prima o poi passano dal pettine e, per quanto delicatamente trattati, dolgono. Nessun nodo può essere eliminato veramente; rimuoverli realmente significherebbe tagliare le ciocche. Ciò che invece si può fare è trovarli, trattarli, trasformarli. Dai nodi partono poi tanti intrecci, che si arrotolano e che contribuiscono alla struttura stessa; a seconda della prospettiva da cui li si guarda, essi sono il fondamento della questione (ragnatela) oppure il problema (capelli). Perchè i luoghi comuni e gli psicoanalisti sono “nodi”? Lo psicoanalista gode, a parere di chi scrive, di un oggetto di lavoro meraviglioso: l’uomo. Occupandosene sotto tutte le sue sfaccettature, oltre a lavorare, incontra, apprende e si trasforma. Questo privilegio richiede, però, anni faticosi di studi, continui aggiornamenti, analisi personale, supervisione, relazioni impegnative e complesse, lavorio emotivo, tutti aspetti che costruiscono e definiscono il terapeuta stesso come soggetto. Questa soggettività sembra conciliarsi male con l’idea più comune di ricerca che, nell’immaginario diffuso, riguarda, invece, lo studio asettico di un oggetto, quale un pilucco sul vetrino. La complessità, di cui si accennava un attimo fa, pare impossibile da “vetrinizzare” o da rendere pilucco e si crede andrà perdendosi in modo irrecuperabile in un sistema scarno di parole e di soggettività. Ancora, la tradizione psicoanalitica e in generale la consuetudine in campo clinico, psicoterapeutico e psicopatologico ad utilizzare la descrizione del paziente (caso singolo) e del lavoro fatto con lui, allo scopo di comprendere, presentare e descrivere meglio la sua sofferenza, ha ingenerato anche l’idea che la ricerca, generalizzando e standardizzando, non possa XV
Come posso esserti utile? - Ricerca in psicoanalisi e dintorni
cogliere certe sfumature e tantomeno i suoi risultati non debbano/possano aiutare a far clinica. Se queste prese di posizione spesso sono tacciate di “narcisismo”, ora da una parte, ora da un’altra, Nancy McWilliams (2013) sostiene, invece, che ricercatori e psicoanalisti, o più generalmente terapeuti, fatichino a dialogare tra loro perché hanno temperamenti e modi di funzionare differenti: gli accademici si approccerebbero ai problemi con un’ermenutica del dubbio, mentre gli analisti con quella della curiosità. Avete mai notato lo stile cognitivo con cui molti ricercatori si focalizzano sui dettagli della loro ricerca? Non è forse vero che tanti psicoanalisti, invece, hanno un stile impressionistico quando parlano dei loro casi? Secondo McWilliams (2013), se un accademico spesso punta alla genialità con cui scoprire cose nuove e/o criticare quelle già proposte, lo psicoanalista mira, invece, alla saggezza, che gli permette di sintetizzare e integrare ciò che già è stato detto o scritto. Stiamo parlando forse di luoghi comuni, ma è possibile che molti di noi in questo momento stiano ricordando lo stupore freudiano nell’affermare di non capacitarsi come “le storie cliniche che scrivo si leggano come novelle e siano per così dire prive dell'impronta severa della scientificità” (Freud, 1927, p. 422). Altri penseranno anche che per lo stesso Freud psicoanalisi e ricerca coincidono e che tutto ciò che serve è insito nella pratica analitica, compresa la possibilità di falsificazione e validazione di un’ipotesi (ibidem, 1927). Rimandando gli approfondimenti ad alcuni capitoli presenti nel libro, teniamo però presente quanto sia singolare che di fatto queste questioni fossero già attuali alla nascita della psicoanalisi! Non secondario poi in tutta questa discussione è il tipo di strumenti utilizzati in ricerca, quali registratori, questionari e telecamere, che vengono vissuti come veri e propri intrusi in un rapporto tanto intimo e personale (Perron, 2002). Certamente ogni ricerca si deve accomodare al suo oggetto, ma in questo sistema così complesso, selezionare un oggetto tra tanti pare spesso agli psicoanalisti come perdere qualcosa, nel bisogno contrario che tutto sia colto. Un’ultima considerazione riguarda il modo in cui spesso è stato vissuto il rapporto con altri indirizzi psicoterapeutici, che, invece, partendo da origini e domande differenti, hanno dal principio utilizzato la ricerca a sostegno dei propri risultati. Sebbene per diverso tempo la psicoanalisi abbia goduto di una posizione gradevolmente elitaria, almeno all’interno del panorama psicodinamico, per cui non si discuteva più che tanto sulla sua possibile efficacia, l’aumento di pubblicazioni e le politiche basate “sull’evidence based”, soprattutto da parte di indirizzi symptom-behavior oriented, hanno fatto scricchiolare questo status, inducendo un bisogno crescente di prove e di documenti, a cui gli psicoanalisti non erano preparati. Il confronto con l’efficacia dimostrata di altri orientamenti ha alimentato e contribuito a diffondere l’idea che la psicoanalisi non lo fosse, sebbene diversi
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Ricerca in Psicoanalisi e dintorni: una possibile introduzione
studi (come ad esempio quello trentennale presso la Menninger Clinic guidato anche da Kernberg) affermassero un’altra verità. Pare quindi vero un detto che spesso alcuni avvocati utilizzano e cioè che il peggior nemico del proprio cliente è il cliente stesso, quando dovrebbe essere il proprio migliore amico.
Come si studia la psicoanalisi? Qualcosa a proposito della storia «La psicoanalisi rappresenta ancora la visione della mente più coerente e soddisfacente dal punto di vista intellettuale» (Kandel, 1999 p. 505)
Nel 1958, un famoso convegno di epistemologi e filosofi svoltosi a New York concluse i lavori con la valutazione di non scientificità, non probatur, della psicoanalisi, i cui assunti furono definiti troppo generici e metaforici da poter essere sottoposti a procedura di verifica. Popper (1963) qualificò la psicoanalisi come “cattiva scienza” o “pseudoscienza” in quanto forma di sapere “infalsificabile”. Negli anni Ottanta, Grünbaum (1984) definì addirittura la psicoanalisi una “scienza malata”, “bisognosa di cure”. Mitchell stesso ironizzò sul ritardo della ricerca in psicoanalisi e della reticenza degli psicoanalisti nella ricerca, inventando la sindrome di Grünbaum, i cui sintomi sarebbero “sofferenza e senso di colpa per non essersi occupati di ricerca in psicoanalisi. Ci possono essere crisi in cui si tenta disperatamente di ricordare come funziona l’analisi della varianza, spingendosi a volte a tirare giù dallo scaffale un manuale di statistica vecchio di trent’anni, per rimetterlo immediatamente a posto. Altri sintomi sono disturbi del sonno e scarsa concentrazione nel lavoro” (Mitchell,1997, pp. 181-182). Certamente i presupposti non erano dei migliori e in particolare in Europa si creò una contrapposizione tra una psicoanalisi molto distante dall’area scientifica di matrice francofona e kleiniana (Perron, 2002) e quella tedesca e anglofona, che sviluppò sempre più approcci e metodi di ricerca empirica (Fonagy, 2002). Rapaport (1959), pur rivendicando per la psicoanalisi la validità dell’approccio storico-clinico, ribadì la necessità di considerare la psicoanalisi una scienza “nomotetica” e perciò stesso vincolata ad osservazioni empiriche controllate. In effetti, se si considera l’aspetto più strettamente terapeutico della psicoanalisi, elargito da professionisti che, essendo tali, si fanno pagare, è difficile non considerare necessaria la diffusione di certi criteri di garanzia ai quali i pazienti dovrebbero riferirsi per orientarsi nella scelta delle psicoterapie. In più, data l’aumentata richiesta di rendere “evidenXVII
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ti” i rapporti costi-benefici da parte di amministrazioni pubbliche e enti assicurativi, nel bisogno di fornire la soluzione più adeguata e quindi nel retribuire il professionista più utile, la psicoanalisi si è trovata nella necessità di dimostrare continuamente su diversi fronti la sua efficacia. Un esempio concreto a questo proposito è fornito da Ingrid Erhard e Laura Meinardi-Weichhart, che nel loro capitolo spiegano il ruolo che la ricerca ha avuto in Germania nel permettere alla psicoanalisi di essere riconosciuta dal sistema sanitario nazionale. Le richieste dei sistemi sanitari hanno necessariamente stimolato diverse riflessioni sia su cosa significhi efficacia per la psicoanalisi sia su che tipo di ricerca fosse adeguato. Dal momento che la ricerca è da intendersi come un processo, piuttosto che un dato acquisito e, che la natura dell’oggetto psicoanalitico e della psicoanalisi stessa, come anticipato nel paragrafo precedente, sono di grande complessità, le sfaccettature della questione aumentano. In questo senso, da un lato, una nota posizione è stata quella di chi riteneva preferibile considerare la psicoanalisi una disciplina “ermeneutica”, governata cioè da canoni specifici per l’indagine e la “manipolazione” dei significati soggettivi. In effetti, questo tipo di opzione ben si attaglia alle considerazioni di quei clinici che ritengono che il processo clinico è di importanza superiore rispetto alla costituzione di un impianto metapsicologico da sottoporre poi a verifica (Modell, 1990). Dall’altro lato, invece, come sostenuto da Eagle (1999), sarebbe inopportuno abbandonare del tutto l’antica esigenza freudiana di trovare una teoria del funzionamento psichico in favore di una indagine tutta centrata sul processo clinico e terapeutico. Cosa si chiede, quindi, la psicoanalisi e cosa si chiede alla psicoanalisi di fronte alla parola ricerca? Ricerca in psicoanalisi o ricerca sulla psicoanalisi? Ricerca qualitativa o quantitativa o concettuale? Ricerca sull’efficacy di studi randomizzati e manualizzati? Ricerca di effectiveness, ossia secondo la pratica as usual dello psicoanalista? Wallerstein (2001) divide la storia della ricerca in psicoterapia in quattro grandi generazioni, caratterizzate da obiettivi e da metodi differenti. Se la prima generazione di ricercatori è stata più grossolana e meno attrezzata per affrontare gli “oggetti” psicoanalitici, la seconda si è dimostrata già più in grado di perfezionarsi, arrivando a dimostrare che la psicoanalisi producesse cambiamenti, senza capire però quali fossero nè la loro durata. Gli studi di terza generazione cercarono di combinare gli studi sui gruppi con quelli sul caso singolo per comprendere a pieno l’outcome, quindi la stabilità del cambiamento e la sua portata strutturale (il Menninger Clinic rientra in questi). Infine, quelli di quarta generazione si sono maggiormente focalizzati sui fattori che producano il cambiamento, interrogandosi su come poter unire gli studi sul processo con quelli sull’outcome per ottenere queste risposte.
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La storia della ricerca in psicoterapia, come ben illustrato da Lo Coco nel suo capitolo, ci dice chiaramente che la relazione è il predittore più robusto dell’esito dei trattamenti in tutte le forme di psicoterapia, tanto che gli studi sui fattori relazionali e sull’alleanza terapeutica sono stati per almeno vent’anni l’ambito più prolifico della process research (Norcross e Wampold, 2019). A questo proposito, negli ultimi decenni, la psicoanalisi esce rinforzata riguardo alla sua scientificità proprio dalla transizione avvenuta da un modello pulsionale e monopersonale a uno relazionale, che trae spunto a livello teorico da approcci complessi e costruttivisti. Il confronto con la teoria dell’attaccamento, classica e moderna, con il filone di studi riconducibili alla infant research, con i dati delle neuroscienze affettive e la loro conferma di certi dispositivi centrali della psicoanalisi sono elementi che permettono oggi alla psicoanalisi una transizione non certo facile, ma possibile, da una scientificità costruita sulle palafitte ad una che non consiste solo nelle verifiche sperimentali, ma anche nella condivisibilità dei presupposti e nel raffronto intersoggettivo con le altre forme di sapere: “un sapere condiviso è già un sapere convalidato” (De Robertis, 2009). Si tenga conto, in effetti, che ancora oggi una argomentazione che spesso ricorre nel dibattito sui rapporti tra psicoanalisi clinica e ricerca empirica riguarda l’annosa questione circa la collocazione della psicoanalisi fra le “scienze storiche” o fra quelle “naturali”. Roggero, Colli e Gagliardini, a questo proposito, approfondiranno in modo molto “curioso” la questione epistemologica in psicoanalisi nei capitoli che hanno scritto per questo libro. Ma tornando al ruolo della relazione, o forse meglio dire interazione, il passaggio da una psicoanalisi pulsionale a una relazionale orienta forse la ricerca in psicoanalisi verso l’analisi della relazione terapeutica? È forse questa la “via di mezzo” di cui parla Varela (1985) quando descrive una contrapposizione tra un oggettivismo sfrenato e un solipsismo che nega la possibilità di relazioni? Secondo Varela (1985), la scientificità starebbe infatti nell’interazione tra l’osservatore e osservato. È forse recuperando la soggettività di paziente e analista, come approfondiranno Muzi e Lingiardi in questo testo, che possiamo ritrovare la specificità dell’efficacia della psicoanalisi? E riguardo agli strumenti e alla metodologia, possiamo pensare che lo studio del caso singolo sia il metodo migliore per la psicoanalisi di oggi o che invece occorra trovare vie differenti, come propone anche Benelli nel suo capitolo? Se tutte le terapie funzionano, come dimostrò il paradosso dell’equivalenza del verdetto di Dodo già negli anni ’70, se la relazione tra terapeuta e paziente predice l’esito delle terapie, perchè dovremmo affidarci a una ricerca che studia gli ingredienti specifici empiricamente supportati o per meglio dire efficaci? È ovvio in aggiunta che la ricerca sia un tema così caldo anche per la sua grande portata in termini di conseguenze. Essa modifica il modo stesso
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di fare psicoanalisi e questo spesso spaventa, sebbene sia sotto gli occhi di tutti, poiché la posizione dei clinici è spesso esattamente opposta; si pensi ad esempio a quanto l’infant research o gli studi sull’attaccamento abbiamo prodotto cambiamenti negli stessi impianti teorici e nei metodi. A questo proposito, Locati e Parolin ci spiegano nel loro capitolo l’impatto di questo ambito di ricerca sullo studio dell’efficacia della psicoterapia evolutiva psicodinamica. Ultimo aspetto, ma non meno importante, è l’effetto della ricerca sulla e nella formazione dei futuri psicoanalisti, come argomenteranno Fava e Papini e il Gruppo GSPP in questo testo. Tricoli (2018) e Kernberg (2018), del cui modello si parla nel capitolo di Di Pierro, Preti e Madeddu, evidenziano una cosa implicita, ma a tutti nota: per ragioni storiche e istituzionali gli istituti psicoanalitici di training sono orientati a formare psicoanalisti clinici e tendono a enfatizzare la trasmissione della teoria e della tecnica come viene praticata nel centro di appartenenza. Questo può favorire un’atmosfera di conformismo, che limita un atteggiamento curioso di ricerca. Allora occorre recuperare quelli che Kernberg sottolinea essere i motivi prioritari del far ricerca in psicoanalisi: 1. il bisogno di rivalutarsi sul piano scientifico e di far progredire la propria conoscenza; 2. la responsabilità sociale nel rassicurare il pubblico sulla propria efficacia e delle psicoterapie psicoanalitiche e di dimostrare ai suoi pazienti lo sforzo crescente di aumentare la portata e l’efficacia di questi trattamenti; 3. la necessità di aprire le proprie porte e ampliare i rapporti professionali e scientifici con discipline affini e con il mondo accademico.
Lasciamoci “perturbare”, come afferma Fava (2016), dagli spunti di ricerca di questo testo.
Riguardo al libro Dato il numero di interrogativi che rimane aperto, ciò che ci si è proposte in questo libro è andare a caccia di qualche risposta da chi si occupa direttamente di ricerca. Nei paragrafi sopra, abbiamo sinteticamente accennato ai contenuti dei capitoli che il lettore troverà nel testo. Più specificatamente i capitoli si organizzano intorno a quattro domande: 1. Come e quale ricerca in psicoanalisi e psicoterapia psicodinamica? Lo chiediamo a Lo Coco, Colli e Gagliardini, Roggero, Parolin e Locati. XX
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2. A proposito di relazione e soggettività di paziente e analista in psicoanalisi? Lo chiediamo a Di Pierro, Preti e Madeddu e a Muzi e Lingiardi. 3. Psicoanalisi e Formazione? Lo chiediamo a Fava e Papini e ai colleghi del Gruppo GSPP. 4. Esperienze e problemi affini? Lo chiediamo a Benelli e a Ingrid Erhardt e Laura Meinardi-Weichhart.
Bibliografia Fava, E. e Gruppo ZOE (2016). La competenza a curare. Il contributo della ricerca empirica. Milano-Udine: Mimesis. Fonagy, P. (2002). An open door review of outcome studies in psychoanalysis (2nd ed.). New York: International Psychoanalytic Association. Freud, S. Studien über Hysterie. Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. I. Tr. It. Studi sull’isteria, 1892-1895 (p. 227). Torino: Bollati Boringhieri, 1989. Freud, S. (1927). Poscritto. In: Freud, S. Il problema dell’analisi condotta da non medici. Opere (vol. 10) (p. 413). Tr. it. Torino: Bollati Boringhieri, 2000. Grünbaum, A. (1984). I fondamenti della psicoanalisi: una critica filosofica. Tr. it. Milano: Il Saggiatore, 1988. Kandel, E.R. (1999). “Biology and the future of psychoanalysis: a new intellectual framework for psychiatry revisited”. American Journal of Psychiatry, 156(4), 505-24. Kernberg, O. (2018). Psicoanalisi e formazione. Cambiamenti e prospettive del training psicoanalitico. Milano: Franco Angeli. McWilliams, N. (2013). “Psychoanalysis and research: some reflections and opinions”. Psychoanalytic Review, 100(6), 919-945. Norcross, J. C., e Wampold, B. E. (Eds.) (2019). Psychotherapy relationships that work (3rd ed., Vol. 2). New York, NY: Oxford University Press. Modell, A. (1990). Per una teoria del trattamento psicoanalitico. Milano: Raffaello Cortina Editore. Perron, R. (2002). Reflections on psychoanalytic research problems – a French-speaking view. In: Fonagy, P. et al. (Ed). An open door review of outcome studies in psychoanalysis. (2nd edition) (pp.3-9). London: International Association,. Ponsi, M. (2006). Il cammino della psicoanalisi verso il metodo scientifico: tradimento o traguardo? In: Dazzi N., Lingiardi, V. e Colli, A. (Eds). La ricerca in psicoterapia (pp.715-740). Milano: Raffaello Cortina Editore. Popper, K.R. (1963). Congetture e confutazioni. Tr. it. Bologna: Il Mulino, 1972. Rapaport, D. (1959). Struttura della teoria psicoanalitica: tentativo di sistematizzare. Tr. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1973. Tricoli, M.L. (2018). Il processo della supervisione psicoanalitica. Roma: Giovanni Fioriti Editore. Varela, F. (1985). Complessità del cervello ed autonomia del vivente. In: Bocci G. e Ceruti, M. La sfida della complessità (pp.141-157). Milano: Feltrinelli. Wallerstein, R. (2001). “Psychotherapy research and psychoanalytic practice”. Psychoanalytic Dialogues, 11, 4, 645-658.
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