Collana La Luna e il Tasso
Fabrizio Sabelli
C'era una volta a Positano
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© Copyright Alpes Italia srl - Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I edizione, 2019 Fabrizio Sabelli, antropologo economista, ha insegnato in Svizzera alla Facoltà di Lettere dell’Università di Neuchâtel all’Institut d’Études du Développement dell’Università di Ginevra, alla Facoltà di Scienze della Comunicazione di Lugano e in altri atenei europei come professore invitato. Ha pubblicato vari saggi fra i quali Le pouvoir des lignages en Afrique (L’Harmattan, Parigi,1986) Recherche anthropologique et développement. Élements pour une méthode (Editions Maison des Sciences de l’Homme, Parigi, 1993, traduzione italiana presso Edizioni Gruppo Abele), Faith and Credit, The World Bank's Secular Empire, Pinguin Books, 1994 (in collaborazione con Susan George, traduzione italiana presso Edizioni Gruppo Abele) La Mythologie programmée, l'économie des croyances dans la société moderne. Presses Universitaires de France, 1992 (in collaborazione con G. Rist e D. Perrot), En attendant boulot (narrazione antropologica) Ed. Arléa, 2000. Ha pubblicato un centinaio di articoli e saggi in riviste d’antropologia, sociologia e scienze umane. Per Alpes ha pubblicato Le pezze a colori a Trastevere (2017).
Immagine di copertina illustrazione di Martine Lefevre
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A Celeste, Ferdinando, Felice, Guido, Martine, Peppe, Nando, Enzo, MimĂŹ, Salvatore, Michele e tutti i miei amici positanesi che ho frequentato fin dalla mia infanzia.
III
Da tempo mi assillano. Mi martellano giorno e notte: Prendi carta e penna! Mi dicono. Facci esistere con l’aiuto delle tue parole e dei tuoi racconti. Offri a chi ti leggerà quello che la vita di tutti i giorni nega, senza pietà, a tutti gli esseri umani. Perché, cara Angelica, la realtà è una brutta bestia e tu lo sai bene. Giorno dopo giorno ve ne fa vedere di tutti i colori. Impone le sue scelte quasi fosse la sola guida di ogni vostra decisione. Perché la cruda realtà è tirannia all’insaputa di ogni essere umano. Tutti eseguono i suoi ordini senza mai reagire, persino quando certi suoi obblighi sono palesemente assurdi, irragionevoli, insensati. Ecco perché liberarvi ogni tanto dalla sua morsa è un atto politico che, fra l’altro, è anche piacevole; anzi, in certi casi addirittura esaltante! È per lottare contro la sua spietata dittatura che noi, tuoi complici, siamo stati creati. Siamo noi, i tuoi sogni, i soli suoi veri nemici; gli unici in grado di contestare il suo programma fatto di verità ritenute da tutte le sue vittime incontestabili. Le vostre istituzioni “scientifiche” ci designano, al meglio, come effimeri e innocui visitatori notturni o, al peggio, come indicatori di stati d’animo braccati da turbamenti, da angosce, da inquietudini di origine più o meno misteriosa. L’assimilarci ai vostri incubi ci ha relegati nell’inferno dei vostri disturbi mentali e nel migliore dei casi nel regno delle favole. Ma tu sai che non è così. E lo sai perché sei una donna curiosa. Ami leggere, ti piace fiutare i libri di storia, adori scrivere poesie e visionare i film di Fellini. Insomma, sei persuasa che partire in viaggio con la testa tra le nuvole stia diventando, oggi, una necessità vitale. Allora, prendi carta e penna, Angelica! Scrivi la tua storia immaginaria. E non dimenticarlo: tu sei una donna privilegiata. Sei nata e vivi in un paese magico: il tuo paese verticale. È quello un luogo fatato all’insaputa di tutti e perfino dei suoi stessi abitanti. Affidati a lui. Ma fai attenzione! Solo con la nostra complicità potrai ascoltare la sua voce, interpretare i suoi desideri,
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trascrivere i suoi suggerimenti. Ed egli te ne sarà grato. Da anni, non attende altro. Desidera che qualcuno come te lo aiuti a liberarsi dalle sue nuove schiavitù e lo protegga dai potenti nemici che minacciano la sua esistenza. Prendi carta e penna, Angelica! Lasciati andare. Noi, tuoi angioletti discreti, saremo accanto a te durante il tuo lungo viaggio. Perché solo entrando nel nostro mondo, il mondo dei sogni, scoprirai quanto feconde potranno rivelarsi le nostre utopie e quanto misere sono le realtà che condizionano, giorno dopo giorno, ogni vostra scelta. Ho seguito i loro consigli. Ho chiuso gli occhi e mi sono lascata coinvolgere nel loro mondo immaginario. Tutto comincia così: un tempo, un luogo, un uomo. Una calda mattinata di primavera. La scalinata che, sulle alture di Positano, sale ripida in direzione del borgo della Chiesa Nuova. Un anziano signore, vestito in modo strano, che sale lentamente le scale. Brontola improperi sul mio paese verticale ...
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I.
Maledette scale. Maledetto paese. Sali e scendi. Sali e scendi. Catapecchie abbarbicate su una montagna. L’una sopra l’altra. Lo chiamano il villaggio verticale. Non hanno torto. Ma se è verticale che ci mettano gli ascensori! Ne sono sicuro: nessuno ci ha mai pensato. Gli abitanti di questo paese vivono ancora all’età della pietra. Passano il tempo a muoversi come se fossero capre. Ma quando lavorano? È il dolce far niente italiano di questo posto: sole, mare, spaghetti e scale. Ma qui le cose dovranno cambiare. Glielo faremo vedere noi come si organizza un paese moderno, un paese che non vive più secondo i costumi dei saraceni. Un paese nuovo. Una città dell’era della mondializzazione; una città vincente, che funziona come un’impresa veramente competitiva. Maledette scale. Maledetto paese. Le ho contate: ne ho salite centodieci; e non siamo ancora arrivati. L’avevo detto io: dovevo farmi condurre in macchina fino al quartiere alto per poi scendere le scale fino a Casa Chimera. Sarebbe stato meno faticoso. Per farmi strada, mi hanno affidato a un ragazzino idiota! Non si deve preoccupare, aveva detto il marmocchio. Basterà salire due rampe di scale. Coglionate! Due rampe di centodieci gradini! Sono proprio un’idiota. Dovevo fare di testa mia. Mi avevano avvertito: i positanesi sono degli attori nati. Sono bravissimi. Ma mentono come marinai ubriachi. Credo che lo facciano in buona fede, convinti di farlo per il tuo bene. Così tu ci caschi come un’idiota. Ecco perché non devi mai fidarti di quello che ti dicono! Michael Butler era originario di Dallas City. Sicuro di sé. Piglio fiero, aggressivo. Una carcassa imponente. Su due fragili colonne insicure, cento trenta chili di pinguedine tenuti in equilibrio da un bastone d’avorio. All’ombra delle falde del suo cappello texano, due occhietti azzurrognoli, acquosi, pungenti e un naso affilato, adagiato su un baffetto a tricheco. Basette bianche, folte, lunghe e trasandate. Il tipico personaggio scaltro ma sfuggente del leggendario Far West di John Ford. La grossolanità del suo aspetto fisico contrastava con la sua intelligenza. Era apprezzato per la sua acutezza di spirito, per la sua prover3
biale capacità d’inventarsi una soluzione per quasi tutti i problemi che incontrava nel suo percorso professionale. Parlava alla perfezione quattro lingue. L’italiano lo aveva appreso dal suo nonno materno, originario di Castellammare di Stabia. Da giovane, con in tasca un dottorato di ricerca in sociologia dell’innovazione ottenuto all’Università di Berkeley e un paio di saggi sui metodi di concezione visionaria dei progetti urbanistici, si era stabilito nella Silicon Valley. A San José aveva creato, insieme a due suoi amici, una piccola impresa specializzata in ristrutturazioni urbanistiche d’avanguardia dei vecchi quartieri industriali delle città californiane. Ora era in Italia. Rappresentava una grossa società statunitense, alla quale un paio d’imprese multinazionali aveva affidato il compito d’investire qualche miliardo di dollari nei luoghi più prestigiosi del Mediterraneo. Non a caso, Positano era stato designato come luogo ideale per la realizzazione del progetto pilota. Agli occhi dei tecnici che avevano curato lo studio di fattibilità, quel piccolo paese arroccato sui dirupi dei monti Lattari – leggendarie montagne granitiche a picco sul mare – possedeva una sorprendente originalità architettonica e il suo posizionamento orografico lo distingueva da tutti gli altri luoghi turistici delle coste italiane. Per giustificare l’investimento di qualche miliardo di dollari, era di poca importanza il fatto che Positano avesse avuto un passato prestigioso; che fosse stata residenza di famosissimi scrittori, artisti, poeti ed eminenti personaggi del mondo del cinema e della politica. Certo, quel prestigio culturale che il paese aveva acquisito nel corso di quasi un secolo non sarebbe stato inutile. Ma si trattava solo di un modesto valore aggiunto, senza dubbio poco rilevante agli occhi dei futuri investitori. I miliardari americani, cinesi, arabi e finanche africani che avrebbero investito il loro denaro nel progetto, di cultura e di storia ne masticavano poco o niente. Ciò che ai loro occhi rendeva seducente quella proposta e che ne legittimava l’investimento era l’assurdo posizionamento orografico di quella strana agglomerazione residenziale. Insomma, il valore monetario del loro nuovo acquisto era il frutto di quell’insensata idea dei primi positanesi del luogo di mettersi a scavare grotte nella roccia per poi edificarvi accanto delle casupole costruite in stile saraceno. Il progetto era ambiziosissimo. Prevedeva la radicale trasformazione delle più belle abitazioni tradizionali e di tutti i migliori alberghi. Archi4
tetti di fama mondiale avrebbero fatto a gara per convertire quegli edifici in nuove lussuose residenze, tutte con vista sorprendente sul golfo di Salerno, da Punta Licosa a Capri. Si sarebbe anche provveduto a ristrutturare in modo radicale la rete dei collegamenti nello spazio. Niente più scale e scalinatelle. Bandite le auto e i motorini per gli spostamenti tra mare e monti o per recarsi dall’uno all’altro dei cinque quartieri del paese. Aboliti anche i parcheggi. Uno studio pilota era stato commissionato al Massachusetts Institute of Technology. Ogni spostamento nello spazio sarebbe stato effettuato per dislocazione aerea, un prodigio che le recenti tecnologie della levitazione magnetica avrebbero reso possibile. Il tutto nel più sacrosanto rispetto delle normative riguardanti il rispetto ambientale. Trattandosi di un progetto “rivoluzionario”, al fine di evitare dissensi, opposizioni e ricorsi, l’iniziativa doveva restare segreta fino a compimento delle procedure di acquisto di tutti gli immobili. In quella Positano New Town, la sua futura opera, erano immersi i pensieri di Michael Butler mentre saliva, a fatica, gli ultimi scalini che lo avvicinavano alla sua meta: Casa Chimera. L’incontro con Donna Angelica, la proprietaria, lo aveva preparato con cura. Sulla lista dei suoi futuri acquisti immobiliari, preparata dai tecnici del progetto, quella casa figurava in prima linea. L’affare andava concluso a tutti i costi, benché la trattativa non sarebbe stata facile. Così sembrava. E Butler ne era perfettamente consapevole. I suoi amici positanesi l’avevano avvertito: la proprietaria di Casa Chimera non è una donna come tutte le altre. Certo, è anziana, sofferente. Dicono che sia vittima di un male incurabile. Ma lo spirito combattivo di giovane donna con tanti grilli nella testa non l’ha mai abbandonata. Ignaro del senso di quella espressione, ottimista come ogni uomo d’affari che sa il fatto suo, l’americano era certo di ottenere ciò che voleva. I soldi sono sempre i soldi. E quelli di certo non mi mancano, si era detto. E poi, non starò lì a battermi con una moribonda per due o trecento mila euro. Il primo contatto con la proprietaria non fu come si attendeva. Donna Angelica lo ricevette, sola, sulla sua spaziosa terrazza. Adagiata su una imponente poltrona-trono di vimini, lo pregò di sedersi su uno scomodo sgabello, a relativa distanza da lei. Indossava una tunica di lino turchese. 5
Un foulard bianco, di seta, nascondeva i suoi capelli. Un paio di grandi occhiali da sole, scurissimi, celava quasi interamente la parte superiore del suo viso. Il biancore delle sue labbra sottili, immobili, accentuava l’assenza di qualsiasi messaggio espressivo. Qualche frase formale di accoglienza, qualche convenevole di circostanza, qualche domanda? Nulla. Trincerata dietro le sue lenti scure, Donna Angelica osservava il suo ospite in silenzio. Il suo disinteresse per quella trattativa era più che evidente. Questo silenzio è il suo primo messaggio; un messaggio che, forse, già dice tutto, pensò Butler. Una situazione per lui del tutto nuova, imprevista. Che fare? Istintivamente balbettò due o tre parole in inglese. Poi di nuovo quel silenzio agghiacciante che scatenò nella sua testa un balenare d’immagini che non avevano nulla a che vedere con la sua missione. Fra quelle, la visione della conturbante, enigmatica Sylvia Kristel, che impersonava Emanuelle adagiata sulla sua poltrona di vimini. Adolescente, quel film l’aveva profondamente turbato. Butler si levò dal suo scomodo panchetto. A testa bassa, cominciò a gironzolare per il vasto terrazzo. Ci sono, pensò. Qui, per il momento, non c’è nulla da negoziare. Devo portare questa enigmatica rompi balle a interessarsi a qualcos’altro. Debbo stanarla. A un tratto, ebbe un sussulto. Ecco la chiave paradossale del problema, si disse. Non sono qui per comprare, ma per vendere. Devo vendergli Positano New Town. Al diavolo la clausola della riservatezza. I segreti esistono per essere prima o poi svelati. Nessun documento da esaminare. Solo parole. E, verba volant. Ma certo! È da lì che devo iniziare. Dopo tutto, sono qui per quello, non è così? Non sono un agente immobiliare. E nemmeno un banale acquirente. Sono un imprenditore che vende il futuro; un mago che è qui per proporre sogni realizzabili, sogni da tutti ritenuti impossibili. Tutto sommato era proprio quello il suo mestiere: sedurre, convincere, concludere per poi ottimizzare e realizzare. Erano quelle le cinque tappe dei suoi percorsi quasi sempre vittoriosi di negoziatore d’alto rango. Le sue battaglie le vinceva con l’arma della parola; un dono ricevuto dal suo nonno materno, un intellettuale antifascista, emigrato in America negli anni trenta. In Italia, il successo delle prestazioni del californiano presso banchieri, imprenditori e politici non si era fatto attendere. Tanto più che si espri6
meva con estrema chiarezza e, a eccezione di qualche errore di pronuncia, il suo italiano era perfetto. Per una trentina di minuti, su e giù per il vasto terrazzo, lo sguardo rivolto solo alle maioliche colorate della pavimentazione, Butler recitò ad alta voce, a memoria, la sua partizione preferita: l’elaborato Positano New Town, nuovo paradiso del Mediterraneo che era uso presentare ai membri dei consigli di amministrazione delle società che sperava coinvolgere nel progetto. Qualche pausa, nell’attesa illusoria di suscitare delle reazioni da parte della donna. Silenzio, indifferenza assoluta. E più quel disinteresse alle sue parole si prolungava, più cresceva il suo nervosismo. Alla fine della sua prestazione, prese il coraggio a due mani. “Cosa ne pensa, signora, del nostro bel sogno?” La donna non si scompose. Lasciò trascorrere qualche attimo prima di pronunciare una sola parola: palummèlle. Il californiano strinse istintivamente i pugni. I muscoli contratti del suo volto mutarono la sua fisionomia. Avrebbe voluto sbottare in una fragorosa risata, fare un commento caustico; o meglio, congratularsi in modo ironico con quella donna per la sua mossa sagace. Un modo come un altro per distendere l’atmosfera; un’abile manovra per rompere il giaccio. Non ne fu capace. E poi, non aveva la più pallida idea di cosa intendesse quella sorta di sfinge con quella espressione “palummèlle”. Avrebbe potuto fraintendere, passare per un idiota. E così, addio trattativa! Era invece sul punto di reagire, furioso, a quella provocazione. Esternare la sua irritazione, la sua rabbia. Nemmeno quello riuscì a fare. Si conosceva bene: sapeva di non essere in grado di controllare i suoi proverbiali istinti violenti. E poi, anche in quel caso, avrebbe comunque chiuso la partita nel peggiore dei modi. Butler non aveva altra scelta: doveva calmarsi, riflettere per qualche istante, correggere la sua strategia. Si sedette di nuovo sul suo sgabello. Si mise a massaggiare le sue tempie per qualche minuto che percepì come una eternità. Poi preso il coraggio a due mani, tirò fuori dalla borsa il suo libretto di assegni: - Signora Angelica – disse – ho qui tre milioni e mezzo di Euro. Sono suoi. Mi dica solo «d’accordo». Le lascerò questo assegno e leverò immediatamente il disturbo. Ho la mia palummèlla che mi attende. È molto esigente! Donna Angelica non mosse ciglio. 7
- Vada pure, signor Butler. E si tenga pure i suoi soldi – disse con voce sommessa, senza scomporsi, senza alterare minimamente il comportamento che aveva adottato fin dall’inizio dell’incontro. - Nessuno la trattiene a Casa Chimera. Ma prima di lasciarci, abbia la compiacenza di ascoltarmi, Signor Butler – disse la donna dopo una breve pausa e con un lieve sorriso sulle labbra – vorrei congratularmi per la sua interessante presentazione di Positano New Town. Lei è stato chiarissimo, brillante, convincente! I proprietari di questa residenza lo hanno ascoltato con molto interesse. È bene che lo sappia. Pur trattandosi di persone informate, di buon livello intellettuale, l’originalità del suo progetto li ha sorpresi. Hanno appreso dalla sua bocca tante cose nuove, cose che non avrebbero mai immaginato. Mi permetta di ringraziarla a loro nome. Tra i proprietari di Casa Chimera ci sono personaggi molto noti e altri che certamente lei non conosce. Sono tanti. Sia stranieri che positanesi. Anche se ciò potrà sembrarle strano, erano tutti qui intorno a me ad ascoltarla, “conquistati” dal suo progetto visionario. Certo, mentre lei parlava, alcuni di loro hanno fatto qualche commento poco lusinghiero. Stefan Andres e John Steinbeck si stavano addirittura, mi scusi il termine, letteralmente incazzando. Per fortuna, il vecchio Mischa Simenon, d’arguto poeta qual è, con la complicità di mezza bottiglia di vodka, l’ha buttata sul faceto e, con le sue battute surrealiste, ha fatto sì che tutti si sganasciassero dalle risate. Avrei solo voluto che lei ascoltasse certi saggi suggerimenti di Leonide Massine… Mi scusi. La vedo un po’ spaesato. La capisco. Non è grave! Non tutti conoscono il mio caro amico Leonide, uno dei più grandi coreografi della storia. Accanto a lui, c’erano anche due suoi ospiti amici, ambedue interessati al futuro di Positano: Igor Stravinskij e Pablo Picasso. Li avrà sentiti nominare, immagino! Si scambiavano battute a bassa voce. E ridevano, ridevano, come scolaretti indisciplinati. Invece, Wilhelm Kempff e Eduardo Gilhausen, da buoni tedeschi se ne stavano lì, imperturbabili, a scambiarsi i loro commenti con un semplice sguardo. Anche Gilbert Clavel, lo svizzero della torre di Fornillo, la osservava con un certo distacco, senza fare commenti. Ah! Stavo dimenticando i miei più cari amici: Vali Mayers e Rudolf Rappolt. Lei, signor Butler, vive qui da qualche tempo, mi sembra. Avrà sicuramente sentito parlare di loro. Ne sono certa. Erano conosciuti come gli esistenzalisti di Positano; sempre 8
circondati di amici che gli abitanti del paese chiamavano bittenicchi. Se li ricorda i bittenicchi signor Butler? Erano i precursori degli hyppies e assidui frequentatori del Bar Internazionale! Mentre lei faceva il ritratto dei futuri padroni di Positano New Town, Rudi e Vallì – erano quelli i loro nomi di positanesi adottati – creavano figure di danza; tentavano di mimare con i loro corpi lo stile di vita dei futuri padroni del paese, i suoi clienti miliardari. Avreste dovuto vederli! Il loro era uno spettacolo che avrebbe entusiasmato Pina Bausch! Li conosco abbastanza bene per intuire i loro pensieri. I proprietari positanesi di Casa Chimera, invece, se ne stavano, pensosi, in un angolo. Di Paolo De Rosa, di Carlo Fortunato e del mitico di Don Marcello ne avrà sentito parlare, immagino. Benché l’avessero sognata un po’ diversa da quella attuale, sono loro i veri “rifondatori” della Positano contemporanea. Conoscendoli bene, posso rassicurarla: una mano gliela darebbero molto volentieri. A condizione, però, di essere essi stessi alla testa del progetto. Ma non voglio farla troppo lunga, caro il mio Butler! Sto leggendo nei suoi pensieri. What has that got to do with the price of eggs, si sta dicendo. Si calmi. Non si scomponga, caro amico. Al suo “veniamo al dunque” rispondo subito. Lei non è un idiota. Lo avrà afferrato dalle reazioni dei veri proprietari di Casa Chimera: la faccenda è sotto esame. Abbia un po’ di pazienza! E poi, se lo metta bene in testa: non sono io a decidere. Io conto poco o niente. Diciamo così che non sono altro che la loro portavoce. Non ho alcun titolo per intascare i suoi milioni e consegnarle la chiave. Io questa casa non la possiedo. Sono solo l’umile curatrice di un patrimonio che vale cento volte la sua offerta. Non più per molto tempo, purtroppo. Abbia pazienza signor Butler. A murì e a pavà ce sta sempe tiempo, si dice qui da noi. Nessuna fretta per la morte e per i pagamenti! Michael Butler uscì da Casa Chimera frastornato, scosso nel profondo. Un’avventura simile non l’aveva mai vissuta. Più grave ancora: raramente, nel corso della sua ormai lunga esistenza, aveva dovuto fare i conti con pensieri, sensazioni ed emozioni a tal punto discordanti. Da una parte riteneva di essere stato preso in giro da una donna moribonda, che pur tuttavia, e ciò era innegabile, sapeva il fatto suo. Insomma, se ne voleva di non essere stato capace di reagire prontamente alle sue stravaganti provocazioni. “La smetta di prendermi in giro – avrebbe voluto 9
replicare – io non ho tempo da perdere. Le sue stupide fantasticherie se le metta dove penso io. E la smetta di fissarmi in quel modo. Non sono un marziano e nemmeno un animale da zoo. Veniamo al sodo e facciamola finita”. D’altra parte, però, si sentiva stranamente attratto da quella donna. Non tanto per la sua strana bellezza, pervasa di mistero, quanto per la sua intrigante personalità. Donna Angelica emanava un fascino ambiguo, pensò. Come mai, si chiese, in certi momenti l’avrebbe sacrificata sul rogo, bruciata come una strega perversa e in altri, in un balenare d’immagini confuse, si era visto seduto accanto a lei, in riva al mare forse, ad ascoltare in silenzio le sue storie mitiche, le sue divagazioni poetiche? Comunque sia, era rimasto colpito dal suo modo di prendere tempo. Convocare gli antenati del paese, collocare la trattativa in quel suo pagano aldilà gli era apparsa una trovata geniale. La Storia. Quella maledetta Storia, pensava, era scesa dal cielo. Era venuta a intralciare i suoi piani. Mai, nel suo paese, un problema del genere sarebbe stato preso in considerazione, di questo era certo. Restava il fatto, purtroppo, che quella faccenda non si svolgeva in California ma a Positano. Le due esperienze facevano a pugni. Per farla breve, immagini, parole, stati d’animo effimeri e sentimenti contrastanti s’affastellavano nella sua mente. Un gran casino interiore. Era quello il bilancio della sua breve incursione a Casa Chimera. E ciò lo preoccupava e lo spingeva, contro la sua stessa volontà, a fare, per la prima volta nel corso della sua lunga carriera professionale, una riflessione critica sul senso del suo lavoro. Qualcosa come un esame di coscienza.
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