COLLANA DI CRIMINOLOGIA E SCIENZE SOCIALI FORENSI Diretta da Amato L. Fargnoli
Annarita Franza e Vincenzo Lusa
INTERSESSUALITÀ E DEVIANZA CRIMINALE NELLA TEORIA DEL REATO Prefazione di Valeria Lupidi
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© Copyright Alpes Italia srl VIA CIPRO, 77 – 00136 ROMA – TEL./FAX 06-39738315 I Edizione, 2019
Annarita Franza, PhD, è docente presso l’Università di Firenze. Dottore di ricerca presso l’Università di Pisa, ha conseguito il master in Antropologia filosofica, forense, criminologia e tecniche investigative avanzate presso la Pontificia Università San Bonaventura ed il Master in Criminologia e scienze forensi presso l’università Unised di Milano. Membro associato dell’American Academy of Forensic Sciences, per Alpes Editore ha pubblicato, in collaborazione con Vincenzo Lusa, il volume “Il Caso Roso. Da uno studio forense la rivelazione del terzo sesso. Problematiche legali, antropologiche, criminologiche sul sex and gender” (2016).
Vincenzo Lusa, Avvocato, Antropologo e Criminologo. È docente di Diritto Penale e Antropologia delle devianze presso numerosi Atenei universitari. Autore di molteplici pubblicazioni nei vari campi dell’Antropologia, della Criminologia e del Diritto Penale edite sia in Italia e che all’estero, si occupa da anni dei complessi rapporti esistenti tra l’Antropologia e l’intento omicidiario nell’uomo; è coautore della teoria sul Neurocrimine applicata agli astronauti impegnati in lunghe missioni extra-planetarie. È il Vice Presidente nazionale dell’Associazione Criminologi e Criminalisti italiani.
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INDICE Prefazione (a cura di Valeria Lupidi) ............................................................................. Introduzione......................................................................................................................
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PARTE I INTERSESSUALITÀ: UN GIOCO DI SGUARDI OLTRE IL ROSA E L’AZZURRO
Capitolo Primo. Uno sguardo biologico ....................................................................... Capitolo Secondo. Uno sguardo antropologico .......................................................... Capitolo Terzo. Uno sguardo storico-scientifico......................................................... Capitolo Quarto. Uno sguardo giuridico sulla teoria del reato ................................. PARTE II UNA «STRANA» CRIMINOLOGIA: LA QUEER CRIMINOLOGY
Capitolo Primo. Cosa c’è di «strano» in criminologia?................................................ Capitolo Secondo. Chi, dove, come e perché: il campo di applicazione della Queer Criminology....................................................................................................... Capitolo Terzo. La persona LGBTIQ+ come autore di reato ..................................
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PARTE III L’INTERSESSUALITÀ NEL SISTEMA GIUDIZIARIO E PENITENZIARIO
Capitolo Primo. Relazioni pericolose: il rapporto fra forze dell’ordine e comunità LGBTIQ+ .................................................................................................... 97 Capitolo Secondo. Dietro le sbarre: l’esperienza LGBTIQ+ nel sistema penitenziario ................................................................................................. 103
Conclusione....................................................................................................................... 111 Bibliografia ....................................................................................................................... 115
III
PREFAZIONE Quando mi è stato chiesto di scrivere la prefazione del testo “Intersessualità e devianza criminale nel principio di colpevolezza del reato” mi sono sentita estremamente lusingata, non solo perché agli autori, la professoressa Franza ed il professor Lusa, mi lega un sentimento di profonda stima, ne ammiro le doti culturali coniugate all’integrità ed al rigore scientifico che contraddistingue i loro scritti, ma anche perché oltre venti anni di attività professionale presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale mi ha dato modo di approfondire il settore della criminologia, di conoscere personalmente molti autori di reato ed interagire con loro, acquisendo conoscenze che solo un rapporto interpersonale può fornire, nonché di vivere esperienze uniche che, in parte, ho ritrovato descritte in questo libro. La validità scientifica di questo testo, la metodologia impiegata che apre verso un’indagine multidisciplinare, la dialettica utilizzata nell’esprime concetti a volte ostici o “scomodi”, ma che non possono più essere sottaciuti, che spingono a ripensare il concetto di “genere” e tutto ciò che da questo deriva, mi hanno ancora di più convinta (se ce ne fosse stato bisogno) che non solo gli addetti ai lavori, ma anche tutti gli appassionati di argomenti criminologici, non possono perdere l’occasione di leggere questo saggio. A me l’argomento ha da subito affascinato, forse perché nel corso della mia attività mi sono imbattuta nelle situazioni esaminate nel testo e nella difficoltà di trovare “sponde” nelle istituzioni ancora così immerse in un mare dei pregiudizi. Parafransando il titolo di una precedente pubblicazione degli autori, posso dire che anche io ho avuto un “caso Roso” – anche se nella mia esperienza la persona era un detenuto che per l’anagrafe si chiamava Carmelo, ma che si “sentiva” Carmen – autore di reati, ma anche vittima di sofferenze fisiche e psicologiche per questa sua forma di sessualità. Questo libro apre nuovi scenari e nuove prospettive per cercare di avere un approccio adeguato ai casi come quello di Carmen. E per meglio addentrarci nella lettura vorrei cominciare con una riflessione. Quante volte sarà capitato ai genitori di un bambino appena nato di sentirsi chiedere “è maschio o femmina?”, una domanda fondata sul presupposto dell’esistenza di due soli generi con caratteristiche biologiche e genetiche ben definite. Sappiamo però che non è sempre così: le statistiche (peraltro non sempre precise) ci dicono che circa trenta milioni di bambini nel mondo, ovvero una percentuale che varia tra lo 0,05 e l’1,7 della popolazione, nascono con tratti intersessuali, cioè con una anatomia riproduttiva o sessuale che non rientra nelle definizioni tipiche di maschio e femmina. Ma in fondo di cosa ci meravigliamo se quando si parla di sesso biologico il paradigma di riferimento è il dualismo maschio/femmina? D’altronde fino alla V
Intersessualità e devianza criminale nella teoria del reato
rivoluzione sessuale degli Anni Sessanta non c’era neanche una terminologia universalmente riconosciuta per descrivere la non-etorossessualità che non avesse un significato dispregiativo. Solo in tempi più recenti si è riusciti a trovare un termine, anzi, per la precisione una sigla LGBTIQ+, utilizzata per riferirsi a persone con caratteri sessuali non conformi al modello di sessualità binaria maschile e femminile. Se poi questi “nuovi” concetti li vogliamo interpretare utilizzando parametri istituzionali, ci accorgiamo di quanta strada c’è ancora da fare per adeguare il “sistema sociale” alle evoluzioni della società stessa. È pur vero che alcuni settori di studio stentano a mantenere il passo col veloce andamento della società e dei suoi componenti (ovvero il genere umano), basti pensare a quanto alcune normative arrivino in ritardo rispetto alle modificazioni dei costumi, delle abitudini, dei comportamenti delle comunità umane. E mentre stiamo ancora a discutere, ad esempio, di “quote rosa” dovremmo prendere atto che il mondo (oltre che le “quote”) non è solo rosa o celeste, ma di molti altri colori e sfumature. “No body is shameful, nessun corpo è indegno”, con questo slogan gli attivisti che si battono per i diritti delle persone intersex, rivendicano la loro “normalità” e combattono le procedure “normalizzanti”. Sì perché anche nel nostro Paese, che rifiuta così attivamente le mutilazioni genitali e si erge a paladino per il rispetto dei diritti umani, esistono le cosiddette procedure normalizzanti, interventi chirurgici o medicalizzanti, imposte a bambini con corredo cromosomico diverso dagli organi genitali per “risolvere la discordanza nelle loro caratteristiche sessuali”. Medesima eteronormatività la si ritrova nell’orientamento criminologico contemporaneo, così come nel nostro sistema penale che stenta a mantenere il passo con i cambiamenti sociali. Drammatica testimonianza di questa inadeguatezza è il nostro sistema carcerario che seppure mostra attenzione a suddividere i detenuti tenendo conto del tipo di reato e di caratteristiche specifiche (reati comuni, giovani adulti, lavoranti, reati gravi, tossicodipendenti, isolamento, ecc.) per quanto riguarda il genere si attesta ancora sulla macro categoria maschi e femmine, fatta eccezione per pochissime strutture carcerarie dove sono stati creati reparti transgender (il carcere di Rebibbia di Roma ha il famoso G8 “braccio transessuali”) che però hanno suscitato le ire del Garante per i diritti dei detenuti in quanto l’isolamento forzato non consente ai detenuti le attività di rieducazione e della vita detentiva quotidiana, condannandoli di fatto ad una sorta di “41bis”. In un’epoca ed in una società ancora così colma di pregiudizi questo testo affronta il tema dell’intersessualità scevro da preconcetti e con un approccio interdisciplinare dandone, finalmente, una spiegazione ed una collocazione scientifica che consente al lettore di avere un approccio al tema esaustivo, multidisciplinare ed assolutamente non fazioso. Il libro accompagna il lettore in un viaggio dove ogni tappa consente di inserire un tassello per la finale composizione di un immaginario puzzle che rimanda un’immagine realistica del fenomeno, aprendo al VI
Prefazione
contempo nuovi e maggiormente suggestivi interrogativi. Infatti il percorso delineato nel testo prende avvio dalla ricerca storica e scientifica che ha determinato il concetto di intersessualità, per volgere poi l’attenzione sull’aspetto biologico e sul concetto di “disturbo dello sviluppo sessuale”. Prosegue quindi avvalendosi degli studi antropologici che consentono la descrizione dello stato intersessuale in contesto collettivo e relativamente all’ambito scientifico-forense. La tappa successiva è l’aspetto giuridico, sollecitando nel lettore riflessioni su una possibile rivisitazione di alcuni istituti giuridici alla luce delle moderne concezioni che le neuroscienze hanno consentito di far emergere. Nella seconda parte è la “Queer criminology” con tutte le sue “stranezze” ad offrire al lettore un nuovo approccio critico a comportamenti da sempre esistiti quali, ad esempio, la violenza familiare, affrontando l’analisi criminologica della persona LGBTIQ+. Nella terza e quarta parte l’intersessualità viene calata nel sistema giudiziario ed in quello penitenziario, fornendo importanti spunti di riflessione sul sistema carcerario italiano. Mi piace concludere con le parole del biologo statunitense Alfred Charles Kinsey: “Il solo sesso contro natura è quello che non riesci a eseguire”. Prof.ssa Valeria Lupidi Sociologa – Criminologa Funzionario Ministero Interno Docente Master Criminologia Università Nicolò Cusano
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INTRODUZIONE Questa introduzione vuole aprirsi con una rimembranza personale che, più che una lontana reminiscenza, è ancora una guida nella quotidiana attività di studio e ricerca. Da giovane dottoranda, ero solita passeggiare per i corridoi delle biblioteche ed il mio sguardo non aveva fissa dimora; non cercavo alcunché, erano i libri che cercavano me. Soleva così sempre una costa, una rilegatura catturare in particolare la mia attenzione; non certo mero movimento estetico era quello, quanto una scelta dalle pagine stampate imposta circa la rotta che avrebbe preso lo studio della giornata. In poche parole, non ho mai coscientemente deciso quale argomento studiare, l’alea ha sempre dominato i miei lavori; quella buona ventura che si attanaglia ad una discreta dose di soggettivo. Anche questo lavoro prende le mosse da un interesse personale, a sua volta generatosi dal caso. La casualità mi condusse anni addietro a sfogliare un polveroso faldone di autopsie ottocentesche, una di quelle raccontava l’esame di Maria Rosa Fantini detta Roso, la cui biografia umana e scientifica è stata oggetto del volume prodromico allo sviluppo di questo libro [Franza, Lusa, 2016]. La storia di Maria Rosa, al di là del risultato che è ora affare d’altri, mi ha insegnato molto sia come studiosa sia come persona in particolar modo l’importanza di una visione senza preconcetti; un’apertura verso l’alterità come principio euristico e metodologico, soprattutto quando il campo di svolgimento della propria riflessione è l’antropologia e quando l’oggetto del cercare riguarda le più profonde pulsioni dell’essere umano. Qualche rotazione solare addietro, il principiare in tal modo una monografia scientifica sarebbe stato inusuale quanto sconveniente: non solo arduo si sarebbe rivelato uscire dalle cotte del determinismo accademico che vuole il discorso antropologico come un distillato di oggettività avulso dalle più intime ragioni che muovono le azioni dei nostri congeneri, ma soprattutto periglioso si sarebbe dimostrato voler aggettivare il termine antropologia con il «forense» senza con questo volersi riferire allo studio osteologico e morfologico di un corpo per fini giudiziari. Oggigiorno la «crisi dei paradigmi forti» ha condotto ad un ripensamento ed ad un’apertura verso un’antropologia partecipata che, come non mai in campo forense e criminologico, deve partire (ed in certi casi, ripartire) dall’uomo, ovvero dalla percezione dell’incontro con il proprio sé e con l’altro, dallo studio delle ragioni viscerali che muovono il suo peregrinare e che lo spingono (o costringono) a compiere (o a subire) azioni ex lege. Se uno slogan del movimento femminista Anni Settanta recitava come il «personale» fosse «politico», in questo volume si vuole sottolineare come nell’ambito delle scienze forensi, il «personale» sia «antropologico» in un’accezione che supera IX
Intersessualità e devianza criminale nella teoria del reato
i confini del laboratorio, in particolar modo quando la ricerca criminologica ha a concentrarsi su casi che ineriscono la comprensione del «genere», realizzazione questa a cui ogni essere umano appartiene secondo i canoni di una storicità che trascende i rigidi parametri dell’attribuzionistica scientifica, aderendo di converso a caratteristiche psicologiche, sociali ed attitudinali che ne fanno un sesso determinato secondo la declinazione maschile/femminile oppure, come in questo volume, in una sfumatura al di fuori di questo binarismo. Uno degli obiettivi del testo è dunque mostrare all’operatore interrelazioni che solitamente vengono non considerate di sua pertinenza come l’analisi della sessualità e del suo coinvolgimento all’interno delle strutture criminologiche. All’interno di un’antropologia in una rinnovata versione forense raccontata, il genere diviene il telescopio entro le cui ottiche esplorare un nuovo universo conoscitivo. Per adempiere a questa certamente non semplice vocazione, il testo presenta un impianto narrativo e scientifico semplificato, ma non per questo semplice ed abborracciato; una scelta di metodo che intende lasciare affamata la mente del lettore, stimolandolo nel proseguo di una personale ricerca della sazietà intellettuale. In questo libro si interrala, secondo le metodiche proprie dell’antropologia, della criminologia, della giurisprudenza e del diritto carcerario, il concetto di devianza criminale all’acronimo LGBTIQ+ nella sua duplice accezione di una comunità vittima ed autore di reato. Avvalendoci dunque di un approccio euristico multidisciplinare e multifattoriale, nel testo vogliamo lanciare la grida della mandatoria necessità di puntare il faro della ricerca scientifico-forense sulle cause e le conseguenze del fenomeno criminale nell’intraspecialismo disciplinare della Queer Criminology, branca di matrice anglosassone afferente alla scienza criminologica non ancora adeguatamente rappresentata sul proscenio intellettuale italiano. Data agli Anni Novanta del secolo scorso l’incontro fra criminologia e teoria queer, intendendo con questo anglicismo lo studio che, principiando dalle riflessioni di Teresa De Laurentis e camminando sul selciato del decostruzionismo di matrice foucaultiana, indaga le identità sessuali traslando l’orizzonte della loro percezione dalla «naturalezza» verso una formazione discorsiva antropologica, sociale e culturale. Tuttavia è bene rimarcare come nulla nasca dal niente, soprattutto sul seminato dello sconfinato campo dell’intellettualità, e come la scienza criminologica sia stata foriera, lungo il suo percorso di irrobustimento teorico e pratico, di un incontro polifonico fra sessualità ed identità di genere. Ciò nonostante l’omosessualità, il transgenderismo, l’intersessualità ed altre categorizzazioni odiernamente rubricate come «fluidità di genere» sono state largamente e lungamente passate al vaglio di concetti quali «degenerazione» e «devianza», dando vita ad un’animata letteratura di “genere” attenzionata in questo lavoro. A dispetto dell’apertura grandangolare dell’oggetto della scienza forense nel corso degli ultimi tre lustri, si rinvengono ancora orientamenti criminologici tenX
Introduzione
denti a marginalizzare le problematiche connesse ad un’espressione sessuale non binaria, ad esempio rilegandole ad un corollario dell’analisi del processo di vittimizzazione. Inoltre, la persistente presenza di un modello di ricerca eteronormato conduce all’inevitabile riottosità nella manifestazione della propria diversità sessuale, invalidando quindi la comprensione dell’evento deviante. La variazione del tasso di denuncia di atti criminali da parte della comunità LGBTIQ+ è negativamente influenzata dall’insicurezza e dal timore di subire vittimizzazione secondaria nell’atto di interfacciarsi con il sistema giudiziario. La riduzione dell’indagine criminologica nell’esclusiva eteronormatività pone seri limiti alla comprensione dell’esperienza criminale di quegli individui che solo parzialmente si riconoscono nelle terminologie, nelle categorie e nei costrutti della semeiotica tradizionale. Il termine «intersessualità» racchiude infatti una polisemia di perigliosa escussione, incarnando lo spettro delle molteplici variazioni genotipiche e fenotipiche che, brutalmente, possono essere risolte nella presenza di caratteri sessuali non conformi ad un modello sessuale che contempla solo il maschile ed il femminile come vettori di riferimento. Secondo un’accezione biomedica, il vocabolo è stretto parente della nosologia stante ad indicare i «disturbi dello sviluppo sessuale» (Disorders of Sexual Development, da cui l’acronimo internazionale DSD). Tuttavia, tali caratteristiche anatomiche non sono sinonimo di uno stigma patologico, ovvero di un’alterazione organico-funzionale che ne demanda la sanità e quindi la normalizzazione. Altresì, il vocabolo non è il contraltare semantico di «orientamento sessuale» né il risultato di un’adesione specifica ad una particolare identità di genere: le persone intersessuali possono non a caso riconoscersi in un’identità cis-gender, ovvero conforme al sesso anagrafico di assegnazione, o trans-gender, ossia da questo difforme. Le attuali correnti criminologiche continuano però ad essere restie nell’approntare un orizzonte prospettico entro cui comprendere e gestire gli individui LGBTIQ+ rispetto all’l’ingranaggio legislativo. Questo volume vuole dunque offrire tanto allo studioso quanto al professionista una panoramica ragionata ed informata circa le azioni che è possibile intraprendere, secondo una prospettiva criminologica, antropologica e giurisprudenziale circa le problematiche di sicurezza e trattamento delle persone LGBTIQ+ nel sistema giudiziario. A questo riguardo, indagini statistiche promosse dal Bureau of Justice Statistics (USA) riportano un tasso di vittimizzazione sessuale maggiorato di circa 13 punti percentuali a danno dei detenuti presentanti DSD e/o con sessualità non-eteronormata rispetto alla popolazione eterosessuale nel corso del periodo detentivo. Il dato, letto alla luce dell’esame delle recenti fonti giuridiche, mostra come i soggetti LGBTIQ+ siano esposti, all’interno delle strutture carcerarie, ad un ampio ventaglio di rischi che, oltre ai precitati abusi sessuali, comprendono sia atti di autolesionismo (spesso indotti dalla coatta sospensione dei trattamenti farmacologici ed ormonali nonché dal mancato accesso ad un adeguato supporto psicologico) sia suicidiari. XI
Intersessualità e devianza criminale nella teoria del reato
Principiando dunque dall’investigazione dell’esperienza americana, il volume intende proporre un percorso di world history che superi le visioni monoculturali troppo spesso legate al concetto di intersessualità. Al lettore non viene dunque proposta una mera escussione dei lemmi «sessualità» ed «identità di genere» rispetto al termine «criminologia», bensì una sfida riflessiva che tenga sul filo del rasoio approcci e concetti intellettuali quanto culturali solo all’apparenza incompatibili, grazie a proposte disciplinari esterne, ma sempre strettamente correlate alla sfera criminologica, ed all’impiego di metodiche endogene come gli approcci teoretici ed empirici di stampo decostruttivista e positivista. Da questo incontro-scontro si staglieranno dinanzi agli occhi del lettore gli inesplorati nodi gordiani delle intersezioni fra intersessualità e criminologia assieme ad un rinnovato atteggiamento di pensiero e parola attorno al vissuto LGBTIQ+ nella cornice criminologica; una cornice le cui architravi vengono scollate e rimontate al fine di rendere ciò che è queer non uno sterile orpello massmediatico, bensì uno strumento fecondo atto alla costruzione di un più consapevole futuro per le scienze forensi in generale e per la criminologia, in particolare. La diversità degli approcci di ricerca e discorso accademico presentati in questo volume mostreranno dunque alla comunità scientifica l’assoluta necessità di annettere il criterio dell’intersessualità all’interno dell’analisi delle cause e delle conseguenze del fenomeno criminale, della violenza, delle pratiche e degli orientamenti di giustizia penale; delle leggi che regolano i diritti umani ed, in ognuno di questi campi, la necessità di un carotaggio al contempo locale e globale. L’eteronormatività permea difatti l’orientamento criminologico contemporaneo così come il sistema penale nella sua accezione metodologica e pratica, gettando le fondamenta di attori, interazioni, contesti ed istituzioni che risultano in ottica normativa (anche se sovente in maniera invisibile) configurati sulla base di un ordine sociale improntato all’eterosessualità. Obiettivo di questo libro è dunque invitare il lettore a problematizzare tale impianto metodologico per ripensare il «crimine» e la «giustizia» e, conseguentemente, cosa di tali concetti è dato «conoscere». In questo volume si nasconde infine l’eco della voce di molte persone. Ad esempio, l’ugola del personale della Biblioteca di Antropologia dell’Università di Firenze, che mi ha permesso di trascorrere un caldissimo agosto nell’esplorazione dei fondi librari, lasciandomi il permesso di vagolare indisturbata, ma non dimenticandosi della mia presenza, su cui vigilavano offrendo più che bene accetti rimedi contro la disidratazione e senza mai lesinare parole di incoraggiamento e conforto. I racconti etnografici che sono in grado di presentare in questa sede traggono origine dal lavorio di quei giorni. Sono grata alle bibliotecarie della Sala Periodici della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze la cui disponibilità mi ha permesso di prendere visione in tempi rapidi di importantissimi documenti in questa sede discussi. XII
Introduzione
Un particolare ringraziamento va poi all’editore Roberto Ciarlantini che per primo ha creduto nella realizzazione dell’opera. Per Vincenzo Lusa, co-autore di questa avventura, ho una gratitudine che supera la realizzazione di questo particolare parto editoriale. Un grazie speciale a Valeria Lupidi, donna di ingegno fino, per aver accettato di comporre la prefazione. Infine, questo volume è dedicato a tutte le persone che credono nella libertà del lavoro intellettuale e che preferiscono rimettere in sesto la propria vita anziché lasciarsi affogare in una pozzanghera di drammi irrisolti.
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