Collana La Luna e il Tasso
Marco Giovannelli
Oltre il muro del silenzio Dieci anni con un bambino autistico, con se stesso, con gli altri
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© Copyright Alpes Italia srl – Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I edizione, 2020 Marco Giovannelli Nato a Pistoia il 05/05/1964 compie i suoi studi presso il liceo classico della sua città per laurearsi poi in lettere moderne con indirizzo storico-contemporaneo presso l’Università degli Studi di Firenze. Alcuni estratti della tesi su L’emigrazione stagionale dalla montagna pistoiese in epoca preunitaria: mestieri, strade, abitudini (1812-1860) sono oggetto di pubblicazione ne MIGRANTI DELL’APPENNINO. [Atti delle giornate di studio (Capugnano, 7 settembre 2002), a cura di Paola Foschi e Renzo Cagnoni, Porretta Terme – Pistoia, 2004, pp. 75-102. Gruppo Studi alta Valle Reno (Porretta Terme – Bo) – Società Pistoiese di Storia Patria (Pistoia) – Centro per l’emigrazione “Mario Olla” (San Marcello Pistoiese). Distribuito in digitale da Alpes Appenninae- www.alpesappenninae.it] e da parte dell’Università degli Studi di Pavia. Nel 1985 inizia la sua attività di educatore occupandosi, tramite cooperativa sociale, di situazioni afferenti alle più svariate situazioni di svantaggio: da minori problematici a persone con disabilità fisica e psichica a tossicodipendenti, anziani, profughi, carcerati. Dal 2009 è funzionario dell’Agenzia Regionale Toscana per l’Impiego (A.R.T.I.) dove di occupa di inserimento lavorativo, tramite legge 68/99, di persone portatrici di invalidità. Ha partecipato inoltre alla stesura partecipata di varie pubblicazioni in ambito sociosanitario quali: Oltre la droga Ministero delle Politiche Sociali – Comune di Pistoia (1991); Alcol e Guida Usl 3 Pistoia (1999); Alcol: l’abbecedario Usl 3 Pistoia 2001. Il 23/03/2000 è divenuto padre di Luca, al momento studente alla facoltà di Fisica presso l’Università degli Studi di Pisa. Immagine di copertina: disegno di Luca Pinelli.
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Spazio Spazio spazio io voglio tanto spazio per dolcissima muovermi ferita: voglio spazio per crescere errare e saltare il fosso della divina sapienza. Spazio datemi spazio ch’io lanci un urlo inumano, quell’urlo di silenzio negli anni che ho toccato con mano. (Da Alda Merini “Vuoto d’amore” – Giulio Einaudi Editore, Torino 1991)
III
alla memoria dei miei genitori, al futuro di mio figlio
Indice Ringraziamenti ........................................................................
VI
Prefazione ................................................................................
VII
1. Inizia la conoscenza ............................................................. 1 2. Il tempo passa ..................................................................... 23 3. Crescere insieme ................................................................. 33 4. Un periodo ed una giornata particolari................................. 55 5. Nuove esperienze, nuove emozioni ...................................... 81 6. Il mondo sembra crollare .................................................... 101 7. La vita è anche bella‌ ........................................................ 129
V
Ringraziamenti Ringrazio la professoressa Kira Pellegrini; la dott.ssa Laura Fedi; Amy e Luca Giovannelli.
Prefazione La storia di Samuel, bimbo con una grave forma di autismo e Paolo, educatore ventenne alle prime esperienze, può rappresentare un piccolo esempio di quello che oggi chiamiamo “empowerment”, cioè aiutare la persona a costruirsi strumenti emancipativi e di autonomia. Molti operatori del settore non si interrogano forse abbastanza su cosa significhi mettere davvero la persona al centro di un percorso finalizzato all’indipendenza ed ad una vita “normale” e cadono in forme di paternalismo, se non addirittura autoritarismo. Paolo, invece, se lo propone istintivamente: introduce “cangurino” nel suo mondo in modo naturale sostenuto dall’assistente sociale che sovrintende e monitora, con delicatezza ed autorevolezza, il lavoro suo e di un’équipe di giovani operatori dedicati, grazie ad un ottimo progetto mirato ed individualizzato, a rinforzare Samuel nel suo difficile percorso di crescita. Così Paolo, guidato dal suo grande rispetto per l’altro, disabile o meno, d’impulso costruisce un metodo educativo: sostenere, incoraggiare, responsabilizzare, ma anche osare. Sì, osare: come quando decide di portare Samuel nell’appartamento di Alessio, uomo ultracinquantenne da poco uscito da un “soggiorno” di quasi 30 anni in manicomio, che Paolo deve aiutare a riappropriarsi della propria quotidianità. Fra l’uomo ed il bambino nasce un rapporto intimo, istintivo che li porta a comunicare con spontaneità e reciproca comprensione, per gli altri spesso di difficile interpretazione, ma che gratifica Paolo e quanti amano Samuel. Questi momenti bellissimi, fatti di gioia e serenità, fanno capire che da due “fragilità” può nascere una forza comunicativa e affettiva che trasmette energia non solo ai diretti interessati, ma anche a chi a loro è vicino. Pure i momenti tragici – il più buio la rinuncia dei genitori alla patria potestà e la reclusione del bimbo in istituto – portano Paolo a varie riflessioni: di rabbia e dolore per una situazione inaccettabile, ma anche di ottimistico stupore sia sulla capacità di Samuel ad adattarsi a situazioni angoscianti, seppur con la temporanea regressione nelle relazioni, che sulla determinazione dell’équipe a non abbandonarlo al suo destino. VII
Il lieto fine di questo racconto, nato da una storia vera, induce a pensare che “il muro del silenzio” che chiude infiniti Samuel nel loro isolamento non potrà mai essere completamente distrutto ma, quando esiste una rete sociale in grado di accogliere, ascoltare e sostenere, le crepe nei muri possono diventare “piccole porte” per entrare nel loro mondo e comunicare. Quanto raccontato accadeva solo pochi decenni fa ma la situazione per i disabili psichici a che punto è adesso? Il mondo della sofferenza psichica è enorme e variegato, ma una fragilità di fondo contraddistingue tutti coloro che ne sono affetti, da chi ha anche un handicap intellettivo, a chi è ad alto funzionamento, a chi ricorre a dipendenze per colmare l’angoscia interiore. C’è anche chi ha un unico episodio di attacco di panico in tutta la vita o singoli momenti di esasperata fragilità emotiva che possono portare ad un ricovero in ospedale: il vero “matto” non esiste più e la qualità della vita di tutti può essere migliorata. Come presidente di un’associazione che lavora da venti anni nel territorio per contribuire a migliorare la qualità dei servizi per le persone affette da disturbi psichici vedo la storia di Samuel e Paolo come una bella favola che sfida lo stigma dell’emarginazione e che dà speranza. Ma un dubbio mi attanaglia: è in fondo solo una favola? Soltanto un insieme di circostanze felici che difficilmente si ripeterà? All’inizio del terzo millennio noi del volontariato per la salute mentale eravamo pieni di entusiasmo e di fiducia basagliana. Ci siamo adoperati ad ogni livello per trasformare la favola in realtà quotidiana. Abbiamo promosso progetti con le scuole per informare sullo stigma, il bullismo, l’isolamento sociale e combatterli; numerose sono state le giornate di studio ed i convegni sostenendo i progetti obiettivo nazionali e le linee guida regionali che prevedono progetti personalizzati per ognuno. Abbiamo sollecitato le istituzioni locali a favorire il sostegno per l’ingresso nel mondo del lavoro ed il potenziamento dell’abitare in autonomia supportato da operatori, anche in funzione del “dopo di noi”. Abbiamo collaborato all’ideazione di patti territoriali per costruire una rete di sostegno con medici di medicina generale, amministratori di sostegno, associazioni di volontariato. Tessevamo con pazienza e determinazione ed eravamo sicuri di operare per migliorare la qualità di vita di tutti, non solo dei nostri figli più fragili. Abbiamo ottenuto finanziamenti privati per progetti speriVIII
mentali che hanno dato ottimi frutti ed organizzato convegni che hanno dimostrato che le nostre conquiste erano lì, a portata di mano. E cosa è accaduto in pochi anni? Sembra che tutto si sia fermato. La società esclude e chiude, con diffidenza e bullismo, mentre la salute mentale ha bisogno di apertura come recita la poesia di Alda Merini “Spazio, voglio spazio per dolcissima muovermi ferita”. Questi percorsi hanno bisogno di progettualità integrata all’interno del sanitario e fra sanitario e sociale; purtroppo, nella maggior parte dei casi, l’apparato gestionale regionale è organizzato a compartimenti stagni con superficialità e poca attenzione e l’esternalizzazione dei servizi porta a perdere di vista la persona. Le famiglie sono sempre più sole e le persone sempre più dei numeri: le normative sulla trasparenza, sulla privacy, sull’accreditamento dei servizi, sull’amministrazione di sostegno sono nate per sostenere il cittadino e renderlo più autonomo e resiliente, ma sono sempre più utilizzate per la medicina difensiva. Ci dobbiamo arrendere? NO!!! Nella sua apparente semplicità la bella storia di Samuel, Alessio, Paolo e dei loro amici accoglienti ed empatici, di un’équipe di giovani operatori competenti ed entusiasti, con una dolce e autorevole assistente sociale, ci fa riflettere. Ora abbiamo piani sociosanitari integrati, politiche del lavoro per promuovere l’occupabilità dei disabili, grandi proclami sull’empowerment, grandi e piccole cooperative, associazioni e fondazioni che dovrebbero tutelare i diritti dei disabili. Eppure le persone si sentono sempre più isolate e sole. Gli psichiatri devono affrontare responsabilità sempre più grandi e trovano sicurezza solo nei farmaci e così la paura della crisi psichica ha il sopravvento. Finiscono per concentrarsi sempre più sulla malattia e sui sintomi piuttosto che sui percorsi emancipativi della persona. Cosa serve per non arrendersi? Dare speranza! Ripartire dalle persone tutte: sofferenti, familiari ed operatori! Ma come? Le nostre leggi sono garantiste anche se spesso poco o mal applicate. Le buone pratiche ci sono anche se isolate ed a macchia di leopardo, come il “Dialogo aperto”, che mette la persona al centro del proprio percorso riabilitativo all’interno di una rete composta da familiari, amici della persona e curanti, nella quale tutti collaborano per il suo empowerment e tutti contribuiscono alle decisioni, sempre partendo dalla persona stessa. IX
La speranza e il coraggio devono sostituire lo stigma: prima di tutto nei sofferenti stessi, che devono acquisire consapevolezza delle proprie fragilità ma anche delle proprie risorse personali e dei propri diritti. I familiari devono smettere sia di colpevolizzarsi che di sentirsi vittime e devono credere nei propri figli e nelle loro capacità di resilienza. I rischi per gli operatori sono il paternalismo e l’autoritarismo e non devono mai dimenticare il rispetto per la persona. La formazione è indispensabile a tutti i livelli, partendo dalla politica e dalle dirigenze regionali che gestiscono la sanità. La salute mentale fa parte della salute generale; non dimentichiamo lo slogan di alcuni anni fa “Non c’è salute senza salute mentale”. La formazione degli operatori deve essere basata sulla scienza, sulla competenza, sul lavoro d’équipe e non soltanto sulla partecipazione volontaria a convegni che, seppur interessanti, non impegnano in prima persona e non portano a cambiamenti significativi. L’università deve andare oltre la farmacologia e scendere nei territori, promovendo tirocini formativi che preparino psichiatri, psicologi, educatori e terapisti della riabilitazione in modo operativo. Nutro una grande fiducia nelle nascenti associazioni dei sofferenti psichici che si stanno formando per condurre battaglie partendo dalla propria esperienza di sofferenza e ripresa. Ci danno speranza le associazioni dei familiari, specialmente quelle per l’autismo, costituite da genitori consapevoli dei diritti dei propri figli, informati, capaci e caparbi. Ci rincuorano le esperienze emancipative che vanno oltre il farmaco e, senza demonizzarlo, lo utilizzano sapientemente, in modo flessibile. Ma come familiare voglio anche ringraziare quegli operatori che, come Paolo, sono giornalmente a contatto con le persone in momenti bui e che li sostengono con rispetto e fiducia nelle loro capacità di resilienza. Un grazie a tutti i Paolo che i nostri figli hanno la fortuna di incontrare. Tutti insieme ce la possiamo fare.
Kira Pellegrini, una madre
Presidente dell’associazione Oltre l’Orizzonte per la promozione del benessere psichico
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