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GIORNALE STORICO DEL CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA E LETTERATURA Semestrale

Rivista del Centro Studi di Psicologia e Letteratura Fondato da Aldo Carotenuto www.centrostudipsicologiaeletteratura.org Volume XVI - aprile 2019 Fascicolo 28

Giochi SOMMARIO Editoriale............................................................................................... 3 Antonio Dorella - Nell’era del game. Psicologia della Rivoluzione Digitale......................................................... 9 Amato Luciano Fargnoli - Giochi perversi nelle relazioni: odio, vendicatività e vendetta nelle relazioni d’amore................................. 21 Francesco Frigione - Dal sogno alla visione: il gioco della sabbia nello psicodramma junghiano..................................... 31 Marina Malizia e Francesco Gabriele - Il gioco delle carte......................... 41 Benedetta Rinaldi - Spielraum, lo spazio del gioco...................................... 55 Virginia Salles - Il gioco d’azzardo. Una luce in fondo al tunnel ................ 65 Luca Sarcinelli - (Video)giocando con le immagini ................................... 75 Riccardo Brignoli - Il gioco di maya nel rapporto tra yoga, meditazione e psicologia archetipica.......................................................... 85 Franca Cirone - Giochi proibiti............................................................... 95 Daniela Milonia - Il gioco è bello se non nuoce, la prospettiva di Dostoevskij .................................................................... 105 Maria Grazia Monaco - Giochi di luci e ombre nel Libro rosso................. 117

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Amato Luciano Fargnoli

GIORNALE STORICO DEL CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA E LETTERATURA Semestrale Rivista del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto Direttore responsabile: Amato Luciano Fargnoli Comitato direttivo: Adele Boldrini, Antonio Dorella, Amato Luciano Fargnoli, Francesco Frigione, Marina Malizia, Benedetta Rinaldi, Virginia Salles, Luca Sarcinelli, Alessandro Uselli Segreteria di redazione: Antonio Dorella, Daria Filippi, Benedetta Rinaldi, Luca Sarcinelli Direzione e Redazione: via dei Caudini 4, 00185 Roma Abbonamento per l’Italia, euro 25 Abbonamento per l’estero, euro 50 Versamento sul conto corrente postale 69504744 intestato a Alpes Italia s.r.l.: GIORNALE STORICO DEL CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA E LETTERATURA La collaborazione è aperta a tutti gli studiosi. Gli eventuali articoli (max. 20.000 caratteri spazi inclusi) e i libri per le recensioni vanno inviati alla direzione. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 70/2006 del 14 febbraio 2006

In copertina: dipinto “Capoeira” (2017) di Gilberto G.Villela jr/GilVillelas, psicoanalista-artista www.premioceleste.it/artista-ita/idu:75842 - www.facebook.com/pages/GilVillelasArte-e-Pensiero/ - www.artmajeur.com/itartist/valegloria E-mail: gilguimaraes@libero.it

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Editoriale Questo numero è dedicato al tema “Giochi”, volutamente al plurale. Già Donald Winnicott ci aveva offerto uno spunto di riflessione profonda su questo tema, nel suo Gioco e realtà, sostenendo che nella fase iniziale dello sviluppo e maturazione del bambino il gioco attraverso l’oggetto e/o gli oggetti da lui definiti “transizionali” ci mettano in contatto con la cosiddetta realtà. Dunque giocare, o meglio, l’attività del gioco è un elemento centrale della nostra vita che ci consente di entrare in relazione con noi stessi e con gli altri e ricostruire (o costruire?) la realtà. In che cosa consiste un’attività ludica? “Giocando” si attuano anche altre dinamiche: Il soggetto, l’Homo ludens, incontra e scopre, se stesso nella relazione. Giocare non è soltanto esplorare il mondo che mi circonda, ma è soprattutto entrare in relazione profonda con esso. Pensiamo a quanto i giochi siano alla base dei rapporti tra bambini e quanto la perdita di questa innocenza del gioco costituisca il fondamento di numerosi, futuri, disagi dell’adulto. I bambini che giocano sono sempre uniti profondamente dal paradosso che giocare sia una cosa seria. Ma perché ad un tratto, smettiamo di giocare? In primis perché il gioco ci viene interdetto, ci viene letteralmente proibito, per favorire, secondo un infondato ed errato concetto di maturazione, la nostra crescita. Ci dicono che per inserirsi nella società e perfino per entrare in relazione con un altro bisogna smettere di giocare. In realtà ci viene imposto di cambiare le regole del gioco: dalle quelle dell’innocenza, passare alle regole del contesto, del gruppo di appartenenza, della cosiddetta società civile. Qualche tempo fa si sarebbe detto del “canone culturale dominante”. Quando l’altro ci dice adesso facciamo le cose seriamente è come se la serietà (gravitas saturnina?) si sostituisse all’aspetto ludico (innocente?) dei rapporti. Le relazioni che funzionano e durano nel tempo, però, sono quelle che si fondano sul gioco, sulla capacità di ironizzare, e sulla forza che da la complicità. Naturalmente, questo non vuol dire che l’adulto debba rinun-


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ciare in maniera forzata a quella dimensione, felicemente descritta da Jung e poi da Hillman, che è il puer. Vogliamo dire che laddove il puer è spinta, energia pura che manifesta una sorta di incontrollata, ed incontrollabile, attività psichica. Vi è un rischio in tutto questo: che il puer si fermi nel suo processo evolutivo alla fase dell’“eterno fanciullo”. Il puer “non è destinato a camminare ma a volare” sostiene Hillman1. Ad esso si contrappone un altro aspetto, quello del senex, che porta con sé una duplice presenza: quella gravitas saturnina, spesso intesa come presunta saggezza, unita ad una inevitabile, perché profondamente umana, stultitia. Solo se nel senex si conservano elementi puer avremo la garanzia di una completezza che non deve essere mai confusa con un astratto ideale di perfezione. Giocare, quindi, mette in relazione, in risalto, e, contrapposizione, la centralità di questa dinamica tra senex et puer. “Come il senex si perfeziona col tempo, il puer è perfetto primordialmente, perciò in lui non esiste sviluppo: infatti sviluppo significa delega, rinuncia, perdita, caduta e restrizione di possibilità. Così, a causa della sua mutevolezza il puer in fondo risulta l’evoluzione come senex”2. “Ma i vecchi sono saggi davvero?”3 La riflessione di questo autore ci è di grande aiuto per spiegare che: “l’immagine e il mitologema del vecchio saggio o della vecchia saggia sono sicuramente molto belli, ma io non ho mai trovato nella letteratura specialistica, nella ricerca e nella mia esperienza personale, niente che possa suffragare questa idea della saggezza della vecchiaia […] collegando la saggezza alla vecchiaia – essendo la saggezza già così difficile da definire, noi otteniamo un bel risultato sul piano psicologico: noi mitighiamo la nostra paura delle patologie senili”4. Ma quando siamo in relazione con qualcuno, a che gioco giochiamo? Giochiamo nella relazione o ci prendiamo gioco della relazione? L’altro come fine, come scopo, telos, o, infine, come mezzo? Se il presupposto di una relazione sana è l’apertura all’altro (e viceversa) e noi in qualche modo, modifichiamo il gioco, “cambiamo le carte”, ci poniamo in una situazione di falsificazione e manipolazione dell’altro. Possiamo dichiarare sentimenti che 3 4 1 2

Hillman, J., Senex et puer, Padova-Venezia, Marsilio, 1973, p. 48. Ibidem. Guggenbuhl-Craig, A., Il vecchio stolto, Bergamo, Moretti e Vitali, 1997, p. 135. Ivi, p. 138.


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non proviamo oppure non avere il coraggio di esplicitare sentimenti che proviamo. Finiamo per stringere l’altro in una morsa che lo esclude da altri rapporti, senza renderci conto di quanto il carceriere sia strettamente collegato al carcerato. Dalla relazione si passa al legame perverso. Ma di questo parlerò nel mio contributo. In questo numero, pertanto, troveremo suddivise, tra i diversi autori, più declinazioni su di un tema centrale dal punto di vista collettivo – quello delle addictions – il che conferma la forza, l’evidenza, da dare allo “spirito del tempo”: le dipendenze appaiono sempre più come un “genius loci” della dimensione collettiva. Sono questioni che meritano senz’altro un’attenzione più approfondita ed estesa. L’intento delle nostre monografie è, soprattutto, quello di suscitare interrogativi e angolazioni sul tema nel più ampio ventaglio possibile di ipotesi, e, quando possibile, proporre soluzioni. Daniela Milonia presenta il tema del gioco d’azzardo nel suo aspetto di dipendenza che crea frustrazione e di una compulsione che si spinge fino all’estremo dell’autodistruzione. Si accompagna nel suo lavoro al personaggio del Giocatore di Dostoevskij, del suo vissuto e di ciò che lo tiene inesorabilmente legato allo spazio del gioco. Antonio Dorella pone la questione della profonda trasformazione che sta avvenendo in questa epoca fortemente condizionata dalla “rivoluzione digitale”. Molte regole, comprese quelle del setting, sono letteralmente investite da questa “rivoluzione”: la gestione dei contatti personali, le inevitabili connessioni sui social che alterano le relazioni terapeutiche, quell’ideale di neutralità e segretezza della vita dell’analista. Molto interessante è l’idea di uno “smartphone equivalente al pugnale di un assassino”. Certamente la questione dell’addiction ai like, sta creando una nuova patologia nell’ambito delle relazioni virtuali: la dipendenza da questa conferma che viene da un ignoto follower. È l’avvento dell’Homo digitalis, controllato, condannato, ad una vita di superfice/superficialità, cui viene negata la dimensione della profondità. Luca Sarcinelli suggerisce una visione del fenomeno assimilando il videogioco ad un sogno. In questa lettura decisamente


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originale, suggerisce la possibilità di trattare i videogiochi come se fossero sogni, aprendo ad una possibilità di dialogo fra il sogno e il giocatore: nel sogno spettatore “passivo”, nel gioco spettatore interattivo, recuperando un senso delle immagini dalle quali potrebbe “apprendere qualcosa”. Marina Malizia, con garbata scrittura, sembra invitarci ad assistere ad una partita a carte. In realtà ci guida, relazionandosi ad un suo amico come alter ego in questo gioco, in una esplorazione simbolica dei “semi” delle carte, ricordandoci che “quando si ha a che fare con i simboli l’istinto non sbaglia mai”. Riccardo Brignoli ci conduce, attraverso le pratiche dello yoga, ad una lettura del gioco inteso sia come leggerezza, divertimento, sia come disciplina, come azioni che “spostano” un’attenzione troppo concentrata sulle preoccupazioni. Coglie quell’aspetto del gioco che conduce e coinvolge il giocatore in quello spazio nel quale sperimenta le sue capacità creative. Tema molto caro a Jung. Nella sua esperienza clinica si propone come valida integrazione con la psicologia archetipica di Hillman. Franca Cirone, attraverso la trama del film Jeux interdits, ci pone la questione della regola e delle sue infrazioni, dell’innocenza di due bambini e delle punizioni degli adulti. Temi centrali diventano l’interdizione e la proibizione, come condizioni necessarie per entrare nella vita adulta. Ma inevitabilmente anche la sfida, che appare come una “ubris necessaria”, nel tentativo di affrontare la paura ed il mistero. Virginia Salles, ci ricorda che la dipendenza può trasformarsi in “teatro della degradazione umana”, in cui gli attori si muovono come vittime designate, costrette ad un percorso infernale che li rende passivi di fronte alla Sorte. In questa condizione perdono tragicamente le redini del proprio destino, il senso della dignità personale, e cadono nella trama di quella doppia contraddizione di uno Stato che nel mentre condanna il proliferarsi dei luoghi dove si gioca, in una sorta di “doppio legame” schizoide, ne favorisce la diffusione. Benedetta Rinaldi riconduce il discorso in un ambito clinico, quando nel lavoro psicoterapeutico viene riconosciuta l’importanza che ha il gioco, unitamente alla creatività e quegli stati alternativi di coscienza che danno significato, e restituiscono al


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soggetto una libertà autentica, svincolata dal bisogno di compiacere gli altri e, con felice neologismo, “performare roboticamente”. Maria Grazia Monaco, da tempo impegnata in una lettura approfondita del Libro rosso di Jung, citando ampiamente, ci guida per mano alla scoperta di quello che potremmo definire un “ludus alchemico”. Ci muoviamo, in questo articolo, sul terreno delicatissimo di una vita intesa come “opus” dialogico trasformativo che restituisce senso al nostro vivere incarnati. Il compito centrale, secondo un antico dettato, è conoscere se stessi, ma non solo, abbiamo il dovere etico di realizzare noi stessi. Jung nelle pagine densissime del Libro rosso, ci offre una testimonianza, in prima persona di quel percorso, che, lui stesso, definisce “processo di individuazione”. La via che ci consente di diventare ciò che autenticamente siamo. “La mia vita”, scrive Jung, “è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio”. Francesco Frigione ci accompagna e ci guida, esponendosi in prima persona, attraverso un suo sogno. Siamo di nuovo immersi nella pratica clinica: il gioco della sabbia, applicato alla conduzione di un gruppo terapeutico, consente un vero e proprio processo maieutico, un interscambio che aiuta i partecipanti a vedere se stessi attraverso la drammatizzazione dei propri contenuti. Attingendo alla “sorgente archetipica dei loro miti personali”. Testimonianza della centralità del gioco nell’esperienza analitica sia del conduttore, che dei partecipanti, in un temenos che favorisce, sviluppa, e libera quei contenuti soggettivi rimasti legati, come Tantalo al supplizio della roccia, in una ripetizione infinita.

Il direttore Amato Luciano Fargnoli


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