Antonio Restori
Anemoni in viaggio
Nuove rotte per una psicoterapia sensibile ai temi della complessità
Il Modello Sistemico Integrato
Alpes Italia srl - Via Romagnosi, 3 - 00196 Roma tel./fax 06-39738315 – e-mail: info@alpesitalia.it – www.alpesitalia.it
© Copyright Alpes Italia srl - Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I Edizione, 2019
Antonio Restori (antres64@gmail.com) è psicologo e psicoterapeuta. Si è formato nei primi anni novanta all’interno del Centro milanese di Terapia della Famiglia, seguendo in modo particolare il modello sistemico di Gianfranco Cecchin. Dal 1990 ha lavorato in diversi contesti clinici dei Servizi Socio Sanitari italiani: dalla psichiatria alle tossicodipendenze, dai servizi sociali, ai servizi di neuropsichiatria infantile. Dal 2006 dirige il Centro di Terapia della Famiglia dell’Asl di Parma. Nel 2010 ha fondato con Mirco Moroni il Modello Sistemico Integrato dando avvio alla Scuola di Psicoterapia Sistemica Integrata di Parma, e con l’Associazione Telefono Arcobaleno ha aperto una nuova sede dell’Istituto a Siracusa. Questa è la sua prima pubblicazione.
In copertina: Immagine elaborata da Ilaria Dall’Olmo, art designer
TUTTI I DIRITTI RISERVATI Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. È vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera. Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotocopia, fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche sulla tutela dei diritti d’autore.
Indice Prefazione di Maria Cristina Koch........................................................
VII
Introduzione di Mirco Moroni...................................................................
IX
Premessa........................................................................................................... XVII
Prima Parte
Prima della partenza, e nuove rotte...............................................
1
Integrare e connettere ........................................................................................
5
Post-costruzionismo delle relazioni ..................................................................
17
Seconda Parte Come siamo giunti qui? Inizio del viaggio.....................................
25
La consapevolezza nelle relazioni di aiuto ..............................................................
29
Attenzione sensibile al contesto ................................................................................
35
Post-modernismo nell’epoca della Complessità: la rêverie nella poetica della narrazione ..................................................................
43
Terza Parte Gli indispensabili strumenti del viaggio........................................ 49 Embodyments...............................................................................................................
53
L’uso delle tecniche come meta-modello dell’approccio sistemico integrato ..
61
Epilogo metalogico......................................................................................................
73
Bibliografia....................................................................................................................
75
V
Prefazione di Maria Cristina Koch
La Terapia dell’Anemone Il libro di Antonio Restori racconta, con animo appassionato, una lunga peregrinazione nella cosiddetta psicoterapia. Gli assunti, il pensiero, gli strumenti, la mole variegata e molteplice degli autori cui Restori rende onore e gratitudine, si inseguono e si mescolano in una narrazione complessa e avvincente, in ogni pagina, in ogni capoverso, riguardata e narrata da un diverso punto d’ingresso. Il mio primo ringraziamento a Restori è l’aver invitato il leggendario Gregory Bateson ad accompagnare il nostro ragionare assieme: la gioia di ritrovare quel grandissimo scienziato che si affaccia a guida discreta e gentile di ogni passaggio è un piacere enorme che rende ancora di più il pensare un’esperienza nutriente. E tutto il libro si muove su quest’onda, un navigare per navigare, alla ricerca svagata e saggia di sempre nuove e diverse esperienze da cui apprendere ad apprendere. Il riferimento alla navigazione non è solamente citazione metaforica; leggendo, studiando, tornando a cercare il passo appena sorpassato, si ha nettamente l’impressione liberatoria di andare, andare cercando, “navigare come bilanciamento fra ciberneta, scafo, vele, vento, mare, maree.” Non è un caso, forse, che uno dei libri di maggior interesse e diffusione in questi anni sia stato “La misura eroica” di Andrea Marcolongo (A. Marcolongo, 2018), un saggio sugli Argonauti e sul coraggio che spinge gli uomini a navigare perché ogni uomo cambia per sempre dopo averlo attraversato. Credo si possa dire che questa è la proposta etica ed estetica di questo libro: la terapia come un andar per mare, prendere il coraggio di lasciare la terraferma, la sabbia calda su cui distendersi tranquilli per salire sulla barca assieme al terapeuta e da lì affrontare i venti, “ascoltandoli con le guance” e decidendo via via, assieme da veri co-autori, dove e come indirizzare il prossimo gesto, cercandone, ogni volta, il senso. Ecco, credo che anche questa sia una linea portante del pensiero e della prassi del “Modello Sistemico Integrato”: la fierezza di non sapere, per cercare, con l’Altro, una dotazione di senso al nostro stare assieme, in relazione nel corpo-animo-contesto. VII
Anemoni in Viaggio - Il Modello Sistemico Integrato
Il senso, la direzione cui orientare il timone affinché una mancanza possa essere vista come un’opportunità, quel direzionarsi affinché un significato possa finalmente emergere come proposta liberatoria e vincente. Poiché è il nostro cercare e scegliere la direzione che fa affiorare il senso di ciò che andiamo facendo assieme. Responsabile il cliente-paziente quanto il terapeuta nella ricerca di un senso del dolore e della fatica. Per questo, credo, Restori parla di modello “integrato”. Si tratta della maestria con cui vanno mescolati gli ingredienti ma questi, appunto, devono essere di buona, anzi ottima qualità. E, forse, ancora prima, occorre che l’ambiente sia adeguato a creare nuove vivande. Occorre, penserei, che per ogni famiglia che si reca in terapia, lo studio del terapeuta si modelli per lei a nuovo; in questo trovo riconoscibile Vigoleno, quello che Restori descrive il suo “un luogo non qualunque… mille anni di storie qui dentro, i miei antenati, gli spiriti protettori, le anime immortali, i soldati, le spade insanguinate, i segreti delle buie cantine… la mia fortezza”. Credo che questa emozionante e commovente descrizione del “suo” Vigoleno, sia la cornice dell’intervento terapeutico di IDIPSI. Solo conoscendo a fondo e sperimentando ogni volta ciò che ci fa sentire a casa nostra, al sicuro, potremo, da terapeuti, cercare anche per l’Altro il suo di Vigoleno, il suo mondo antico dalle buie cantine e dei segreti insanguinati. Far sì che l’Altro si senta abbastanza a casa da poter narrare del suo strazio e, insieme, possa sentirsi abbastanza fuori di casa da potersi permettere ogni strappo alla regola, ogni svarione al copione abituale sancito e firmato da ogni familiare. Credo che questo sia il senso della terapia: permettere a ogni Ulisse di ascoltare dalla sua stessa voce e da quella degli altri familiari il racconto della sua vita. Ma devi essere fuori dalla tua casa per poterlo fare, narrare della tua casa riguardandola e ricordandola, in un ambiente ospitale che ti si modella addosso come una mantella tiepida che allontana il freddo del dolore. Poiché, e come è vero!, è solo ascoltando il racconto che si acquista piena nozione di ciò che si è vissuto. Solo ascoltando l’episodio narrato dal tuo familiare ti rendi conto di come te lo sei cucito addosso nel ricordo, chiudendone con cura i lembi affinché non si congiungano con il vissuto altrui. Affinché, nell’andamento della terapia, possa fiorire sul danno e sul dolore lancinante il fiore del vento, l’anemone, fiore che nasce dall’impresa di un dolore trasformato in conoscenza, in esperienza di vita. E lo contempliamo ancora scossi e straziati da questo attraversamento, mentre il respiro comincia a riprendere il suo ritmo, mentre gli occhi velati di lacrime tornano poco per volta a poter e saper vedere.
VIII
Prefazione
E guardando i tuoi familiari impari a conoscerli ora e anche tu, e mentre ti scorgi di sfuggita allo specchio, sembri un po’ diverso, un po’ cambiato. E il viaggio che invitiamo i pazienti a sperimentare, beh anche il terapeuta a sua volta lo vive. Anche lui va navigando. Non solo come nocchiere e conducente ma anche come viaggiatore inesperto di ciò che si andrà trovando. Questa angolatura è uno dei cardini della eticità estetica della proposta di Restori dove il rumore, ciò che disturba, è il maggiore alleato del terapeuta, ne richiama l’attenzione creativa, lo guida e lo esorta a operare al meglio. Tutto il suo testo è un’esortazione al terapeuta a dismettere le vesti e il ruolo di chi guida con piglio sicuro, di chi aiuta con tutta la compassione amorevole del caso, di chi “cura” autorevolmente. Che non significa affatto liberarsi della responsabilità dell’incontro, né, tantomeno, dell’attenzione all’Altro, ma comporta, piuttosto, la messa in atto di una relazione davvero realmente alla pari. Difficile, faticosa e piena di inciampi, la relazione alla pari considera l’uno e l’Altro come co-Autori di un testo che si va scrivendo in diretta di cui sono responsabili entrambi, ciascuno per la sua parte. L’antica “neutralità” del terapeuta si trasforma, qui, in un continuo porre attenzione ai messaggi che provengono dal nostro complesso corpo-animo-contesto per decodificarli e porli a servizio di visioni e punti di vista alternativi e maggiormente capaci di offrire possibilità di vivere. La fisicità del terapeuta, il suo riscontro di percezioni, emozioni e sentimenti, tutto questo deve essere posto a servizio dell’incontro. Ma, soprattutto, mi sembra, Restori pone in evidenza la più grande, faticosa rinuncia del terapeuta: quella di aver un progetto, per l’Altro e forse anche per sé, se coinvolge e modella l’incontro stesso. Avere il coraggio, sì, un cuore abbastanza grande che ci consenta di affrontare l’impresa e il rischio di navigare per navigare, lasciando che il vento e le onde si prendano gioco e cura del nostro corpo, che i pensieri non siano più solamente nostri ma che possiamo imparare a leggerli come co-creazioni originate in quel contesto, di cui, pure, manteniamo la più seria e grave responsabilità. Un pensare semplice da delineare ma difficilissimo da realizzare, dello stesso rango del fare scienza che non può fare a meno di essere anche esercizio di arte piena, come dice e scrive Carlo Rovelli. Bateson parla di danza dove si va a tempo seguendo uno schema precostituito ma facendolo proprio e personalizzandolo in ogni istante, così gli strumenti che il terapeuta deve possedere sono lì, a disposizione, ma chi e come può sapere in anticipo quale sarà lo strumento, l’attrezzo ben custodito che sarà più utile?
IX
Anemoni in Viaggio - Il Modello Sistemico Integrato
Certo, si ha l’idea di una qualche forma di sequenza dell’incontro ma è un canovaccio a disposizione da ricamare e usare al momento. Un giorno, in Via Leopardi, stavo lavorando con una famiglia assieme a Luigi Boscolo ma, tanto per facilitarci l’esistenza, non funzionava il microfono fra la sala della terapia e quella dove gli allievi erano assiepati a seguire dal vivo la seduta. Ci siamo guardati negli occhi con Luigi e abbiamo convenuto di invitare la famiglia direttamente nella sala dietro lo specchio, dove avremmo continuato l’incontro alla presenza fisica ma silenziosa degli allievi. L’aspetto più avvincente è stato il momento del ragionamento da fare con gli allievi sul cosa dire a conclusione della seduta stessa. Tutti i membri della famiglia erano presenti e, intanto, ciò obbligava tutti, terapeuti ed allievi, a esprimersi con la massima correttezza e gentilezza rispettosa nell’esporre il proprio pensiero. Ma la cosa più affascinante è stata quando ci siamo rivolti di nuovo alla famiglia per porgere loro le conclusioni e un’eventuale prescrizione. Sono stati ad ascoltarci con attenzione piena e un po’ di stupore piacevole: erano stati fisicamente presenti ma si era creato uno “specchio” invisibile fra loro e chi stava ragionando sul come proporre altri punti di vista che li aveva tenuti isolati. Ci hanno ringraziato e sono usciti sereni e sorridenti, con un’andatura dal passo lieve, come fossero stati liberati da legami pesanti. Credo che ad esperienze come questa si riferisca Restori quando parla delle percezioni del corpo, strettamente collegate e in connessione con il pensare, con le emozioni e il muoversi interno del terapeuta. Gioco difficile? Sì, moltissimo, ma così appassionante e coinvolgente che non vediamo l’ora di aprire nuovamente la porta dello studio e studiare in un’occhiata come si sono disposte le persone sulle sedie. Poi, ecco, ci sediamo anche noi con un sospiro e un po’ di trepidazione: poiché anche noi usciremo modificati e trasformati da quest’altra, nuova, inedita navigazione ma il come sarà andata potremo solo saperlo nel raccontarla in seguito, davanti a nostri Feaci.
X
Introduzione di Mirco Moroni
“Il gruppo è un contenitore che trasmette conoscenza. L’istituzione ne assorbe le conseguenze, in modo che il gruppo non ne sia distrutto”. ( W.Bion)
Cosa significa fare psicoterapia nel nostro tempo? Che modelli ereditiamo dal passato? Al di là dei contesti, pubblici o privati, dovremmo poterci chiedere quali modelli di psicoterapia possono sopravvivere ai cambiamenti sociali che ci attraversano. Può essere ancora sostenibile un’ idea di modello rigido di psicoterapia, di approccio tecnico, o invece serve maggiore flessibilità, onestà, umiltà, ascolto, umanità, a fronte di un proliferare di tecnicismi taumaturgici e autoreferenziali? Si tratta di un quesito che Antonio Restori ed io ci poniamo da tempo, in particolare da quando abbiamo dato vita alla nostra Scuola IDIPSI, l’Istituto di Psicoterapia Sistemica Integrata. Per rispondere a questa domanda è necessario partire da un altro interrogativo fondamentale: che cosa è la sofferenza mentale? Parafrasando Bion, ma anche Bateson, Basaglia, Fonagy, Guidano, Liotti, Deleuze, Ferro, Tronick, Cancrini, Stanghellini e molti altri nostri riferimenti, di diversa estrazione formativa e clinica, potremmo formulare questa definizione: la sofferenza mentale è un tentativo estremo di un Sistema di evitare il dolore psichico, eludendo quelle informazioni che, a livello conscio e inconscio, ne veicolano l’accesso al nostro mondo interno e rendendo per ciò stesso il dolore, in questo modo, leggibile e pensabile in termini di verità emotiva. Più semplicemente, la sofferenza mentale è l’elusione di una verità emotiva. Chi soffre psichicamente è, in questa prospettiva, una società, un’ istituzione, un gruppo, una famiglia, un individuo che, per un eccesso di saturazione difensiva, non ha più pre-concezioni, non può pensare il futuro o, per dirla sempre con Bion, non ha “memoria del futuro”: si satura di “certezze artificiali” per evitare il dubbio, l’incertezza e il dolore, per cui smette di pensare. Sente il dolore e lo può infliggere, ma non lo “soffre”. Lo “agisce”, ma non lo “pensa”. Può sentire il dolore, ma solo come frustrazione insormontabile, non come occasione di cambiamento. Bion mette in guardia contro quei meccanismi (ad es. le scissioni) che tendono ad eludere l’esperienza del dolore mentale, in quanto ritiene che questa XI
Anemoni in Viaggio - Il Modello Sistemico Integrato
operazione coincida con l’abolizione della capacità di pensare e quindi con l’esposizione a una maggior quota di sofferenza. L’emozione, ci ricorda, viene sostituita da una “non emozione”: ciò può significare o assenza totale di sentimento o una emozione (come la collera) il cui scopo è quello di negare un’altra emozione. In questo quadro, ad esempio, la collera, la rabbia intensa, si configurano come un vero e proprio “coperchio” chiuso sopra il dolore psichico. Nei casi più gravi, infine, ad esempio nelle psicosi, il tempo, come luogo in cui le emozioni erano collocate, viene annientato insieme alle emozioni. Si crea in tal modo, sostiene Bion, un regno del non esistente, quello della psicosi. Un sistema patologico, dice Bateson, in coerenza con questa lettura (e il discorso vale per le famiglie, come per gli individui e per le istituzioni), è un sistema che ha perso la capacità di ricevere informazioni perché filtra e seleziona solo i messaggi che sono coerenti con la sua organizzazione interna. È un sistema che ha nella rigidità delle sue certezze il fulcro della sua patologia. Di fronte a un sistema che ha proprio nella rigidità delle sue certezze il fulcro della sua patologia, è sterile che un terapeuta vi contrapponga le proprie certezze. È più utile che attraverso la formulazione di ipotesi, che sono di per sé interventi, attivi nel sistema la possibilità di rimettere in discussione quelle stesse certezze. Molti modelli di psicoterapia che ereditiamo dal passato sono caratterizzati da dicotomie: mente-corpo, soggetto-oggetto, terapeuta paziente, causa-effetto, conscio-inconscio, sogno-realtà, esterno-interno, osservatore-osservato, teoria-pratica, salute-malattia. L’approccio sistemico integrato scardina queste premesse: l’osservatore è parte del sistema che osserva, non concepisce processi lineari del tipo causa-effetto, dal momento che tutto influenza tutto. In realtà, ci ricorda Antonio Restori, l’approccio sistemico integrato funziona, nella nostra visione, come un meta-modello, una lente metodologica attraverso cui altre letture o, se volete, altre meta-psicologie (psicoanalitiche, cognitiviste, strutturaliste, fenomenologiche, costruttiviste…) possono cambiare di segno, consentendo ai “sistemi osservanti” di raggiungere livelli superiori di complessità e di ordine. Autori diversi, come Bateson e Bion, ma anche come Fonagy, Tronick, Guidano, Liotti, Ferro, a partire dal superamento concettuale delle dicotomie sopramenzionate, sono approdati a letture che potremmo definire “sistemico costruttiviste e costruzioniste”. Concetti come quelli di “campo analitico”, “funzione onirica diurna”, “espansione diadica di coscienza”, “dimensione interpersonale” degli stati di coscienza e dell’identità, ribaltano le vecchie logiche gerarchizzate terapeuta-paziente e aprono a una dimensione co-costruttiva, costruzionista e interpersonale della vita, e non solo della cosiddetta vita psichica.
XII
Introduzione In questo quadro, il cambiamento terapeutico, per dirla con Tronick,“… avviene quando si comunicano e si condividono stati di coscienza, cosicchè gli stati di coscienza del singolo riescono ad aprirsi al processo disordinato e imprevedibile di formare un nuovo significato, mentre aumentano la coerenza e la complessità di ciascun soggetto…”. Potremmo sostituire ai termini “singolo” e “soggetto” quelli di Osservatore e Sistema per avere la consapevolezza, come ci ricorda un costruttivista radicale come Ceruti, che l’Osservatore è il Sistema. In questi anni, parlando con Antonio Restori di psicoterapia, di “cura psicologica”, abbiamo usato spesso questa metafora: non si può curare un pesce togliendolo dall’acqua, perché l’acqua è la salute del pesce. Dunque, occorre innanzitutto occuparci dell’acqua. Per rimanere in questa metafora “ittica”, se l’acqua è il nostro sistema sociale, o, a scendere, una istituzione, un gruppo, una famiglia, i percorsi di salute non possono prescindere dalla sua trasparenza, limpidezza e leggibilità o, viceversa, dal suo intorbidamento, opacità, oscurità. In parallelo, il pesce, come metafora del paziente, rappresenta quella quota del vivente, quella temporanea singolarità che esprime una quota maggiore o minore di “sintomi”, di segnali indicativi dello stato di armonia o disarmonia del suo sistema di riferimento o della nicchia ecologica che occupa. In questo quadro, l’intervento psicoterapeutico è un intervento di co-regolazione di un Sistema che si realizza aggiungendo a quello stesso Sistema un grado di “differenza”, di informazione e di “coscienza” destinati ad aumentarne la coerenza e la complessità. Cambia il Paziente e cambia il Terapeuta: come spesso abbiamo osservato, la psicoterapia è una sartoria su misura in cui si confezionano abiti destinati a modificare sia chi li cuce, sia chi li indossa. È in questo quadro che Antonio Restori ci parla di un nuovo tempo della psicoterapia (Istituzionale, gruppale, familiare, interpersonale) auspicando una “Alleanza tra Sistemi osservati e Sistemi osservanti” che si fonda su un approccio “estetico” e “abduttivo”. Nella reciprocità del Dialogo terapeutico si intrecciano ipotesi di lettura, costruzioni e de-costruzioni a partire da “somiglianze”, “ricorsività”, “differenze” dei contesti, sia orizzontalmente, nel qui ed ora, sia verticalmente, nella dimensione storica, trans-generazionale e nella dimensione pre-visionale, insatura, direbbe Bion, del futuro. È in questo processo che Terapeuta e Paziente divengono Editor l’uno dell’altro. Marcello La Matina, grande filologo classico, ci ricorda che un ascoltatore di fronte a un parlante ne diviene automaticamente l’Editore, nel
XIII
Anemoni in Viaggio - Il Modello Sistemico Integrato
senso che modifica, ricompone, il testo “in entrata” adeguandolo e riconducendolo, per somiglianze e differenze, o, per dirla con Restori, per abduzione, al proprio sistema concettuale: l’Ascolto come Edizione. Occorre pensare, per questa ragione, ci dice Restori, ad una vera “Psicologia al contrario” nella quale ci viene restituita un’immagine di noi stessi in cui non ci riconosciamo, dato che ogni esperienza di un’altra persona ci offre l’occasione di sperimentare la nostra persona e ci mette in condizione di variare la nostra stessa immaginazione. Si tratta dello stesso invito che Bion ci propone quando ci suggerisce di diffidare delle nostre certezze e delle nostre “chiarezze”, suggerendo di proiettare frequentemente su di esse un “raggio di intensa oscurità”. Se occorre, come suggerisce Restori, superare il concetto di Terapia nella sua accezione asimmetrica, in cui vi è un curante “esperto” e un curato che “non sa”, il ribaltamento epistemologico che ne consegue diviene la vera condizione del cambiamento. L’altro, l’Alterità, diviene Persona, diviene un “Chi” percepibile come una unità inscindibile di corpo e verbo, stupore e ragione, viaggiatore misterioso, portatore di una verità emotiva sconosciuta, costruita nel tempo lungo dei mandati e dei miti del suo Sistema e proiettata in un Kairos-tempo indeterminato e soggettivo. Questa restituzione del “Chi” al nostro interlocutore è per Restori il compito dell’incontro, del Dialogo che diventa riconoscimento e personificazione. In questo senso la psicoterapia è prima di tutto un esercizio di consapevolezza e riguarda il Noi, il contesto, e richiede attenzione: prestare attenzione a ciò che ci si comunica a partire dalle prime battute, dice Restori, “annotando l’esperienza emergente”, assume un senso profondo se l’attenzione attraverso cui siamo in relazione è attivata con cura. Potremmo dire che è “la cura dell’attenzione” che produce effetti benefici sulla relazione. Per queste ragioni, mentre stiamo dentro a questo Dialogo personificante, diveniamo contemporaneamente e reciprocamente Connettori-abduttori, Editor, Esploratori di Mandati e di Miti. E, infine, Narratori. Il pensiero narrativo è pervasivo e ubiquo, istituisce scopi e valori ed è fondativo dell’identità e del cambiamento. Chi non è stato narrato non può narrare, chi non è stato letto non saprà leggere, chi non è stato pensato non potrà pensare. Bion sostiene che i bambini cominciano a pensare quando cominciano a sognare. Ma sognano perché sono stati sognati, immaginati, aspettati, narrati attraverso la rêverie materna.
XIV
Introduzione In questo senso il lavoro della psicoterapia ha bisogno di rêverie, vale a dire della costruzione di un “campo” mentale-corporeo fatto di pre-cognizioni, di una trama invisibile di attenzione e ascolto “sognanti” e poetici. Questo è, in fondo, forse, quello che chiamiamo psicoterapia: “creare le condizioni affinchè i Sistemi possano Pensare” (o Sognare), avvicinandosi, come ci ricorda Bion, alla propria verità emotiva profonda senza esserne distrutti. Antonio Restori ha il grande dono di saper creare le condizioni affinchè noi, suoi compagni di navigazione, possiamo “pensare” e “sognare” continuando a trasformarci e integrarci proprio grazie alle nostre differenze.
XV
Premessa È ormai giunto il tempo di scrivere questa sorta di manifesto del modello Idipsi. Sono passati dieci anni dall’avvio della scuola di specializzazione. Dieci anni dall’inizio della navigazione e almeno tre di costruzione del vascello, prima di mollare gli ormeggi. Non so bene cosa ci abbia portato qui, dove siamo oggi, dopo aver attraversato mari e incontrato tante storie di marinai nei porti. Quello che so è che siamo qui. Una tempesta di storie, di emozioni, di bellezza, di sofferenze, di solitudine; cadute, imbarazzi, che hanno attraversato la mia vita e di tutte le persone che ho conosciuto nel corso del tempo e che mi hanno attraversato e arricchito. Percorsi necessari, inevitabili, che mi hanno permesso di approfondire il senso di tante cose, di affondare e riemergere tante volte con in mano nuovi pensieri, tesori, sabbie, rocce. La nostra vita va cosi. Siamo costantemente mossi a cercare senso in quello che facciamo, in ciò che siamo, sempre desiderosi di ripartire per nuove rotte sconosciute. E possiamo muoverci restando fermi davanti a una finestra, osservando il via vai delle navi nel porto, guardando il mondo da li, osservando, riflettendo, e chiudendoci dentro al nostro piccolo mondo di esitazioni, oppure possiamo camminare, o navigare, incontrandoci nel mondo e re-incontrandoci in continuazione, rinnovando la nostra percezione di noi, scoprendoci nuove persone. Ho sempre cercato l’incontro con le persone, le loro storie, dentro stanze, case, scuole, strade e ascoltato le loro narrazioni, curioso di capire come fossero riusciti a vivere nonostante tutto, malgrado le incertezze, le paure, i fallimenti. C’è qualcosa di sacro nella nostra vita che merita di essere compreso, ascoltato, narrato, rispettato, malgrado tutto e tutti. Qualcosa di immensamente prezioso, fascinoso, che abbiamo l’obbligo di cogliere, comprendere, coltivare. La psicoterapia per me rappresenta un’arte meravigliosa di incontro con sé e l’altro, un’arte di fascinazione incredibile. Ed il desiderio di condividerne i segreti, le pietre preziose incastonate in essa è stato il motivo che mi ha mosso ad aprire IDIPSI. Gli oltre ormai cento giovani psicoterapeuti diplomati nella nostra scuola mi riempie di gioia, perche mi fa sentire meno solo in questa ricerca. E’ un movimento di esploratori che si espande e che naviga con buoni strumenti di osservazione, capace di contaminare e contaminarsi nei percorsi della vita; c’è crescita, c’è esitazione e incertezza, ma poi c’è curiosità, desiderio di navigare in luoghi mai conosciuti di sé e del mondo.
XVII
Anemoni in Viaggio - Il Modello Sistemico Integrato
“Antonio devi scrivere il libro di bordo di IDIPSI!. Devi scrivere su quello che hai fatto, quello che fai!”. Quante volte me lo sono sentito dire. Il mio problema è che ho sempre temuto di scrivere, incidere parole, che ho sempre considerato pietre tombali. Ho sempre pensato che scrivere i miei pensieri provocasse la morte dei pensieri, e che appassissero nel momento stesso che li proiettavo fuori. Solo i miei tatuaggi, solo loro non appassiscono, solo loro sanno parlare di me senza dire nulla: sono fiori, foglie di autunno, farfalle, linee curve che non si intersecano, ma che si cercano, si superano. Non sono abituato a scrivere ciò che faccio. Faccio molta fatica a scrivere, fin dai tempi del liceo. Prendevo sempre dei sei risicati. Non so perché. Forse è una questione di abitudine, di pigrizia, forse la paura di non riuscire a farmi comprendere; o forse, ancor più, la dolce stanchezza che mi avvolge dopo intere giornate passate a navigare, e il desiderio di lasciarmi andare sorseggiando un Don Papa invecchiato con gli amici della taverna del porto. Sono molto più corpo ed emozione che cognizione. Anche quando insegno faccio veramente fatica a preparare le lezioni. Preferisco agirle, costruirle con chi è lì con me. Ma alcune questioni importanti sul senso delle cose penso di averle sempre avute chiare: la ricerca della dignità umana, della Persona, la possibilità di cadere e rialzarsi, l’accogliersi, l’accogliere, l’attaccarsi e il lasciare andare, il rimpianto che può trasformarsi in pianto liberante, che trasforma e ci stupisce. Spero quindi possiate perdonare la mia scrittura, non sempre chiara, molto poco lineare, a volte un po’ ermetica e contorta, ma è così per ora che riesco scrivere quello che penso, quello che sento. Ringrazio tutti coloro che in questi anni mi hanno sostenuto e che hanno contribuito a scrivere questo lavoro anche indirettamente, con la loro vita, i loro pensieri, le loro intuizioni, i dialoghi, i dubbi che la psychè, l’anima, ha inciso nei ritmi del mio respiro, del pneuma, più volte, e che continueranno a scuotere la mia mente, il mio corpo, dentro la nostra vita. Il nostro lavoro è un lavoro che non ho mai considerato un lavoro, perché di questo non abbiamo bisogno se non per sostentamento; ma questo è il nostro lavoro, nel senso del lavoro dell’anima, del corpo che non solo la rinchiude ma che può rischiarare, illuminare, se ci si permette di starcene un po’ al sole o sotto una pioggia battente che asciuga le lacrime. Ringrazio Mirco Moroni, il mio saggio interiore, che mi accompagna paziente e sempre curioso, da tanti anni. Ha il potere di calmare la mia anima inquieta e colmare il mio respiro di aria buona. Ringrazio tutti i colleghi di lavoro che menziono nella storia delle prime tappe, e che mi hanno accompagnato fino ad oggi. Ma soprattutto ringrazio mia figlia Bianca. Perché non è solo una figlia per me; è una creatura che ispira in me una continua ricerca di senso della
XVIII
Premessa vita, che mi incoraggia a non fermarmi, a migliorarmi, a saper aspettare il momento giusto, a guardarmi, a perdonarmi, e guardare il mondo con grandi occhi curiosi, fiduciosi… Ringrazio infine Vigoleno, un luogo non qualunque per me. Mille anni di storie qui dentro, i miei antenati, gli spiriti protettori, le anime immortali, i soldati, le spade insanguinate, i segreti delle buie cantine. Vigoleno sopravvive a tutto, ai vivi, ai morti, ai pensieri. È la mia fortezza, e non solo la mia… Mentre scrivo, da qui, nella mansarda, sento il profumo delle pietanze che mia sorella e mia madre stanno preparando. Mi fanno sentire amato, protetto, visto, pensato. Cosi finalmente riesco a scrivere. Credo cosi come per tutti. Se non ci sentiamo presi dentro, non riusciamo a uscire fuori. Il libro che ho scritto racconta le rotte che ho solcato in trent’anni di navigazione nel mare della sofferenza umana, oggetto dei miei studi, della mia professione di psicoterapeuta e della mia vita. Inizio a descrivere nella prima parte il modello epistemologico che caratterizza il pensiero Sistemico Integrato, collegando il sistema di premesse fondative con l’ultima tappa raggiunta. In pratica la prima parte è l’inizio e la fine del viaggio. Nella seconda parte riprendo il viaggio dalle tappe iniziali, descrivendo i passaggi principali, le intuizioni, le suggestioni che hanno nel tempo caratterizzato i modello sistemico integrato. In pratica questa parte parla delle riflessioni del viaggio intrapreso. La terza parte è dedicata agli strumenti di navigazione: le tecniche che abbiamo appreso, rielaborato secondo ciò che ci sembrava utile ridefinire, e che ci hanno portato ad approdare nei luoghi della mente e nel fare professionale che abbiamo descritto nella prima parte e che stiamo sperimentando. Il libro finisce con un metalogo che descrive la mia idea di psicoterapia attraverso un dialogo tra psicoterapeuta e figlia.
XIX