IL TIROCINANTE E L’IMAGO DI GRUPPO Un’ipotesi sulle dinamiche di transfert nel gruppo con vice-terapeuta
Francesca Graci Medico, psicoterapeuta in formazione francescagraci@yahoo.it
Nel parlare di terapia di gruppo bisogna tener presente il significato del gruppo nell’esistenza umana come rapporto individuo-gruppo; l’ individuo nasce e vive in gruppo, (famiglia-scuolaistituzioni) tali gruppi si intersecano, si restringono, si allargano e si modificano in un continuo dinamismo. I gruppi psicoterapeutici, da un punto di vista metodologico possono essere suddivisi in: Terapia in gruppo, nella quale l’obbiettivo dell’intervento è l’individuo; semplificando vengono trasferite in gruppo le tecniche della terapia duale, modificate in qualche aspetto, ma rimanendo in una strategia individuale svolta di fronte al gruppo che fa da sfondo. Wender e Shilder Slavson sono i primi ad utilizzare il gruppo clinico.I primi due lo affiancano alle sedute individuali, dando alla seduta un tema teorico. L’interazione tra i membri è funzionale a rendere i pazienti più disponibili nelle sedute individuali. Slavson pose l’attenzione sulla formazione del transfert tra i membri del gruppo oltre che con lo psicanalista, in questa concezione il gruppo è considerato come la riproduzione del gruppo di famiglia. Wolf e Shwarz considerano queste dinamiche come una risorsa per lavorare sull’intrapsichico, non sul qui e ora, ma sul là e allora, tutto ovviamente in uno schema psicoanalitico, nel quale vengono introdotte tecniche nuove quali le associazioni libere sparse e l’analisi delle resistenze di gruppo. Quindi: l’individuo rimane sempre al centro dell’attenzione dell’attività terapeutica, la presenza di altri transfert è solo facilitante e arricchente. Vercellino pur sottolineando la matrice concettuale completamente diversa considera la Gestalt therapy come una terapia “in gruppo”. Elemento basilare l’importanza del qui e ora, esperienza attuale rispetto a quella passata, il sentire e il non verbale rispetto all’indagine dell’ inconscio, detto ciò metodologicamente il gruppo viene considerato lo sfondo, la cassa di risonanza per ampliare le emozioni e sperimentare nel qui e ora alcuni aspetti del Sé. La terapia di gruppo si accentra attorno alle ricerche di Bion che studia le dinamiche di gruppo focalizzandosi in modo particolare sugli aspetti emotivi inconsci. Il principio di base è che il gruppo è una entità diversa dai singoli individui e dalla somma dei singoli individui. Egli parte dal presupposto che il gruppo svolge una funzione regressiva sui membri che usano meccanismi primitivi, sviluppando una frammentazione della propria identità per fare parte del gruppo. Si crea quindi ansia e disgregazione verso i quali i meccanismi di difesa divengono gli assunti di base anonimi:dipendenza, attacco-fuga, accoppiamento. L’emergere dell’uno o dell’altro meccanismo condiziona la cultura di gruppo. La terapia attraverso il gruppo ha come caposcuola Foulkes il quale cerca di mediare tra bipolarismo tra terapia in e di gruppo. Il concetto cardine della teoria di Foulkes è quello della ”matrice di gruppo”, essa è il contesto in cui hanno luogo tutte le interazioni del gruppo, le comunicazioni sia verbali che inconsce. Foulkes fa una interessante distinzione delle comunicazioni all’interno del gruppo: intrapersonali, interpersonali, transpersonali. La comunicazione intrapersonale è quella che avviene nell’intrapsichico dell’individuo,per Vercellino è equivalente alle impasse tra i diversi stati dell’Io. Le comunicazioni interpersonali sono duali e avvengono tra cliente e analista, comprendono il transfer e il controtransfert. Quelle transpersonali avvengono tra i membri del gruppo e sono equivalenti ai vari tipi di transazioni nell’AT. Le comunicazioni interpersonali sono udite da tutti e hanno un effetto sulla matrice, quindi il terapeuta con i suoi interventi ed il suo atteggiamento favorisce il funzionamento inconscio del gruppo; poco per volta le relazioni transpersonali diventano via via sempre più 2
terapeutiche e incisive; il terapeuta diventa meno attivo, ma impegnato a rendere sempre più terapeutica la situazione. L’indagine del terapeuta parte dal qui e ora e mira a far vivere una esperienza correttiva, piuttosto che a limitarsi ad una interpretazione. Per Foulkes l’uomo inizia il suo apprendimento tramite relazioni, vive la sua patologia nell’ambito di relazioni patologiche, è un punto in una rete di interrelazioni umane.Il gruppo terapeutico ha quindi il fine di costituire un continuum in cui l’individuo può esprime, analizzare e comprendere la sua matrice personale attraverso la matrice dinamica inconscia che si esprime nel gruppo.Il terapeuta come parte della matrice non è in contrapposizione col gruppo, la differenza del suo ruolo, per la sua competenza (il suo ruolo di leader), nel creare un clima in cui le persone possano esprimere e condividere problemi, sintomi, significati, interpretazioni. Il concetto di matrice di copione e il ruolo del terapeuta nella visione di Foulkes ha molto in comune col concetto di Imago di Berne e della sua evoluzione nel senso di sua maturazione, dove il terapeuta da una prima fase in cui è come un genitore, dove deve avere una forte leadership per rendere i membri del gruppo sicuri di potersi esprimere, ad una leadership sempre meno pronunciata mano a mano che i processi si spostano dall’ambito di confine principale a quello di confine interno secondario. L’ANALISI TRANSAZIONALE L’analisi transazionale è una psicoterapia che ha come setting originariamente il gruppo. Berne individua nella fame di stimoli e di struttura i motivi primi del bisogno di aggregazione dell’individuo in un gruppi. L’AT si occupa delle transazione tra membri, l’attenzione è rivolta alla comunicazione di gruppo e come essa coinvolge gli stati dell’Io dei partecipanti, osservando quindi transazioni e i giochi psicologici (metodo induttivo).A questo si affianca l’aspetto fenomenologico - strutturale che sta nel concetto di Imago . Molti autori, parallelamente all’evolversi del concetto di transfert e controtransfert hanno rilevato come affrontare il setting di gruppo abbia dei risvolti non solo per il paziente, per il quale stare in gruppo vuol dire affrontare dinamiche inconsce, ma anche per il terapeuta per il quale trovarsi in un “ambiente gruppale” porta ad una possibile implicazione inconscia personale; in altri termini, c’è un imago di gruppo per ogni paziente e un imago del gruppo del terapeuta in quanto membro, e quindi caselle di tipo narcisistico controtransferale. Da qui transfert e controtransfert come utile strumento di comprensione delle relazioni, soprattutto come chiave di lettura dei concetti di “inconscio di gruppo” e “antileadership”. Per la Clarkson l’AT offre un metodo unico di utilizzare il gruppo per lavorare sui copioni dei pazienti. L’utilizzo di materiale dalle relazioni tra i membri del gruppo e il terapeuta può essere di grande aiuto nell’analisi delle transazioni, dei giochi, degli stati dell’ Io di un singolo membro. Infatti come l’individuo esternalizza il suo oggetto intrapsichico relazionale nella relazione duale terapeuta-paziente, ogni membro del gruppo esternalizza il suo oggetto intrapsichico relazionale nella matrice di gruppo. Questo materiale intrapsichico e le interazioni nel qui e ora con gli altri membri del gruppo possono essere confrontati, spiegati, interpretati. L’IMAGO DI GRUPPO Il concetto dell’evoluzione in stadi dell’imago di Berne ci fornisce una cornice per comprendere sia il riattivarsi dinamiche relazionali passate(familiari)all’interno del gruppo sia le esperienze correttive che possono avvenire proprio all’interno di questo setting. Il gruppo come unità: la famiglia è il primo gruppo al quale l’uomo viene esposto, e diviene quindi la matrice dove si creano le più profonde e durature ferite, consolazioni, inibizioni e 3
permessi è per tutto ciò che il gruppo è un veicolo così potente per un cambiamento individuale e sociale, tant’è che la Clarkson lo considera un microcosmo della vita umana in cui c’e’ sia un grande potenziale distruttivo che ripartivo. L’adattamento dell’individuo al gruppo:Il processo di adattamento (adjustment) dell’imago del gruppo avviene in quattro fasi diverse. L’imago provvisoria di un candidato all’ingresso nel gruppo(la prima fase)risulta da un misto di fantasie del Bambino e aspettative dell’Adulto delle altre persone, egli osservandole nei rituali e nelle attività le conosce ed è pronto a partecipare ai passatempi(seconda fase), ma non avvierà alcun gioco di sua iniziativa, prima di iniziare i propri giochi deve conoscere il proprio posto nell’imago del leader del gruppo, solo così si può passare ad una imago operativa(terza fase).Questa imago operativa rimane incerta, secondo lo stesso Berne, fino a che il membro non riceve dal leader ripetuti rinforzi esistenziali, quello che la Clarkson chiama istaurare un clima io sono ok tu sei ok. Per spiegare questo concetto Berne fa l’esempio di un bambino impacciato all’asilo. Il bambino può trovare difficile unirsi agli altri bambini fino a che non si sente sicuro della propria posizione rispetto all’insegnante, se l’insegnate intuitivamente capisce, i suoi interventi saranno felici e noterà che il bambino si sarà adattato e si sarà fatto alcuni amici, cioè avrà differenziato alcuni bambini in maniera significativa. Nello stesso modo, in un gruppo di psicoterapia vige questo principio operativo che si rifà alle prime esperienze familiari. Berne porta altri due esempi: quando nasce un nuovo fratellino, gli altri lo trattano con cautela fino a che non è chiara la sua posizione nell’imago dei genitori, oppure quando in una famiglia il padre è sostituito da un patrigno il bambino saggio si muove con cautela per valutare come lui e gli altri eventuali figli si collocano rispetto al nuovo genitore. Il principio operativo quindi ha molto a che fare con la leadership e con i comportamenti del leader. Andando a unire il punto di vista della strutturazione del tempo nell’imago di gruppo e l’aspetto più prettamente transferale si può dire che prima di passare dai passatempi ai giochi il transfert è principalmente condotto attraverso il confine principale proprio per l’esigenza dei membri di capire qual’ è il loro posto nell’imago del terapeuta(io sono ok-tu sei ok). l’adattamento secondario (La quarta fase): in questo stadio il paziente comincia ad abbandonare i suoi propri giochi conformandosi alla cultura del gruppo, questo prepara la strada all’intimità libera dai giochi, che hanno pur sempre alla base la ricerca della stessa. Nell’ultima fase i confini si fanno meno netti, c’è una minor necessità di leadership,il focus è sull’ elaborazione della chiusura della terapia.
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IMAGO
STRUTTURAZIONE DEL TEMPO
Imago provvisoria del gruppo
Rituali
Imago adattata del gruppo
Passatempi
Imago operativa del gruppo
Giochi
Imago di gruppo secondaria
Intimità
Imago di gruppo differenziata o chiara
Chiusura della terapia
Berne
Strutturazione del tempo
Per non essere comunque troppo schematici Berne ricorda che l’intimità può esserci in qualunque fase del gruppo e che anche in una fase non operativa si può passivamente partecipare al giochi degli altri membri. A questo riguardo è utile sottolineare come la conoscenza di questa progressione in fasi del gruppo possa aiutare per definire l’individuo nel gruppo. Per Berne le parole partecipazione, coinvolgimento, impegno e appartenenza sono spesso usati in maniera intercambiabile e a sproposito. Nel gruppo un individuo che fornisce stimoli transazionali verbali e non, è in quella misura partecipativo. La partecipazione può essere vista quindi come il contrario dell’isolamento e può avvenire in qualsiasi fase dell’adattamento dell’ imago. Quindi sarà partecipativo con rituali, passatempi giochi a seconda dell’adattamento della sua imago. 5
Una persona che svolge un ruolo passivo nel gioco di un altro, senza prender l’iniziativa è coinvolto, quindi il coinvolgimento può verificarsi quando l’imago non è ancora operativa. Un membro che prende l’iniziativa di avviare un suo gioco o cerca di influenzare attivamente il gioco di qualcun altro è impegnato, per impegnarsi come già detto devono esserci le condizioni favorevoli create dal leader. L’appartenenza è più complessa, per avere luogo devono essere soddisfatti tre condizioni:Eleggibilità, adattamento, accettazione. In questi tre requisiti, secondo me, si può vedere la patologia dell’individuo che si evidenzia della relazione. Eleggibilità vuol dire che il soggetto soddisfa i requisiti per diventare membro. Adattamento significa che è disposto a rinunciare ai propri giochi per giocare alla maniera del gruppo, questa rinuncia deriva dal passaggio alla fase dell’adattamento secondario da una imago di gruppo operativa. Berne dice che “coloro che sono nati per appartenere” imparano molto presto alcuni rituali, passatempi e giochi accettabili per la loro classe. Accettazione significa che gli altri membri riconoscono che l’individuo ha rinunciato ad alcuni dei suoi giochi a favore della coesione del gruppo nell’ambio della cultura del gruppo stesso che avrà quindi le sue “regole”.Se egli non si atterrà alle regole tale accettazione potrà essere revocata, per il principio della salvaguardia del gruppo. Questo principio è spiegato meglio da Berne con l’esempio della naturalizzazione:lo straniero deve essere eleggibile prima di varcare la frontiera, quindi gli viene richiesto di imparare le norme del paese di adozione, partendo dalle regole del suo paese di origine, allora tanto più sarà capace di adattare la sua imago, tanto più sarà accettato e apparterrà. L’IMAGO DI GRUPPO DA UN PUNTO DI VISTA TRANSFERALE La struttura del gruppo I piccoli gruppi di terapia hanno una struttura che consistente in un confine esterno che separa i membri del gruppo dal resto della popolazione, e da un confine interno che separa il terapeuta dai pazienti.
La Group Imago si può raffigurare considerando i membri del gruppo nelle loro caselle trasferali: (i ruoli transazionali, funzionali e libidici che gli altri membri assegnano al soggetto). Queste sono le variabili qualitative dell’imago di gruppo, le quali sono storicamente determinate e la loro indagine è oggetto di attenta e sistematica analisi della psicodinamica dei suoi stimoli e risposte transazionali. • Casella della leadership detta casella di transfert • Casella relativa a se stessi detta casella narcisistica • Le altre caselle corrispondono a transfert ulteriori
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Mano a mano che il gruppo si evolve i membri attivano altre caselle che possono rappresentare ad esempio la sorella il marito etc.. Le caselle indifferenziate costituiscono quindi una riserva per una ulteriore differenziazione. Questa è la variabile quantitativa : Per Berne un gruppo può essere sotto-differenziato, pienamente differenziato o iperdifferenziato nell’imago di un dato soggetto. Come avviene la differenziazione: dal comportamento e confermata dall’associazione libera, dall’introspezione e dai sogni.
DINAMICHE DEL GRUPPO Si possono distinguere: Il processo esterno del gruppo comprende le transazioni tra il gruppo e l’ambiente esterno. Alle pressioni esterne il gruppo fa fronte con la coesione. Processi principali di gruppo interni comprendono transazioni tra i membri e il Leader (transfert e controtransfert). Processi secondari di gruppo interni comprendono transazioni tra i componenti del gruppo (questi possono essere considerati come divisi in tante regioni, separate da confini detti secondari). PROCESSI ASSOCIATIVI Processo associativo in gruppo può essere definito come una sequenza di transazioni tra i componenti del gruppo a partire da narrazioni che riguardano sia eventi accaduti nel gruppo, che 7
fuori dal gruppo o a partire da sogni , attraverso le quali (narrazioni) i componenti del gruppo e il terapeuta hanno accesso a elementi inconsci che possono essere svelati. Punto di forza del setting di gruppo è di produrre una “nuova cultura” nel senso che i membri individuano nuove opzioni per dare senso alle emozioni perturbanti che non hanno trovato una modalità cognitiva di interpretazione. Per questo processo sono importanti i pezzi aggiunti dagli altri componenti del gruppo, compreso il conduttore. La funzione di disvelamento dei processi associativi riguarda il tipo di relazioni che nel gruppo contribuiscono a costruire l’Imago stessa(rifacendosi alla terminologia di Foulkes): Intrapersonale( io-io) svela il dialogo interno,gli eventi segreti e mitizzati, il rimosso interpersonale svela i processi transferali col terapeuta transpersonale, le transazioni tra i suoi membri, la costruzione di una “ cultura” gruppale che favorisce esperienze correttive.
Per Berne, a livello energetico, se il gruppo è impegnato in processi esterni investirà meno energia negli altri processi e così via per i processi principali di gruppo interni e per i processi secondari di gruppo interni. I TRANSFERT IN GRUPPO Possiamo intendere il transfert non solo uno spostamento nel qui e ora di un lì e allora, ma come attivazione dei più precoci principi organizzatori dell’esperienza del paziente. Il transfert rappresenterebbe una manifestazione della più generale tendenza ad applicare all’esperienza gli schemi organizzativi che si sono formati nel corso dello sviluppo. La Clarkson parla del transfert come un vero e proprio strumento di apprendimento per il paziente: “il transfert è una componente ubiquitaria, naturale e necessaria del processo di apprendimento ….quando una persona resiste o si rifiuta di apprendere , adattare o aggiornare la propria anticipazione o transfert in termini di emozioni, percezioni o reazioni legate al qui e ora, continua a fondare la propria esperienza sul passato soltanto” L’attivazione di ulteriori nuove caselle di transfert possono derivare dalle esperienze correttive che avvengono in gruppo, Vercellino propone di chiamare caselle omomorfe le caselle sede di proiezioni transferali, e eteromorfe quelle attivate in base alle esperienze nuove (es: fratello mai avuto, madre protettiva). I diversi tipi di transfert fanno riferimento agli elementi che lo costituiscono: Leader-gruppo-singoli membri 8
Un transfert che potremmo chiamare “principale” che avviene sul confine principale, che va dai pazienti al terapeuta e dal terapeuta ai pazienti(controtransfert) Un transfert del terapeuta verso i pazienti costituito dagli inevitabili sentimenti di curiosità, simpatia, antipatia per ciascun paziente e per certi aspetti indipendenti dai loro atteggiamenti I transfert in gruppo - gruppo 1. Gruppo-terapeuta, in questo caso il gruppo vede il terapeuta come un genitore, un capo o un insegnante, si aspetta da lui risposte magiche 2. Terapeuta–gruppo: vi è il controtransfert del terapeuta che può produrre risposte irrazionali ad un momento di irrazionalità del gruppo. Il transfert appartiene all’imago che il terapeuta ha del gruppo, alle sue aspettative personali e professionali 3. Paziente-gruppo: il paziente può investire il gruppo di un transfert positivo ( è un gruppo straordinario, siamo tutti nella stessa barca) o negativo ( questo è un gruppo di matti), in quest’ultimo caso mentre il gruppo rappresenta il polo negativo di un processo di scissione, il terapeuta rappresenta il polo positivo ( il genitore buono) 4. Gruppo-paziente, in questo caso il gruppo attribuisce dei ruoli ai singoli componenti del gruppo (il poeta, la coscienza del gruppo, il grillo parlante) relazionandosi non con il compagno, ma con il ruolo.
L’EVOLUZIONE DEL GRUPPO
Primo stadio:(Forming)I membri del gruppo si orientano e comprendono quale debba essere il comportamento nei riguardi del terapeuta e degli altri membri già presenti e alle regole del gruppo divenendone dipendenti.
Secondo stadio:storming Si sviluppa un clima di ostilità verso il leader. Emergono ribellioni anche sottoforma di silenzi o assenze o transazioni tra i membri che però sono rivolte al Leader. 9
Terzo stadio: norming. I membri si accettano vicendevolmente,sono sicuri del loro posto nell’imago del terapeuta e iniziano a condurre i propri giochi. Il quarto stadio: performing. I membri del gruppo accettano il loro ruolo e lavorano per raggiungere i fini preposti.
Lo stadio finale: mourning. Si elabora la chiusura del lavoro (lutto). L’imago del terapeuta Secondo Vercellino La Group Imago si può articolare anche per il terapeuta in questo modo: Il terapeuta propone il gruppo di terapia dopo un periodo più o meno lungo di terapia individuale, per cui conosce tutti i suoi pazienti ed ha con loro vari gradi dai alleanza terapeutica, un contratto più o meno esplicitato, comunque un periodo di lavoro insieme. Quindi all’inizio l’Imago del terapeuta è totalmente differenziata, anche se resta l’incognita, come dice Berne, di come potrà reagire l’individuo in gruppo(il terzo) rispetto ad un rapporto esclusivo col terapeuta. Con il tempo, il lavoro comune e la creazione di una cultura di gruppo, il terapeuta si costruirà una immagine di gruppo come insieme, vedrà il “suo” gruppo costruirsi come una unità diversa dai singoli membri, ma lo vedrà davanti a sé, staccato, distinto. L’ultima Group Imago del terapeuta, che per lui sarà finale quando chiuderà il gruppo, coinciderà con quella dei membri, cioè si sentirà parte del gruppo pur riuscendo a mantenere un buon livello di energia dell’Adulto ed gli avrà chiaro il confine rispetto al proprio ruolo.
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L’imago del tirocinante Partendo da queste ultime riflessioni sull’Imago del terapeuta e confrontandole con quelle dei pazienti ipotizzo, anche secondo la mia breve esperienza che il Vice-terapeuta parta da una Imago indifferenziata, in cui l’unica conoscenza è il terapeuta. Si differenzia sia in relazione ai propri transfert-controtrasfert, ma anche in relazione ai transfert dei pazienti su di lui, mano a mano che si crea un’alleanza terapeutica. Come il terapeuta arriverà a vedere il gruppo come unica entità ma di caselle differenziate. Il gruppo del mercoledì Il mio tirocinio inizia nel Settembre del 2008. In quell’occasione il tema del gruppo è stato “le partenze dal gruppo” e io aggiungerei anche gli arrivi. Il mio ingresso come tirocinante è coinciso con la fine della terapia di M. che aveva iniziato il suo percorso in gruppo quando io stessa ero paziente in quel gruppo. A metà seduta Sonia esprime dapprima dispiacere per la partenza di M. e più i generale per i membri che lasciano il gruppo, per poi rimpiangere l’assenza della precedente tirocinante con cui sentiva di aver istaurato un buon rapporto e alla quale si sentiva molto legata. Dagli scambi con la terapeuta emerge la rabbia per questo avvicendamento che considera ingiusto, con un’unica frase rivolta a me direttamente “niente di personale”. Questa rabbia viene elaborata e il focus rimane la fine della terapia di M. È quindi una situazione in cui il gruppo è focalizzato sul tranfert verso il Leader. Questo tema degli arrivi e delle partenze si protrae fino a pochi mesi fa con quattro ingressi, 2 abbandoni e una conclusione di terapia. Il gruppo si trova tutt’ora nella fase di storming(fase due) il gruppo risponde a questi avvicendamenti con agitazione, aggressività non palese, ma sottoforma di ritardi, assenze, silenzi. Il mio ruolo passa subito da osservatore a vice-terapeuta iniziando nella sessione in cui vengo coinvolta nei feedback riguardo alla fine della terapia di M. Mi è già chiaro un mio elemento controtransferale: il mio passato da paziente in quel gruppo . Questo mi porta nei miei interventi a chiedermi il mio ruolo mentre sto parlando, infatti talvolta ho il dubbio di oltrepassare il confine principale e invadere lo spazio dei membri del gruppo nel portare mie esperienze personali. Tenendo presente questi elementi quello che cerco di fare nei miei interventi è di dare un senso a ciò che si muove nel gruppo a livello emozionale dando un messaggio Io sono ok-tu sei ok. Questa sensazione la avverto soprattutto se stimolata da un paziente o dalla terapeuta. Questo mi porta ad individuare un altro elemento controtranferale, il rapporto con la terapeuta del gruppo che è stata mia terapeuta, nonché mia attuale docente, ciò è sia un elemento di controtrasfert verso il gruppo, sia un elemento di tranfert verso la terapeuta come Leader del gruppo. La moltiplicazione delle dinamiche di transfert sono per Berne, oltre che al problema della leadership motivo per considerere la co-conduzione di un gruppo molto più ricca di svantaggi legati proprio alla confusione che potenzialmente si può creare in un gruppo. Egli fa un esempio che riprende da Mullan e Rosembaum che criticano l’assunto per cui nella coconduzione i co-terapeuti fungano da “padre e madre”. Vanno inoltre ad analizzare le compicazioni indotte da un co-terapeuta. Con un solo terapeuta abbiamo: PZ-T (precesso principale1) 11
PZ-PZ (processo secondario) Con due conduttori PZ-IDUE TERAPEUTI (principale1) PZ-TPa (principale2) PZ-TPB (principale3) PZ-PZ (secondario1) TP-TP (secondario2) Perciò un’analisi rigorosa dei procedimenti, come li chiama Berne, con un solo terapeuta è analoga ad una equazione di secondo grado, con due terapeuti è come risolvere una equazione di quinto grado. Giustificare una co-terapia a due teste equivale pertanto a dire che due persone insieme possono risolvere una equazione di quinto grado meglio di quanto una da sola ne possa risolvere una di secondo. Uno dei pochi casi in cui l’autore trova favorevole la presenza di un altro terapeuta è quando c’è una Leadership chiara e l’altro soggetto è gerarchicamente inferiore, come nel caso del tirocinio. Allora i compiti che Berne pensa leciti per il vice-terapeuta sono soprattutto quelli organici, inoltre porta l’attenzione sulle tentazioni che avere un altro individuo nella leadership porta psicodinamicamente nel gruppo. Ciò è l’aspetto su cui mi vorrei soffermare, facendo ipotesi, partendo da transazioni e dinamiche gruppali tra me e un membro del gruppo, per ipotizzare quale sia il mio ruolo trasferale nell Imago di questa paziente. Moira è in gruppo da circa 3 anni, prima ha fatto una terapia individuale di sei mesi. Attualmente integra colloqui individuali con il gruppo, in un gioco con la terapeuta che deriva dalle resistenze della paziente a stare in gruppo. Inizia la terapia per attacchi di panico , ha una modalità molto infantile, viene fatta l’ipotesi di un disturbo dipendente, ma il focus è comunque sulla diagnosi di personalità tra il border e l’istrionico. Nonostante sia avvocato non esercita la professione, ma si trova in una costante situazione di precariato che non le consente un tenore di vita adeguato. Anche sentimentalmente sembra che questa precarietà si ripresenti, promiscuità con più relazioni aperte che non sembrano però darle soddisfazione. Il mio tranfert per questa paziente è di curiosità e simpatia. Il mio ingresso in gruppo va a coincidere con una discontinuità della sua frequenza in gruppo; inizia questo braccio di ferro con la terapeuta per cui Moira salta il gruppo per poi chiedere una seduta individuale, la terapeuta media ponendo la condizione che se viene in gruppo farà la seduta individuale. A questa discontinuità si affianca a gruppi in cui lavora anche per un’ora e mezza, vista la passività generale i suoi tratti istrionici non trovano alcun limite. Quindi il suo schema è: due o tre gruppi di assenza, quasi sempre senza avvertire, un gruppo in cui lavora circa un ora, e la sequenza si ripete. In una seduta racconta con tono allegro una serata con un uomo con cui ha una relazione, per lui extraconiugale, con il quale cerca di instaurare un rapporto affettivo e non prettamente fisico. Racconta questa dinamica molto svalutante e distruttiva con aria felice e quasi compiaciuta. Nella narrazione sento una profonda tristezza. Al momento del feedback lo faccio presente e la paziente si arrabbia dicendo “…Appunto per il tuo ruolo non ti puoi permettere di dire certe cose” continua dicendo che se non è libera di raccontare queste cose in gruppo non sa che ci viene a fare. 12
Io rispondo che mi dispiace se ha sentito il mio intervento troppo invasivo, quello che portavo era il mio sentimento mentre raccontava, faccio un’analogia sui limiti che aveva usato lei stessa prima e le dico che comunque, se riterrò opportuno, interverrò ancora nei suoi lavori. Prima di confrontarmi con la terapeuta mi sono chiesta a chi apparteneva quella tristezza, se a Moira o se era mia, in altre parole, se era controidentificazione proiettiva o controtransfert. La terapeuta mi dice che la tristezza era quella della paziente, sentimento con il quale non riesce a stare, e che avendo ancora un adulto contaminato aveva preso il mio come un giudizio. La paziente mi vede quindi come un genitore giudicante??? Tra Gennaio e Febbraio la terapeuta è assente per 3 sedute che verranno condotte da me. Per i primi due incontri Moira non viene e non avverte, riproponendo il gioco che fa con la terapeuta, io mi pongo quindi il problema se chiamarla o meno; rischio da una parte di fare il genitore giudicante che la rimprovera per le assenze, dall’altra se non la chiamo di dare il messaggio che se non viene nessuno se ne accorge.Decido, dopo aver chiesto anche il consiglio dei miei colleghi, di chiamarla. Moira al telefono sembra molto felice e viene all’ultima sessione condotta da me. Porta come tema “come chiedere aiuto quando ci si sente giù”. Ancora il tema della tristezza, che lei chiama sentirsi giù, io ho l’impressione che sia un test, o comunque una riproposizione del tema ancora aperto tra noi, si può sentire sicura di portare la sua tristezza? Anche questa volta nel sentire il suo racconto di come si è sentita non capita nelle sue richieste d’aiuto e di conforto, sempre dinamiche distruttive, provo tristezza, ma invece di indagarla mi focalizzo sulle sue modalità di chiedere aiuto, su dove sente di poter portare questo stato d’animo e a tal scopo uso anche il gruppo per esplorare le opzioni che potrebbe avere facendo una domanda generale “a chi vi rivolgete quando vi sentite giù?” Moira alterna periodi di partecipazione attiva al gruppo a periodi anche lunghi di assenza, continuando questo braccio di ferro con la terapeuta per le sedute individuali. Nel frattempo si susseguono nel gruppo partenze e arrivi di nuovi membri. Attualmente il gruppo è formato da un uomo e sei donne. In una delle ultime sessioni, dopo molte settimane di assenza Moira porta il tema della tristezza ancora una volta, questa volta chiamandola col proprio nome. Queste sono le riflessioni a caldo sul suo lavoro in quella seduta. Un paio di riflessioni sul lungo lavoro di Moira. Intanto ha portato delle emozioni, non l’ansia ma la tristezza, con cui ha difficoltà a stare, e questo mi sembra molto importante.Ha portato almeno per la seconda la “colpa del sopravvissuto” in relazione ai suoi genitori e a chi vede nel servizio. Quando parla dei suoi genitori i quali le dicevano che stare male vuol dire non avere da mangiare, avere una malattia grave…Quando dice che ha paura di diventare insensibile al dolore degli utenti del servizio, ma(e) prova disagio nell’ incontrarli fuori. A questo mi sembrava di dover rispondere dando dignità e spazio a questa tristezza. La sua difficoltà a legarsi e il desiderio che qualcuno la voglia tutta per sé. Da una parte sarebbero aspetti da confrontare, ma mi sono sentita di darle solo una carezza rispetto al suo ‘essere’ libera creativa e giocosa, perché con i suoi giochi, con gli uomini che sceglie questo suo aspetto viene sempre svalutato. Proprio questa carezza è stata riportata dalla paziente in terapia individuale come elemento che la avvicina al gruppo in questo suo tira e molla.
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CONCLUSIONI Il cercare di instaurare un clima Io sono ok-Tu sei ok è sicuramente una priorità in questa fase dell’Imago. Che la paziente abbia potuto proiettarmi un G giudicante, cattivo ha permesso alla stessa di continuare proiettare il G buono sul terapeuta con risultante la scissione ma nella stesso spazio della leadership. Questo che Berne considerava come risorsa psicodinamica del vice-terapeuta, per me non è certo ruolo facile, i pazienti hanno l’esigenza di mantenere il transfert buono sul terapeuta, ma nella fase dello storming , nella contro-dipendenza c’è anche il bisogno di proiettare l’oggetto cattivo scisso e il tirocinante è proprio una tentazione. L’ ipotesi è quindi che nella fase di storming sia funzionale il ruolo del vice-teraputa poiché permette la proiezione dell’oggetto scisso nell’ambito del confine interno. La condizione perché questo non sia disfunzionale è: Una forte leadership Un costante monitoraggio del mio controtransfert e del gioco competitivo di ostilità dei pazienti come “preferita” della terapeuta Cercare di capire quale ruolo i pazienti mi assegnino nella loro Imago.
BIBLIOGRAFIA Eric Berne (1966), Principi di Terapia di Gruppo Eric Berne(1963), the structure and dynamics of organizations and groups;Grove Press NY Patrick Casement(1985), Apprendere dal paziente ;Raffaello Cortina Editore Michele Novellino(2004), Psicoanalisi Transazionale; Franco Angeli Petruska Clarkson , Group Imago and the Stages of Group Development; http://www.scribd.com/doc/351100/Clarkson-Group-Imago Carla Giovannoli Verecellino (2009), Il gruppo Psicoterapeutico; Trauben
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