Raccontare. Reinventare. Ricreare. Ri-creare. Ridare forma. Ridare vita. Curare. Aver cura. Soccorrere. Sostenere. Senza Se e senza Ma. Siamo Molto Solidali. Sappiamo Molte Storie. Scegliamo Morali Scomode. Sognamo Mondi Sostenibili. Società Meno Spietate. Società di Mutuo Soccorso. Sempre Moltiplicando Storie. S M S.
Lella Costa
circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze
Intorno al ricreativo e al culturale da un ragionamento di Turiddo Campaini
Poesia
Motori affettivi Piaceri
Maria Cassi voce recitante su ambasciatateatrale.com
Dalla copertina di “Poesie”, Bertolt Brecht, Einaudi
Il primo sguardo dalla finestra al mattino il vecchio libro ritrovato volti entusiasti neve, il mutare delle stagioni il giornale il cane la dialettica fare la doccia, nuotare musica antica scarpe comode capire musica moderna scrivere, piantare viaggiare cantare essere gentili. Bertolt Brecht
Gesti Teatrali di Alberto Severi
F
inito i’ ricreativo si passa a i’curturale, annunciava dal podio un ancor giovane Sergio Forconi nella leggendaria battuta alla Casa del popolo di Vergaio in Berlinguer ti voglio bene. Ma – con tutto il rispetto per le Case del popolo – in un circolo, invece, nulla finisce, e nulla incomincia, perché un circolo – è matematico, anzi: geometrico – non ha soluzione di continuità. Non si passa al culturale, perché non ci sono cesure, ma un unico ininterrotto movimento. Circolare, appunto. Il ricreativo è culturale, e il culturale è ricreativo. La cultura ri-crea, crea forme nuove, prima inesistenti, da ciò che preesisteva: nuova vita, suoni-emozioni, idee, immagini, felicità. Mentre, specularmente, ciò che ri-crea è, di per se stesso, cul-
Oltre i muri della diffidenza
Lasciamoli guidare
di Andrea Marchetti
di Fabio Picchi
C ontro gli ostacoli che l’uomo pone come limite IInclusione come costruzione di legami R ipartire daccapo R C onfini della nostra storia C O gni persona è chiamata a portare il proprio contributo O L o scomodo incontro col diverso O ltre la solitudine, vivere ogni giorno C ome vite separate, come vite negate Un corpo senza intimità L a soglia dei propri limiti T ermini nuovi, le parole fanno la differenza Uguaglianza di opportunità R icordi di lotte sfibranti A bbattere i muri della diffidenza, diversi non si nasce L o si diventa per cultura E in questo ritornello perpetuo di vita e di morte, solo l’abbraccio dell’amore ci scuote dal torpore dell’indifferenza
Occhio di bue
Nessuno cali il sipario turale: perché è in cultura che tutto si ricrea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Ergo, il gesto – teatrale – di quello che sale sul palco e officia, distinguendo i vari momenti di una liturgia diversificata e discontinua, va sostituito con una sorta di iperteatrale e quasi circense direttore di Circo(lo), primo motore mobilissimo d’un ambaradàn che poi però deve circolare, circolare, circolare con la sue gambe, e soprattutto col suo (coi suoi) cervello(-i). Sette anni di Sale, e già un anno d’Ambasciata stanno lì a dimostrarla: l’attualità dell’utopia, la quadratura del Circolo. Ricreativo trattino... no: barra culturale. Anda e ri-anda, come dicono a Firenze, Los Angeles e Parigi. E che nessuno, stavolta, faccia calare il Sipario.
Editoriale
M
ario, il segretario della sezione intitolata al generale Giap fu perentorio: convocati gli Stati Generali del quartiere, dopo la cocente sconfitta di quel funesto 1994, in un silenzio di tomba del centinaio di compagni presenti a quell’incontro, cominciò la sua analisi sui perché e sui percome tutto questo potesse essere successo a livello nazionale. “Compagni, abbiamo sdoganato l’ignoranza. E non parlo dell’ignoranza degli altri, parlo della nostra. E per chiarezza non pensate che io voglia essere metaforico: se continuiamo a servire la pizza più cattiva del mondo perché mai la nostra proposta politica dovrebbe piacere a qualcuno? Abbiamo confuso il volontariato con l’approssimazione, stando ben lontani dai principi formativi, considerandoli inutili e faticosi. Da lì a non sapere cos’è un lievito e cos’è una lievitatura, il passo è breve e conduce inesorabilmente ad allungare le mani su principi consumistici. Sgarbati capperi sott’aceto provenienti non si sa da dove e lontani dalla cura dei nostri territori e dalle preziose mani di capaci raccoglitrici. Sviliti origani imbustati chissà quando e chissà dove. Oli perfidi sfregianti non soltanto i nostri palati ma interi territori. Segue a Pagina 2 In alto copertina del Time, 15 maggio 1972
Provocazione
L’intervista
Gatti
Città Aperta, batti un colpo
Olivetti e il sabato della ricreazione
di Luigi Settembrini
di Monica Capuani
N
onostante i disperati sforzi dei fiorentini per essere più provinciali possibile, Firenze resta una realtà simbolica dal prestigio universale. Capace di rappresentare e promuovere ideali che in un momento appiattito come quello che stiamo vivendo, occorre risvegliare. Capace di rappresentare un pensiero più ecumenico, aperto alla conoscenza e al rispetto dei valori dell’uomo e della natura. Quel gioco gentile e profondo, quel Novo stil novo di cui parlano un numero ogni giorno crescente di filosofi, economisti, poeti, artisti. Un’idea forte ci sarebbe. Non mia. La individuò invece Fabio Picchi, quando decise di chiamare Città Aperta il Teatro/Circolo che per vivacità e intelligenza rappresenta una felice eccezione nel panorama. Perché non tentare di dar corpo a quell’idea? Potrebbe farlo il sindaco, al quale guardiamo con molte speranze. Cominciando a promuovere uno studio intitolato proprio Città Aperta da affidare agli studenti delle università di eccellenza che popolano il territorio. I giovani sarebbero monitorati – all’interno di specifici seminari – da alcuni importanti professionisti, artisti, talenti. Lo studio spiegherà cosa significa essere aperti. E come solo attraverso una vera apertura sia possibile tentare di ritrovare valori che sembrano perduti. Come solo attraverso una convinta e partecipata apertura sia possibile risuscitare l’impegno culturale, sociale,
Staino
politico, di quella che fu la capitale dell’anima dell’uomo. Lo studio diventerebbe la carta, la premessa, il primo passo, il primo impegno di una città aperta all’energia del nuovo e al rispetto dell’altro. In grado forse, finalmente, di farsi amare dai giovani. Di non farsi abbandonare. Di produrre idee ed eventi degni di questo nome, fatti di aperture, cioè riflessioni dedicate alla necessaria comprensione delle diversità del mondo e delle diversità dei suoi problemi. Eventi in grado di condurre a lavorare sul territorio tutti quegli artisti e quei talenti internazionali che non chiederebbero di meglio. Dopo troppi anni di meno che niente, Firenze si metterebbe nella condizione di indagare, pesare, conoscere i nuovi linguaggi dell’arte e della creatività, di far parte della comunicazione e dell’informazione contemporanee globali. Cultura e informazione non camminano mai disgiunti. Prova ne sia che le città che non le vivono e non le controllano finiscono per diventare realtà marginali. Non è solo questione d’immagine: cultura e informazione del e nel nostro momento rivestono un’importanza strategica anche per l’economia dei territori. Città Aperta, se sotto sotto ci sei, se hai capito che ancora potresti esserci, batti un colpo. Falla finita coi vorrei ma non posso o peggio vorrei ma non so, vorrei ma non conosco, vorrei ma non capisco, vorrei ma non sono capace.
L’
ho incontrato tra le pagine di un libro, perché è lì che riposa dal 27 febbraio 1960, giorno del viaggio senza ritorno sul treno Milano-Losanna. È il libro dell’amica Natalia Ginzburg, Lessico famigliare. “Adriano Olivetti aveva un’aria molto malinconica: era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti”. Adriano, cosa pensa se le dico circo-lo? Penso allo stare insieme, al fare gruppo, al sentirsi un’aggregazione di persone affini. Ho sempre amato la bellezza e ho cercato di insegnare agli operai di Ivrea a riconoscerla, chiamando grandi architetti a progettare per loro alloggi e luoghi di lavoro. L’anno prima della mia morte, la Lettera 22 è stata dichiarata il primo tra i 100 migliori prodotti degli ultimi 100
anni. Bella soddisfazione. E se le dico circo-lo ricreativo? Penso al Gruppo sportivo ricreativo Olivetti, che istituii nel ’47 per il tempo libero dei miei operai. Ce n’era per tutti i gusti: sezioni ricreativo-culturali, fotografia, filatelia; sport: tennis, bocce, pesca, modellismo, nuoto, sci. Decisi di chiudere la fabbrica il sabato: i miei operai lo avrebbero dedicato alla ricreazione. E se le dico circo-lo ricreativo e culturale? Un giorno dissi a un giovane giornalista che si chiamava Furio Colombo: “Voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Non si può fare il mestiere di manager se non si sa che cosa fanno gli altri”. La cultura, per me, avrebbe potuto salvare loro la vita. O, almeno, rendergliela più tollerabile. Questa eredità, l’ha raccolta qualcuno in Italia?
Diario di un teatrante di Alessio Sardelli ravamo arrivati in una ridente e nota città turistica per recitare nientepopodimeno che il Falstaff e le allegre comari di Windsor di William Shakespeare. Ben contenti del luogo incominciammo a cercare il teatro. Gira che ti rigira, alla nostra richiesta della via, la gente tra l’incredulità e l’imbarazzo ci rispondeva cortesemente che la via esisteva ma di teatro… boh. Sì, c’era il cinema ma per il resto, mah. Arrivammo a destinazione e ci trovammo di fronte a una sala di un circolo culturale assolutamente inadatta per la nostra
scenografia. Ci mettemmo alla ricerca dei camerini e qualcuno ci rispose: “I camerini? Non ci sono!”. Se tutto questo fosse accaduto a una recita scolastica, tirabaralla, ma questo accadde con primo attore Giorgio Albertazzi. Credetemi, la tensione salì alle stelle! Però i tecnici, bravissimi, come genieri militari allestirono a tempo di record dei camerini ben caldi con stufette di fortuna. Nonostante la situazione così avvilente quel giorno il Maestro appariva stranamente sereno. Rimanemmo tutti sospesi in una sorta di: “Ora si imbestialisce e
se succede son dolori!” Ma l’alchimia del teatro a volte fa accadere le cose più strane e passando davanti al suo ‘camerino’, lanciai un: “Beh Maestro potrebbe anche pioviscolare!”. Ecco a quella parola fiorentina il Maestro si rasserenò definitivamente e fece un sorriso digrignando un po’ i denti. Rincarai la dose entrando in scena e dicendogli nel nostro primo dialogo: “Cavaliere Falstaff fuori dall’osteria… pioviscola!”. Mi fece uno splendido sorriso e capii allora che tutto andava liscio e che il vernacolo mi aveva aiutato e non poco.
Editoriale
By Kate McBride
O
“Pioviscola”. E Falstaff Albertazzi mi sorrise
E
Solidarietà felina funziona
ur due gatti appear very healthy these days, perhaps even getting a little fat, from the generous daily support of their friend Alberto. The world is full of informal and formal forums that work together to ensure the health of our helpless feline ciitizens. In Tuscany, a group that call themselves Amagatti rescues cats and helps maintain a few feeding areas in the city. Perhaps Minou, Chicco, Milly, Pepe, Diana, Apollo or one of the many others waiting in sanctuary in the Tuscan Hills near Mugolina will find their way into a loving home. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Photo by James O’Mara
segue dalla prima
Sono figli nostri, lasciamoli guidare di Fabio Picchi ...Noi che avevamo ricevuto in regalo la cura di chi invece, per millenni, aveva badato alle proprie colline, ai propri olivi, alla durezza e alla bellezza della raccolta sacrificando tempo e amore per giungere a spremiture che chiarivano la potenza del nostro territorio, l’abilità e la coscienza del nostro territorio. Olio extra vergine per tutti sarebbe dovuto essere il nostro grido di battaglia. Nello scimmiottare invece le fragili abbondanze altrui ci siamo riempiti le case di stupide teste surgelanti sopra i nostri frigoriferi, surgelando così anche le nostre di teste e le nostre idee. Ci siamo persi la ricerca della qualità della vita, come se l’idea del lavoro fosse contrapposta a quest’ultima. All’entusiasmo del formativo insegnare, abbiamo preferito lo schermo televisivo e fra un’induzione pubblicitaria e l’altra ci hanno catturato e distrutto la capacità di meraviglia. Noi che avevamo applaudito a Z, l’orgia del potere, e al Gattopardo, a If e agli scritti di Italo Calvino, noi che stavamo in concorrenza con l’oratorio dei salesiani dove si proiettava tutto Bergman. Noi che come loro si rintracciava quello che il mondo ci regalava, dai Beatles a La Locomotiva di Guccini. Ci siamo fatti inerti, fra mozzarelle plastificate, i Funari di turno e gli Sgarbi urlanti. Pensavamo alle nostre rumorose e coinvolgenti tombole come a un punto di fragilità senza rendersi conto che quel nostro ricreativo era condito dello stare insieme, dell’annusarsi, dello scherzare, del ridere e del divertirsi per pochi soldi, per lunghi e pensionati pomeriggi. Che presunzione la nostra. Avevamo, nel nostro circolo, nel suo essere culturale e ricreativo, l’elemen-
to chiave del nostro parlare alla gente, dello stare con la gente, del nostro capire la gente. Ricreativo che dovrà continuare a portare dentro il teatro, il cinema, il lavoro e tutte le arti e le creatività possibili e tutto ciò che Renzo, il nuovo segretario, ci suggerirà di fare. Ha solamente vent’anni. Fidatevi di lui come lui si fiderà di voi. Lui è il domani, come noi, con la nostra esperienza, siamo portatori di geni antichi e indelebili”. Mario, lasciandoci sbigottiti, annunciò così le sue dimissioni e concludendo aggiunse: “Dobbiamo essere capaci di produrre insieme un’emozionante idea di futuro con pizze buone, con l’emozione del lavoro, con l’emozione del divertimento, con l’emozione della cultura, con l’emozione delle numerose e diverse intelligenze altrui”. Pochi giorni dopo il compagno Osvaldo, opponendosi alla giovane candidatura di Renzo, candidò se stesso e questo apparve ai più un obbligo di rispetto dovuto per la sua lunga militanza. Vinse. E fu così che avemmo, nel 1994, un nuovo/vecchio segretario di sezione. 2010: che l’inizio della fine si allontani da noi, che si sappia rischiare, avendo anche il coraggio di non capire per come corre il mondo oggi, linguaggi nuovi che riusciamo soltanto a percepire. Sono figli nostri, lasciamoli guidare. Quel che avevamo da dire lo abbiamo già detto. Quel che dovevamo fare lo abbiamo già fatto e forse non ci rimane che ricordare, con la straordinaria importanza del ricordare.
Il commento Uniti dal comune piacere, una vera rarità di Alessandra Mammì
N
on ho grandi esperienze di circoli culturali ricreativi. Un tempo frequentavo assiduamente i cineclub. Avevo la tessera di tutti quelli presenti in città, vicini e lontani. Culturali di sicuro, ricreativi si può discutere (dipende dai film), ma circoli non erano proprio. Più che altro somigliavano a sette governate da seria, fondamentalista e cupa cinefilia che classificava gli adepti sulla base dei film e cast che riuscivano a mandare a memoria. Esclusi dunque i cineclub mi viene in mente che accanto alla mia quotidiana stazione della metro c’è uno scatenato centro anziani, con frequentato cortile, dove nei giorni di sole si gioca a carte, si fanno bulimiche merende a base di porchetta e persino si balla il liscio. L’attività frenetica sembra molto ricreativa e anche piuttosto circolare ma sul culturale non ci metterei la mano sul fuoco, a meno che non usiamo il termine in accezioni molto late e antropologiche. Così per capire meglio il senso di tanta definizione ho digitato su Google “Circolo ricreativo culturale Roma”. Risultato: di tutto di più. Palestre, circoli bocciofili, di-
scoteche e associazioni amici di...(si va dai gatti al Brasile) con il risultato che il concetto mi appare ancora più vago e sfumato. Mi ancoro allora all’esperienza avuta poco tempo fa entrando per la prima volta nel Teatro del Sale, unico circolo ricreativo culturale filologicamente corretto che conosco. Non ho dubbi sul culturale e non solo perché si fa del teatro (ovvio) ma perché si respira cultura già nel veder restaurare un luogo rispettandone la storia e la memoria, dagli spazi agli arredi. Nè si può discutere sul ricreativo, perché cosa ricrea di più gli animi del ben mangiare e bere, chiacchierando con gli amici e infine (senza neanche dover uscire, né riparcheggiare la macchina) accoccolarsi tutti insieme intorno a un palcoscenico? Tutti insieme, appunto. E tutti diversi per età, provenienza, professione, come vuole la parola circolo. Uniti da un piacere comune per quel posto e per quello che quel posto offre. Non setta, ma comunità, che in quanto tale è articolata e non omogenea. E che di questi tempi è roba rara, almeno quanto un vero circolo ricreativo culturale.
Ri-cercata
Percorsi
Puntiamo sulla cellula della porta accanto
Barriere? Subito sparite
di Clara Ballerini
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L
a circolazione durante il Medioevo di manuali e atlanti anatomici in forma del tutto anonima aveva uno scopo preciso: l’anonimato permette di evitare ogni forma di brevetto, di copyright, lasciando libero spazio alla circolazione delle idee e delle conoscenze scientifiche. Il circolo, il libero circolare delle idee, è più che mai attuale oggi dove bioetica e legislatura rischiano di inchiodare il dibattito intorno alla ricerca scientifica su temi a volte marginali, poco attuali, che allargano lo spazio fra aspettative e conoscenza con conseguente e pericolosa ignoranza. Un esempio: in tema di cellule staminali l’assenza di una libera e spontanea discussione sui temi scientifici ha permesso l’ingresso in questo spazio di tristi e costosi viaggi della speranza verso fatiscenti cliniche dove si azzardano terapie a oggi impossibili. Poco si sa della ricerca, che magari sorge proprio accanto a tali cliniche e che non ha un luogo di dibattito aperto, spontaneo, concreto, centrato. Dunque cerchiamo di tornare in quei luoghi dove è ancora possibile scegliere di cosa e come discutere liberamente. Ricreandosi.
Vite spericolate San Ghetto e la resistenza dei murales di Felice di Raffaele Palumbo
C
i stanno le Vele e le case dei Puffi, i murales e i bambini che giocano a pallone per la strada. Un posto ameno, che come tutti i posti ameni merita un Circolo culturale e ricreativo all’altezza della situazione. Il circolo si chiama Gridas, ovvero Gruppo risveglio dal sonno, con riferimento alla frase di una delle incisioni della Quinta del sordo di Francisco Goya: El sueño de la razon produce monstros. Il circolo è stato aperto nel 1981 da Felice Pignataro e Mirella La Magna. Felice da qualche anno non c’è più. Restano i suoi murales e lo spirito che aveva dato al circolo. Mirella ci mostra una grossa figura di cartapesta, costruita per il carnevale di quartiere. Sembra un vescovo, si chiama San Ghetto. Davanti porta su dei cartelli le inutili promesse non mantenute – come la piazza telematica. Dietro, i desideri: dignità, lavoro, vulimm na piazza. Dentro al Gridas si svolgono attività di ogni tipo, cose che hanno a che fare con la cultura, i giovani, la creatività, la resistenza soprattutto. Fuori, a poca distanza, ci sta la piazza più grande del mondo – la piazza numero uno per lo spaccio di cocaina di tutto il pianeta –, le case dei Puffi, che hanno assistito allo scontro con gli scissionisti, le Vele di Scampia mezze disabitate e per questo ancora più spettrali, i bambini che giocano a pallone mentre la droga scorre a fiumi. E ci stanno pure i murales di Felice, che – misteriosamente – resistono.
di Massimo Niccolai iò che immediatamente mi evoca il circolo ricreativo culturale è il palcoscenico – circolare, appunto – dove gli antichi greci rappresentavano se stessi a loro stessi. Nello stare in questo luogo fisico ben delimitato cosa facevano se non confrontarsi, essere in parte spettatori e attori? E ancora mi sovviene il ricordo di un episodio di qualche anno fa. Sono alcuni anni che insieme ai colleghi organizziamo un momento ricreativo per familiari, pazienti e persone delle varie associazioni sportive fiorentine nella sede della canottieri comunale. Ebbene, durante una di queste edizioni, mentre ero intento a guardare a destra e a manca che tutto filasse liscio, mi sono reso conto che non c’era proprio niente da guardare: tutti fra loro si erano conosciuti, le barriere erano cadute, si parlavano, stavano bene. A quel punto la mia prospettiva è cambiata: non più spettatore ma attore, non più lo sguardo ma la condivisione…
Se piovessero mucche
Polvere di stelle
Oroscopo del mese toro 20 aprile - 20 maggio di ELLEKAPPA
Il persistere della sinastria negativa post-elettorale, in un Paese malato di mafia che si copre gli occhi con una bandana, determina una fastidiosa psoriasi dell’anima che si protrarrà per tutte e tre le decadi di tutti i prossimi mesi dei prossimi tre anni. Marte in parallasse con Grillo garantisce al Premier un tranquillo soggiorno al Chigi Hotel, garantendogli un trattamento a 5 stelle. Le effemeridi registrano un inquietante scricchiolio nel PD. Niente paura, è pur sempre un segno di vita!
Amore Venere sta complottando contro la vostra affinità di coppia! Il vostro partner vi querela ogni volta che state insieme e questo crea confusione nei vostri sentimenti al punto che non riuscite più a distinguere un peccato da un reato e un pedofilo da un gay. Plutone consiglia: siate più chiari!
Smettetela di giustificarvi in tedesco o in latino!
Lavoro Complimenti! Il Grande Carro in transito da Detroit a Torino genera uno spinoff interplanetario, determinando nel vostro quadro lavorativo un repentino scorporo dalla vostra fabbrica. In pratica vi stanno licenziando in inglese.
Fortuna Brillante performance della vostra buona stella! Grazie al vostro magnetico carisma – valutato in miliardi di euro – avete sconfitto le correnti cosmiche negative facendo confluire i dissidenti nelle vostre tasche e presto riuscirete a creare il Grande Centro che avete sempre sognato: quello tra la P1 e la P3.
L’importanza del trattino di Cinzia Scaffidi Circo-lo Perché il trattino conta e inganna. Certo, un circo, un po’, lo è. Ma l’articolo maschile dice che è circo ma anche club. Ma forse è un pronome. E allora il Circo-lo vogliamo fare o no? Certo che sì. Certo-lo sarà. E se il trattino non contasse e fosse un verbo? Circolo, voce del verbo girare sul rotondo, o voce del verbo transitare e far transitare persone, idee, informazioni? Circolare, perché il vigile non vuole assembramenti, o circolare che arriva già annoiata su tavoli istituzionali pretendendo di dire cose decise altrove? E poi altrove dove? Magari in circoli che hanno dimenticato di essere anche un po’ circhi, e sono diventati cosche senza bellezza né pietà? Ricreati-vo Ecco, ricrèati un po’. Rifatti da capo. Magari quello che ti aveva creato la prima volta andava un po’ di fretta, o qualche ingrediente in quel momento scarseggiava. O lui aveva fatto le cose per bene, ma con gli anni qualcosa è andato storto. Sei grande ora, puoi far da te. Un pezzetto alla volta, una parola alla volta. Inizia da vo. Vo’ sta per vado? Può darsi, inizia a camminare e da qualche parte arriverai. O è l’inizio di voglio? Vorrei, dice la mamma, si dice vorrei. E allora d’accordo: vorrei ricrearmi un po’. Passatemi quel pezzo d’argilla – quel libro quella chitarra quel pane quella pentola – che gli faccio vedere io come avrei dovuto essere. Cultura-le Sì, meglio dare del lei alla cultura. La formula di cortesia richiede l’uso del femminile, non lo trovate meraviglioso? Non se lo ricorda più nessuno. “Mi scusi se la disturbo” si dice anche agli uomini, se gli si dà del lei, e tutto sembra più quieto, più comprensibile, con maggiori prospettive. La cultura è cosa delicata, che si muove ondeggiando morbida, ha tempi lenti, sguardi profondi, risate come torrenti, e pianti immobili. E poi la cosa più importante: quel le non è solo femminile. È anche plurale.
Ippolito Chiarello San Free-Diamond Guitar Duo
Max Amazio
Mirko Zingoni
Voci
Transito
M a r i a C a ss i in
Anna Meacci Quartetto East
and
Arabesque
West
Band
Tomaso Montanari Marco Poggiolesi Gina Trio Angelo Ardiglione
Lasciate che i bambini
Libro Restituiteci la fantasia di Frigidaire
Dylan Bob
Papa Giulio la sera in poltrona si godeva il Parnaso di Raffaello
Scusi, mister Pickwick… Libertà è partecipazione di Ernesto De Pascale
di Marco Poggiolesi
di Tomaso Montanari
A
O
di Martino Ferro
R
ibaltando la celebre battuta di Groucho Marx (“Non vorrei mai far parte di un circolo che accettasse me tra i suoi soci”), mi piacerebbe lanciare un sondaggio tra i lettori dell’Ambasciata: “A quale circolo avrei voluto appartenere, scegliendone uno tra i tanti di ogni epoca e luogo?”. Per quanto mi riguarda non ho dubbi: i peripatetici di Aristotele camminavano troppo; i surrealisti di Breton erano troppo litigiosi. Il circolo a cui personalmente avrei voluto appartenere è quel gruppo di artisti, fumettisti, giornalisti e scrittori che si riunì attorno alla rivista Frigidaire nella prima metà degli anni ’80. Un concentrato di satira, arte, scandalo ma soprattutto un’esplosione di libertà, come di rado se ne erano viste, e come sempre più di rado è possibile vederne oggi. È la magia del circolo. Ogni circolo nasce con un principio di esclusione: per quanto aperto sia, o ne fai parte o ne sei escluso (d’altronde un cerchio aperto non è una cerchio ma una linea). Eppure è proprio da questo raccoglimento, da questa apparente chiusura al mondo esterno che è scaturita spesso – o almeno nei casi migliori – la scintilla della fantasia, della novità, del mai-visto, della libertà senza confini e senza compromessi. Per una storia della rivista Frigidaire, curata dal suo inventoreeditore, vedi: Frigidaire. L’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo, a cura di Vincenzo Sparagna, Rizzoli 2008.
Incontri
Raffaello, Il Parnaso, Roma, Palazzi Apostolici Vaticani, Stanza della Segnatura, 1511
E
ssendo un tipo piuttosto energico e pratico, papa Giulio stava molto in giro. Ma quando era in casa, amava rilassarsi e leggersi un buon libro. Teneva dunque molto alla sua biblioteca, e un giorno decise di farne dipingere le pareti ad un pittore giovane ma bravissimo, che si chiamava Raffaello. Giulio ordinò a Raffaello di rappresentare sui muri gli argomenti principali dei suoi libri. E siccome Giulio era un Papa serio, la prima parete fu dedicata ai libri che parlano di Dio, la seconda ai libri che parlano del mondo e la terza a quelli che regolano i rapporti tra gli uomini. Ma sul terzo muro, Raffaello doveva dipingere le cose che rendevano la biblioteca (e la vita) bella, colorata e profumata. Raffaello ci pensò un po’ su,
Sintesi esaustiva
e poi dipinse il Parnaso. Il Parnaso è il più antico circolo ricreativo e culturale del mondo. La sua sede è su un bellissimo monte, pieno di alberi e sorgenti. Il suo presidente è Apollo, che la sera suona il violino divinamente. I soci fondatori sono nove ragazze, le Muse, che sul palco del circolo cantano, ballano, recitano, leggono poesie e ogni tanto parlano anche di storia e di scienza. Per entrare nel circolo ci vuole una tessera, ma possono iscriversi tutti coloro che vogliono lasciare il mondo più bello di come lo hanno trovato. C’è da giurare che quando Giulio, la sera, si metteva in poltrona di fronte all’affresco di Raffaello, fosse più felice di esser socio del Parnaso che di esser Papa.
l Circolo ricreativo culturale Amici dei bersaglieri di San Giovanni Valdarno vidi i poco noti Argent guidati da Rod Argent, una curiosa band con un chitarrista che suonava uno strumento trivellato come un formaggio gruviera mentre dietro di me un anziano ex piumato passava tutto il tempo con una tromba in mano cercando di accordarsi ai suoni della band. Al Circolo Pescetti passai un intero pomeriggio con Edoardo Bennato a parlare di Woody Guthrie e di Shawn Philips, il texano dai capelli d’oro che viveva a Positano e di fatto fu l’iniziatore del neapolitan sound, al quale Edoardo aveva prestato una lambretta mai riavuta indietro. Edoardo mi confessò che era rubata. Al Circolo Andrea del Sarto, una delle prime case del jazz a Firenze ma ancor prima del rock & roll, origliavo i ricordi degli anziani che giocavano a carte per affrettarmi ai concerti dei giganti del jazz che hanno lasciato un segno indelebile in me. Di tutti quei concerti però ricordo uno straordinario e intimissimo spettacolo di Angelo Branduardi non ancora pettinato. Chi non ho mai conosciuto – e me ne dolgo – è Samuel Pickwick, il fondatore del circolo Pickwick, per farmi spiegare certe situazioni paradossali e alcuni dei personaggi bizzarri che lo circondarono. È una caratteristica del circo-lo ricreativo culturale essere frequentato da personaggi non so quanto dissimili da quelli di Dickens, è la sua immensa forza di fusione. Qui la vita scorre lenta ma veloce ed è qui che le mie storie hanno trovato casa.
gni stanza di ogni casa era dotata di uno schermo televisivo affiancato da uno schermo di computer. Le persone tornavano da lavoro e immediatamente vi si sedevano davanti, chi in cucina, chi in camera da letto, qualcuno addirittura nell’ingresso, cadendo in un vero e proprio stato ipnotico, schiavi di un’invisibile catena. Questo fu il motivo principale per cui anche l’ultima casa proibita, nome che fu assegnato per indicare ogni circolo culturale, venne chiusa nell’indifferenza dei cittadini. Finalmente il programma di controllo aveva raggiunto il suo scopo: nessuno si sarebbe più ribellato e così la pace sarebbe stata garantita. Erano circa le quattro di notte quando accadde l’inaspettato: improvvisamente l’intera nazione sprofondò in un terrificante blackout. Fu subito il panico, soprattutto quando si capì che il guasto non sarebbe stato riparato prima di due mesi, due mesi che tutti avrebbero a lungo ricordato. Pian piano le persone si trovarono costrette ad interagire senza l’uso di una tastiera, a guardarsi negli occhi senza passare per l’obbiettivo di una telecamera, a parlare senza un cellulare in mano. Le case proibite, tanto temute e combattute, nascevano spontaneamente in ogni dove, dovunque si leggeva un libro o ci si consolava a lume di candela. Un giorno da una finestra si sentì addirittura un vecchio cd: era un cantautore del passato e la canzone ad un certo punto diceva: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Classika Il conte, il babbo di Galileo e il melodramma di Gregorio Moppi
M
utasse la blusa da chef con acconci abiti d’epoca, non si attaglierebbe a Fabio Picchi il ruolo di principe di una qualche accademia d’antico regime? Perché a cos’altro potrebbe venir comparato il Teatro del Sale se non a uno di quei consessi dediti a cultura e arte (anche culinaria, nel caso specifico) che certi vulcanici adescatori di ingegni favorivano nelle loro residenze? La storia di Firenze non ne è avara. Per esempio Giovanni Maria Bardi de’ conti di Vernio che, seconda metà del ’500, chiamava a sé intellettuali appassionati di grecità come Vincenzo Galilei, babbo di Galileo, ai quali per sbaglio toccò in sorte di partorire il melodramma. O Lord Cowper che, sotto Pietro Leopoldo, promosse a casa propria, primo in Italia, l’esecuzione del Messiah di Haendel. Oggi l’adescatore, privo di sangue blu, ha per feudo dei fornelli e strepita nomi di cibi succulenti da oltre un separé. Il suo Circo-lo è pure cena-colo che alimenta non solo fauci.
Da Taiwan
Acqua fredda
Sms non era un messaggino
Crescere grazie ai film
Rari Nantes con vista
di Milly Mostardini
di Hsin-yu Hsiao
di Ilaria Ceccarelli
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ono tante, da non poterle ricordare, le Sms, dove abbiamo passato parte delle antiche vite: non un messaggino, con le diavolerie connesse, ma le società di mutuo soccorso, poi ribattezzate, con baldanza perduta, case del popolo, poi circoli ricreativi. C’è la Bagarino di via sant’Agostino, dove si faceva tutti i pomeriggi il doposcuola ai ragazzini del quartiere per non lasciarli in strada, in Santo Spirito e San Frediano. Nessuno parlava allora di volontariato, non c’erano le Ong né il tempo pieno: si faceva e basta. All’ora data, via i bimbi e dentro gli anziani per lo scopone e la briscola. Storica la Nave, con il suo teatrino vernacolo sull’Arno, e c’è ancora. A Pontassieve andava in scena Brecht, all’Affratellamento il teatro di Franco Parenti. Alla Sms di Rifredi, quartiere allora operaio, tiene ancora scena un teatro di intelligente ricerca, anche internazionale. Tra Calenzano e Rovezzano, due preti non dimenticabili: Don Milani e don Rosadoni. Nel centro i tumultuosi Ciompi, con seguito di giardini donneschi. E l’Andrea del Sarto sommossa da inquietudini basagliane per via san Salvi. Venivano anche i professori universitari e gli storici, ospiti a comunicare la linea, sempre citando Antonio Gramsci, come i preti i Vangeli. Chi faceva qualche sforzo o finta di capire, tutti applaudivano rapiti, compresi gli studenti, un po’ servilmente sognando una carriera. Le Due strade sta ancora in cima alla salita di San Gaggio, presenti le Cascine del riccio, nido di cuochi e mangiatori generosi, con tanti tornei e premi succulenti. E la piccolissima, non ne ricordo il nome, di via Vittorio Emanuele, dove i bambini della scuola media portarono in scena, impeccabili e senza timidezze, un vero processo tenuto in tribunale contro ragazzi minorenni. Lo avevamo drammatizzato, per loro, dai verbali giudiziari. Ad Acone c’era un piccolissimo circolo in vetta a un colle sopra la Rufina, e avevano chiamato un ospite che raccontasse il funzionamento del sistema giudiziario in quegli anni. Sui tavoli del torneo di scopa, in fondo, le carte si fermano, silenzio completo. Alla fine, chi parla, domanda se è stato chiaro: un vocione da quei tavoli risponde “Chiarissimo”. Qui e ora, la nostalgia è un malanno infantile. Prima viene il soccorso solidale, poi il ricreativo, e il culturale: niente è più serio del gioco, quando conta lo stare insieme. Dite la vostra, ché io ho detto la mia.
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■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
ono cresciuta atleticamente, ma non solo, in una società storica fiorentina dotata di una sede che per molto tempo è stata un punto di riferimento per noi giovani atleti. Un vero circolo ricreativo in cui la cultura dello sport veniva compresa e supportata dai membri. Passato… Meravigliosi ricordi. Il tempo delle grandi feste, dei compleanni, dei sabato pomeriggio a giocare sulla meravigliosa terrazza sull’Arno, un vero ritrovo in cui le persone dai più piccoli ai più grandi trovavano spazio, il loro spazio nel rispetto delle regole e della civile convivenza. Puro e sano divertimento. Un passato che ad oggi stenta a ritrovarsi, causa cambio di attori e di generazioni. Con il passare degli anni, la prolungata chiusura dei locali, l’allontanamento dei giovani attirati da altro, si è persa quell’incantevole magia. La struttura è rimasta, ma si è come sopita, forse senza l’entusiasmo di un tempo.
È stato intrapreso il cammino per portarla agli antichi fasti, la strada è lunga ma i segnali positivi non mancano. I giovani si riaffacciano su questo spaccato di Arno incantevole risvegliando quella leggerezza e allegria dimenticata, l’integrazione con coloro che sono rimasti in questo lasso di tempo, coloro che si sentono legittimati nel ruolo di padroni di casa, non è facile. Esigenze diverse si scontrano. Come ritrovarsi? Con la riscoperta di quello che è stato e deve essere nuovamente, con il rispetto delle regole, con la gioia e l’entusiasmo che scaturisce dai giovani e i valori, gli ideali, l’esperienza e l’identità culturale dei più anziani che molto hanno da dire e raccontare, con la pazienza e la tolleranza. Non un luogo confusionario ma divertente, non un luogo privo di sorrisi, ma pur sempre riflessivo, non un luogo in cui non si rintracci la cultura sportiva, ma si vive nella comprensione di essa.
Una Stella a Firenze
Dall’Armenia
Dai guizzi de “Il Lasca” alla leggenda dell’Accademia della Crusca
Andavamo tutti all’odà
di Stella Rudolph
di Sonya Orfalian
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n un certo senso l’accezione odierna del circolo ricreativo e culturale trova le sue radici nella proliferazione di accademie lungo la penisola italiana nel ’500, sorte spontaneamente dall’esigenza di coniugare convivialità e cultura in adunanze stabili che comportassero uno statuto per i soci ed incontri frequenti in cui leggere poesie, commentare testi o recitare commedie: il tutto condito da laute cene ma anche da frizzi e lazzi. Preclaro esempio ne è quella degli Umidi
(nome forse escogitato per distinguersi dagli Infiammati di Padova), coalizzata a Firenze il 1 novembre 1540 per iniziativa di Antonfrancesco Grazzini (1504-84) nella casa dell’amico Lo Stradino (Giovanni Mazzuoli da Strada in Chianti). All’insegna dell’acqua, elemento fecondo, ciascun partecipante scelse un nomignolo aderente al concetto. Grazzini, ben noto per la sua sfaccettata produzione letteraria come Il Lasca, optò spiritosamente per quel pesce che “per essere
Erba voglio
fritto va prima infarinato” e l’impresa “ove una lasca guizza dall’onda per ghermire l’incauta farfalla”: così si legge nella lapide ottocentesca posta nella sede originale, cioè l’Antica Farmacia del Moro sita all’angolo di piazza San Giovanni e Borgo San Lorenzo. Nonostante varie beghe interne, presto il sodalizio sfociò nell’Accademia fiorentina ed indi in quella vieppiù aulica della Crusca, che mantiene tuttora l’antico prestigio di custode della lingua italiana.
Da Gerusalemme
Se una strega entra nel teatro
Il miracolo del “petrosilia”
di Caterina Cardia
di Sefy Hendler
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ono una strega, qualcuno lo sa con certezza. Molti non lo sapranno mai. Tempo fa mi ero rifugiata in un bosco. Affrontavo un periodo di ristrettezze non solo spirituali. Mentre raccoglievo barba di becco pensavo di meritarmi un aiuto e che forse un cuoco avveduto avrebbe potuto apprezzare quest’erba in cambio di qualche denaro. In città, dopo una breve cabala, arrivai in un ristorante. Capii che ero in un posto strano: mi fu detto che avrei trovato il cuoco in un teatro lì accanto. Fu così che entrai al Sale. Dopo le dovute presentazioni fui confortata dall’aspetto di quel finto burbero. Ebbi invece un attimo di smarrimento quando la sua prima esclamazione fu: “Ma tu lo sai che se tu fossi nata nel ’500 t’avrebbero bell’e dato foco?” Per ovvie ragioni io taccio la
mia identità ma presa alla sprovvista fui costretta a confessare. Le mie erbe piacquero: da allora le porto spesso in queste strane cucine. Ho capito che quest’uomo è pazzo e che sua moglie è ancora più pazza e pupazza perché vogliono che io alla mia tenera età insegni loro quello che so. Pretendono che impari molte cose, rimproverandomi anche spesso. Non mi sono mai dovuta domandare per quale motivo facciano tutto questo perché una strega sa sempre un sacco di cose. Mi aggiro felice in questo Circo-lo ri-creativo culturale che è un rifugio di pazzi, pu-pazzi, sogni-attori, poeti e pittori, e cantori-mangioni. Questo posto è custodito e protetto da maghi e streghe potenti ed oramai è assolutamente inaccessibile ai malintenzionati. Benvenuti tra noi.
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Compleanno
Club La regola d’oro del rispetto di James Bradburne
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very place is the expression of values. The hard plastic chairs at McDonald’s tell you to eat your Happy Meal® quickly – not for nothing is fast food fast. The imposing doors of a palazzo can either tell you to stay out – or welcome you in! Like the best clubs, the golden rule is respect. As the secretary of a venerable English club once put it: ‘there are two unspoken rules that underpin all the rest. First, take care not to give offence. This we call courtesy. The second, do not take offence too easily. This we call tolerance’. Simply put, the Teatro del Sale is pure civility. The Teatro is Florence; a thick slice of Florentine life; a
piazza turned into a members’ club. At the Teatro you find everyone – from professors to politicians, from children to pensioners, from accountants to art historians. You also find everything – from caberlot to cabaret, from macaroni to music, from pesto to poetry. The Teatro is the built philosophy of its genius in residence. Maria Cassi and Fabio Picchi – affable, generous, outgoing – and the Teatro is a perfect expression of the Florence they love and want to live in. After one visit to the Teatro, you’ll find yourself agreeing with them – and you’ll certainly want to join the club. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Disegno Lucio Diana
Contemori
Contemori, collaborando con il quotidiano “La città”, iniziò alcune strisce intitolandole Crc, Circolo Ricreativo Culturale, muovendosi tra i personaggi da lui sempre visti nelle nostre Case del popolo. Questa striscia del 1984 appartiene a questa raccolta. I due personaggi sono Nuti, lo pseudolavoratore nevrotico, e il Filosofo.
La ricetta Cinema
Da Tokio
Nel nome di Groucho
Aborigeni in Giappone
di Juan Pittaluga
di Ren Izuta
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amitié, qui est une équidistance entre personnes, ne tient pas sa plus belle image du cercle, mais des origines de la géométrie dans l’ancien Egypte. Là où s’est inventée la mesure du terrain, lorsque le Nil débordant, les obligeait à retracer les lignes de démarcations des champs cultivés. L’effacement des limites est sans doute la figure qui s’approche le plus de l’amitié. Quelque chose qu’on serait obligé de réinventer à chaque matin. C‘est le paradoxe de Groucho Marx, celui d’appartenir à un groupe qui prend l’extérieur entier pour intérieur, qui n’exclu ni inclus personne, et oblige tout le monde d’apporter la joie en monnaie de troque. C’est avec cet esprit que nous avons fondé en 2004 avec l’américain Jonathan Nossiter et autres cinéastes, Dépendent Cinéma, pour dépendre les uns des autres sans avoir une notion des limites du cercle ni de notre engagement. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
先住民族アイヌ文化の保護に尽力 日本には本州北部から北海道、千島列島、サハリンを生活圏としている先住民 族、アイヌ民族がいる。独自の文化、言語を持っているが、近世以降の度重なる 和人の支配や同化政策によりアイヌ文化は存続の危機にさらされてきた。アイヌ 民族の言語は文字表記を持たず、音声による口承で伝達されてきた。人種の系統 のみならず、言語の起源も不明な点がまだまだ多い。 しかし、近年失われしアイヌ文化の保護や普及が進んでいる。財団法人アイヌ文 化振興研究推進機構の努力もその代表的な例だ。同財団は、1997年に設立され、 札幌に本拠を置き、東京にアイヌ文化交流センターを運営する。同財団では、有 形、無形のアイヌの伝統生活文化についての資料を作成したり、アイヌ語、ユカ ラ(神謡)などの口承文芸や民族舞踊、木彫りや刺繍や鮭皮靴などを後世に伝え ていくため、人材を育成する講座を開設している。その他にアイヌ文化の保存、 普及活動に欠かせない自然環境を復活させようと、樹木や植物の栽培を試験、実 施している。 アイヌ民族の信仰は自然や事象の万物に霊魂が宿ると考え、熊送りなどに代表さ れる宗教儀礼を行う。自然環境と信仰は密接に繋がっていた。儀礼や祭祀の際に は、歌や舞踊が披露され、弓や剣を使った漁猟の繁栄を祈願するものや、フクロ ウや鶴などの動きを真似たものなどがある。これらの舞踊は国の重要無形民族文 化財に指定されている。また、楽器なども、「ムックリ」というネマガリダケで 作られた口琴で口の開閉や糸を引く力で調整し独特の音色を奏でる。和人による 同化政策などによりこれらの宗教儀礼や慣習が禁止されたが、70年代後半から80 年代以降、復興が叫ばれた。長い歴史の中で、差別や同化を余儀なく被ってきた アイヌ民族。今日では、徐々に若い世代の現代日本人、アイヌ民族も和人も交じ り合って文化の伝承者となって育ってきている。 泉田蓮
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Pieni d’Islam Il califfo aprì Casa della Saggezza di Giovanni Curatola
Uova con Guinness e cuore d’Irlanda di Fabio Picchi
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ffrittellatevi due uova con burro in un padellino antiaderente e fate saltare tre fette fini di rigatino. Sporcate tutto con una spruzzatina di Guinness. Musica irlandese, pane toscano e un largo bicchiere per la rimanente birra. Di quest’uovo alla Guinness ho memoria, per fame adolescenziale, nei primi viaggi e del primo amico irlandese conosciuto nel porto di Rosslare, in un loro fumoso pub che mi parve vivo come un Circo-lo, fra freccette volanti, i fragori di rumorosi brindisi, balli e canti di uomini e donne felici.
Un verre de vin rouge Doppia bionda, spuma mon amour di Igor Trumeau
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evendo di tutto per lavoro, confesso che il giorno del mio compleanno, l’11 maggio, mi aggiro come astemio convinto in luoghi ben lontani dalla possibilità del bere. Evito quindi gli amici in genere sempre pronti a un bicchiere condiviso. Ho trasformato con gli anni il mio compleanno ne il mio compleanno. Mi alzo la mattina con una colazione ben organizzata: yogurt, miele, marmellata con la baguette di nonna Giulia, quella maritata col francese, uova strapazzate con burro e parmigiano. Una doppia tazza di caffè che precede una cuccuma di tè ben fatto: 75% di un darjeeling indiano con un 25% di affumicato russo, eredità questa dell’altra nonna, quella sposata all’ucraino, figlia di un anarchico piombinese che chiamava lei e la sorella a voce alta dalla finestra tutti i fine pomeriggio, lei Dina, l’altra Mite, facendo infuriare il podestà di quei tempi oscuri. Poi lesto vado al mercato per organizzarmi un’attenta cena e ho aggiunto a tradizione altra tradizione quando anni fa nel frugare sul banco della Nunzia la sentii mormorare: “C’ho una gran sete! Andrei anche ai barre dì Cibrèo… ma un c’hanno la spuma!”. Da quel giorno non manco mai, per il mio compleanno, di affiancarmi a quella potente giovane donna, ambulante con spirito divino, pronta a lottare per i diritti suoi e altrui, e invitarla al Circo-lino per brindare insieme con una spumeggiante doppia bionda. Bevuta a Firenze tutti gli undici maggio.
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n circolo culturale e ricreativo è un luogo nel quale si scambiano liberamente opinioni in un contesto piacevole e rilassante. Vi puoi leggere libri altrimenti introvabili e incontrare poeti, filosofi, matematici, musicisti, scrittori e artisti vari, tutti interessati a parlare e farsi intendere. Come capitava a Baghdad. Nell’830 viene fondata la Casa della Saggezza per volere del califfo alMa‘mun. Molto, se non proprio tutto, di quello che oggi sappiamo della filosofia greca (e di molte altre scienze) fu prima tradotto e poi discusso e interpretato lì, anche chiacchierando con la gente di passaggio e mangiando un passato di ceci o un buon pesce arrostito del Tigri.
L’orto Peperoni piccanti all’ultimo piano di Stefano Pissi
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Di line e di lane Tutto il paese in lacrime sfilò nella sala del biliardo di Pietro Jozzelli
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itornammo dalla “calla”, quel maledetto bozzo d’acqua nell’Ombrone, portando a braccia il piccolo corpo esanime di Luca. Eravamo dei ragazzi di tredici anni, segaligni come pioppi e abbronzati dal sole dell’estate, ma Luca sembrava ancora più leggero, il volto era gonfio, gocce d’acqua imperlavano quei suoi begli occhi chiusi per sempre. Non una parola, non un grido: percorremmo quel mezzo chilometro muti come lui, fino allo stradone che attraversava il
villaggio. Fu la Marina a lanciare il primo urlo. In un attimo, le donne di Bonelle si affacciarono alla soglia di casa: “Chi è? Chi è?”. Poi silenzio: nascondendosi la faccia nelle mani, per non vedere, per non capire, fecero ala al nostro corteo funebre, come indicandoci la strada da seguire, il luogo dove arrivare. Solo la Derna si avvicinò, per carezzare i capelli bagnati di quel piccolo figlio, e farci strada verso la Casa del Popolo. Una piccola folla era radunata davanti all’ingresso: si
aprì lasciandoci un corridoio che portava là dove dovevamo andare, nella sala del biliardo. Sopra il panno verde, ricoperto dal lenzuolo che doveva salvarlo dalla polvere, deponemmo il corpo, ricomponendolo nelle sue fattezze. Venne il medico per accertare quel che era ovvio. E vennero tutti i bonellini, in fila ordinata, girando intorno al tavolo rettangolare, in stupita devozione: come se quel corpo fosse il corpo di tutti noi, quella Casa del Popolo la nostra chiesa comune.
si ringrazia, si ringrazia, si ringrazia Si ringrazia Unicoop Firenze [coopfirenze.it] Si ringrazia la famiglia Capponi [conticapponi.it] Si ringrazia Marchesi Mazzei [mazzei.it] Si ringrazia il Centro Gianfortuna SI RINGRAZIa Mukki latte [mukki.it] Si ringrazia diego scarparo l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Sergio Passaro. Segreteria: Giuditta Picchi, Miriam Zamparella, Francesco Cury.
Anno II Numero 5 del 1/5/2010. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Lito Terrazzi - via Guido Rossa, 9. Cascine del Riccio, 50015 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it
l nipote dell’Artimina è continuamente lì, tutti i giorni, a prendersi cura di sé e delle sue piante. Enzo Eulio all’ultimo piano trasportava tutta la terra presa in prestito e ora si bea del rosso dei suoi peperoncini piccantissimi. Marco e Gea, a Roma, sono custodi di biodiversità mentre fanno sughi con i loro pomodori di antiche varietà. Maurizio mentre pota la sua vigna mi parla spesso di un suo antico giuoco che faceva da giovane quando rotolava forme di formaggio stagionate, la rulla. Filippo, invece, nella sua poca terra si sperimenta dottore delle piante, curando quelle scartate dal suo vivaio. Sestilio, che lavora in ginocchioni, per rispetto della sua schiena e della terra, dopo un’ora di puro teatro all’aperto esordisce sempre con “insomma per fartela breve...”. Tutto questo accade veramente negli orti, piccoli e intimi circoli ricreativi e culturali.
Occhio di bue