Editoriale
Il miracolo delle acciughe
Provocazioni
L’alleanza che riscalda l’anima
Vincere al Superenalotto per non dover cercare il placet degli sponsor
di Fabio Picchi
I
di Luigi Settembrini l mio desiderio più grande? Vincere al Superenalotto. Mi par di sentirli, gli amici: “Hai visto il Settembrini? E noi a credere fosse un intellettuale, uno di sinistra, uno snob…”. Qualcuno dei più cari aggiungerà di averlo sempre sospettato: “L’unica cosa che gli interessava erano i quattrini, altro che James Ivory, Bob Wilson, le biennali!”. Chiarisco allora che destinerò la vincita a finanziare un grande progetto culturale dedicato ai linguaggi creativi contemporanei, il cui obbiettivo sarà quello di rilanciare Firenze come capitale culturale moderna, aperta al nuovo e al rispetto dell’uomo e della natura. Lo finanzierei esclusivamente io, crogiolandomi nell’intenso piacere mai provato di non doversi sbattere per cercare il placet di sponsor, politici, banchieri, presidenti. Mi divertirà contraddire quell’importante ministro dall’erre moscia che ha detto che la cultura non si mangia: e non si rende conto che, al contrario, è quasi esclusivamente in virtù della cultura che in Italia si mangia ancora. Se il turismo è da sempre una voce cruciale del nostro attivo si è chiesto, quel ministro, si chiedono i nostri banchieri e presidenti, perché in Italia vengono tanti visitatori? È un bel paese, d’accordo (oggi naturalmente con l’eccezione di Napoli e dintorni), ma soprattutto ci vengono perché vi si può ammirare la più grande concentrazione di opere d’arte universali del pianeta. Non è una novità. Firenze vive da secoli sulla rendita di posizione (e sull’immagine) che le regalarono i Medici, Dante, il David, gli Uffizi. Sono ancora i Medici, Dante, il David, gli Uffizi, che continuano a riempire alberghi, negozi, ristoranti. Dopo di loro poco si è fatto. Ma qui, ora, travestito da deus ex machina (ecco avverarsi il grande impudico desiderio) entrerei in ballo io. Spesso mi chiedo dove sian finiti quegli aristocratici, quegli alto borghesi, quegli imprenditori, che un tempo finanziavano teatri, musei, università. Com’è che a Moratti non è mai venuta voglia d’assaporare la micidiale libidine di fare il mecenate? E anziché buttare 40 milioni di euro per Quaresma non ha per esempio ristrutturato Brera, potenzialmente uno dei più straordinari musei del mondo? E Firenze? Dove si nascondono i tanti ricchissimi? Tutti col braccino corto? Tutti a metterli sotto il materasso? Sfiga. Possibile che nessuno di costoro abbia – alla maniera di Roberto Olivetti - preferito passare alla storia anziché comprarsi un’altra barca, un’altra amante, un’altra vigna, un altro albergo? Buon Natale a tutti.
V
i era una percezione che negli anni si faceva sempre più chiara nel mio desiderio di rincontrarla anno dopo anno. Agosto stava per finire o il settembre era già iniziato. La sera riapparivano le maglie leggere, fino a pochi giorni prima impensabili nelle caldi notti marine. Ne avevo una celeste con il collo a V che mi mettevo senza sotto nessun’altra maglietta che in quegl’anni erano rigorosamente Lacoste bianche o blu. Nel tempo il loro valore intrinseco aumentava per comprovata usura, sancita da qualche piccola rara rottura. Un quasi mini-pool indossato a pelle e i primi amatissimi jeans di tela bianchi. Scendevo così vestito in paese per condividere il tempo con i pochi che ancora non erano rientrati nelle reciproche vite in città e paesi ben diversi l’uno dall’altro. I romani, i milanesi, i pugliesi, i tedeschi e qualche francese che si portava con se un che di esotico e di proibito. Se ne vedeva di ben pochi all’Elba in quegli anni. Sarei rimasto vestito in quel modo per tutti i giorni a seguire. E poi le mattinate passate senza il rumore della vacanze e la percezione che da lì a poco sarebbe arrivata una maestralata. La temperatura crollava e le foschie mattutine che delineavano l’orizzonte scomparivano per lasciare spazio al cielo più terso che possiate immaginare. La Capraia appariva e sembrava lì dove poco prima non era. Se non in pochi casi, un tenue profilo. La giovanile e, a ripensarci oggi, tenera vanità mi faceva tirare su le maniche del pullover e nella magrezza irripetibile di quegl’anni guardare con piacere l’incontro della potente abbronzatura dei miei avambracci con quella spudorata lana celeste. Che gioia nell’anima. Sapevo cogliere con qualche segnale di anticipo quel che sarebbe successo. Gli anziani uscivano dalle loro case fermandosi. Qualcuno superava con lo sguardo il pergolino d’uva, altri sulle terrazze per scrutare SEGUE A PAG.2 l’orizzonte.
Foto di Fabio Picchi
Percorsi
Occhio di bue
L’importante è non smettere mai di desiderare qualcosa di Massimo Niccolai
P
ensare al mio desiderio più recondito mi ha fatto ricordare un racconto che un mio caro amico mi fece su ciò che gli accadde una volta quando era bambino. Un giorno era al mare su una spiaggia affollata con i suoi genitori. Qualcosa attirò la sua attenzione. Era la curiosità per quel qualcosa che neppure si ricordava. L’attrazione desiderosa fu così forte che si allontanò da loro e si incamminò deciso verso un’incognita che nemmeno lui comprendeva fino a quando, evidentemente soddisfatto, si voltò
alla ricerca della madre e del padre e non li vide più. Il compiacimento del raggiungimento si trasformò in una per lui, seppur piccola e momentanea, tragedia. Ebbene sì, il mio desiderio più recondito non è il raggiungimento o più precisamente il compimento di qualcosa ma è il desiderio stesso, quel io voglio del bambino che non finisce mai, che mi dà sempre la capacità di percorrere una strada e quel percorrere mi mette nella condizione di vedere capire e desiderare, di conoscere e di condividere.
Dalla Romania
Editoriale
Lasciate che i bambini
segue dalla prima
Maria Cassi e sono felice
Quell’alleanza che ci riscaldava l’anima
Guardare tutto con gli occhi di Titus
di Tudor Chirila
di Fabio Picchi
di Tomaso Montanari
A
S
unt emotionat si fericit. Pentru ca am vazut un spectacol superb. Am ras, am plans si am plecat din sala cu intrebari profunde. Am vazut o actrita extraordinara. Maria Cassi in My life with Men...and Other Animals. Pare un titlu feminist dar va jur ca nu e. Spectacolul celebreaza viata si iubirea. Atat. Atat de simplu. Si atat de frumos. Sunt atat de impresionat incat mi-as dori ca intreg Bucurestiul sa mearga la acest spectacol sa vada aceasta mare actrita si sa realizeze cat de important e sa traim simplu si frumos. Vestea buna este ca spectacolul se joaca si maine(sambata) la ARCUB de la ora 19 30 si culmea(da, culmea) mai sunt bilete. Va rog mult, nu ratati. Am realizat in seara asta ca rostul unui mare artist nu e sa ii faca pe altii sa creada in ceva ci sa faca arta care sa ii determine pe ceilalti sa creada in ceva. Mergeti la acest spectacol sambata seara. Atat de simplu. Atat de frumos. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com Photo by James O’Mara
Natale di Giulio Picchi ...all’italiana
l fine arrivava Silio, il marinaio più anziano, quello che ti dava il tempo per i sette giorni successivi, quello che avrebbe dichiarato che il Maestrale si poteva trasformare in una Maestralata. Alle volte rientrava scuotendo la testa seguito da tutti gli altri, ognuno nelle proprie case. Altre volte muoveva un passo verso la battigia. Quello era il segnale. Come un sol uomo ci apprestavamo tutti a fare il necessario per mettere al sicuro le barche di tutti. Io avevo conquistato il privilegio di buttarmi in mare lesto per disormeggiare le più grandi e portarle rapido ai corpi morti, a mezza baia, sul lato destro dove la scogliera della Marinella forniva un parziale ridosso infrangendo lei la potenza delle onde che da li a poco sarebbero arrivate. Poi via via sulle lance più piccole dove, infilati i pesanti remi e liberati i nodi delle cime, posizionavo la prua attendendo l’onda giusta per dar potenza al mio arrivo sulla spiaggia, dove le fortissime mani di tutti agguantavano la barca per farla volare sopra i paranchi, al sicuro. Io, a quel
punto, ero già nuovamente in mare nuotando velocemente verso qualche altra barca. L’adrenalina mi faceva da carburante. Nessuno sforzo nel salire sulle fiancate bagnate e nel ripetere l’operazione decine di volte, fino a quando tutte erano in salvo. Onda dopo onda con le ultime sempre più grandi, con la burrasca ormai lanciata fino alle tre del pomeriggio dove il Silio ci aveva preannunciato un suo momentaneo calo, per poi riprendere forza in una notturna Ponentata. Le barche sarebbero rimaste all’asciutto per diversi giorni. Io poi con la santa imprudenza giovanile mi asciugavo al vento e mi rinfilavo il pullover che mi dava sulla pelle salata il senso della sua capacità di riscaldare. Come mi riscaldava l’anima tutta quell’alleanza che determinava, anche nei giorni a seguire, un felice senso di festività. Si entrava e si usciva dal bar del Peria dove tutti ragionavano e raccontavano per l’intera giornata senza nessuna slealtà, senza nessuna avidità, senza nessuna adulta e vanitosa stupidità. Buona desiderata personale Natalità.
MARIA CASSI
MANUFATTI TEATRALI JAKE LEAR FABULA RASA
G
li occhi di Titus: il suo sguardo. Ecco cosa vorrei più di tutto. Il suo babbo si chiamava Rembrandt, ed è stato il più grande cacciatore di sguardi di tutti i tempi. E quando uno sguardo rimaneva intrappolato nella rete dei suoi colori grassi e spessi, si portava dietro anche il carattere, l’anima, la vita. È per questo che quando guardiamo un ritratto come questo sentiamo che davvero la pittura è come l’amicizia, perché «fa gli uomini assenti esser presenti», e i «morti dopo molti secoli esser quasi vivi». Titus è appoggiato ad un banco di legno (e puoi contarne tutte le venature): è di fronte a un foglio bianco, in una mano tiene la penna, nell’altra l’astuccio e il calamaio. Ma Titus è tutto nel suo sguardo. Uno sguardo che trabocca di stupore, di curiosità, di ingenuità, di voglia di scoprire il mondo. E non solo il mondo di fuori, ma anche quello di dentro: perché quell’aria incantata ci dice che Titus sta frugando dentro la propria anima. È lo sguardo di chi sta imparando a scegliere le parole, una per una, per raccontare a se stesso e agli altri quello stupore. Ecco. Conquistare ogni giorno quello sguardo sul mondo di fuori e sul mondo di dentro. E rimanere incantato a cercare, finché le parole non sono quelle giuste. Ecco cosa vorrei. Rembrandt, Ritratto di Titus, 1655. Rotterdam, Museo Boymans – Van Beuningen
La scommessa FILARMONICA GIUSEPPE V E R D I - A S S O C I A Z I O N E Lavoro non per dovere ma per piacere MUSICALE GIOVANNI DA CASCIA E L I S A B E T T A F di Raffaele Palumbo
MORO E MARINO N I O L A TANGO RUBIO ...alla francese
MASSIMO GRIGÒ
MARCO POGGIOLESI E FERDINANDO ROMANO
SERGIO STAINO E ALBERTO PATRUCCO 2
arei una scommessa, e so anche che la vincerei. Forse è per questo che nessuno vuole scommettere. E la posta in palio sarebbe enorme. No, non una follia alla Pol Pot che arrivò a bombardare le banche. Anche se... Chi non lo ha fatto un pensiero, di questi tempi. Qui si tratta invece di stringere un accordo, per fondare una nuova repubblica. La Repubblica delle donne e degli uomini liberi dalla schiavitù del lavoro come necessità. È questo il mio più grande e profondo desiderio. La mia utopia. Il lavoro come espressione della propria persona, senza costrizioni, senza doverlo fare per i soldi. Un lavoro scelto, fatto quando, come e con chi lo si vuole fare. E allora nessuno lavorerebbe più! Direte voi. Niente affatto. Anzi, sarebbe esattamente il contrario. In un mondo di uomini e di donne liberi dalla schiavitù del lavoro come necessità, gli uomini e le donne continuerebbero ad essere dei lavoratori e delle lavoratrici, continuerebbero a trarre identità dal proprio lavoro, inizierebbero a trarre soddisfazione e felicità dal proprio lavoro, sarebbero più produttivi e, soprattutto, sarebbero più creativi. Avremmo le soluzioni, le risposte, le chiavi per aprire delle porte fino ad ora non immaginate. Certo i vari Marchionne non esisterebbero più, o meglio esisterebbero, ma magari sarebbero felici di vivere senza giocare con le vite degli altri. Non ci sarebbero più le liquidazioni milionarie per manager che di mestiere hanno mandato a casa i lavoratori a centinaia. Nel 2004 l’ex amministratore delegato della Fiat Giuseppe Morchio - già uscito da Pirelli con un bonus da 120 milioni - lasciò il Lingotto con in tasca un pacchetto di stock option rivalutatosi in due giorni di 1,7 milioni di euro. Quanto guadagnava in Fiat in 18 mesi. Beh, tutto questo non ci sarebbe più. E forse ci sarebbe anche qualche avvocato di meno. Ma che volete farci. Ricordate Tom Hanks in Philadelphia? “Cosa ci fanno cento avvocati legati in fondo all’oceano? Un buon inizio”.
Firenze romantica di James O’Mara
Gesti Teatrali Il taxi giusto al momento giusto di Alberto Severi
L
a tensione emotiva fra i due, sull’orlo del vasto marciapiede di Broadway, è al punto critico. Lui le ha detto: “Amo un’altra”. Lei ha risposto, piangendo, devastata dal dolore e dalla rabbia, e pur facendo ricorso citazionisticamente alle proprie capacità di sarcasmo (plauso agli sceneggiatori e ai dialoghisti, e nomination per l’Oscar): “Francamente, caro, me ne infischio”. Si è voltata di scatto verso la strada, anche per nascondere al fedifrago gli occhi invasi dalle lacrime, ha proteso il braccio, pollice indice medio sollevati, anulare mignolo leggermente flessi, ed ha gridato: “taxi!”. E proprio in quel momento il taxi, giallo, vasto come una portaerei, passava di lì, e si è fermato, l’ha presa su e l’ha portata via. Il gesto, stavolta, è più cinematografico che teatrale (e più americano che fiorentino: pochissimi taxi passano sul palcoscenico, e per le vie di Firenze, e si sa perché – e comunque non si fermano con un gesto, van chiamati al telefono e aspettati: Milano dodici, undici minuti). Ed è, anche, un gesto magico. Realizza e materializza un desiderio, come il tocco di bacchetta fatata di Merlino o di Smemorina (bìbidi bòbidi bù), come lo sfregamento della lampada di Aladino. E al di là di quel desiderio specifico (il taxi), il desiderio intimo, recondito, essenziale che realizza (purtroppo solo nella finzione del nostro immaginario cine-dipendente) è la soluzione, magica, delle situazioni intollerabili, e forse addirittura solo il superamento dei troppi tempi morti, dei buchi di sceneggiatura, delle impasse e delle attese che rendono la nostra vita penosa e impervia, quando basterebbe un taxi al momento giusto che ci portasse via ad alleviare quella pena. Seguìto da un buio cinematografico, o magari da una dissolvenza incrociata, con un fast-forward temporale verso momenti migliori, e non – stavolta almeno – verso l’inevitabile Sipario.
Il sogno
Fughe poetiche
Una collana di saggezza
Andare laddove è sempre primavera
di Monica Capuani
di James Bradbourne
Q
ualche anno fa il mio più intimo e profondo desiderio si è trasformato in un sogno realizzato. È nata così una collana di testi di drammaturgia contemporanea, che ho intitolato Reading Theatre. Ho selezionato testi dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall’India, dall’Algeria. Testi che – tramite il teatro e la sua forza di coinvolgimento della piazza – affrontavano temi chiave del nostro mondo di oggi. L’identità, la pedofilia, il rapporto con la memoria, le ingiustizie della politica, le sfide della sessualità, le possibili architetture dei rapporti, le diversità, le visioni della scienza. In ogni libro c’erano tutti gli approfondimenti che riuscivo a procurarmi sul tema della pièce: saggi, interviste, interventi. Malcolm Gladwell, una delle più grandi firme del New Yorker, mi ha concesso di pubblicare due suoi articoli senza pretendere royalties. E non solo lui. Ogni volta che usciva un libro, attori noti si prestavano a leggerli in teatro per discuterne con il pubblico. La maggior parte di questi testi sono poi approdati al palcoscenico. In tre anni ho pubblicato diciassette libri di grandi scrittori del teatro di oggi. Poi, con la crisi alcuni nodi economici del settore sono arrivati al pettine e l’editore ha deciso di sospendere tante cose fra cui la pubblicazione di questa collana. Il mio desiderio realizzato è scomparso diventando così un sogno già sognato. Ed io a questo punto avrei un unico nuovo desiderio, chiudere gli occhi, riaddormentarmi e tornare a desiderare quel sogno.
I
n a happy life, our deepest desires often only surface in times of trouble or pain - when we want to be somewhere other than in the obstinate moment itself. In 1864, the English poet Gerard Manley Hopkins wrote of such a longing: I have desired to go Where springs not fail, To fields where flies no sharp and sided hail And a few lilies blow. And I have asked to be Where no storms come, Where the green swell is in the havens dumb, And out of the swing of the sea.
I am fortunate to have a happy life, and as a consequence my desires are few and relatively commonplace - to be in the warm company of those I love, looking out at the Tuscan countryside. However even the happiest of lives is not without moments of abject suffering, and then I too dream of being somewhere far away, in the lee of a fir-clad island, listening to the slap of metal halyards on the mast of a wooden ship and the flat spattering of rain on the deck as the ship and I rise and fall on the tide. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com Gerard Manley Hopkins, 1844-1899
3
TUTTI POSSIAMO MOLTIPLICARE IL PANE, I PESCI E IL VINO
Leggere L’eccitante consapevolezza del proprio destino di Francesco Cury
L
a 21ª Donna di Martino Ferro è un romanzo piacevolmente ruvido e poroso, al tatto e ai sensi. La lettura viene incalzata dall’ansia di scoperta del destino di Raffaele Stella dopo che una cartomante gli predice che “il 21 è il numero della Donna”. Trauma forte e potente, la rivelazione diventa quasi una malattia che lo inseguirà per tutti i suoi 70 anni di vita nella ricerca insaziabile del suo significato. In una Firenze-palcoscenico sempre ben scenografata, reale e immaginabile, Raffaele si muove alla ricerca di dov’è l’amore e dove i sentimenti. Attraverso diverse forme, dai disegni alle fotografie, dal diario allo scambio di sms, attraverso 21 capitoli e 21 donne, colpi di scena e un intreccio spaziotemporale molto coinvolgente, Ferro ci racconta la vita di un personaggio che, tra emozioni e insensibilità affettive, varca spesso, trascinato dagli eventi, la
soglia della perversione nella sua accezione socialmente riconosciuta. Il numero 21 appare e scompare ossessivamente ovunque. Il tormento patetico dei fantasmi personali e dei ricordi diventa imposizione di un destino preciso, una necessità di determinismo nell’umano tentativo di semplificazione. Raffaele diventa un Edipo moderno, un Edmon di David Mamet lucido e consapevole, angosciato continuamente dal confondere incontrollabilmente caso e destino. Una morbosa ricerca di coincidenze rivelatorie che spingono inesorabilmente alla perdita della coscienza de sé dove alla fine vince comunque il destino. Ma quale aspirazione è più bella e soddisfacente della consapevolezza del proprio personale destino? Un libro letto senza respiro in una nottata, un libro che rimane e che ricompare continuamente quando meno te lo aspetti.
Realizzare è meglio che desiderare
Vorrei essere Mozart, Jimi e Maradona
di Caterina Cardia
di Marco Poggiolesi
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V
oi streghe che pratichiamo la magia bianca non esprimiamo desideri, facciamo in modo che si realizzino. Ignoriamo volontariamente il significato comune di desiderio perché implica arroganza e l’arroganza è fallimentare. Sappiamo per esperienza che i risultati soddisfacenti si ottengono concedendo fiducia a niente altro se non al potenziale intrinseco degli elementi e alla competenza vera acquisita a riguardo degli stessi, rinunciando con continuo sforzo di umiltà ad imporre loro la nostra volontà finita. Mescolando elementi semplici otteniamo risultati straordinari perché confidiamo sinceramente di essere ricambiate dalla buona sorte della nostra buona fiducia. Ci è stato insegnato un concetto fondamentale che si estende ad ogni campo del sapere e dell’agire umano: i successi concreti si ottengono sperimentando non il bisogno teorico ma la necessità fondamentale sostenuta dalla speranza. Concetto di facile comprensione se si considerano sotto questa luce le imprese di ogni tipo, piccole o grandi, semplici o straordinarie, singole o universali, perfettamente riuscite. Non perdiamo tempo con i desideri, siamo realisti e crediamo all’impossibile.
Mi servirebbe davvero un’intervista esclusiva con il maestro Maratti di Stella Rudolph ntro pochi mesi dovrò licenziare una ponderosa monografia su Carlo Maratti (16251713), caposcuola della pittura romana nel secondo ’600 ed il più rinomato artista in Europa dopo la scomparsa di Gian Lorenzo Bernini (1680). Nonostante le capillari ricerche proseguite da alcuni decenni, avrei urgente bisogno di sentire dalla sua viva voce un consuntivo delle scelte estetiche, prassi di lavoro, giudizi sui singoli talenti operanti nella sua frequentatissima bottega nonché sugli
esimi rivali nel mestiere, ulteriori particolari della vita privata (parecchio accidentata) e gestione dei complessi rapporti coi mecenati (tra cui sette papi e le loro famiglie, i regnanti di Francia, Spagna e dell’impero asburgico, ecc.). Quindi occorrerebbe chiedergli un’intervista esclusiva, magari rilasciata durante un mio sopralluogo nel suo palazzetto-atelier-museo sito davanti all’ingresso di quello Barberini in Roma: si tratterebbe di una verifica sulla bontà di ciò che sto scrivendo sul
Da Gerusalemme
orrei essere Bob Dylan. Vorrei anche indossare occhiali da sole modello Bob Dylan ed avere una capigliatura come dire? Alla Bob Dylan! Ma vorrei essere anche nero e suonare la tromba come Miles Davis indossando quei magnifici completi che indossava Miles durante il periodo del cool jazz. Canterei dunque canzoni che parlano del mio tempo, vere poesie in musica ma tutte arrangiate in stile jazzistico e tra una strofa e l’altra ci sarebbero lunghi e indescrivibili assoli strumentali. Se ci penso bene vorrei essere anche Mozart, Jimi Hendrix, Wes Montgomery, Elvis, Bruce Springsteen, Maradona, Bill Evans. Ma la cosa potrebbe risultare un tantino complicata. Per ora mi accontenterò di essere me stesso.
Classika Restituiteci le recensioni musicali di Gregorio Moppi
Una Stella a Firenze
E
Dylan Bob
Erba voglio
suo conto e così dormirei un po’ più tranquilla, specie se egli accondiscendesse pure di rivedere le bozze di codesta immane impresa. So bene che l’auspicato nostro incontro non potrà avverarsi senza l’intervento del genio con la magica lampada che mi riporti colà, tre secoli indietro, sull’agognata macchina del tempo. Noi inglesi chiamiamo siffatto fantasioso desiderio wishful thinking. Che esso venisse esaudito almeno in un sogno chiarificatore!
Staino
E
stinte da tempo le recensioni musicali sui giornali, quanto sarebbe bello rinascessero. Per i lettori – molti dei quali ancora non si danno pace della loro scomparsa – più che per i critici, d’altronde un tantino colpevoli di averne favorito la sparizione. Perché è vero, a un certo momento i direttori dei giornali si sono accorti che le recensioni non hanno valore di cronaca dato che raccontano eventi trascorsi da un paio di giorni almeno: dunque che c’azzeccano su un quotidiano, dove bisogna esporre merce sempre fresca? Ma è vero pure che i critici, amanti del quieto vivere, per non scontentare uffici stampa e artisti avevano preso a dir più o meno bene di tutto e con toni mortalmente uggiosi. Ricominciare invece a pubblicare recensioni – magari sui siti internet dei quotidiani, in linguaggio più sciolto – forse servirebbe da segnale politico: potrebbe fermare la mano a chi sta progressivamente staccando la spina alla vita musicale italiana.
Se Parigi avesse i cetrioli israeliani…
Incontri
di Sefy Hendler
Una canzone per scalare l’irraggiungibile di Ernesto De Pascale
Q
ualcosa che sia veramente un desiderio. Raggiungere una vetta irraggiungibile. Le canzoni, per esaudire un desiderio. Hang onto the world as it spins around Just don’t let the spin get you down Things are moving fast Hold on tight and you will last Keep your self-respect your very bright Get yourself in gear, Keep your stride. Never mind your fears. Brighter days will soon be here. Take it from me someday we’ll all be free
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
6
(Danny Hathaway, 1973 dall’ album Extension of a Man)
Gatti
Ri-cercata
Ridere come il Cheshire di Alice
La mia voglia irresistibile di ballare
By Kate McBride
di Clara Ballerini
“P
lease would you tell me - said Alice, a little timidly, for she was not quite sure whether it was good manners for her to speak first - why your cat grins like that?”. “It’s a Cheshire cat - said the Duchess - “and that’s why”. A mystery of childhood fantasy. A secret waiting to be decoded. The Cheshire cat who smiles and then disappears in Alice’s Adventures in Wonderland, leaving only his mischievous smile floating in the air. The first mention of the grin is by author John Wolcott in the Pair of Lyric Epistles publi-
shed in 1795 “Lo, like a Cheshire cat our court will grin”. The English County of Cheshire is famous for cheese making, salt and silk. Many years ago, the cheese mongers of Cheshire molded their cheese in the shape of a cat with a mischievous grin spread across the face. Tradition held that the last morsel of cheese to be cut and eaten was the smile. Numerous carvings of grinning cats can be found in churches in the county of Cheshire, writer Lewis Carroll’s home.
L
a nostra specie ha un istintivo, bruciante desiderio di musica, di gioire tramite la musica. Solo così posso spiegare il mio desiderio segreto: un’incontenibile voglia di ballare, di sperimentare questa magica combinazione fra musica e corpo che è la danza. Ecco, vorrei saper ballare incurante della sincronizzazione sensitivo-motoria necessaria, incurante di quanto
antica sia nell’uomo questa abilità e senza pensare al primo ominide (forse Homus ergaster?) che libero e stabile sui due piedi è stato, secondo alcuni, protagonista di una vera e propria rivoluzione che ha fatto della musica e del ballo una via importante di comunicazione, di apprendimento. Seguire il tempo, il ritmo e coordinarsi con la musica determina un
incremento notevole delle nostre capacità di movimento e coordinazione che a sua volta ci regalano un incredibile piacere. Forse, come sostengono alcuni neuroscienziati della Columbia University, muoversi con la musica ci proietta dentro una coreografia che può farci attraversare la linea sottile e immaginaria che divide una killing machine da una dancing machine.
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Un verre de vin rouge
Poesia
Un Rosso dell’Etna rimedio alla solitudine
M’ignudo io e nessuno si vergogni
di Ugo Federico
H
di Stefano Pissi Io son l’ortista ma per tutti il Pissi di fronte a voi signori mi presento. I miei desideri dico per capirsi lo farò con gioia, e con intento. Figlio unico in Firenze, già io vi dissi ToscoLucano, niente spavento! Anche io di desideri ne ho diversi io m’incammino, ve lo scrivo in versi. La natura sposo, senza tradirsi quando c’è il sole e quando tira vento. Nasce il giorno, lo vedo affievolirsi se faccio il bagno in mare son contento. Per natura fare coppia ed arricchirsi di camminare in due sai non mi lamento alcune sono realtà, altri sogni di certo per me son tutti bisogni.
Photo by James O’Mara
o sempre amato e desiderato il Pinot Noir, magnifico vitigno. E che gioia quando mi capitava di stappare con i miei più cari amici alcune delle blasonate etichette della Bourgogne, apprezzandone l’eleganza e lo stile. Un bel giorno, ahimè da solo e senza amici, lo stesso stile e la stessa eleganza mi sono apparsi, appagando questo mio intimo desiderio, in un vino pro-
dotto sulle pendici dell’Etna. Costruito da due vitigni, il Nerello Mascalese e quello Cappuccio, appartenenti ad una storia dettata dalla tradizione dei contadini siciliani nel pieno rispetto del gran vulcano. I suoi terreni e le escursioni termiche lo rendono un terroir unico al mondo. L’Etna Rosso Doc di Vivera 2008, prodotto con uve da agricoltura biologica, ha stoffa e eleganza. Rosso ru-
bino, ha un bouquet impressionante con profumi di frutta matura e una chiusura balsamica. Complesso, fresco e minerale ha una buona struttura e tannini in evoluzione di sicuro spessore. Bevuto en primeur, da solo con me stesso desiderando che il vino diventi sempre più espressione di verità dandoti così l’occasione di avere molti amici.
Cani di James O’Mara
M’ignudo io e nessuno si vergogni vi dico ora il segreto desiderio c’è un ritmo in tutto, lo cerco, e serro i pugni anche se per voi non è un gran mistero. Leggere, nuotare e potar vitigni tutto ha cadenza, la cerco per davvero pare banale stare a cercare ma per me è vita voglio scalare. E per finire desidero a voi comunicare lentezza sia, campar come usignoli essere pazienti, crescere,inventare come diletto viaggiare, salpar dai moli. Ora concludo torno a lavorare un desiderio che chiuda il cerchio, senza doli e se d’Io vole, insegnar il bello ai figlioli: pace, tornare humus, cibo per porri e cetrioli.
Illustrazione di Adriana Bax
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acquifera.org
La ricetta Pieni d’Islam Imparare a memoria il Corano in arabo di Giovanni Curatola
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a archeologo, islamista e storico dell’arte il mio desiderio, intimo, segreto e recondito è imparare a memoria tutto il Corano, in arabo. Ci sono cascato: è un sogno! E poi essere amato, molto amato, più amato che tanto rispettato, questo sì che è un desiderio. Mica è semplice confessare il “più intimo, segreto recondito desiderio”. Intanto è necessaria una distinzione semantica importante fra sogno che ha una vaga connotazione utopica e vero desiderio che dovrebbe avere la concreta possibilità di essere realizzato. Io vorrei, mi piacerebbe o desidererei un giorno essere rammentato, come a me piace ricordare il grande Enzo Eulio, uno che mi ha insegnato proprio tanto quando avevo l’età giusta, anche se in una cosa sono il suo unico insuccesso: sono l’unico a cui non è riuscito a insegnare a nuotare. Il solo problema era la mia caparbietà! Tutto il resto lo ha fatto in modo ironico e disincantato, senza farsene accorgere perché conosceva la mia giovanile presunzione. Non si faceva nemmeno ringraziare, non gliene importava proprio (Enzo Eulio Picchi non c’ è più da qualche mese, è andato a nuotare, cosa che ha sempre fatto con assoluto piacere).
Cinema Desiderio d’avanguardia
Acciughe miracolate di Fabio Picchi
N
ella fortunata ipotesi che per le festività natalizie abbiate saputo lusingare un pescatore o un pescivendolo e che costui per inspiegabile miracolo naturale abbia saputo pescare con la tecnica della lampara acciughe lasciandole così in una integrità commovente, con altrettanto garbo sporcatele con due goccie di aceto rosso, uno qualche spicchio tritato d’aglio e del seme di finocchio, facendole riposare in un frigorifero per una mezza giornata. Dopo di che riponetele in una teglia per poi grigliarle nel più potente dei forni con tutto acceso, aspettando che la temperatura superi i 300 gradi e che le incandescenze del grill, se non siete possessori di un forno a legna o di un’ancor più comoda griglia, le sottopongano a rapida arrosticciolatura. Dopo di che condite con un emulsionato di olio e limone e origano infrangendo piccoli pezzi di pomodoro pelato di Donoratico o di Anacapri o dei vostri territori per garbata sporcatura. Nel mangiare le acciughe evitate il pomodoro. Ma quando alla fine tutti i pesci saranno finiti, per una vostra personale moltiplicazione dei pani, e solo a quel punto, inzuppate e ripulite la teglia con dei crosticini che nella loro oleosa corsa caricheranno sopra di sé il grasso colato nella cottura, il limonoso olio della conditura, l’origano e per chiudere raccatterete, trattenendoli con le dita, i pezzetti di pomodoro. Il tutto andrà mangiato nella certezza di ungersi le dita e la bazza e nella coscienza delle nostre fortunate, facili e desiderate abbondanze.
di Juan Pittaluga
L’
avant-garde est cette petite pointe aiguisée qui gêne énormément le présent, en se situant à son extrême, la où le temps oblige au vertige de l’avenir. Cette flèche a tellement perturbé le pouvoir pendant XX siècle, qu’on a fini par l’acheter, pour l’installer au centre de la cité. Belle panoptique pour s’approprie de l’observateur. L’insurrection ainsi surveillée a dû rentrer ses griffes, qui ont fini par se métamorphoser en mains serviables. À présent on peut trouver de l’avant-garde dans les boutiques de la Rue Saint Honoré à Paris. C’est devenu un signe distinctif, une marque. En la portant on peut se sentir in-conformistes et fusionner images politiques, parfums et t-shirts. La révolution amadoué, comme la vielle panthère de Rilke, ce n’est que dans son cœur qu’elle étouffe parfois son rêve. Ainsi nous vivons tous bien éveillés dans un présent où la matière nous regarde ferme dans nos yeux de vieux fauve. Nous sommes enfermés dans l’ici, sans désir d’ailleurs, sans utopies, sans visage et sans membres comme le Johnny de Dalton Trumbo, victime d’une guerre. Mais laquelle? En échange de notre agressivité aux coins des yeux, notre présent c’est élargie. Nous faisons à présent un seul corps avec le pouvoir - et qui peut sortir de son corps? Et pourtant que nous voulions ou non, il faudra demain à l’aube se déchirer et partir vers l’extrême de l’actualité pour casser la crevasse du cocon, pour affronter la solitude du non conquis. sans avant garde il n’y à pas de civilisation. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Di line e di lane Com’è bello poter tornare a vivere da angeli di Pietro Jozzelli
M
ercoledì sono andato a correre lungo le rive dell’Ombrone. Ho lasciato la macchina a Pontelungo e sono sceso sul sentiero ancora erboso che costeggia il corso del fiume. Era una giornata magnifica, l’unica piena di sole di tutto novembre. Le ultime nuvole sparivano verso sud, cariche di una pioggia che si ritraeva per lasciare spazio all’acqua cristallina in rapida corsa mormorante verso Bonelle, la Pergola, l’incontro con la corrente giallastra
dell’Arno. Tagli di luce calda, qualche alito di vento che asciuga il sudore della fronte, la sensazione che il mio mondo di ragazzo tornasse a carezzarmi offrendomi una alternativa nostalgica al plumbeo grigiore quotidiano. Meglio: una ricarica esistenziale da contrapporre alla fine degli entusiasmi imposta dai tempi. La corsa è diventata leggera, sfioravo appena il sentiero serpeggiante, l’angelo custode mi aveva preso per mano e finalmente volavo sopra le
L’orto La luce incantata del porro di Stefano Pissi
S
e adesso, d’autunno, andate in un orto lo trovate immobile. Le verdure benché vive sono fredde come in frigorifero.Tutte queste piante, cresciute in estate, ci alimenteranno lentamente per tutto l’inverno: cavoli, lattughe, radicchi... e fra questi il porro. Il porro (Allium porrum L.) è una liliacea come il mughetto e il pungitopo. Si trapianta nell’orto a fine estate, appena tornati dalle vacanze. Si preparano solchi profondi in una terra precedentemente affinata; anche le piantine devono essere preparate a dovere prima della loro messa a dimora, potate le foglie sopra e le radici sotto. Poi si rincalzano, accostandogli la terra sul loro falso fusto, affinché aumenti la porzione bianca che crescerà al buio, sotto terra, e che sarà la preferita per i cuochi in cucina. Potete avere ogni tipo di porro; ogni varietà per ogni desiderio: giancorto d’estate, Mostruoso di Carentan, Lungo d’inverno... Accade però che i desideri, talvolta, sono talmente profondi che rimangono sconosciuti alla nostra superficie; si notano solo quando si realizzano, quasi a nostra insaputa. Come il bianco - tenero del porro che, anche per mano altrui, scalzato dal terreno si rivela amplificando la luce attorno alle nostre mani, tinte di terra. Buon Natale, davvero!
cose insieme a lui. Pochi centimetri da terra, ma quale distacco, che sottile ironia nei miei occhi, come si fondevano leggeri passato, presente e futuro. Ho pensato: com’è bello vivere da angeli, il mondo è un continuo big-bang, se solo riesci a sollevarti un po’, si può sempre ricominciare daccapo. È durata il tempo della corsa, poi sono ripiombato giù. Ecco il mio più grande desiderio è tornare a volare insieme all’angelo.
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Disegno di Lucio Diana