Ambasciata Teatrale - Febbraio 2012 - Anno IV Numero 2

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circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze

Mele cerco e mele ritrovo

1 febbraio 2012 ANNO IV • NUMERO

www.ambasciatateatrale.com

Da Parigi a New York

Editoriale

Maria Cassi by James O’Mara

Lasciategliela mordere almeno una volta di Fabio Picchi

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ai, l’hanno rimorsa e rimossa, convinti come sono che il loro spara-diso sia in un conto, in un conto di un ristorante, in un conto corrente. Sì, contano le pecore e non riescono più dormire. Persa la meraviglia e lo stupore, ormai senza giardini-paradiso in balia di burrascose stagioni delle loro anime, infilzano e non amano. Strangolano e non baciano. Scappano e non corrono, defecano e non si liberano, urlano e non

cantano. Con un Dio quotidiano crocifisso sopra e sotto la mezza luna dei loro poveri convinci-menti. Bugie ripetute, ripetute, ripetute e pronte così ad uccidere verità per verità. Senza la bellezza del dubbio o la fraterna incertezza che ci fa stringere in questo viaggio siderale come necessari e indispensabili fratelli. Vai, l’hanno rimorsa e rimossa. Perché ci hanno detto che una al giorno toglie un qualcosa di torno. Ma

è come tentar di svuotare il mare senza la fantasia di un bambino. Bambino a cui sarà bene far mordere, per il prossimo futuro, almeno un mela cotta in forno, così che si faccia un’idea sui profumi, sui sapori, sui ricordi, sulla responsabilità amorosa e crescendo non tralasci mai e poi mai la bellezza di un Eros innamorato, regalando vita e pomate di mele d’oro a tutte le donne e alle belle cose del mondo.

Classika

Snobbato in Italia, diventa bacchetta magica del Met di Gregorio Moppi

È

un direttore d’orchestra italiano, genovese per la precisione, classe 1959, eppure in Italia nessuno se l’è mai filato tanto. All’estero sì, specie nei paesi di lingua tedesca. Fabio Luisi comincia la carriera dalla periferica Graz, poi si sposta a Vienna e Lipsia: situazioni rispettabili, ma non serie A. Comunque lì si fa le ossa, e poco a poco riceve inviti anche da orche-

che dal settembre scorso regge come bacchetta principale. Del teatro della Grande Mela si appresta a divenire lo zarevic per via dei persistenti problemi di salute dello zar in carica, James Levine. L’ultimo italiano a imperare sul Met si chiamava Toscanini. Luisi, cui i nostri teatri non hanno saputo offrire neppure un feudo piccino, adesso ha per le mani un impero.

Occhio di bue

Erba voglio

Non una mela al giorno, è l’amore il rimedio universale di Caterina Cardia

Come ha fatto a diventare/un assioma popolare che la mela in generale/è toccasana naturale presto e bene si capisce/se si leggon queste strisce. Gnuda e cruda sa frenare/ogni marasma intestinale mentre cotta all’imbrunire/ogni bruciore sa lenire. Se ha già fame il bimbo in fasce grattugiata ben lo pasce e l’uricemico guarisce perchè il calcolo svanisce! Il melappio fa sudare/e la tosse fa calmare mele e miele in acqua calda /ed ogni gola ben si scalda Se la mela poi è cotogna/pure scaccia qualche rogna. maturata e cotta bene/è più dolce anche del miele e con gusto può guarire /l’acido che vuol salire.

stre blasonate. Finché nel 2007 viene agguantato da una di quelle con più sangue blu nelle vene, la Staatskapelle di Dresda: tre anni dopo, ormai consacrato in Germania, può permettersi di sbatterne la porta per uno screzio con gli amministratori. E quando una porta si chiude, un’altra si apre. In America. Dal 2010 ne comincia la conquista dal podio del Metropolitan

Il buon sidro è eccezionale /per l’affanno stagionale e il suo aceto profumato/è condimento delicato Dalla mela si citata/nasce il nome di pomata che è rimedio primordiale/per le piaghe in generale mischiava il pomo che è autunnale/con il grasso di maiale Passan gli anni/cambia il mondo/ma il rimedio è sempre tondo non è un pomo/certo è rosso/pulsa e batte a più non posso E non una mela al giorno/toglie il medico di torno ma è l’amore viscerale/che è un rimedio universale E se il mio uomo è eccezionale/che così mi fa parlare qui mi voglio dichiarare/direttore lascia andare!


New York romantica 1

Una stella a Firenze

by James O’Mara

Ridateci un giudice come Paride di Stella Rudolph

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el cestino dei frutti che consumiamo nessuno di essi è stato sfruttato simbolicamente sin dai tempi remoti come la cara, sana mela. Lasciando da parte quella della conoscenza del bene e del male colta nel Giardino di Eden da Eva per tentare Adamo, donde scaturì il peccato originale e la conseguente cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre appena creato da Dio secondo la tradizione ebraico-cristiana (capitolo 3 del libro biblico Genesi), le molteplici doti della mela sottendono parecchi memorabili episodi della mitologia greco-romana. Anzi fu nell’occasione delle nozze di Peleo e Teti che Eris (figlia della notte ed identificata come la Discordia) indispettita, in quanto non invitata al convitto degli Dei, gettò dal cielo nel loro mezzo il pomo d’oro con scritto sopra “alla più bel-

la”, scatenando la feroce rivalità tra Giunone, Minerva e Venere. Mercurio chiamò il nobile contadino Paride a giudicare la controversia, in cui la prima cercò di corromperlo con la promessa di Potere, la seconda con il dono di Saggezza e la terza stette calma, sicura della sua eccedente beltà. E quest’ultima vinse la gara: Paride premiò col pomo d’oro l’estetica della bellezza e Venere gli diede poi in gratitudine quell’Elena intorno alla quale era scoppiata la guerra di Troia. Il posto in gioco allora non divergeva più di tanto da quello odierno. Ormai screditata la gestione del potere e messa da parte la ricerca della saggezza, permane la volontà di identificare la bellezza, che purtroppo si ritrova banalizzata dal vigente consumismo privo del discernimento mostrato dal giudizio di Paride.

La valigia dell’attore Incantati dall’albero delle pantofole di Alessio Sardelli

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Riflessioni Adamo apripista del nostro morso eterno alle leggi della natura di Paolo Maddalena

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ell’immaginario collettivo la mela è il frutto per eccellenza. I francesi denominano una specie di mela reine des reinettes, la regina delle reginette, cioè la mela migliore fra tutte, e per questo regina delle altre mele, le reginette. Ciò spiega perché si sia attribuito il nome di mela al frutto dell’albero della scienza del bene e del male, del quale parla la Genesi, che non usa il termine mela, ma solo il termine frutto. Sennonché quello che interessa non è il nome del frutto, ma quanto, profeticamente, si può leggere in questo passo della Genesi (la quale fu scritta secondo alcuni nel IX secolo a.C. e secondo altri nel 722 a.C.), al di là della tradizionale interpretazione secondo la quale si trattò solo di un fatto di disobbedienza a Dio. I versetti 15 e 16 della Genesi dicono che Dio pose Adamo “nel giardino

dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” e gli dette questo comando: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente morresti”. Quest’albero era al centro del giardino, accanto all’albero della vita. La domanda è una sola: perché questo divieto? Se si leggono i precedenti versetti si nota che, per ognuna delle creazioni, “Dio vide che era cosa buona” e che, dopo aver creato l’uomo, vide che “era cosa molto buona”. Dunque, Dio, e soltanto Dio, creando liberamente, può stabilire, in base alla sua suprema conoscenza (Egli è innanzitutto Logos, cioè ragione), cosa è bene e cosa è male, e, di conseguenza, quali debbono essere i comportamenti per assicurare il bene ed evitare il male.

Mangiando la mela, Adamo, che dimentica di essere stato nominato custode dell’Eden, in un certo senso si sostituisce a Dio e distrugge (mangiare, nel linguaggio biblico, significa distruggere) il frutto della conoscenza divina, concretatasi nelle norme che regolano tutta la creazione. In pratica, come si deduce da tutto il contesto del racconto biblico, egli distrugge le leggi di natura, le leggi che Dio, nella sua infinita sapienza, ha posto per la vita (che resta assicurata dall’albero della vita, posto nelle mani dei cherubini dalla spada sfolgorante) e per la custodia del creato, con la conseguenza di andare incontro a morte certa. Ora, noi che abbiamo sconvolto le leggi naturali ed abbiamo compromesso la vita del pianeta, abbiamo, forse, di nuovo mangiato il frutto dell’albero della scienza del bene e del male?

In scena Metti una sera la lampadina di Woody Allen a Pistoia di Tommaso Chimenti

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er gli appassionati andare a teatro è come essere il bruco nella mela. La addenta, cresce, ci sta comodo, assorbe, ne fa la sua alcova accogliente. Nella sezione Eva e la mela potrebbero ricadere La monaca di Monza (2, 3 febbraio al Teatro Dante di Campi Bisenzio), per la regia di Paolo Biribò, con i dubbi, i tormenti dell’anima e della carne della suora celebrata da Manzoni e del suo Egidio, così come La donna che sbatteva nelle porte, l’8 all’Aurora di Scandicci, con Marina Massironi, dal racconto di Roddy Doyle un feroce ritratto delle donne vittime di violenze ed abusi all’interno delle quattro mura domestiche. Nella categoria La Grande Mela non poteva non esserci Woody Allen; dalla sua penna infatti è stato tratto La lampadina galleggiante, dal 10 al 12 al Manzoni di Pistoia, con Mariangela D’Abbraccio, una divertente, quanto acida e ascorbica, critica al sogno americano ed al suo volere è potere, quando i desideri diventano soltanto fonte di delusione e frustrazione. A Firenze si dice, con

finezza ed eleganza, Non mi prendere per le mele, indicando la bugia ma soprattutto il gioco, lo scherzo, la burla. Ecco Ti ricordi i Giancattivi?, il 24 al Dante di Campi, ideato da Alessandro Benvenuti, a quarant’anni dal primo show del terzetto pratese, lo stesso Benvenuti, Nuti e la Cenci, è un revival dei migliori sketch di cabaret acrilico e politicamente scorretto, rimesso in scena da tre giovani attori che faranno le veci dei tre protagonisti dell’epoca. Uno spettacolo da maledetti toscanacci all’interno della rassegna che ricorda, e ringrazia con sorrisi e risate, Andrea Cambi, scomparso tre anni fa. E come non citare la classe Una mela al giorno toglie il medico di torno. Perfetto, dentro questo cassetto, è Il malato immaginario, dal 16 al 19 al Metastasio di Prato, da Moliere, tra le ipocondrie comuni e consuete, dove spicca la paura delle malattie e, di conseguenza, della morte. Infine potremmo concludere con il segmento Mela dai, ma questo è un altro discorso.

el saltare da un teatro all’altro mi ritrovai qualche tempo fa in una piccola cittadina sul lago d’Orta e precisamente a Omegna. Siamo al nord a due passi dalla Svizzera ma fortunatamente ancora nel vecchio scarpone Italia, magazzino di bellezze invidiabili da tutto il mondo. Una sorta di Osteria della posta da far invidia a Carlo Goldoni ci riceve gentilmente per far riposare le nostre stanche e affaticate figure. Denis e Piergiorgio, i gestori, oltre che metterci a nostro agio con ottimo cibo ci raccontano storie preziose. Ci dicono che lì in una piccolissima frazioncina si celebra ogni anno la mela con una sagra chiamata appunto mele in piazza ,e non solo, che lì a Omegna è nato nientepopodimenochè Gianni Rodari. Allora subito collego il grande novelliere alla mela. Eh, sì, perché una sua favola appunto è La pianta delle pantofole. Un mattino il contadino Pietro andò nel suo frutteto con l’intenzione di cogliere le mele ma al posto delle mele ci trovò delle pantofole

Staino

che erano attaccate per mezzo di un ramo sottile, insomma che le pantofole erano cresciute sulla pianta al posto delle mele. Questa favola fu pubblicata nel 1949 su L’Unità di Milano nella rubrica la domenica dei piccoli con un finale aperto cioè si dava la possibilità ai lettori di farsi il finale da soli e ne uscirono delle belle. Ecco la riflessione: che bisogna ripartire dal linguaggio per arrivare al cuore e permettere una nuova e decisiva epoca. Il pensiero va all’impero romano, la decadenza, l’evo oscuro, il Rinascimento, le guerre moderne e ora? Beh, io, Andrea amico e collega mi dà un piccolo colpetto col gomito dicendomi: “oh, ti sei incantato? A cosa pensi?” Io con un lieve sussulto mi ricompongo e sorrido. “Sono stranamente contento. Sì, la compagnia è veramente piacevole”. Ci si incammina verso il teatro, serata meravigliosa. Pubblico splendido. Un evviva a quegli eroi che riescono a mantenere in vita la parola. Domani si replica.


New York romantica 2

by James O’Mara

Da Tel Aviv Quel confine di guerra si può attraversare solo in nome delle mele di Sefy Hendler

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

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Lasciate che i bambini Quella mattina di maggio in cui Paolina mise in ridicolo Adolf e Benito di Tomaso Montanari

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a mela più elegante della storia della scultura è quella che Antonio Canova donò alla sua Paolina Borghese. Grazie a quel dettaglio, apparentemente insignificante, egli trasfigurò la sorella di Napoleone in una Venere vincitrice che stringe il pomo che Paride le consegnò quando la riconobbe più bella di Giunone e di Minerva. Ed è proprio la mela – serrata in una mano sensualissima – a dirci che Paolina, dal

suo superbo letto, trionfa sulle donne che la invidiano, sugli uomini che la desiderano, sulla bellezza stessa. Tra gli infiniti trionfi di Paolina, fu decisivo quello che si celebrò su Adolf Hitler e Benito Mussolini. I due dittatori andarono a importunarla il 7 maggio del 1938, e fu un incontro memorabile. Ridicolissimi loro, nelle divise da tragici buffoni: maestosa lei, ornata solo della sua nudità. Loro nascosti dietro la mostruosa vio-

lenza delle armi, lei difesa solo dalla sua bellezza. Quei due eternamente sprofondati all’inferno, lei per sempre viva. Il 7 maggio del 1938 Paolina Borghese fu davvero vincitrice: e, quel giorno, fu chiaro che il trionfo della bellezza e dell’arte è il trionfo della dignità, della civiltà, della libertà. In quella mela, dunque, stava la forza di un riscatto, la promessa di una vittoria.

A destra:“Il viaggio del Führer in Italia”: Adolf Hitler e Benito Mussolini, seguiti da un gruppo di gerarchi nazisti e fascisti, ammirano la statua di Paolina Bonaparte, opera del Canova, in occasione della visita alla Galleria Borghese, a Roma. A sinistra Ritratto di Paolina Borghese: particolare della mano con il pomo. Opera di Antonio Canova (Archivio Alinari)

Percorsi

Gatti

Regina sui banchi del mercato e nelle favole

Filastrocca reggae

di Massimo Niccolai

by Kate McBride

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a mela, questa sconosciuta. Non ho mai fatto una riflessione vera e propria sulla mela l’ho sempre subita e se ci penso bene non posso fare a meno di identificarla con il desiderio. Nei mercati le vediamo lì, belle, ammassate: rosse verdi gialle, pronte per essere prese e mangiate. È un alimento che non manca mai nella nostra dieta. Cominciamo fin da piccoli con le mele grattate, una poltiglia dolce e dissetante. Poi ce la siamo portata a scuola nelle nostre cartelle o cestini nei nostri zaini durante le gite domenicali e poi al lavoro e chissà in quante altre occasioni. Se pensiamo che cosa ci evoca nella fantasia,

allora non possiamo altro che sederci e lasciarsi prendere dal suo dolce succo. È proprio Adamo ed Eva che cominciano ad usarla per sedursi ma poi il grande Isaac Newton se l’è sentita cadere e lì ci ha illuminati tutti facendoci capire perché siamo così attaccati a questa Terra, poi le favole che alimentano la nostra fantasia infantile: Biancaneve e i sette nani docet. Certo usata in modo un po’ malevolo ma sempre desiderante. Infine non è proprio la mela che tende ad essere l’elemento fondante dell’essere umano, che in questo caso invece di separare tende ad unire.

Dall’Armenia

Sintesi esaustiva

Così si fanno ingelosire le pere

Talvolta è il nome della Fortuna

di Sonya Orfalian

di Milly Mostardini

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■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

e/la darà o non me/la darà ? That is the question. Dimmelo e dam/mela, caro mio ben! O prendi/mela, appioppa/mela. Infatti fila la mela, dal serpente a Eva, e da lì in poi uno sconquasso. La mela di Paride, uno zuzzerellone, alla divina Afrodite: un altro sconquasso, questa volta omerico. Dalla cattiva regina alla fiduciosa Biancaneve, solo una favola, ma chi dice donna, dice danno. Mele d’oro detto per indicare una donna, giovane e dotata nel retro verso, come dire Tette di ferro, un’altra per il diritto. Che mela che ha avuto detto per chi ha avuto un colpo di fortuna: modo elegante per sottintendere prossimità più volgari. C’è la melagra, che sarebbe la gotta, malattia seccante. E Mela/ mpo, il cane di Pinocchio. C’è anche la pubblicità di Mentadent con la mela, verde e lignea, morsa a

spaccadente. D’oro è la melagrana, frutto dell’albero melograno, che è antichissimo simbolo di prosperità, originario dal Medioriente, che dà lo spunto ad uno dei racconti più ricchi e divertenti del libro Le mille e una notte, nato intorno a un dolce di melograna. Mela lessa fa molto ospedale. E il profumo delle bucce di mela nel fuoco? Dove sono finite le mele calamaie, a guancia rossa, da mettere nei cassetti della biancheria? E le lentigginose renette, da spaccare con le mani e senza coltello? Per queste vi lascerei tutte le delicious e le melinde, dal sapore di sughero. Pensi che faccio melina, che meleggio? Ma quando mai, qui siamo serissimi: come una mela calamaia fuori stagione, come una mela renetta, farcita di burro e marmellata e calda di forno, o anche fritta a ciambella nell’olio e con lo zucchero a velo sopra.

higgly piggly houses stack up random gray pink and brown stucco and stone laundry pops and flutters cats peer out from iron rail balconies watch pigeons perch on stork antennas dry leaves and camilla petals collect along gutter lines on tile roof dips in balcony corners

satellite disks crowd the sky boules balls clack soft muttering of play in a back garden Bob Marley blares across the narrow street through an open kitchen window a still life of apples sunstruck herbs hang drying strawberry crowns strewn around stained red hands of a woman work

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com


Provocazioni

Gesti teatrali

Da Varsavia

Macché medicina, è una fonte di guai

L’infallibile arpione dello zio Giuseppe

Cara Eva, ti capisco

di Luigi Settembrini

di Alberto Severi

di Tessa Capponi

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ttenzione alla mela. Nonostante dicerie del tipo una mela al giorno toglie il medico di torno e romanticherie metropolitane come quella che New York sarebbe la Grande Mela per la sua bellezza e capacità di dare (in realtà il soprannome salta fuori negli anni venti da un cronista sportivo, John F. Fitzgerald, che aveva definito Big Apple l’ippodromo a forma di mela (Apple) della città, per la sua capacità di essere il più importante (Big) per giro di scommesse e danaro). Nella realtà – ripeto - con le mele c’è poco da scherzare. E’ roba pericolosa. E’ a una mela che dobbiamo il non del tutto trascurabile svantaggio di essere mortali. E pure quello di dover vivere su questa Terra, carichi di malanni e problemi, alla mercè dei potenti e dei rompiscatole di turno, anziché perennemente giovani, belli, inghirlandati di fiori, nel giardino dell’Eden. Ce lo dice la Genesi quando narra della disubbidienza di Adamo ed Eva che, contrastando il volere di Dio, mangiarono il frutto proibito, commisero il cosiddetto peccato originale, furono cacciati dal paradiso terrestre. “Donna, partorirai con gran dolore. Uomo, lavorerai con gran sudore” (ammesso che troverai un lavoro, mi permetto di aggiungere io riferendomi agli anni che stiamo passando). Devo confessare – e chiudo coi personalismi - d’aver sempre pensato che il Padreterno, fumino all’eccesso, avesse esagerato: in fondo era solo la prima disobbedienza. La mela è insomma all’origine di tutti i nostri mali. E anche del primo tra gli infiniti dissidi, dissapori, incomprensioni, tradimenti, bugie, accuse reciproche, intervenuti, nei millenni, tra l’uomo e la donna. Chi è sposato (o anche solo convivente, amante) alzi una manina. Concludo riportando di seguito alcuni sintetici versi di un poeta romano dallo spirito eccezionale, Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa. Ecco come ci racconta l’incontro tra Dio e Adamo, subito dopo il morso fatale all’ancor più fatale mela.

ei pranzi che riunivano la famiglia nelle occasioni più solenni, c’era sempre un momento che gli adulti temevano e noi bambini accoglievamo ridendo. Ed era quando la mamma portava la fruttiera in tavola, a fine pasto (nessuno ci aveva ancora insegnato che la frutta a fine pasto, fermentando nello stomaco, rallenta la digestione: anzi si diceva che “ci vòle”, è “salutare” e “rinfresca la bocca”). Era tradizione che lo zio Giuseppe, vedendo transitare davanti a sé la fruttiera, senza aspettare che questa venisse depositata sul tavolo imbandito, arpionasse al volo una mela, con un coltello, e la incamerasse soddisfatto, in un nugolo di rimproveri e di esclamazioni irritate degli altri adulti. “Oh Beppe, sempre con codesto giochino!”. “Ovvìa, Giuseppe, bell’esempio! C’è e’ ragazzi: l’è maleducazione!” Al che e’ ragazzi ridevano eccitati, appena trattenendosi dal battere le mani, mentre lo zio Beppe, tutto soddisfatto dell’aver ancora una volta epaté le bourgeois, strizzava l’occhio complice all’infante marmaglia e se la rideva, liberando il pomo dall’arpione, lestamente strofinandolo al panciotto per conferirgli, più che nettezza, seducente lucore, e l’addentava goloso. Viva lo zio Beppe! L’istrione trasgressivo. Che col suo gesto teatrale ci rammentava il nesso indissolubile fra la mela e la disobbedienza e la conoscenza, dai tempi del giardino paradisiaco, giù giù fino a Isacco Newton, Biancaneve e Steve Jobs. Io che per convincermi a mangiare la mela, me l’ero dovuta far sbucciare e confezionare dal babbo in forma di quattro barchette o quattro automobiline – e in questo caso, allo spicchio-barchetta erano state applicate con gli stuzzicandenti, come ruote, quattro rondelle di banana – mi sentivo all’improvviso sciocco e bambino. La mela, per essere gustata davvero, andava arpionata col coltello, e mangiata a morsi, o ancora meglio scossa dall’albero, o còlta dopo un’arrampicatura clandestina, magari rubata al contadino, o a Dio. Ancora adesso, a cinquant’anni suonati, l’ho capito, sicuro: ma forse – e, mi rendo conto, è tardissimo – non ho ancora imparato a farlo. Sipario.

Peccato N° 1 Dio chiese a Adamo: - Chi ha magnato er pomo? -Io fece lui- Ma me l’ha dato lei- Eva?- Sicuro. Mica lo direi…E scappò fora er primo gentiluomo.

Prospettive Lo spot che rivoluzionò la pubblicità di Raffaele Palumbo

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uando McCartney e soci decisero di tornare dal giudice per la causa contro la Apple sulla proprietà del nome e del logo, lui saltò sulla sedia. Lui è Gilberto Filippetti, fiorentino d’adozione, uno dei protagonisti della storia della pubblicità nel nostro paese, inventore della famosa campagna Piaggio. Sì, proprio quella con le mele. Era il 1968. Una bella mattina Filippetti prende l’autobus numero 17, a Firenze, zona universitaria. Ha in mente il lavoro impegnativo che ha davanti. Sta lavorando alla prossima campagna della Piaggio e nella sua testa risuonano gli slogan del ’68, le parole “per dire con urgenza quello che hai dentro”. Si affaccia e vede il mondo diviso. Da una parte, su un marciapiede, i capelloni. Sull’altra sponda, gli adulti, composti, grigi, noiosi. E vede dal finestrino un ragazzo che scrive su di un muro uno slogan, con lo spray: “non ti fidare di chi ha più di trent’anni”. È una fulminazione. Filippetti torna a casa con lo slogan che farà la storia della pubblicità nel nostro Paese. Chi vespa mangia le mele. Chi non vespa No. “I no – ricorda Filippetti - erano gli adulti e volevo che si sentissero in colpa per questo”. Dario Fo ne trae una canzone (Mangia le mele al padrone). Luca di Montezemolo parla di nuova via italiana alla pubblicità. Crepax fa dire a Valentina: chi Valentina mangia le mele. E ancora, Toscani: “Un colpo di genio che i creativi inseguono ancora”. Omar Calabrese: “La più straordinaria campagna di tutti i tempi”. Moravia: “Orrendo”. Patty Pravo: “Bellissima”. Vasco Rossi canta: Coca Cola sì, chi vespa mangia le mela, coca cola no, chi non le mangia più si fa le pere. Con questa campagna Filippetti cambia il linguaggio della pubblicità. E la Apple computer non era ancora nata. “Ora – dice Filippetti – guardatele bene, perché le analogie sono impressionanti. Se confrontate la mela della Apple computer e quella della Vespa, vedete per iniziare l’utilizzo di un frutto sposato ad un prodotto di alta tecnologia. Prima la Vespa, poi i computer. Poi c’è una scelta grafica tipica della Pop Art, con la mela personalizzata. Poi è anche quella una mela piatta e non tridimensionale. Ancora, è una mela dinamicizzata a strisce. E infine le strisce sono realizzate con i colori dell’iride”. Il fatto è che la mela della Vespa è del 1969, quella della Apple di quasi dieci anni dopo. Quando il compianto Steve Jobs dichiarò di aver scelto la mela proprio come omaggio al mito di Liverpool, dimenticò di citare l’ispirazione iconografica della mela Vespa, o forse fu un classico caso di citazione inconscia.

ilka lat temu kupiłam kawałek ziemi na południowym wschodzie Polski, niecałe 100 kilometrów od granicy polsko-ukraińskiej. To piękna okolica łagodnych wzgórz, bukowych lasów i małych gospodarstw, często opuszczonych, z drewnianymi chałupami i zaniedbanymi sadami. W moim sadzie, mogę to stwierdzić z dumą, mam kilka odmian jabłoni, dawnych gatunków, których owoce są obecnie już nie do kupienia poza najbardziej lokalnym rynkiem. Główny zbiór następuje w październiku, ale już w sierpniu (na bardzo krótko) pojawiają się odmiany kwaśne i aromatyczne, doskonałe do deserów i tart, tak zwane papierówki i antonówki, a potem kolejno pozostałe gatunki. Nie muszę dodawać, że gama kolorów i smaków jest nieskończona, a największą satysfakcję daje po prostu możliwość wyciągnięcia ręki, zerwania jabłka i spałaszowania go na miejscu. Są takie chwile kiedy myślę, że jeżeli w Raju rzeczywiście zakazanym owocem było jabłko, to rozumiem Ewę. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Ri-cercata Oltre il giardino di sir Newton anche la favola aiuta la scienza di Clara Ballerini

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omodamente seduto nel giardino di casa sua Sir Isaac Newton osserva una mela che cade da un albero e elabora di conseguenza la teoria della gravitazione universale. Mito? Aneddotica? Sicuramente, ma la storiella che tutti bene conosciamo ci racconta qualcos’altro. La mela di Newton evoca molte allegorie e nel tempo non è stato importante esaminarne l’accuratezza storica quanto il mito che rappresenta e il valore simbolico che la accompagna. È la versione del passato che diamo, quella a cui ci piace cre-

dere che in qualche modo rivela la nostra attitudine a volte conflittuale verso la scienza e chi la pratica. La mela ha un elemento magico a cui forse non vogliamo rinunciare, ma allo stesso tempo segna simbolicamente la nascita del pensiero scientifico, il passaggio da alchimia a scienza. Oggi guardiamo a questo famoso aneddoto con la consapevolezza che la scienza è caotica, confusa ma non per questo meno razionale della logica deduttiva o della matematica; riempie alcuni spazi con certezza, altri per tentativi e altri ancora vengono lasciati vuoti.

Dylan Bob Aspettando anche da noi il cinquantaduesimo spicchio di Marco Poggiolesi

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ual è lo spicchio più importante della mela? Io non ho dubbi, certamente il cinquantaduesimo! Quante storie, tutte con un loro sapore, sono legate al cinquantaduesimo spicchio e quanti nomi al suo interno: Birdland, Famous Door, Onyx, Small’s Paradise, Three Deuces. E quanti leggendari musicisti lo hanno assaggiato e non hanno più potuto farne a meno. È grande il cinquantaduesimo spicchio; proprio come una

strada. La strada della Grande Mela del peccato che ha ispirato generazioni di artisti da tutto il mondo verso un’epica rivoluzione culturale. So che anche noi abbiamo il nostro cinquantaduesimo spicchio, solo che ancora la nostra piccola mela non è matura. Non resta che aspettare, ma non abbiate paura: non manca molto...

Il popolo del blues Da Abbey Road a iTunes sempre fresca la frutta dei Beatles di Giulia Nuti

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ual’è la celebre azienda il cui marchio è una mela? Risposta facile ai più, specialmente agli appassionati di informatica. Ma i musicofili vedranno probabilmente, dietro l’immagine dei quattro Beatles che attraversano la strada ad Abbey Road, l’ombra di un’altra celebre mela. Verde questa volta, e senza morso. L’etichetta discografica Apple nacque nel 1968 per volere dei quattro Beatles e del loro manager Brian Epstain, con la finalità di includere in catalogo i dischi dei fab four e di altri artisti da loro sponsorizzati, come Mary Hopkin, Jackie Lomax, John Taverner, James Taylor. Un’avventura creativa e coraggiosa, ma anche avventata e

costosa. Come l’ha descritta Derek Taylor, ufficio stampa dei Beatles, “in tutto c’era un grosso quoziente di sincerità, ma anche un po’ di follia”. La casa degli hippie, l’avrebbe invece chiamata l’assistente di Taylor, Richard Di Lello. Un marchio, comunque, indissolubilmente legato ai quattro di Liverpool. Ironia della sorte, mentre questa Apple faceva LP, quella di Jobs fondava una piattaforma, iTunes, che permetteva per la prima volta nella storia di vendere gli album traccia per traccia. Le due hanno attraversato anni di contese legali per la proprietà del nome. Ma dal 2010, sui iTunes, si comprano anche i Beatles.

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acquifera.org

Ricetta

di Fabio Picchi

L Pieni d’Islam Ad Almaty capitale degradata non restano che le mele di Breznev

a ricetta di questo mese è arrivare, in qualche modo, in nave, aereo o macchina, a Volos. E prima di affrontare il Pilio basso e il suo mare, affrontate il Pilio alto. Boschi, foreste, mieli, meravigliosi alberghetti in stile ottomano, gente gentile e la più grande cucina che mai potrete trovare in Grecia. Prestate però attenzione alle curve perché, se fortunati, vi potreste imbattere in capre e caproni. E se fortunatissimi certamente in mele cadute dai numerosissimi alberi. Mordetele e rimarrete emotivamente prigionieri di quella terra per il resto della vita.

di Giovanni Curatola

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ela. Indubbiamente il riflesso condizionato che scatta in modo pavloviano nella mente forse un po’ contorta di chi scrive alla sollecitazione del direttore può apparire strano. Infatti mi viene subito in mente Almaty (già Alma-Ata, ossia città, valle delle mele) un tempo non lontano capitale del Kazakistan (Paese grande come tutta l’Europa, solo una quindicina di milioni di abitanti

divisi in oltre cento ceppi d’origine), poi soppiantata come centro politico da Astana, in lingua locale tomba di ghiaccio. Quando si dissolse l’Urss, temendo che i territori del Nord, ricchissimi di gas naturale, tornassero russi come erano e in barba alla geografia capricciosa e fantastica di Stalin (origine del crogiolo, forzato, di cento e più nazionalità), si decise di spostarvi – in modo un po’ più

serio di quel che non è avvenuto a Monza - parlamento e ministeri, nella certezza che “nessuno può rivendicare una regione dove sorge addirittura la capitale di uno Stato!”. E ad Almaty sono rimaste le mele, amatissime da Breznev che là aveva ben cinque diverse residenze. Mele un po’ asprigne ma buonissime, perfette rivali delle pesche d’oro di Samarcanda, un’altra storia.

Di line e di lane

Cinema

Un contatore di pulci a Ellis Island

La ragazza morde e sviene

di Pietro Jozzelli

di Juan Pittaluga

L

P

a Grande Mela apparve a Ferdinand Céline come “una città in piedi, assolutamente diritta, per niente stravaccata, rigida da far paura”. Eppure gli dette da sopravvivere, almeno per un po’, stipendiandolo come cercatore e contatore di pulci. Gli emigranti italiani, che di quelle pulci ne avevano tante, arrivarono ad Ellis Island e trovarono violenza e accettazione. New York è stata, per guardare solo agli ultimi anni, il luogo mitico e realissimo dell’attacco più devastante del terrorismo ed è stata anche la capitale imperiale della gigantesca bolla dei subprime che ha innescato il declino finanziario del mondo in cui ci capita di vivere. Quando io la vidi, l’ultima volta, c’erano ancora nell’aria le ceneri grigiastre delle Due Torri, la città viveva in apnea, come se volesse dare un’altra chance – da calcolare con il cuore e la mente piuttosto che con il portafogli – a quei suoi milioni di uomini e donne abituati ad avere piuttosto che ad essere. Insomma la mela è un sinonimo di generosità, di occasioni per tutti. Anche maliziose, come ci ricorda l’iconografia cattolica del serpente che offre il frutto ad Eva. Tutti possono dare un morso alla mela, Steve Jobs insegna.

Photo by James O’Mara

etit scénario absurde pour une pomme - comment Newton a épousé Blanche-Neige. Du haut d’un gratte-ciel, le bras tendu vers le vide, une femme mystérieuse lâche de sa main une grosse pomme rouge. Quelques étages plus bas, un homme très beau, se rase devant le miroir. La fenêtre est ouverte. Parterre la pomme rouge roule vers ses pieds nus. Il la ramasse. Sur le fruit c’est écrit : pour la plus belle. Quelque instant plus tard, habillé en costume, l’homme beau traverse un vaste bureau où les gens travaillent agités sur des ordinateurs. Il pousse une porte et dépose la pomme sur un bureau important où c’est écrit – Chef de rayon. La nuit passe. La pomme dort sur le bureau. Au petit matin la même pomme rouge posé sur le bureau, est croqué des deux coté. Une femme profondément belle, le chef de rayon, regarde la pomme croqué. Puis nous voyons face à elle, un couple, les visages fermés. La femme profondément belle indique d’un geste de son bras la porte. Le couple s’éloignent honteux. Quelques instants plus tard, devant l’immeuble, le couple sort complètement nu dans la rue. L’homme lance la pomme de l’autre coté de la rue. Un monsieur qui lit son journal sur un banc reçoit la pomme sur la tête. Étourdit, il laisse couler une larme de joie. Une vielle dame pleine de ridés lui demande s’il va bien. L’homme au journal lui sourit, il lui montre la pomme, puis imite sa trajectoire avec son bras. La vielle femme prend le fruit, lit l’inscription et lui dit: cela va plaire à ma fille. Une jeune fille candide arrive derrière la vielle dame. La vielle dame lui propose la pomme à croquer, l’homme au journal veut l’empêcher, mais la jeune fille candide croque la pomme et s’évanouit dans les bras de l’homme au journal. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

www.ambasciatateatrale.com l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Sergio Passaro. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi

Anno IV Numero 1 del 1/2/2012. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it

Si ringrazia

conti capponi [conticapponi.it] Marchesi Mazzei [mazzei.it] PODERE VOLPAIO [poderevolpaio.it] Unicoop Firenze [coopfirenze.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP Questo numero dell’Ambasciata Teatrale è stampato su carta naturale prodotta con il 100% di carte riciclate post consumer

Un verre de vin rouge

di Ugo Federico

I

divani dell’Hotel Pera di Istanbul, tappa fondamentale del presente e del passato, quando l’Orient Exspress correva sui binari. Gente di cultura. Luci e il cortese servizio mai invadente. Il bicchiere ben saldo fra le mani che riscaldavano quell’incredibile Calvados du Pays d’Auge 1942 del grandissimo Marcel Blin. Distillato di sidro di mele autoctone della Normandia, l’unico lembo di terra in Francia dove non vi sono vigne. Le mele raccolte in piena maturazione venivano fatte appassire ulteriormente in un fienile sistemate con cura vicino ad una parete di pietra. Distillato inimitabile anche perché, fuori da quel fienile, dall’altra parte del muro portante, veniva ammassato il letame che riscaldava così quella stanza. Maestro della doppia distillazione in alambicchi Charentaise. Uomo di grande pazienza che aspetterà 43 anni prima di imbottigliarlo. Bevuto ad Istanbul in una fredda giornata di gennaio e ritrovato con gran piacere nella cantina Cibrèo.

L’orto

di Stefano Pissi

S

e penso alla pianta da frutto, mi viene in mente il melo del mio orto, che cresce storto, a sbalzo su un prato; una sorta di simbiosi con il muro a secco che ne regge l’apparato radicale e lo stesso che, per ricompensa, mantiene fermo il muro. Di sicuro nato lì, da un seme di una mela, finito fra gli anfratti del manufatto. Se penso alla mela invece, emerge spontaneo il pensiero della semplicità; quasi banalità, se visualizzo i pomi su gli scaffali del supermercato, accanto ai frutti esotici sempre presenti, a tentare di farci dimenticare che ci sono delle stagioni e delle distanze da rispettare. Mi sento forte nel ricordarmi che la mia – la nostra – vera ricchezza, di esseri umani - naturali, non risiede solamente nell’abbondanza della quantità quanto nell’abbondanza della qualità, mi riferisco alle molteplici varietà di forme di vita presenti sulla terra da preservare; melo compreso. mela renette, mela golden, mela stayman, tutti frutti perfetti e abbondanti nei supermercati. Negli orti, luoghi di coltivazione del corpo e dell’anima, possiamo invece trovare: la mela ghiacciola - forma piatta, irregolare, asimmetrica, colore verde gialla, sapore acidulo. mela garofana - forma tronco conica breve, colore rosso verdastro, sapore dolce. Mela cipolla - pezzatura piccola, sapore dolce, colorazione della buccia e della polpa striate di rosso. Mela limoncella, mela rosa, mela nesta. Ad libitum. Disegno di Lucio Diana


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