circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze
TEMPO emozione LIBERTà rivoluzione tralalà
1° gennaio 2013 ANNO V • NUMERO
www.ambasciatateatrale.com
Manifesto
Rivoluzione 1
Editoriale
di Massimo Bucchi
Ai nostri figli
Una parola quotidiana
di Fiorella Mannoia
di Maria Cassi
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L
he cosa evoca oggi la parola rivoluzione? Che cos’é oggi rivoluzionario? Viviamo in una sorta di mondo alla rovescia, dove l’illecito é diventato normale, dove i politici fanno spettacolo e gli attori, i cantanti, i comici, si occupano di politica. Dove i diritti vengono scambiati per favori. Dove la cultura é giudicata superflua e dispendiosa, praticamente inutile. Dove chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte e giudica stupido chi si ostina a credere nella legalitá, e lo discredita, lo calunnia, lo annienta. E la parola rivoluzione assume un significato piú profondo, che riguarda anche il comportamento di ognuno di noi. Provo a fare un elenco di quello che per me oggi é rivoluzionario. Rivoluzionaria é la sobrietá, l’educazione, la cultura, l’arte, rivoluzionario é il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute, rivoluzionario é l’accesso alla conoscenza, rivoluzionario é il rifiuto della volgaritá, anche quella dilagante dell’ostentazione del lusso, rivoluzionario é il rifiuto della violenza, anche quella verbale, rivoluzionario é dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie”. Rivoluzionario é l’approfondimento contro la superficialitá, rivoluzionario é insegnare ai propri figli il rispetto di tutte le diversitá, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la capacitá e la volontá di provare a condividere il dolore degli altri, rivoluzionario é combattere il pregiudizio, rivoluzionaria é la ricerca della bellezza, rivoluzionario é spegnere la televisione e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare, rivoluzionario é il sorriso, la gentilezza, l’umiltá, il saper ridere di noi stessi e delle nostre miserie, rivoluzionaria é la semplicitá, il godere di un buon cibo, di un buon vino, rivoluzionario é divertirsi ballando fino alle quattro del mattino senza additivi chimici, rivoluzionario é guardarsi allo specchio senza vergognarsi di ció che vediamo riflesso, rivoluzionario é non sentirsi al centro dell’universo e guardare altro oltre noi stessi, rivoluzionario é fare bene il proprio lavoro qualsiasi esso sia, rivoluzionaria é l’onestá, rivoluzionario é il coraggio delle proprie idee, rivoluzionario é chiedersi sempre che cosa si nasconda dietro le notizie dell’informazione ufficiale, non smettere mai di cercare, ragionare con la propria testa e porsi sempre delle domande, rivoluzionario é non piegare la testa di fronte ai potenti, chiunque essi siano. Rivoluzionario é schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, chiunque essi siano. Rivoluzionaria é la curiositá, la libertá di pensiero, rivoluzionaria é la coerenza, la gratitudine, la capacitá di chiedere scusa, rivoluzionaria é la dignitá, il perdono, il rispetto, rivoluzionaria é l’indignazione per l’ingiustizia ovunque si verifichi e avere il coraggio di gridarla, rivoluzionario é combattere l’aviditá che é il piú pericoloso dei mali, rivoluzionario é dare un senso alla propria vita ricercando il diritto alla felicitá ma avendo la consapevolezza che questo non passa solo attraverso il denaro. Rivoluzionario é fare ognuno il proprio dovere di cittadino ricercando sempre la veritá, che é la piú grande delle rivoluzioni.
e donne hanno il concetto di rivoluzione dentro di loro. Io intendo la parola rivoluzione come cambiamento. Chi meglio di una donna conosce il cambiamento? Le donne sono abituate fin da giovanissime alla rivoluzione del loro corpo, un corpo che tutti i mesi insieme ai cicli lunari, ti ricorda chi sei, perché esisti, qual’è il tuo scopo e talvolta, spesso attraverso quel dolore così unico e particolare, ti parla, ti induce a rallentare, a prenderti cura di te almeno per qualche ora. La donna vive la sua rivoluzione in tutto l’arco della sua vita, si fa strada spesso a fatica, qualche volta meno gratificata e aiutata rispetto ai propri fratelli maschi, che nonostante tutto ama, accudisce, cresce. Rivoluzione, la donna porta in se la vita che verrà, il suo corpo si trasforma, la sua anima si trasmuta, i suoi gesti diventano altro, e alla fine è ancora il dolore che anticipa l’abbraccio alla vita futura. Non si può avere paura se si è donne, o almeno non possiamo permettercelo. Dobbiamo avere fiducia nella nostra rivoluzione, dobbiamo credere nella nostra forza unica, vera, potente, anche se spesso, spessissimo, un mondo maschile per reale paura vuole il nostro controllo, vuole fermare la nostra quotidiana trasformazione e crescita. Ci vuole coraggio è vero ad essere donne, ma è proprio attraverso la fiducia profonda e la consapevolezza di noi stesse che dobbiamo amare il nostro cambiamento, la nostra rivoluzione, per tramandare tutta questa forza alle nuove generazioni perché possano comprendere che è possibile amarsi senza prevaricarsi, che la vita è un dono e che il rispetto la gentilezza e la stima reciproca sono indispensabili in una relazione d’amore e di quotidiana convivenza. Fermiamo vi prego questa violenza quotidiana sulle donne, riflettiamo, ognuno come può e con i propri mezzi, ma vi prego, non rimaniamo inermi a quello che sta diventando, ogni giorno di più, una guerra senza senso contro il genere femminile, e quindi contro l’umanità tutta.
Sintesi esaustiva
Sorpresi di trovarsi insieme di Milly Mostardini
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cenderò di qualche gradino per parlare, piuttosto che di rivoluzione, e già ci tolgo la maiuscola, di rivolta. Le rivolte mi paiono più dentro il nostro oggi, più consone alla situazione, coinvolgenti nei tanti modi in cui si vivono o si manifestano. Quasi tutti scanditi, tra positivo e negativo, da tanta voglia di partecipazione, poca speranza, tra disperazione e non rassegnazione, utopia e resistenza. O desistenza, come qualcuno dice. È un fenomeno variegato, contraddittorio, che da individuo diventa massa all’improvviso, all’impensata. Guarda certe piazze di centinaia di migliaia di persone, sorpresi di trovarsi insieme, fuori di casa, di scuola, del luogo di lavoro, accomunati da una protesta non più individuale, ma collettiva, chiamati da slogan improvvisati, da parole d’ordine esplose in segreto, Segue a pag.2 fantasiose, creative, amaramente burlesche.
Occhio di bue
Rivoluzione 2
Biodinamico
di James O'Mara
Negli occhi di chi guarda di Cristian Giorni
R
La rivoluzione molecolare Anche le molecole nel loro piccolo si parlano di Guido Paoli
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e prendiamo un diapason e lo percuotiamo per ottenere la vibrazione che produce il famoso La a 440 Hz e lo accostiamo ad un altro diapason a riposo, quest’ultimo si mette a vibrare con la stessa frequenza. Questo fenomeno è noto in fisica come risonanza (è su questo principio che funzionano le nostre radio), ma molto meno noto è il fatto che tale meccanismo si applichi alle nostre cellule, inclusi i globuli rossi. Un esperimento fatto diversi anni fa dal gruppo del fisico tedesco Fritz Albert Popp ha permesso di evidenziare come due provette, una con sangue malato e l’altra con sangue sano, se avvicinate senza che venga interposto un setto di separazione fra loro si influenzano nel senso che il sangue contenuto nella provetta sana mostra le stesse caratteristiche di quello contenuto nella provetta malata, come se parlassero fra di loro. Questo fatto è una vera rivoluzione perché una cosa simile non era stata ipotizzata se non in lavori considerati al limite dell’ortodossia, ed adesso sta cominciando ad entrare nel mondo accademico certamente in punta di piedi ma con sempre maggiore credibilità.
Staino
ivoluzione: un elemento fondamentale nella storia dell’uomo per il progresso dell’essere e dell’intellet-
to. Non posso pensare che almeno una volta nella vita ognuno di noi non ne abbia operata una, che una luce non si sia accesa nella mente ed abbia innescato un moto rivoluzionario nel pensiero e nell’azione. L’uomo è veramente libero solo se può cambiare idea, rivoluzionare lo schema certo del suo pensare, aprendosi all’osservazione ed a nuove percezioni immaginando, lasciandosi ispirare, intuendo. Mi occupo di agricoltura e di commercio di vino e mai come adesso il settore edonistico per eccellenza ha bisogno di essere rivoluzionato, ripulito e smascherato. Viviamo un’idea di materialità slegata dal contesto e dalle forze naturali che concorrono alla formazione di tale materia, con una conseguente omologazione gustativa dettata da protocolli di produzione uguali per tutti. Ho varcato la soglia dei 35 e da anni vivo e lavoro nel mondo del vino, fin quando nel 2010 con il mio socio Filippo Ferrari ci siamo fatti pionieri di un movimento che riunisce diverse realtà agricole accomunate dalla voglia di produrre vino in modo trasparente, senza ricorrere cioè a scorciatoie chimiche o pratiche agronomiche depauperanti. La mia rivoluzione parte da qui. Fin dai tempi dell’università c’era qualcosa di incompleto in ciò che imparavo e
vivevo, dalla teoria alla pratica. Stanchi di bere vini privi di vita e personalità, spesso causa di noiosi postumi e strane reazioni allergiche, ci siamo decisi a fare del nostro modo di lavorare una bandiera di onestà e di etica rivolta sopratutto alla natura, alla terra, investendo nella produzione e comunicazione di un prodotto, quale il vino, ottenuto attraverso un metodo moderno di agire, pensare e fare agricoltura in maniera sostenibile: la biodinamica, fondata su una visione antroposofica del mondo e denominata dal suo fondatore Rudolf Steiner come scienza dello spirito. Essa non è una filosofia astratta o frutto di credenze ancestrali, ma anzi una missione ardita e per molti ancora priva di significato. Si tratta di una nuova percezione che l’uomo acquisisce di se stesso in relazione alle dinamiche operanti in natura e alle forze/influssi del cosmo. Una percezione che viene oggi a mancare, contribuendo al degenero dello sviluppo morale dell’umanità e del suo lavoro al servizio della terra. La vita è osservazione e percezione, immaginazione, ispirazione. In un mondo gonfio di preconcetti, la mia rivoluzione è guardare la bellezza in tutto ciò che mi circonda e, con la stessa passione che mi muove da anni, provare a mostrarla ogni volta.
Sintesi Esaustiva
Segue dalla prima
Rivolta, partecipazione, la sorpresa di trovarsi insieme di Milly Mostardini
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ono rivolte prive delle famose minoranze d’avanguardia, di una strategia maturata a tavolino. La lotta di classe? Una reliquia. Tutto diviene trasversale. L’obiettivo è convergente: non subire più lo stato delle cose, cambiare tutti insieme, dal basso. Votati al fallimento? Può anche essere. Guarda, oltre le piazze in rivolta, la massa silenziosa dei volontari, il loro segreto operare, anche di quelli sfruttati, per disegni superiori dalle grandi organizzazioni sovranazionali. Noi individualisti e asociali? Noi che si volta la testa da un’altra parte, occupati solo dal nostro particolare? I volontari ci hanno convinti che sta nascendo un popolo nuovo, che parla poco ma corre a dare una mano agli altri, nelle nostre tante disgrazie. O non è una rivolta, scelta singolarmente, contro un mondo bacato? Guarda quando si è tentato di tagliare i fondi statali per quei preziosi e costosi macchinari, che tengono in vita le persone con malattie degenerative: la rivolta è scattata subito, subito quel provvedimento è stato cancellato. Cari tecnici che fate i conti, che sedete al caldo e andate alla messa, i tempi di Sparta e di Hitler sono finiti: non ricordavate, accecati dai conti, le parole di un certo Gesù, in
Galilea, che sarebbero la base della famosa civiltà dell’occidente? Tante facce hanno le rivolte. Ci sarà un processo, qui a Firenze, vi è rinviato un gruppo di giovani, alcuni proprio ragazzi al tempo dei fatti, che hanno attuato una loro rivolta, non violenta per le persone, ma con interruzione di pubblici servizi e danneggiamenti di beni statali e collettivi. Pendono su di loro imputazioni per reati pesanti, fino all’associazione a delinquere. Anarchici? Attenti a quel processo. C’è anche la rivolta minuta, quotidiana, quasi domestica, non solo contro i banditi che hanno e continuano a derubarci, ma anche contro il degrado delle coscienze e lo stile di vita, aggrediti da ogni parte. Quelli che accanto a una notizia terribilmente sconvolgente, ti fanno trovare un bellissimo giovanotto quasi nudo o una venere meravigliosa per la pubblicità di profumi e mutande. Pubblicità, grazie a cui il giornale salva i conti. Quelli, tanto intellettuali e distaccati, che i telegiornali e i quotidiani non li voglioni vedere, seccante la lista dei nostri guai. Sognate, cari, sognate. La rivolta corre nelle vie del mondo, come nel nostro cuore. Quando avrà fine l’inverno del nostro scontento?
In scena
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i può fare la rivoluzione creando un mostro in laboratorio che possa avere le migliori caratteristiche dell’uomo, e le migliori intenzioni, per poi vederle svanire e vanificate nel Frankenstein. Versione parodia di Mel Brooks la rappresentazione che arriva al Teatro Verdi ancora in fase post natalizia per famiglie (dal 3 al 6 gennaio). C’è la rivoluzione dolce, soffice e soft delle bolle di sapone di Pep Bou (al Teatro di Rifredi dal 4 al 6), non violenta e armata soltanto di fantasia e gioco ed estro. Paladino della rivoluzione nella storia del teatro, della rivolta da dentro le spire del potere è senza dubbio Amle-
di Tommaso Chimenti to (dall’8 al 13 al Teatro della Pergola) qui in versione debordante, dentro e fuori dalla scena dal tempo shakespeariano e dal luogo elsinoreo, nelle parole fluenti del balbuziente Filippo Timi, duro, arguto, tagliente come spade di samurai, spiazzante in questa ricerca moderna e viva, sanguigna e ancestrale tra morte ed ossessione. Rivoluzione è quella che cercano, invocano, ma che poi finisce in rassegnazione e depressione, i due personaggi di Pali (il 12 al Fabbricone di Prato) del duo messinese Scimone e Sframeli. Stanno su piccole palafitte per non essere travolti dal mare di fango e letame che sta cadendo, scendendo a
rovesciare ed abbattere tutto, sul nostro Paese. Chiara metafora dell’Italia berlusconiana, macchia che proprio non se ne vuole andare. Rivoluzionaria fu la chiusura dell’Ultimo Harem turco raccontato dal Teatro di Rifredi (dal 17 gennaio al 3 febbraio) per il nono anno consecutivo con Serra Yilmaz, come sarà sovversiva e ribelle la danza latina per eccellenza di Tango macho (il 22 al Teatro Verdi), etero per definizione che qui balleranno, apriti cielo per i puristi sudamericani di Baires e dintorni, uomini con uomini. Senza perdere un grammo del loro fascino macho.
Lasciate che i bambini
Gesti teatrali Una selva di pugni chiusi
Proclamato a tutto l’universo
di Alberto Severi
di Tomaso Montanari
I
l dibattito divampò subito dopo il grande concerto-raduno nella piazza principale della città. Era stato un momento molto emozionante. Sotto le arcate della grande loggia (accanto ai bronzi verdi e ai marmi torniti che celebravano i trionfi rivoluzionari di eroi giovani e belli su ataviche meduse e decrepiti sabini impotenti), il famoso gruppo cileno aveva concluso l’esibizione, come sempre, intonando quell’inno trascinante, che pure mischiava al trionfalismo un certo nonsoché di malinconico, quasi un presagio di eroismo vano, e di sconfitta. Era il 1975. La rivoluzione, affossata laggiù, oltreoceano, da una reazione bieca e terroristica, sembrava avere qui, nel nostro Paese, una concreta chance di realizzazione. Per lo meno, sembrava averla a noi, che avevamo quindici anni, e si faceva il liceo classico, anzi per la precisione la quinta ginnasio. Io, Paolo, Antonello, Ottavio, il Baco, che pure ci eravamo conosciuti in parrocchia, e ancora la domenica mattina si andava alla messa nella nostra strana e quasi programmatica chiesa di periferia, ricavata in un capannone industriale, quel pomeriggio ci eravamo ritrovati assieme a tutti gli altri, a cantare lo slogan rivoluzionario del gruppo cileno, levando in aria il pugno chiuso. Una selva di pugni chiusi, drizzati nell’aria di ottobre, riempita da quel grido e da quel canto, che salutava l’imminente rivoluzione. Poi, tornando a casa, sulla piattaforma dell’autobus numero 6 – il fatale dibattito. Antonello, che aveva levato il pugno della mano sinistra, ci rimproverò di averlo fatto, noi, come quasi tutti gli altri del resto, con la mano destra. Non andava bene. Il gesto del pugno chiuso era un gesto di sinistra, e come tale andava fatto, coerentemente, con la mano sinistra. Nostro malgrado, io e il Baco gli demmo ragione. Paolino nicchiava. “Cazzate”, ribattè Ottavio, che si era da tempo autoinvestito del ruolo di leader e maître à penser del piccolo gruppo cattocomunista. Il pugno chiuso, disse, era un gesto di lotta – teatrale, oltre che politico – proprio dei proletari lavoratori, i quali, nella stragrande maggioranza, erano destrorsi e non mancini, e dunque espletavano la loro lotta con la mano abitualmente impiegata nel lavoro. “E tu per che cosa la impieghi abitualmente?” cercò di buttarla in caciara il Baco, per sdrammatizzare. Ma Ottavio non aveva voglia di scherzare, anzi forse la battuta lo fece arrabbiare ancora di più. “Siete degli estremisti elitari massimalisti, la vostra è una fuga in avanti, la base non vi capirà”. “E tu sei un riformista socialfascista, segui la massa anziché dirigerla, le avanguardie devono essere rivoluzionarie, il pugno chiuso dev’essere quello di sinistra!” Ottavio, infuriato, premè il campanello e, abbandonando il gruppo, scese quattro fermate prima, tirandosi dietro Paolo che finiva sempre per dargli ragione. Alla fermata successiva, toccò al Baco. Una volta appurato che il pugno chiuso doveva essere il sinistro, si impuntò sul fatto che il pollice dovesse stare dentro, e non fuori dalla morsa delle altre dita. “Assurdo!”, obiettò Antonello, ormai assurto alla leadership. “E che fa, si nasconde? Cerca una nicchia di privilegio? Oltretutto, il pollice coperto dalle altre dita è antiestetico!” “Ora se ne fa una questione di estetica!”, rise il Baco. Roba da fighetti, da narcisi dannunziani. I proletari sono gente concreta, anche rozza, spiccia: il pollice dentro le altre dita conferisce forza e compattezza alla lotta. E per avere l’ultima parola, battè il pugno sul campanello e scese dal bus, senza salutare, tre fermate prima. “Tutto ‘sto casino”, non potei fare a meno di osservare, “per un gesto! Oltretutto un gesto che a pensarci bene, è un po’ maschilista: sì, in fondo, rappresenta un’erezione fallica, una concezione di lotta...” Antonello non mi fece finire la frase. “Perché – disse – tu pensi che la rivoluzione si possa fare senza violenza? Sì, lo so, siamo cristiani, ma anche Gesù Cristo prende a pedate i mercanti nel tempio...” Così, alla fermata successiva, ero io sul marciapiede. In sostanza, radiato dal partito. L’accusa: “revisionismo nonviolento piccolo-borghese”. Antonello continuava da solo la sua corsa sul bus, verso un capolinea periferico, irrilevante. Ed io, procedendo tristemente a piedi verso casa, in un refolo di vento già autunnale, coi pugni chiusi affondati nelle tasche dell’eskimo, mi ritrovai a canticchiare fra me e me, con ironia, il ritornello del gruppo cileno. Quell’inno trascinante, che pure mischiava al trionfalismo un certo nonsoché di malinconico, quasi un presagio di eroismo vano, e di sconfitta. “El pueblo – unido – jamàs serà vencido...” SIPARIO.
I
l 15 del mese di piovoso dell’anno II (e cioè il 3 febbraio del 1794) tutti, a Parigi, poterono finalmente vedere in faccia la rivoluzione. La faccia era quella di Jean-Baptiste Belley, primo deputato nero e rappresentante della colonia francese di Santo Domingo alla Convenzione, cioè al parlamento rivoluzionario. Nel 1789 la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino scaturita dalla rivoluzione aveva spaccato in due la storia dell’umanità, scrivendo che “tutti gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti”. Niente più re o regine, principi o duchi: solo cittadini, tutti eguali, tutti liberi. Ma ora, con l’arrivo a Parigi del deputato Belley, quelle parole avevano finalmente un volto: un volto nero, per la prima volta eguale ai volti dei bianchi. Il 16 del mese di piovoso tutta l’assemblea della convention si alzò in piedi all’ingresso di Belley, e cominciò ad applaudire. Tutti i deputati, tutti bianchi si alzarono uno per uno, e abbracciarono il primo deputato nero della storia. Pochi minuti dopo, l’assemblea votava
l’abolizione della schiavitù: non c’erano più re, e ora non c’erano più schiavi. E il grande rivoluzionario Danton poté dire: “Fino ad ora non abbiamo che dichiarato la nostra stessa libertà, una libertà egoista. Oggi proclamiamo a tutto l’universo, e per tutte le generazioni future, la libertà universale”. Il pittore Anne-Louis Girodet ritrasse quindi il deputato Belley in questo quadro indimenticabile. La tipologia e la tradizione degli infiniti ritratti di tiranni venivano redente da questo capolavoro morale. Il magnifico nero della pelle di Belley è accostato al candido marmo di un busto all’antica che ritrae uno dei filosofi cari alla rivoluzione. E il deputato è stretto in vita dalla fascia con il tricolore della rivoluzione. Il cittadino Belley guarda lontano. Guarda fino a noi. Il suo volto libero è, per sempre, il ritratto di ogni rivoluzione. Anne-Louis Girodet, Ritratto del deputato Belley, 1797. Versailles, Musée du Chateau.
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REVOLUTION
Banchi di scuola Ai miei compagni
Il programma di gennaio
di Leonard Blanche
E
ntrò mentre il re stava aggiustandosi la cravatta. Erano passati venticinque mesi da quando aveva richiesto l’udienza, ma poteva andare peggio, c’era chi quel momento l’aveva atteso per quattrocento anni. “Vostra Altezza...” “Mi dia del lei”, il re rispose bruscamente. Detestava le udienze e la perdita di tempo che comportavano. “Sua Altezza, vede, io sono qua per fare la rivoluzione.” Il re lo squadrò, tra il divertito e l’irritato. “Guardi, non ho tempo per scherzare adesso. E poi, se permette, la rivoluzione non si fa certo da soli, si fa con una folla infuriata, quantomeno un commando. Lei non mi sembra molto preparato”, concluse con un mezzo sorriso di scherno. “Ecco! Ecco, è qui che sbagliate”. La replica del timido rivoluzionario fu cortese, ma decisa. “Lei e tutti i suoi, i ministri, i banchieri e i saltimbanchi, guardate dalla parte sbagliata. La rivoluzione non sta nelle strade, non si fa con i fucili e le molotov, Sua Altezza, non più. È dentro che la stiamo portando avanti, nel nostro animo. Avete provato a convincerci che il futuro che preparate è l’unico possibile: noi sappiamo che non è così. Sua Altezza, se potesse leggere nelle menti di tutti noi, vedrebbe quanto è diverso il mondo che costruiremo; e se proprio vuole guardare per strada, non guardi a chi lancia sampietrini o rovescia i cassonetti. Guardi a chi pianta le tende nelle piazze, guardi a chi ha saputo rovesciare dittatori più o meno dichiarati, guardi a chi non si piega alle stilettate che riceve il suo futuro; è dentro di loro che ha preso forma la rivoluzione. E perché giunga a compimento, manca solo che voi ne prendiate atto.” Uscito dal palazzo, il re si sentiva a disagio. Gli pareva di scorgere ovunque sguardi nuovi, ostili e beffardi; i giornalisti, le cameriere, persino le bodyguard – dietro le lenti scure – avevano un che di insolito e minaccioso. Da quanto era già iniziata la rivoluzione?
Olé!
Teatro del Sale
di di Pilar Roca
Pieni d’Islam Dio è anarchia di Giovanni Curatola
È
un mese dedicato in gran parte al teatro e alla musica, questo mese di gennaio al Teatro del Sale. Laboratorio di idee e di arti, negli ultimi dieci anni il Teatro del Sale ha visto passare migliaia di artisti provenienti da tutto il mondo. Con una programmazione - caso unico - lunga undici mesi l’anno, sempre ricca di proposte di alta qualità e mai scontate o prevedibili. Programmazione che rimane fluida e sempre disponibile al cambiamento, pronta a cogliere al volo un’occasione o una proposta artistica non preventivata. Barbara Nativi diceva che il Teatro del Sale è un osservatorio. Un luogo dove artisti osservano il proprio lavoro, osservano il pubblico e dove il pubblico osserva e partecipa alla formazione e all’espressione degli artisti che si susseguono tutte le sere. Si parte con lo spettacolo della direttrice artistica Maria Cassi, Pardon, che continua a fare il tutto esaurito in mezzo mondo. Poi tanta musica jazz, blues e classica. Da non perdere, l’omaggio teatrale che Stefano Gragnani dedica alla memoria di Franca Fanteria - la storica e insostituibile banconiera del Caffè del Cibreo. Torna a farsi vedere Annunziata detta Nency, di Riccardo Goretti. L’attore poco più che trentenne - si è già fatto apprezzare al Teatro del Sale con una storia che così lui racconta: “la storia di una famiglia. Della mia vera famiglia. Non è la storia di una famiglia qualunque che poi diventa simbolo di… no, no, no, sono quasi tutti affari dell’autore-attore. Forse. O forse no. Forse è la storia di un pezzo di Italia. Forse è il racconto di tre vite comuni”. E ancora, per tornare alla musica, non perdete le ragazze che si fanno chiamare Triace. Emanuela Gabrieli, Alessia Tondo e Carla Petrachi usano le voci come strumenti, attraverso la polifonia. Con Triace, la voce si fa corpo-strumento nella scoperta di sonorità sorprendenti, capace di unire la vocalità tradizionale e i suoni più contemporanei. In Puglia sono delle star, ora hanno l’opportunità di farsi conoscere anche fuori dalla loro regione. Anche in questo caso il Teatro del Sale vuole rappresentare una opportunità. Luogo di formazione per i giovani, trampolino di lancio, punto di partenza di una tournée, ricerca incessante del progetto artistico di qualità e innovativo. Il tutto al di fuori delle logiche televisive, della ricerca a tutti i costi dei soliti Vip riempisala. È per queste ragioni che al Teatro del Sale è possibile vedere delle vere e proprie chicche, di altissima qualità, che il mercato della cultura è refrattario a valorizzare. “Sono cose che accadono - dice Maria Cassi - nel momento in cui fai risuonare delle energie. E allora, si verifica un’alchimia incredibile. E scopri la rivoluzionaria unicità di uno spettacolo, anche se si tratta di una replica. Grazie a questo grande atto di amore e di intimità che vivi con il pubblico e che si rinnova sempre, tutte le sere”. Chiude il mese lo storico Franco Cardini, che presenta il suo ultimo libro Gerusalemme. Una storia (Il Mulino).
R
ivoluzione islamica. Sembra bello scriverne, ma capisco che francamente possa fare un po’ paura. E allora iniziamo ad allargare il campo: rivoluzione anche indù, ebraica, cristiana, buddhista, scintoista e via di seguito. In realtà la vera rivoluzione andrebbe fatta nei riguardi di tutte le concezioni che, a torto o a ragione, passano sotto il nome di religione. Religioni le quali in teoria mettono sempre al centro delle loro riflessioni l’uomo, in modo globale e partendo, in teoria, dai suoi bisogni. I quali, però, vengono in genere quasi sempre e da subito persi di vista, usati spesso come pretesto nella difesa di una struttura che dovrebbe garantire l’effettivo espletamento della sua funzione (spesso etichettata con l’altisonante termine di missione), mentre più miseramente si arrocca in se stessa e diviene largamente autoreferenziale. Ebrei, cristiani e musulmani, per rimanere nell’ambito dei monoteismi, sono alla fine, chi più e chi meno, intrappolati da angosce comuni, dagli stessi pregiudizi, dalla paura che li attanaglia davanti alla insopprimibile ansia di perdere il controllo della sfera pubblica, in una parola di perdere il potere. Potere sull’anima, nientemeno. La rivoluzione è allora – sogniamolo con forza e diciamolo con un urlo – è quella di una spinta anarchica (Dio è anarchia), secondo il più alto e niente affatto caotico principio utopico che l’umanità sia mai riuscita a darsi. Un modo nuovo, ideale , libertario e collettivo che distrugga rivoluzionandole tutte le convenzioni (e le chiese erette a loro difesa) per salvare tutte le religioni. Il minimo sindacale. Auguri.
Ri-cercata
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Riflessioni
Fondi e posti di lavoro
Memorie
di Clara Ballerini
di James Bradburne
È
T
vero, siamo sotto a un cielo incerto e come tale promette cambiamenti. E se da un lato il lavoro della ricerca è conservativo e amplifica, completa e riempie gli spazi lasciati vuoti da un insieme di principi azzeccati sebbene incompleti, dall’altro vi sono periodi di vera rivoluzione scientifica, utilizzando il termine reso popolare da Thomas Khun e legato alle rivoluzioni prevalentemente concettuali, come quella copernicana, in cui distruggiamo ciò che abbiamo costruito rendendo discontinuo il percorso scientifico. Come sottolineato da un recente editoriale di Nature oggi la rivoluzione in corso è di ordine pratico più che concettuale e investe un preciso settore della scienza: la valutazione stessa del lavoro di ricerca. Non è una cosa da poco, il sistema di valutazione è quello che decide dei soldi, è un passo determinante nel processo di assegnazione di fondi e di posti di lavoro. I governi cercano obiettività, numeri che possano scegliere e per far questo si affidano al web, che per primo ha fornito la possibilità di raccogliere dati, citazioni. Per il momento la scienza soffre per l’indiscriminato utilizzo di numeri al posto del buon senso, per una riforma che non è ancora rivoluzione.
he e-book is a greater revolution than anyone imagines. It is not only that thousands of books can now be placed on a support that weighs less than a single paperback, nor even that the backlit screen has changed the nature of reading itself, the very nature of the book’s value has been called into question. Heretofore, when I bought a book (and anachronistically I still buy a lot of books, to Marina’s dismay) the book itself – as an object – had a certain value. I could resell it to a bookshop, albeit for a fraction of what it cost. In some cases, due to scarcity, I could even sell it for far more than it cost. This value was intrinsic to the object made of printed paper, and in some ways independent of the information the book carried, which itself represents a durable value that can be kept, lent or left to one’s heirs in the manner of all personal property. The book was mine. Moreover, the survival of physical books for thousands of years attests to a certain inherent value to the object itself. Even my own small collection of rare books includes several printed before 1550. All this has changed with the e-book. An iPad with one book on it is worth the same as one with 1.000 books on it – the value of the book has become in its consumption – and the value of the container does not increase with the information it contains. Certainly an iPad could be left to posterity, but the e-book itself is not guaranteed survival, in fact, suggesting that this radical re-interpretation of the value of the book has not gone un-noticed, there are even plans afoot to limit the number of times an e-book can be read (in the case of e-libraries) and software already restricts the ways in which an e-book can be loaned to friend. The e-book is no longer mine to have, it is only mine to hold – a hotel room rather than a home. For those who find books in their homes, and their home in books, this is a disconcerting development. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Il popolo del blues
Rivoluzione 3
di James O'Mara
Ernesto e gli altri di Giulia Nuti
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uando Bill Haley and The Comets pubblicarono Rock around the clock dando origine convenzionalmente al rock and roll, fu una rivoluzione. Ma anche quando quattro ragazzotti di Liverpool incisero il loro primo singolo e lo firmarono come Beatles, si respirava aria di una bella rivoluzione. Quando Modugno vinse Sanremo nel 1958 con Nel blu dipinto di blu, c’è scritto nei libri che per la nuova musica italiana fu la rivoluzione. E che dire di quando un gruppo di ventenni guidati da un funzionario illuminato, Pierluigi Tabasso, trent’anni fa esatti, dietro i microfoni di Radio Rai, iniziarono quell’avventura meravigliosa chiamata Rai Stereonotte? Tra i conduttori c’erano Ernesto De Pascale, Ernesto Assante, Alessandro Mannozzi, Fabrizio Stramacci, Giancarlo Susanna, Stefano Bonagura, Emiliano Li Castro. Un programma dedicato alla musica che trasmetteva per tutta la notte, una rivoluzione nella storia della radiofonia italiana e nella vita di molti degli ascoltatori che stavano svegli apposta per seguirlo. Quello che c’è di strano nella rivoluzione è che nessuno sa esattamente quando sta per accadere. Per ogni tentativo andato a buon fine, ce ne sono altri che falliscono e di cui magari nessuno si ricorda. Sono la storia e l’incrocio tra le circostanze che attestano il valore e il compimento di una rivoluzione. Ma per i suoi protagonisti, per tutti i nomi in questo elenco, cos’era la rivoluzione se non un desiderio, un intuito, una passione irrefrenabile, un tentativo? La rivoluzione è fatta così. Si può intuire, si sente incombere, ma non si può esattamente prevedere. E allora basta provare, provare ostinatamente e crederci, per essere dei buoni rivoluzionari moderni. E lasciarsi travolgere dalla rivoluzione non appena, finalmente, ci colpisce alle spalle.
Una stella a Firenze
Percorsi
Classika Ad ogni costo
Impastare nuove forme
Rassettare nuove idee
di Gregorio Moppi
di Massimo Niccolai
di Stella Rudolph
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Albania si prepara a una rivoluzione culturale. E lo fa imbracciando strumenti musicali. A caldeggiarla è il sindaco di Tirana Lulzim Basha, neanche quarant’anni e già papabile come futuro primo ministro. Nella sua città, una delle capitali più giovani d’Europa per età media, ha deciso di finanziare con un bel po’ di quattrini un’orchestra di ragazzi cresciuti in una terra finora arida di musica classica. Soldi - provenienti in massima parte da fondi statunitensi diretti allo sviluppo dell’Albania - investiti dal sindaco per conto dei suoi concittadini con l’idea di riceverne in cambio interessi sostanziosi per l’intera nazione. Perché alla Giovanile Albanese (così si chiama l’orchestra), Basha chiede in cambio due cose. La prima, raggiungere un livello artistico tale da garantirsi l’ingresso nel gotha delle orchestre giovanili del continente. La seconda, accogliere tra le sue file strumentisti di ogni stato balcanico in modo da divenire promotrice di pace in un’area dove l’avversione di matrice etnica e religiosa cova ancora sotto la cenere. In realtà il futuro premier è interessato soprattutto al primo obiettivo. Per ragioni politiche più che artistiche. Infatti percepisce la legittimazione culturale che l’orchestra può dare a Tirana sullo scacchiere internazionale come necessaria lettera di referenze da esibire ai burocrati di Bruxelles. Poiché l’Albania vuole entrare nell’Ue a ogni costo, il prima possibile. E spera di riuscirci grazie a questo pacifico esercito di 80 musicisti, tutti nati nel dopo Oxha e ostinatamente intenzionati a fare del loro Paese un posto dove valga la pena stare.
on so se posso considerare il termine rivoluzione per definire un cambiamento, più precisamente se il momento effettivo in cui opero il cambiamento è la rivoluzione. Certo è che tale istante è rivolto a quello che fino ad allora era una sicurezza ed ora diventa un’incertezza. Per quello che mi riguarda direi che il tempo in cui mi trovo più a mio agio è la ricostruzione, è il ricomporre qualcosa che si è rotto e che deve prendere una nuova forma. In effetti, non so bene quando inizia l’attimo che mi porterà a rivoluzionare il modo di vedere. Se mi fermo a riflettere penso proprio che è un flash, un’illuminazione. Ci sono cose che ti passano attraverso, a prima vista senza lasciare tracce ma che invece, si incuneano lentamente dentro fino a che non arrivano alla giusta maturazione e sbocciano illuminando quello che fino ad allora era qualcosa di sicuro, ma soprattutto che non dava adito a nessuna controversia. Ma sì, la vera rivoluzione è quello, l’attimo, il flash. Poi tutto è un lento ma costante ricostruire intorno a me un nuovo mondo e condividerlo con i miei simili e non solo e poi piano, piano erigere sapendo o forse, a quel punto, sperando che arriverà un altro flash che mi illuminerà e così potrò soddisfare il mio desiderio di ricostruire.
Di line e di lane Ventesimo secolo di Pietro Jozzelli
Dylan Bob Piaceri rivoluzionari di Marco Poggiolesi
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impronta dello stivale sulla neve bianca, il gesto di cortesia del venditore ambulante. La corda che si spezza e il libro bruciato sul marciapiede. La televisione che si spegne e la musica che esplode nella metropolitana. La sala è piena di bambini che, per mano, invitano i vecchi a prendere posto a sedere e a chiudere gli occhi per tornare a volare guidati dal Clown. Fuori il freddo è sparito e gli amanti danzano sulla pista di ghiaccio mentre l’orchestra accorda per l’ultimo concerto. Perfino i governanti hanno abbandonato lo scettro e stanotte scriveranno lettere d’amore perché a governare è e deve essere il cuore.
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a rivoluzione è finita un grigio giorno di novembre, nell’89. Tanti giovani tedeschi buttarono giù il muro di Berlino e con lui ogni simulacro di potere comunista per come si era realizzato nelle società dell’Europa orientale. Rimasero Cuba e la Cina a dire che non era del tutto finita. Ma Cuba aveva davanti e dietro, sopra e sotto gli americani, e insomma qualche giustificazione l’aveva, comunque si preparava ad aspettare che fossero i troppo potenti vicini a cambiare un po’. La Cina ne ha invece approfittato inventandosi in pochi anni una rivoluzione impensabile: il paese del comunismo capitalistico ovvero del capitalismo che va a braccetto col comunismo. Gli unici che non si sono accorti che la rivoluzione del ventesimo secolo era finita sono stati gli italiani. Primo perché hanno votato Berlusconi che prometteva lotta dura senza paura ai comunisti (che non c’erano più); secondo perché qualcuno di loro pensa di rivotarlo per la sesta volta. Dicono: ci difenderà dai comunisti, ma vogliono dire: non ci costringerà a pagare tasse per quegli sfigati dei più poveri. Insomma, la Controriforma è con noi e delle rivoluzioni se ne sbatte.
uantunque la parola rivoluzione evochi subito ribaltamenti storicopolitici di grande portata, essa è altrettanto pertinente a ciò che nella vicenda di ciascuno comporta un urgente riordino dello status quo nell’amministrazione di sé e del proprio lavoro. Il perenne campo della battaglia da vincere in tal senso è per me – storica dell’arte nonché accanita bibliofila – la biblioteca di quasi 20 mila volumi sempre in crescita: in qual punto delle varie sezioni collocare i nuovi arrivi (tra manoscritti, edizioni rare, fonti, manuali o testi dedicati ai settori riguardanti arte, estetica, iconografia, letteratura, saggistica, filosofia, storia, ecc.)? Insomma una lotta continua, e purtroppo mai del tutto vittoriosa, contro la ristrettezza dello spazio a disposizione per rispettare la logica dispositiva che mi consenta di usufruire di questo bendidio, strumento essenziale per le ricerche in corso e pur sempre diletto nel leggere, rileggere o semplicemente consultare codesti libri. In fondo il compito di gestire una siffatta biblioteca trae stimolo dall’accozzaglia dei componenti da smistare e sistemare in modo che talvolta l’accostamento fortuito di certi tomi possa fare scaturire poi ulteriori riflessioni foriere di chiarimenti (tipo I promessi sposi del Manzoni in relazione con qualche dipinto di Francesco Hayez illustrato in un catalogo di mostra). Questa minuscola, perpetua rivoluzione di natura domestica ed intellettuale va avanti: ieri ho dovuto spostare una decina di volumi nella speranza che entrino in un proficuo colloquio tra loro e quindi anche con me.
Gatti Amore randagio by Kate McBride Love at first sight. Love at first bite. A realignment of the spirit. A radical alteration to the future without an altercation. A non-violent overthrow of the senses. Lovestruck. Lovesick. Head spinning intense melding of the souls. A private revolution played out between two stray cats. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
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Poesia
Ricetta
L’orto
Rivoluzione
Radici e nuovi sentieri
Appunti per la rilvolta
di Paolo Fabrizio Iacuzzi
di Stefano Pissi
di Fabio Picchi
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orse perché a chi scrive versi non si può forse chiedere molto di più di una illusione prospettica, ecco la mia poesia Rivoluzione, che ho scritto alcuni anni fa. Prende origine dalla strage, perpetrata dagli albanesi nei confronti dei serbi (ma il discorso avrebbe potuto valere anche all’inverso), in quella terza guerra mondiale balcanica, dove l’idea dell’unità di un territorio – costituito affinché le etnie potessero vivere in una pace espressa dalla Rivoluzione rossa – naufragò definitivamente. Io all’idea della rivoluzione nella sua utopia, che per la maggior parte delle volte nella Storia è finita in una distopia, vorrei opporre una rivolta intesa come antiutopia rivoluzionaria per edificare una nuova comunità, dove ogni cittadino è al servizio degli altri in una nuova rifondazione della politica. Fare qualcosa per gli altri, preoccuparsi per qualcos’altro che non sia solo il nostro io, questo è l’appello alla rivolta che siamo chiamati a portare avanti. La rivoluzione ci dà ancora solo l’idea di un desiderio di onnipotenza, è la proiezione del nostro desiderio narcisistico di fondare un assoluto, da realizzare a ogni costo. Ti domandasti Jacques se la mietitrebbia rossa potesse falciare il grano. E insieme i quattordici serbi che nel campo ignari erano chini sulla loro terra degli antenati. E se nell’odio degli albanesi fosse giustificato il rosso devastante. O se in quella strage d’innocenti ci fosse colpa che salisse scura dal fondo di quella terra. Una pietà che
olivo (Olea europea) è una pianta adottata dall’uomo, e da esso coltivata, da millenni. Tante le sue razze e varietà, differenti per portamento della chioma, forma delle foglie, dimensioni dei frutti eccetera. Ogni volta che la temperatura dell’atmosfera e umidità del terreno lo consentono, l’albero non conosce stagioni e cresce, cresce, cresce. Lentamente persegue il suo progetto di conquista dello spazio, sopra e sotto la terra, e poi ancora fiorisce - mignola dicono i contadini in Toscana. I frutti che la pianta produce sono botanicamente classificati come drupe e crescono sempre sulla parte della chioma più giovane. Anche se non si dice, l’olivo è una pianta da frutto e quando la chioma si è sviluppata oltremodo, superando l’altezza comoda alla raccolta dei frutti, i contadini decidono di operare una manutenzione straordinaria chiamata potatura di riforma. “Ora, per questi olivi, che sembrano querce, e ci vorrebbe un bella potatura di riforma!” In sostanza con la riforma vengono asportate grosse parti della chioma e la pianta rimane inizialmente spoglia: uno sconvolgimento dell’architettura della chioma che aveva lentamente costruito negli anni. Lo scopo è ritornare ad una partenza di crescita nuova, diversa ma uguale alla fine perché l’olivo rimane tale e secondo il suo progetto di base rinizierà a costruire nuovamente un’altra chioma. Questo per me, dalla natura, un bell’esempio di rivoluzione, cioè re - volvere: tornare indietro verso le proprie origini ma da una strada mai percorsa prima e, una volta chiuso il cerchio, ripartire da capo senza tradire se stessi.
per essere espiata dovesse avere un massacro. Un coro di mani spezzate. Di piedi strinati dal gelo. Come giunse l’ora della riscossa i galli cantarono in colline appena illuminate. Avresti voluto aderire a quel grano. Stare fra spighe rimosse dalla vita intera. Espiare la colpa non tua. Ed espiare la tua vita che in quel momento non contava se non più pura. Un sacrificio di servi mercenari che travolti da quel rosso erano e sono i corpi che la Rivoluzione ha lasciato e non riprende in sé. E non hanno colpa e non hanno scampo
Cinema
se gli Apache sono passati su quelle terre. Vassalli serbi con la stella rossa cucita sul cuore. Come crociati partiti alla riscossa del Sepolcro. E la rivolta che si dicesse
È solo l’inizio
vinta non porterebbe case ancora piene di bambini e di donne. Non porterebbe campi pieni delle mietitrebbie. Un comando a metterti in sella con armi dell’innocenza.
di Juan Pittaluga
S
La mietitrebbia ti cullerebbe col rumore. Tutto si farebbe punto per punto stella. E la rossa sarebbe stella puntata sul cuore di Russia. La bella promessa rimandata.
Un verre de vin rouge Tirate polpette di Ugo Federico
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a nostra terra, ancora oggi, qualcuno la rispetta nella quotidianetà e nel suo duro lavoro. Nasce così il Brut contadino di Ciro Picariello prodotto a Summonte in provincia di Avellino. Uve Fiano in purezza, spumante a dir poco rivoluzionario perchè assolutamente non degorgiato. Unico nel suo genere, figlio di una scelta non scontata e coraggiosa. Vendemmia leggermente anticipata per preservare il profumo del frutto ancora croccante e sopratutto la sua splendida acidità. La rifermentazione in bottiglia avviene in maniera spontanea senza alcuna aggiunta di lieviti selezionati o additivi chimici. La decisione spetta poi a chi beve, può essere degorgiato aprendo la bottiglia immersa fino al suo collo in acqua permettendo la fuoriuscita dei lieviti, oppure si può bere semplicemente con i lieviti in sospensione che ne caratterizzano sia la sua opacità sia il suo profumo. Bolla fine con profumi di crosta di pane, frutta e fiori secchi. In bocca cremoso e persistente, stupendamente abbinato alle crocchette di patate e baccalà appena tirate su dall’olio.
a far circolare fra tutti i compagni. Il frigorifero deve tornare ad essere uno strumento e cessare di essere misura del proprio presupposto benessere. Se non l’avete ancora eliminato nell’ultimo Capodanno, gettandolo rumorosamente dalla finestra, sarete deferiti al Tribunale del Popolo e costretti a sfamarlo con dieci chili di soffritto di cipolla, sedano e carote fatto rigorosamente con la mezzaluna. La cultura della dispensa, in alternativa alla cultura del frigorifero, deve essere il primo obbiettivo di ogni rivoluzionario. Ricordarsi di stabilire delle priorità per i prossimi mesi. Non trovarsi mai senza pasta, riso, olio d’oliva, aglio, cipolle, polenta, pomodori pelati e conservati dai compagni del sud. Stabilire con i compagni del nord linee di rifornimento per friggere a basso costo con strutto di maiale. Guardare con attenzione ciò che producono, con atteggiamento social-democratico, i viticultori bio e biodinamici. Nella loro illusione di un mercato più sano, possiamo trovare finanziatori per future battaglie, tenendo presente che i loro vini sono ogni giorno più buoni. Progettare attacchi ai semi vari, agli aromi naturali, ai surgelati surgelanti idee e uomini. Attaccare senza nessuna programmazione, ma rifacendosi ad altre esperienze rivoluzionarie, i banchi di verdura che espongono a gennaio pallidi e falsi pomodori, fragole ed altre insane avidità. Ogni rivoluzionario dovrà produrre e comunicare al suo comando la bandiera del suo reparto. Da oggi quella del vostro comandante sarà la rossa e sugosa bandiera dove al centro spiccherà una porzione di parmigiana di melanzane. Vi ricordiamo che il grido di tutte le prossime battaglie sarà “Unti e bisunti nel sol dell’avvenir”. Distruggere gli schermi televisivi che superano i 18 pollici è fatto obbligo ad ogni compagno, come aumentare per contropartita il numero delle sedie intorno al tavolo della vostra cucina: mai meno di dodici è ciò che ci aspettiamo da ogni vero rivoluzionario. A tutti i compagni è fatto obbligo di riferire chi persiste a sperimentare cucine borghesi e controrivoluzionarie, come ad esempio la cucina molecolare, per far intervenire, anche in questo caso, il Tribunale del Popolo, che distribuirà gratuitamente spezzatini di manzo e patate capaci, come sapete, di neutralizzare ogni attacco del nemico di classe. Ciclostilato in proprio. Il vostro comandate Fabio Picchi detto Il Frittata
Lucio Diana
l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo.
Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno V Numero 1 del 1/1/2013. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it
Si ringrazia
conti capponi [conticapponi.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]
i la révolution, selon Napoléon, est ce qui ne peu être ni engendrer ni arrêter, elle a trouvé dans le cinéma un dispositif d’insurrection permanente issue du désire de synchroniser son contenue et sa forme. Le cinéma n’a pas, comme la peinture bondit par des grands moments (Renaissance, Impressionnisme, Cubisme) mais plutôt par des Foquismes des rébellions locales, comme le Néoréalisme Italien, le cinéma indépendant américain des années ‘70, la Nouvel Vague française des années 60, le cinéma asiatique des années 90, etc. Le cinéaste contemporain puise ce dont il a besoin où il le trouve, sans se soucier de purisme dogmatique. Ni le commerce, ni les courants esthétiques, ni les genres de fictions, ni même les modes ont pu contraindre l’instinct plutôt libertaire d’un langage qui par son adoration du vraisemblable est en permanente recherche d’efficacité. A l’image du siècle qui l’a vu naitre (fin du XIX) le cinéma est ébloui par le mouvement et l’accélération. En quelque décennies il va inventer la sonorisation (fin des ânées ‘20) la couleur (fin des années ‘40), les effets spéciaux numérisée début des années 80, jusqu’à aujourd’hui où nous vivons l’époque de la numérisation, tournage, montage et projection –et réactualisation de la 3D. Aujourd’hui n’importe qui peu écrire, tourner, monter et surtout diffuser son film sur Internet. La qualité survivra à cette vague de la globalisation du goût. En attendant, il faut bien regarder les derniers clips de Justin Bieber, Jennifer Lopez ou Lady gaga, vue plus de 500 millions de fois en quelques mois, ainsi que les vidéos absurdes qui émergent partout. Cela incite le cinéma à modifier constamment sa syntaxe. C’est une liberté qui recréé en permanence la façon de raconter une histoire, avec l’obsession du rythme comme moteur. On peu faire comme on veut, a la fin on finit toujours par raconter une histoire et la profondeur d’une œuvre reste le grand mystère. Citizen Kane est l’exemple presque unique d’une Révolution simultanée dans la forme et dans le fond. Il est vrai aussi que l’abus d’innovations ou de provocation pour épater les festivals, son consommée puis disparaisse. Il est vrais que ses 30 derniers années n’on vue naitre presque aucun film puissant, mais ce sont les petits romans populaire qui on façonner le Quichotte. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com