MUKKI LATTE PER LE DONNE
Vietare la poesia di Jacopo Fo
a pagina
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circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze
marzo 2013 - ANNO V • NUMERO
www.ambasciatateatrale.com
Massimo Bucchi
Ana Paula Tavares
Staino
Do livro das viagens (caderno de fabro) C
onosco la siccità. Conosco le acque libere. Conosco i cicli. Perseguo la parola, una poesia, solo una poesia a cui lavorare tutti i giorni, fino a riuscire a leggerla dall’altro lato. Così da illuminare le ombre della vita, creare armonia nel disordine, tornare alla prima parola, come quella che inaugura le grandi cuciture dei velluti Teke (le acque che separano cielo e terra, e le acque che dividono il mondo abitabile dal mondo sotterraneo). Sarebbero necessarie molte più vite e una maggiore conoscenza della fucina che però non ho ereditato dalle anziane. Mi rimane solo di continuare a tessere e celebrare questi momenti di amicizia in cui le poesie (anche quelle antiche) e le persone si mischiano con i tempi d’affetto spesi in questa vita. (Dalla Piero Bigongiari Lectures 2013 del premio internazionale Ceppo, che verrà letta il 21 marzo al consiglio regionale della Toscana, palazzo Bastogi, ore 16.00, in collaborazione con Semicerchio, rivista di poesia comparata) Da dove io vengo sono visitata dalle acque a mezzogiorno quando il silenzio si trasforma per le dolci parole del sale in fiore e delle ragazze
Francesca della Monica
Quinte
(inedito)
Le mie sinapsi hanno eliminato le distinzioni tematiche, storiche, geografiche e hanno riunito le esperienze. E tuttavia, si sono traformate in filtri lirici; lasciano passare i colori, distillano gli affetti, raschiano via l’attaccamento. Le mie sinapsi sono come quinte. Entrano nel teatro della mia vita solo uomini e donne modificati dalla poesia, partoriti dal mito. Non voglio più ascoltare parole, suoni, grida o rumori, guardare volti, labbra, scarpe che non siano state digerite, filtrate dalla pelle, dalle trachea, dalla memoria degli attori: continenti, nazioni, fiumi, città, foreste della mia nuova geografia, della mia nuova storia. Solo così posso accettare la sofferenza, la morte, la gioventù e la vecchiaia, il sapore delle fragole e dell’aceto e l’idea delle mie molte vite, dei miei molti amori. COXIAS As minhas sinapses eliminaram as distinções temáticas, históricas, geográficas e juntaram as experiências. Porém, tornaram-se filtros líricos; deixam passar as cores, apuram os afetos, lixam o apego. As minhas sinapses são coxias! Entram no teatro da minha vida, apenas homens e mulheres modificados pela poesia, paridos pelo mito. Não quero mais ouvir palavras, ou sons, gritos ou ruídos, olhar rostos, lábios, sapatos que não sejam digeridos, filtrados pela pele, pelas retinas, pelas traqueias, pelas memórias dos atores: continentes, nações, rios, cidades, florestas da minha nova geografia, da minha nova história. Só assim, posso aceitar o sofrimento, a morte, a juventude e a velhice, o sabor dos morangos e da vinagre e a ideia das minhas muitas vidas, dos meus muitos amores.
I muri sono di pietra secca e lasciano scappare la luce tra i corridoi di radici e vetro lente le donne preparano la farina e ogni gesto fonda il mondo di ogni giorno ci sono donne anziane poggiate sulla sera mentre la parola libera il muro e ritorna con un sorriso timido di denti e sole. (Da Manual para amantes deseperados, Lisbona, Caminho, 2007, traduzione di Livia Apa. La poesia, insieme ad altre, sarà letta da Maria Cassi e Giancarlo Cauteruccio al Teatro del Sale il 20 marzo).
Occhio di bue
Maria Cassi
Mattinata strunfugliona
(inedito)
Mi desto, aprico l’ocio nuttambulo... Non sempre serenico, talvolta pensierico, ma desto... Questo sì! Si aprica una giorna nueverrima e chissà cosa porterrima. Mi desto non lesto, ma anzi... Quadrupedo in bagnolo e pisciolo pochino, tantino, dipende dal mattolino. Se solico in cielico allora bellico di risa contentine e garrule, se nugolo, peggiolo, ma vitola così (è). Gattoli subito correro carezzolo tanto tantolino! Pelucchio di gattolo mio, i sue oci stupendevoli e grandi, baffoli inresistibilissimi. Fusole, fusole musica per i miei orecchioni non malatimi, ma overti per amarti cucciarti coccolartici... Musi divini, anime immensole como solo solossimo grandoli gattoli sanno di essere.
Alba Donati
Tv Mentre guardi la televisione io guardo te, sul tuo viso scorre la luce dell’amicizia di Pooh e Pimpi nei tuoi occhi fiammeggia il loro picnic il naso sale e scende come un salto di Tigro, il labbro superiore si arriccia ad ogni angolo del Bosco dei cento acri.
(inedito) Io lo ammiro, questo schermo di fatti minuti vi osservo le vicende del giorno vi osservo le previsioni della tua anima così semplice mi appare allora il globo terrestre e io lo guardo e quello schermo che vedo mi sembra sacro.
In scena
Lasciate che i bambini Giovanni Bellini poeta
N
ella poesia c’è l’illogico, la follia, quei salti emozionali che uniscono punti che fino ad un momento prima non riuscivamo a riconoscere nella penombra di un sostantivo svuotato di senso. Il teatro, per sua stessa natura e urgenza, proprio questo dovrebbe incarnare. Ed allora il percorso poetico nelle sale che abbiamo ricostruito ci porta a sentire e seguire le note strimpellate del Recital irrequieto di Alessandro Benvenuti (1 e 2 al Teatro delle Sfide di Bientina), voce roca, fisicità imponente, vecchi spartiti per nuove sonorità rivisitate. Addentrarci nella poesia evocativa di un altro mondo possibile con Berlinguer. I pensieri lunghi con Eugenio Allegri (il primo al Teatro Puccini), che la politica può e deve proiettarsi oltre e altrove. E c’è poesia nelle donne, nei loro sguardi che puntano così in profondità e così lontano, che molti piccoli uomini non riescono a decifrare se non banalizzando, in quelle Caldane, fisiche e metaforiche, che Anna Meacci riesce a delineare, con il riso consapevole di una donna a tutto tondo (1 e 2 al Teatro Lumiere). Poesia è l’amore per la tua città o per quella che è divenuto il tuo scenario, il fondale di una vita, cosa che è accaduta, per circostanze e scelte e mestiere, a Dimitri Milopulos, da Salonicco, innamorato a tal punto della nostra città da averla fatta sua in Firenze (2 e 3 Teatro della Limonaia a Sesto Fiorentino) tra microtelecamere e modellini disegnati e architettati direttamente dalle mani dello scenografo greco. La poesia sta anche nella critica feroce al proprio Paese come La merda (8 e 9 ancora al Teatro della Limonaia) con una grande Silvia Gallerano, completamente nuda in scena, arrabbiata per la situazione, lo stato in cui versa la nostra povera patria. E ci vuole poesia per tirare fuori L’arte di morire ridendo (dal 14 al 17 al Teatro di Rifredi) con il mimo Paolo Nani, italiano ma da molti anni di stanza in Danimarca, lezione che può servire nei momenti bui e difficili. Poesia è il Pinocchio dei Babilonia (15 al Teatro Puccini), rivoluzionario, devastante, favola dura per adulti che tocca in profondità le corde dell’esistenza, come la Divina Commedia del genio lituano Nekrosius (dal 21 al 24 al Teatro Metastasio di Prato), visioni accatastate di sfaceli e giostre, di peccati e redenzione, di salvifici perdoni e ritorni.
di Tomaso Montanari
G
esù è morto in croce, ormai da qualche ora. Il suo corpo è un vero corpo: e il sangue ancora bagna il panno che gli cinge i fianchi. Poggia su una fredda pietra rossa, nel buio fitto del sepolcro chiuso. Nulla ancora fa intuire che, dì lì a poco, quel corpo riprenderà vita, la luce squarcerà le tenebre, la morte sarà vinta per sempre. Ora no: nessuno ancora lo sa. Sembra davvero la fine. Sono le ore più tragiche della storia, quelle in cui sembra perduta l’unica speranza degli uomini di sconfiggere la grande nemica, la morte. Ore senza speranza. Ore nere. Ma Giovanni Bellini era un grandissimo poeta: e i poeti hanno occhi migliori degli altri uomini, sanno vedere dove tutti sono ciechi. E così Giovanni sa che anche in quelle ore nere, Gesù, morto, non era solo. E che il nero non era solo nero. Quattro indimenticabili angioletti sono con lui. Quattro angioletti: quattro bambini di quattro o cinque anni, con le ali da pappagallo colorato e i capelli indisponenti da paggio irriverente. Il primo alla nostra destra regge la mano di Gesù: ne guarda la ferita. Ma più che meditare sulla passione, sembra sia curioso di vedere da vicino la carne aperta,
e il colore del sangue. Poi ce ne sono due, che reggono il corpo di Gesù. E, mentre lo fanno, sembra che stiano litigando. Vediamo solo il volto di quello a destra, con degli incredibili occhi azzurri e un’espressione stupita: l’altro, la cui testa è nascosta da quella del Cristo, non la vediamo. Ma ho sempre pensato che stia facendo una linguaccia al fratellino. Infine c’è l’ultimo, alla nostra sinistra. Il più affascinante e poetico: il mio preferito. Ha le braccia conserte, e la bocca un poco aperta. Guarda Gesù: è stupito, incredulo. Stupito come stupisce la vita di fronte alla morte. Ma anche leggero, come è un bambino. E tra un secondo si metterà anche lui a fare baruffe con gli amichetti. Ma, intanto, ha cominciato a pensare: a diventare grande. Solo un poeta altissimo come Bellini poteva mettere insieme i bambini e la morte. E cantare l’intreccio di gioia e tristezza, di futuro e di fine, che tesse ogni giorno della nostra esistenza. Giovanni Bellini, Cristo nel sepolcro con quattro angeli. 1470 circa. Rimini, Musei Comunali.
Ugo Foscolo In morte del fratello Giovanni Scelta da Pietro Jozzelli Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo Di gente in gente, me vedrai seduto Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo Il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo Parla di me col tuo cenere muto, Ma io deluse a voi le palme tendo E sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete Cure che al viver tuo furon tempesta, E prego anch’io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta!
Da Alcatraz
Straniere genti, almen le ossa rendete Allora al petto della madre mesta.
Dovrebbero vietare la Poesia. O almeno ammazzare i poeti
Cinema
di Jacopo Fo
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a poesia è il segreto del mondo. Disgraziatamente si pensa che sia ben altro, frasi in rima, parole archeologiche e stronzate del genere. La poesia non si può spiegare. Quotidianamente eruditi professori di lettere cercano di ucciderla sui banchi di scuola, dopo averla vivisezionata col coltello della noia. Infami. La poesia non si può spiegare: è come Dio, l’orgasmo o le linee delle caviglie di certe donne. Cosa c’è in una fila di parole che le rende vive? Come mai provi gusto a guardare un tramonto? Prova a spiegare questo: cosa c’è di bello nel tramonto. Non puoi. Cosa rispondi se un defenestrato spirituale ti dice: “Il tramonto è la cosa più banale che ci sia: il sole va su, il sole va giù, sempre uguale da milioni di anni, checcazzo lo guardi a fare?” Tu cosa rispondi? Niente. Non puoi argomentare la poesia. Non puoi spiegare. I cosiddetti selvaggi australiani hanno un particolare rito di iniziazione. Il giovane e lo zio materno partono per un viaggio. Camminano per giorni. Ogni tanto lo zio si ferma, in luoghi particolar-
di Tommaso Chimenti
mente belli, e guarda il mondo insieme al nipote. Arrivano in un luogo segreto, disseppelliscono un lunghissimo strumento a fiato. Lo zio lo suona. Il nipote lo suona. Poi lo nascondono di nuovo. E tornano indietro fermandosi a guardare altri punti dove Dio ha esagerato buttando poesia con la pala sugli alberi, le colline, il cielo e le nuvole. La poesia è un mistero insondabile, come Dio o i gomiti delle ragazze (Oh, i gomiti delle ragazze!). Ma Dio ti promette il paradiso, le ragazze l’estasi, invece la poesia non ti promette niente, ti dà tutto quel che ha subito, oppure non ti dà niente. I Brutti, Bastardi, Bigotti, Benpensanti, Blindati, che bivaccano sui sogni del mondo, dovrebbero dare la caccia ai poeti come fossero cani randagi. I poeti sono rari e terribilmente pericolosi. Possono nascondere le loro rime dentro le canzoni e azzannarti di sorpresa col suono di una radio che passa sulle spalle di un giovinastro dinoccolato. Un colpo di poesia ben assestato può distruggere improvvisamente l’equilibrio costruito impastando il vuoto con il nulla. E potresi trovarti a esclamare, come un Papa pentito: “Ma checcazzo sto facendo?”
L’istante poetico della 7a arte di Juan Pittaluga
S
i la poésie est ce qui s’éloigne progressivement vers l’ouest laissant l’ombre pour seul témoin d’une puissance, elle est la trace du soleil qui prend la place, l’empreinte fraiche de ce qui fait rêver. Le cinéma cherche à être cette empreinte, à la représenter, il veut être là où il y a promesse de lumière. C’est l’éblouissement de quelque chose qu’on n’a pas encore compris tout à fait, qu’on est sur le point de comprendre, mais comme cela se déroule encore sous nos yeux, cela nous s’échappe. Le cinéma qui idolâtre l’instant, encore plus que l’écriture, se transforme en poiesis, qui est étymologiquement l’action c’est-à-dire sa passion. Le cinéma n’est jamais aussi prêt de lui-même que quand au lieu de citer un poème, il le créé comme 7°art. Il y a un peu de ceci par exemple, dans le rire d’Anna Magnani après avoir chanté au mariage au début de Mamma Roma de Pasolini ou dans le visage de Ingrid Bergman éclaboussé d’eau pendant la pèche au thon dans Stromboli de Rossellini ou dans le pigeon qui s’envole après le dialogue entre Marlon Brando et Ève Marie Saint sur les toits dans On The Waterfront de Kazan ou dans l’arrivée à cheval de John Wayne au début de The Searchers de Ford. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Kate McBride
Scelta da James O’Mara
Dylan Thomas Nella mia arte scontrosa o mestiere Scelta da Alberto Severi Prae-scriptum. Il gesto (teatrale quanto poetico, romantico, ma senza tempo, e tuttavia, forse, non più o troppo poco “praticato nel silenzio”, è naturalmento quello dell’ “affaticarsi” notturno su “pagine di spuma”, “a una luce che canta”: tormento ed estasi della “sua” – di Dylan Thomas – ma in parte, nel mio piccolo, anche mia, “arte scontrosa o mestiere”). Nella mia arte scontrosa o mestiere praticata nel silenzio notturno, quando soltanto la luna infuria, e gli amanti giacciono nel letto con tutti i loro affanni tra le braccia, io mi affatico a una luce che canta, non per pane o ambizione o per pavoneggiarmi e vender fascino sui palcoscenici d’avorio, ma per il comune salario del loro più intimo cuore. Non per il superbo che s’apparta dalla luna che infuria io scrivo su queste pagine di spuma, né per i morti che torreggiano con i loro usignoli e i loro salmi,
Sintesi esaustiva
Bertolt Brecht
Il mio poeta prediletto
Aria del dio della felicità
di Milly Mostardini
Scelta da Massimo Niccolai
C
Mi fai spuntar le lagrime, fratello,
ari amici del Cc, supremi e altisonanti, confesso che non ho mai scritto poesie, né giovanili, né adulte. Sono una prosaica tombale. Posso darvi solo citazioni e memorie. Ho avuto la grande fortuna di trovarmi come professore ai due primi anni dell’università, Attilio Momigliano. Che diceva: “Se è vero che ho sempre vissuto per la poesia, ora posso dire che è grazie alla poesia se sono sopravissuto”. Alludeva ai lunghi anni, in cui era stato espulso dall’università, in quanto ebreo, e al tempo che aveva dovuto stare rinchiuso in un sottotetto, con la moglie, ospiti di amici, che li avevano generosamente nascosti. In quegli anni, uscendo appena nelle notti di bel tempo, aveva scritto il commento alla Divina Commedia. Lo stesso Primo Levi ricordava di aver recitato a memoria, ostinatamente e senza mollare, ai suoi compagni del campo di concentramento, i più celebri passi di Dante, come il Canto di Ulisse. “La poesia non serve a niente, ma è indispensabile”, diceva Cocteau. Proverò con una delle mie irrituali domandine. Ditemi, cos’é per voi la poesia? E chi è poeta, secondo il greco antico “colui che fa, che agisce”? Vale a dire, uno che compone versi e li pubblica? No, amici: se alziamo i coperchi delle pentole bollenti, il fumo ci appanna occhi e occhiali, ma all’odore o al profumo non corrispondono parole adeguate. Il mio poeta, primo e prediletto? Che domanda, è Dante. “Guido, i’ vorrei che tu, e Lapo ed io, fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, che ad ogni vento pel mare andasse”. Tanto imitato ma non superato da Ezra Pound e T.S. Eliot. Al chi è un poeta, basta la risposta del Mahatma Gandhi: “E’ colui che sveglia il bene che è in ogni uomo”.
Nahabed Kuciak Trovatore armeno, XVI sec. Scelta da Sonya Orfalian Andiamo a implorare il Cielo, perché sollevi un refolo di vento che dia luce a questo buio e ci conduca verso una terra ospitale.
ma per gli amanti, per le loro braccia attorno alla angosce dei secoli, che non pagano lodi né salario, e non si curano del mio mestiere o arte.
SIPARIO.
vedo che la tua vita non è allegra. Ecco una mela: io ne possiedo tre, perciò una la regalo a te. Non ci vedo niente di eccezionale:
William Shakespeare
e l’uno e l’altro possiamo vivere.
Sonetto 116
Solo i semi, promettimelo,
Scelta da Alessio Sardelli
avido non inghiottirli,
Non sia mai ch’io ponga impedimenti
sputali invece a terra prima che mi allontani. E se poi cresce un melo
all’unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento
dentro il tuo campicello vieni a prenderti i frutti: è il tuo albero quello. (Da I viaggi del dio della felicità)
Arie des Glücksgotts Bruder, du machts meine Augen naß Ich seh, dein Leben ist kein Spaß. Hier ist ein Apfel, schau, ich habe drei So kann ich dir einen geben. Da seh ich nichts Übertriebnes dabei: Wir können beide leben. Nur versprich mir, daß du die Kerne In deiner Gier nicht schlucktst Sondern sie, vor ich mich entferne In die Edrde spuckst. Und wird es ein Apfelbaum Mitten in deinem Feld Dann komm und hol dir die Äpfel Von dem Baum, den du bestellt
o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. Dedicato al babbo e alla mamma che dopo sessanta anni di vita insieme, vidi camminare mano nella mano.
3
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Mahmud Shabestari
e.e.cummings
Wisława Szymborska
How poetry rights itself like a cat
Poeta persiano 1288 - 1320
Il gatto in un appartamento vuoto
Chosen by Kate McBride
Scelta da Giovanni Curatola
Scelta da Tessa Capponi
S
mooth concave keys on fingers, the sound of steel hitting paper and the honesty of the manual typewriter presents a future where politicians take the opportunity to right themselves. My love of the medium of the manual typewriter leads me to name Edward Estlin Cummings, better known as e.e.cummings, as my favorite poet. He used a typewriter to reinvent the meaning of a word. The structure of his poetry on the canvas of a page was unmatched for literary invention. Cummings experimented with spatial relationships between letters and shapes. On the blank paper rolling through his Royal typewriter, he revealed his musical ability as a composer and visual virtuosity as a painter. The following e.e.cummings poem paints a portrait of a cat who suddenly puts on an acrobatic act, then pretends absolutely nothing happened. The cat performs a trick our politicians are very adept at – righting themselves in freefall! The poem, from the book XAIPE (1950), can’t easily be produced on a computer-generated page. Here is a copy lovingly typed on my Smith Corona Sterling.
Sappi che il mondo tutt’intero è uno specchio, e in ogni atomo si trovano cento soli fiammeggianti. Se tu fendi il cuore di una sola goccia d’acqua, ne scaturiscono cento puri oceani. Se tu esamini ciascun grano di polvere, Mille Adami possono esservi scoperti In un seme di grano è nascosto un universo; tutto è raccolto nel punto del presente Da ogni punto di tale cerchio sono tratte forme a migliaia. E ciascun punto, nel suo ruotare in cerchio, è ora un cerchio, ora una circonferenza che gira. (Mahmud Shabestari, poeta persiano morto nel 1320)
Pablo Neruda Ode al Vino
KOT W PUSTYM MIESZKANIU Umrzeć - tego nie robi się kotu. Bo co ma począć kot w pustym mieszkaniu. Wdrapywać się na ściany. Ocierać między meblami. Nic niby tu nie zmienione, a jednak pozamieniane. Niby nie przesunięte, a jednak porozsuwane. I wieczorami lampa już nie świeci. Słychać kroki na schodach, ale to nie te. Ręka, co kładzie rybę na talerzyk, także nie ta, co kładła.
Morire - questo a un gatto non si fa. Perché cosa può fare il gatto in un appartamento vuoto? Arrampicarsi sulle pareti. Strofinarsi tra i mobili. Qui niente sembra cambiato, eppure tutto è mutato. Niente sembra spostato, eppure tutto è fuori posto. E la sera la lampada non brilla più. Si sentono passi sulle scale, ma non sono quelli. Anche la mano che mette il pesce nel piattino non è quella di prima.
Coś się tu nie zaczyna w swojej zwykłej porze. Coś się tu nie odbywa jak powinno. Ktoś tutaj był i był, a potem nagle zniknął i uporczywie go nie ma.
Qualcosa qui non comincia alla sua solita ora. Qualcosa qui non accade come dovrebbe. Qui c’era qualcuno, c’era, e poi d’un tratto è scomparso, e si ostina a non esserci.
Do wszystkich szaf się zajrzało. Przez półki przebiegło. Wcisnęło się pod dywan i sprawdziło. Nawet złamało zakaz i rozrzuciło papiery. Co więcej jest do zrobienia. Spać i czekać.
In ogni armadio si è guardato. Sui ripiani è corso. Sotto il tappeto si è controllato. Si è perfino infranto il divieto di sparpagliare le carte.
Niech no on tylko wróci, niech no się pokaże. Już on się dowie, że tak z kotem nie można. Będzie się szło w jego stronę jakby się wcale nie chciało, pomalutku, na bardzo obrażonych łapach.
Cos’altro si può fare. Aspettare e dormire. Che provi solo a tornare, che si faccia vedere. Imparerà allora che con un gatto così non si fa. Gli si andrà incontro come se proprio non se ne avesse voglia, pian pianino, su zampe molto offese.
I żadnych skoków pisków na początek. E all’inizio niente salti né squittii.
Scelta da Ugo Federico
V
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
ino colore del giorno, vino colore della notte, vino con piede di porpora o sangue di topazio, vino, figlio stellato della terra, vino, liscio come una spada d’oro, morbido come un velluto scompigliato, vino ravvolto a chiocciola o sospeso, vino amoroso, marino, non sei mai presente in una sola coppa, in un canto, in un uomo, sei corale, gregario, o, almeno, reciproco. Talvolta ti nutri di memorie mortali, sulla tua onda andiamo di tomba in tomba, scalpellino di gelido sepolcro, e piangiamo lacrime fugaci, eppure il tuo bel vestito di primavera è diverso, il cuore si arrampica sui rami, il vento muove il giorno, nulla rimane nella tua anima immobile. Il vino muove la primavera, cresce come una pianta di allegria, cadono muri, rocce, si chiudono gli abissi, nasce il canto.
Hayim Nahman Bialik To the Bird Scelta da Sefy Hendler
T.S. Eliot Little Giddings V Scelta da James Bradburne
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What we call the beginning is often the end And to make and end is to make a beginning. The end is where we start from. And every phrase And sentence that is right (where every word is at home, Taking its place to support the others, The word neither diffident nor ostentatious, An easy commerce of the old and the new, The common word exact without vulgarity, The formal word precise but not pedantic, The complete consort dancing together) Every phrase and every sentence is an end and a beginning, Every poem an epitaph. And any action Is a step to the block, to the fire, down the sea's throat Or to an illegible stone: and that is where we start. We die with the dying:
See, they depart, and we go with them. We are born with the dead: See, they return, and bring us with them. The moment of the rose and the moment of the yew-tree Are of equal duration. A people without history Is not redeemed from time, for history is a pattern Of timeless moments. So, while the light fails On a winter's afternoon, in a secluded chapel History is now and England. With the drawing of this Love and the voice of this Calling We shall not cease from exploration And the end of all our exploring Will be to arrive where we started And know the place for the first time.
Through the unknown, unremembered gate When the last of earth left to discover Is that which was the beginning; At the source of the longest river The voice of the hidden waterfall And the children in the apple-tree Not known, because not looked for But heard, half-heard, in the stillness Between two waves of the sea. Quick now, here, now, always— A condition of complete simplicity (Costing not less than everything) And all shall be well and All manner of thing shall be well When the tongues of flame are in-folded Into the crowned knot of fire And the fire and the rose are one.
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Kate McBride
Scelta da James O'Mara
Piero Ciampi Ha tutte le carte in regola Scelta da Giulia Nuti e Marco Poggiolesi Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Ha un carattere melanconico, beve come un irlandese. Se incontra un disperato non chiede spiegazioni divide la sua cena con pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi. Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Non gli fa paura niente tantomeno un prepotente. Preferisce stare solo
anche se gli costa caro, non fa alcuna differenza tra un anno ed una notte, tra un bacio ed un addio. (...) Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Detesta lavorare intorno a un parassita, vive male la sua vita ma lo fa con grande amore. Ha amato tanto due donne, erano belle, bionde, alte, snelle, ma per lui non esistono più.
Jenny Joseph Attenzione Scelta da Caterina Cardia
Pablo Neruda Ode al giorno felice Scelta da Stefano Pissi Questa volta lasciate che sia felice, non è successo nulla a nessuno, non sono da nessuna parte, succede solo che sono felice fino all’ultimo profondo angolino del cuore. Camminando, dormendo o scrivendo, che posso farci, sono felice. Sono più sterminato dell’erba nelle praterie, sento la pelle come un albero raggrinzito, e l’acqua sotto, gli uccelli in cima, il mare come un anello intorno alla mia vita, fatta di pane e pietra la terra l’aria canta come una chitarra. Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia, tu canti e sei canto. Il mondo è oggi la mia anima canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca, lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia essere felice, essere felice perché sì, perché respiro e perché respiri, essere felice perché tocco il tuo ginocchio ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo e la sua freschezza. Oggi lasciate che sia felice, io e basta, con o senza tutti, essere felice con l’erba e la sabbia essere felice con l’aria e la terra, essere felice con te, con la tua bocca, essere felice.
Emily Dickinson 819 Scelta da Clara Ballerini Se quanto posso è poco forse non appare maggiore per essere tutto? E’ lesinare
All I may, if small, Do it not display Larger for the Totalness‘Tis Economy
conferire un mondo tenendo per sé una stellaDare tutto è mugnificenzameno - anche se è di più – miseria
To bestow a World And withhold a StarUtmost, is MugnificenceLess, tho’larger, poor
Anonimo Le rose d’amore spiegate da diversi illustri ingegni… Scelta da Gregorio Moppi Sì ch’io vorrei morire ora ch’io bacio, Amore, la bella bocca del mio amato core. Ahi car’e dolce lingua, datemi tant’umore che di dolcezz’in questo sen m’estingua. Ahi vita mia, a questo bianco seno, deh, stringetemi fin ch’io venga meno. Ahi bocca, ahi baci, ahi lingua torn’a dire sì ch’io vorrei morire. (Anonimo; musicato da Claudio Monteverdi, “Il quarto libro de’ madrigali a cinque voci”, Venezia 1603; poi pubblicato in “Le rose d’amore spiegate da diversi illustri ingegni… Prima parte”, Vicenza 1614)
Eugenio Montale La Storia II Scelta da Stella Rudolph La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive. La storia è anche benevola: distrugge quanto più può: se esagerasse, certo sarebbe meglio, ma la storia è a corto di notizie, non compie tutte le sue vendette La storia gratta il fondo come una rete a strascico con qualche strappo e più di un pesce sfugge. Qualche volta s’incontra l’ectoplasma d’uno scampato e non sembra particolarmente felice. Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato. Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui. [dal volume Satura I, di cui la prima edizione stampata per le nozze FagiuoliCrespi, 1962, dall’Officina Bodoni, Verona]
Quando sarò vecchia mi vestirò di viola con un cappello rosso che non si intona e non mi dona e spenderò la mia pensione in brandy e in guanti estivi e in sandali di satin, e poi dirò che non abbiamo soldi per il burro. E mi siederò sul marciapiede quando sarò stanca e arrafferò gli assaggi nei negozi e premerò i campanelli degli allarmi e farò scorrere il mio bastone lungo tutte le inferriate e mi rifarò della sobrietà della mia gioventù Uscirò in pantofole sotto la pioggia e raccoglierò i fiori nei giardini degli altri e imparerò a sputare. Potrò indossare terribili camicie e ingrassare e mangiare tre libbre di salsicce in una sola volta o solo pane e sottaceti per una settimana e accumulare nelle scatole penne e matite e sottobottiglia da birra e cianfrusaglie Ma ora dobbiamo mettere vestiti che ci rendano sobri e pagare l’affitto e non imprecare per strada e dare il buon esempio ai bambini. Dobbiamo avere amici a cena e leggere i giornali. Ma forse dovrei cominciare a fare un po’ di pratica adesso? Così la gente che mi conosce non rimarrà troppo scioccata e sorpresa quando d’improvviso sarò vecchia e comincerò a vestirmi di viola. l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno V Numero 3 del 1/3/2013. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it
Si ringrazia
conti capponi [conticapponi.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]
7
Perle del Sale
Anonimo
Paolo Fabrizio Iacuzzi
Elogio alla Fuga
Il programma di marzo
Firenze
Scelta da Fabio Picchi
È
S
Poesia probabil-mente mongola del 1227 d.C., anno della morte del Gengis Khan (Traduzione I.Trumeau).
Loda il dì prima delle umide ore senza luce. Loda l’amico tuo frate Loda la notte e la sua sposa. Saluta l’alba vergognosa e la bianca luna. Saluta il sole che rapisce la paura. Se ti sei perso. Saluta il nemico e la sua spada. Quella ti ama e ti trae lesta dalla vita grama. Ma se sei in te scappa. E si felice per il tuo trema-mento che ti fa inerme e ti distrae da spaventose battaglie. E loda la corsa del tuo cavallo fin sopra il colle. Solo lui ti farà salva la vita E sarai per il breve tuo sempre Non disertore Ma illeso eroe di ogni timore. Nel tempo ti conoscerai e capirai amando donna madre o figlia che l’unica obbedienza l’unico comando: È generare amore e mai morte.
Milo De Angelis Quando su un volto desiderato si scorge il segno
S
i viene toccati dalla poesia quando sentiamo che è una via obbligata e tutte le altre vie ci sembrano un’evasione. Un’evasione da ciò che è essenziale, dalla parola che è in noi la più antica e che il tempo ha reso destino, parola non ritrattabile, parola d’onore.“Dare la parola” dice bene questa fedeltà alla promessa poetica: c’è un tribunale delle sillabe a cui dobbiamo presentarci. D’altra parte il giorno del giudizio è quello attuale, è il giorno in cui scriviamo una poesia, eseguiamo il nostro compito di trasmetterla ai viventi, come noi l’abbiamo ricevuta dagli antenati, dai poeti che ci hanno preceduto e che ci hanno scelto per durare. Ogni strada, ogni volto, ogni estate vuole essere chiamata con il suo nome, con il suo nome veritiero, quello sepolto sotto strati di nomi convenzionali, senza stile e senza vita. Dobbiamo trovarlo. Giace lì, da qualche parte, e ci chiama, ci chiede di venire alla luce, di ricevere da noi la parola più giusta e inevitabile. Quando su un volto desiderato si scorge il segno di troppe stagioni e una vena troppo scura si prolunga nella stanza, quando le incisioni della vita giungono in folla e il sangue rallenta dentro i polsi che abbiamo stretto fino all’alba, allora non è solo lì che la grande corrente si ferma, allora è notte, è notte su ogni volto che abbiamo amato.
un mese straordinariamente ricco il mese di marzo al Teatro del Sale, tra teatro, musica, eventi culinari imperdibili. Il giorno due del mese Pietro Grossi – il giovanissimo e pluripremiato scrittore fiorentino – racconta la Pastorale americana di Philip Roth, accompagnato dalle musiche in scena di Jack Rusty Band. L’8 marzo, per la festa delle donne, Fabio Picchi e la sua brigata cucinano i prodotti dell’eccellenza siciliana di Natura in Tasca, un gruppo di agricoltori appassionati selezionati e coordinati dalla famiglia Tasca d’Almerita, con in più una profusione finale dell’Antica Dolceria Bonajuto di Modica dell’amico Franco Ruta. Il giorno seguente è di scena Diego, la rivoluzione e altri incidenti, il reading sulle artiste rivoluzionarie messicane con Sonia Grandis, Francesca Fenati e Valeria Palumbo, accompagnate dalle musiche in scena da Fabrizio Bai. Il 12 marzo vede come protagonista l’ebraismo, declinato in alcune tra le sue forme più interessanti, la cucina, l’umorismo, la musica. È ormai un appuntamento tradizionale quello con la cena ebraica, con Ugo Caffaz ai fornelli, le barzellette dell’editore Daniel Vogelmann (Giuntina), la musica di Enrico Fink. Una serata che vedrà spiccare sopra tutti i carciofi alla giudea e l’orgoglio di condividere lo stesso quartiere con una delle sinagoghe più belle d’Europa. Dice che non riesce a far partire il suo tour come si deve se non parte dal Teatro del Sale. E così – prima di girare l’Europa – Bob Brozman riparte da via de’ Macci. Il giorno 13 è l’occasione per ascoltare il bluesman americano che ha già incantato il nostro pubblico e i nostri soci. Il 14, in bilico tra teatro e musica, il giornalista e scrittore Giovanni Bogani, porta in scena Morte accidentale di una libreria, con Stefano Algerini, Caterina Fiaschi e Linda Luzzi e con Francesco Frank Cusumano. Il 16 marzo Ilaria Graziani e Francesco Forni presentano a Firenze il cd che ha messo in subbuglio il mondo della critica. Si chiama From bedlam to lenane, e tra folk, world music e un jazz manouche che ricorda Django Reinhardt, si è già affermato come disco rivelazione. Ma gli eventi imperdibili per il mese di marzo al Teatro del Sale non sono finiti. Parte infatti da qui il 20 marzo M’illumino di un verso, il 57esimo premio letterario internazionale Ceppo, a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, con la direzione artistica di Giancarlo Cauteruccio e la collaborazione di associazione culturale Teatro del Sale e Controradio. Alle 19 in Sant’Ambrogio davanti al Teatro la proiezione musicale di 100 poesie per Firenze, dai classici ai contemporanei, scelti da Paolo Fabrizio Iacuzzi e Bernardo Pacini, per la regia di Giancarlo Cauteruccio. Alle 19.30 – dentro al Teatro il recital della poetessa angolana vincitrice del premio Ceppo Bigongiari 2013 Ana Paula Tavares. Con lei sul palco Maria Cassi e Giancarlo Cauteruccio. Ed infine, a dare il benvenuto alla primavera, si svolge la Teatro del Sale uno degli appuntamenti clou della giornata mondiale di Terra madre, la rete delle comunità del cibo inventata da Slow Food, che riunisce tutti coloro che fanno parte della filiera alimentare e vogliono difendere l’agricoltura, la pesca e l’allevamento sostenibili, per preservare il gusto e la biodiversità del cibo. Ospite d’eccezione la direttrice del centro studi Slow Food Cinzia Scaffidi. Molti ancora gli appuntamenti, il 1° Stikkereballa, il mercoledì 6 i Sonalastrana, il 7 per la prima volta al Sale The Main Road band, venerdì 15 i chitarristi bluegrass genovesi Bacci del Buono & Marco Ferretti e martedì 19, prima della loro tournée in Messico, la bluesband di Freddie Maguire & Near the Jail.
Massimo Bucchi
i viene afferrati dalla luce della poesia. All’improvviso illuminati nel nulla della nostra condizione di uomini. Altrimenti non avremmo scampo alla totale inerzia della nostra coscienza. Il primo verso è sempre dato per ispirazione come dicevano gli antichi. M’illumino di un verso. Un potente riflettore che irrompe nella scena del nostro teatro interiore. Gli permette di darsi alla luce. Gli restituisce la parola prima negata. E poi man mano quella luce di stella ci guida mentre lentamente diventa più fioca. A mano a mano che ci addentriamo verso la fine di una poesia il nulla torna ad attanagliarci, con la sua morsa di fame che non ci dà scampo. Fino a quando ci sopravanza totalmente e la poesia cessa. Avesse avuto la possibilità mio padre di avere un verso a guida della sua esistenza consumata nel campo di prigionia che lo accolse dal 1943 al 1945 in Germania. A me che nel sangue è passata la sua speranza di luce possa la poesia farsi campo di sopravvivenza per quella luce. Come Ungaretti nella prima guerra alzando gli occhi dalla trincea nel fango secco scriveva: “M’illumino d’immenso”. Qui a Firenze m’illumino di un verso dall’alto, scendendo la scalicanata di San Miniato al Monte. Dopo il sacrario delle Porte Sante. Pantheon della memoria e del colloquio dei vivi con i morti. Firenze dall’alto: “La bianca coperta di schiuma” come scriveva il poeta Luca Giachi, morto troppo presto o forse vissuto troppo presto, per illuminare la nostra vita a quadri. Salvo con il cognome.
FIRENZE Ormai ciò che resta di un quadro davanti a noi Sono le abitudini di uomini già fatti. Io incontro Tua madre che ignara prepara per noi gli sformati. Ritrovare il paesaggio. Cercheremo. Avere solo Dimora dando le spalle alla valle. Trasparente. Non giocheremo più come se il gioco fosse l’unico scopo della vita. Eppure liberi per quel legame Fra loro stretto saremo liberi di avere tutta la vita. Un giorno si scopriranno amiche. Si stupiranno Entrambe severe nel tirarci su. Sensibili alla luce. Noi che abbiamo avuto due madri e nessun padre. Con i capelli d’argento a Firenze mentre pian piano Saremo le forme di Mario e di Piero. Maestri uno All’altro. Dioscuri o solo gemelli. Ora si disfano qui Le genealogie. E le altre geniture accadono. Alte.
Andrea Zanzotto Al mondo Scelta da Pietro Grossi Mondo, sii, e buono; esisti buonamente, fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto, ed ecco che io ribaltavo eludevo e ogni inclusione era fattiva non meno che ogni esclusione; su bravo, esisti, non accartocciarti in te stesso in me stesso. Io pensavo che il mondo così concepito con questo super-cadere super-morire il mondo così fatturato fosse soltanto un io male fantasticante male fantasticato mal pagato e non tu, bello, non tu “santo” e “santificato” un po’ più in là, da lato, da lato. Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere e oltre tutte le preposizioni note e ignote, abbi qualche chance, fa’ buonamente un po’; il congegno abbia gioco. Su, bello, su. Su, munchhausen.