circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze
I luglio 2013 - ANNO V • NUMERO 7
Editoriale
Massimo Bucchi
Identità
Cosa dobbiamo essere
Meravigliosa perdizione
di Matteo Renzi, sindaco di Firenze
di Fiorella Mannoia
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na città è definita dai propri confini. Ma molto di più dai luoghi e dalle emozioni che provocano nel cuore dei cittadini. Dunque una città vive se è ricca di spazi di relazione, se mantiene centrali gli scorci della curiosità. Una città è tutti i giorni una sopresa di interazione e integrazione. Già, integrazione: il contrario di integrazione infatti non è identità, come pensa qualche astuto filosofo in camicia verde. Il contrario di integrazione è disintegrazione: una città che non si integra si spezza. Dunque, ricapitolando questa premessa, Firenze ha bisogno di luoghi che siano l'antitesi dei non-luoghi di cui parla la sociologia urbana contemporenea. Ha bisogno di emozioni per non accontentarsi di contenere lo stanco rituale del museo a cielo aperto. Ha bisogno di cittadini che si ricordino di non essere solo utenti, numerini, clienti dell'agenzia delle entrate ma anche e soprattutto persone, protagonisti, popolo. Festeggiare il compleanno del Teatro del Sale, allora, non significa fare gli auguri a Maria, o a Fabio, o a tutte le donne e gli uomini che lavorano con loro. Sì, certo. Li abbracciamo uno a uno (prima la Cassi del Picchi, naturalmente) e diciamo loro grazie. Per quello che hanno fatto e che secondo me hanno ancora voglia di fare. Perché il Teatro del Sale è il pacchero con il ragù, la focaccina unta e bisunta, l'arista, i dolci con la mattonella al cioccolato e naturalmente i cialdoni con la panna, e un pazzo della famiglia che si diverte a urlare il piatto appena uscito facendo prendere un coccolone a chi sta portandosi al tavolo il cibo conquistato al buffet. Perché il Teatro del Sale è la sperimentazione artistica, la programmazione culturale nostop, il luogo della magia che improvvisamente si trasforma quando si alza un sipario che non c'è, ma che i soci presenti vedono benissimo e non solo perché hanno mangiato e bevuto parecchio. Ma il Teatro del Sale è soprattutto una possibilità per Firenze. Un luogo che ci ricorda chi siamo e cosa dobbiamo essere. E ci aiuta a fare i conti con noi stessi. E poi l'idea del sale è bella, dai. Dalla Bibbia fino alla ricetta della mia nonna, il sale è fondamentale. Una delle pagine del Vangelo che mi colpisce di più è quando Cristo dice ai suoi: “Voi siete il sale della terra”. Non gli dice: Voi siate, usando il congiuntivo. Lo dà per acquisito. Voi siete. E se perdete sapore voi, tutto il resto fa schifo (traduzione, quest'ultima, molto personale). La nostra città non deve perdere il sale. Si dice che Firenze sia piena di segreti. Secondo me, no. Questa è una città che non ha segreti. Però ha molti misteri. E la luminosa parola mistero è molto più bella della oscura parola segreto. Cosa accada dentro l'anima di una donna o di un uomo quando la cultura bussa alle porte del cuore è più un mistero che un segreto. Ma il fatto che ci siano ancora oggi luoghi che a Firenze rendono possibile tutto questo è il segno di una meravigliosa, incontenibile, speranza. Buon compleanno, Teatro del Sale.
Teatro
Vincere il tempo di Marcelo Cordeiro
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o scelto di fare teatro perché sulla scena l’uomo va incontro all’ignoto, alla possibilità del divenire del suo essere; perché è in teatro che si sperimenta un movimento interno che porta l’artista/uomo dalla percezione alla riflessione, alla nascita di una immaginazione che si nutre e che trascende il reale. L’artista della scena è il grande sommelier delle percezioni, è il grande articolatore delle idee, è il grande costruttore delle immagini e del futuro. L’artista della scena è il grande untore della poesia che contagia il pubblico con il passato, il presente e il futuro. Celebrare il passato di un teatro significa perciò coltivare il presente e già cogliere il futuro, sconvolgere le successioni diacroniche e porre la poesia al centro di un tempo altro dove infanzia e vecchiaia si fondono.
utte le volte che provo a spiegare ai miei amici che cos’é il Teatro del Sale mi trovo in difficoltà. Mi chiedono é un teatro? Si ma non solo, dentro si mangia anche. Allora é un ristorante! No, non proprio, se vuoi puoi comprare anche delle prelibatezze, e poi libri, quadri, allora é un negozio! No, non é un negozio. Ma come é fatto? Spiegamelo! L’unica cosa che posso dire é che bisogna vederlo, non si può raccontare. É uno dei luoghi piú affascinanti d’Italia, unico, dove il rispetto dell’arte e della bellezza sono gli elementi principali, dove i sensi si acuiscono, la vista, l’olfatto, il gusto e poi l’estetica, la gentilezza, l’intelligenza. Il Teatro del Sale é un’esperienza, un luogo di meravigliosa perdizione. Con tutto il cuore: 100 di questi giorni.
Associazione
Firenze Città Aperta di Stefania Ippoliti
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Raccolta
Teatro del Sal di Maria Cassi Diecioli anni passaron lesti, densi rondi, importanti e veri! Riconoscente son a lo consorte amatissimomio che ideola ridente partorì ed io con lui pien di dubbioli di ansie, como solo solissimo
ell’altra mia vita, inaspettata e corsara, ho avuto i miei 5 minuti di celebrità quando Firenze precipitò in una crisi isterica collettiva per il Social Forum del 2002. Il Teatro del Sale stava prendendo forma e con Maria e Fabio se ne discuteva, avevo la possibilità di condividere il loro sogno, era bello. Tutto accadde come succedono alla fine le cose nella vita, in modo inaspettato e spesso senza che si abbia la piena consapevolezza della portata della vicenda. La Confesercenti di Firenze, i commercianti meno blasonati dunque, ma quelli che sono davvero per le strade e nei mercati a contatto con la gente, decisero che aver paura in quel modo oscuro e indotto non andava bene nè per noi, nè per questa città che amiamo in modo viscerale. Prendemmo posizione, parlammo con gli organizzatori del Social Forum, ragazzi giovani di certo lontani da me anni luce, per la mia età, per come sono, e ci capimmo. Nacque Firenze Città Aperta, anche di questo c’è traccia nell’insegna del Teatro del Sale. I nostri negozi rimasero aperti e resero davvero la città aperta e solidale con tanti atti minuti di resistenza civile all’oscurantismo, alla follia dei media che di questo timor panico non avevano pudore di far uso strumentale. Andò benissimo, fu una tale soddisfazione che le persone civili si presero; festeggiammo nel quartiere di Sant’Ambrogio davanti al Teatro che stava prendendo forma e anima.
attor che dir si sole sa di esser e di apparir. Ed or che guardo indrio mi sento forte di questa idea ridente di questo palco bello che tutte ser par ricordare ad anime di ogni venir che vita è vita, arte e convivialità de fronte piatto de cosa bona bona e che ancor si po’ e si dee guardar negli occhi il prossimo nostro senza paur senza rancor e brutta e inutil gelosia. Cultura è amor e vitola, passion da condivider con pubblico picciol grandole smarrito o pien de luce dagli oci sue belli. Quanta umanitadine incontrai quant’anime e quante bocche sfamammo al desco conviviale e quante han riso dei versi miei. Ai fatica e dolor! Soddisfazion però è vera assai perché col mondo intiero unito sei e stai e differentia non provi ma lingue belle astruse parli e il cuore batte unisono con altra umanità che dir si voglia. Viva il teatro! Viva la vita e la cultur che fa che per il mondo vada e sia!
Occhio di bue
Gesti teatrali Ogni gesto che restituisce senso alla vita è teatro di Alberto Severi
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eatrale, nel lessico comune sta per finto, artefatto, o quantomeno, eccessivo, esibito, caricato. Per noi no. I gesti teatrali che ci interessano, lo avrete ormai capito se avete avuto la bontà e la pazienza di leggerci, almeno sporadicamente, lungo questi quattro anni di Ambasciata, hanno a che vedere con la ritualità minima, ed essenziale, del vivere. Con le sue finzioni, ma anche con la sua verità. Con l’impasto di verità e finzione di cui sono fatte le cose umane, tutte. Spesso, si vanno perdendo, questi gesti teatrali, e non è un progresso, anzi è una perdita grave, come quella delle biodiversità, oppure quella, proverbiale, delle mezze stagioni. Solo le persone superficiali, scrisse Oscar Wilde, non giudicano dalle apparenze. E chi trova i gesti, certi gesti, “teatrali”, in accezione negativa, si condanna da solo ad un’austera aridità emotiva. Ad una vita senza carezze, senza vaffanculo, senza labbrate, senza segni della croce, senza pugni chiusi, senza pizzicotti sul sedere, senza occhiolini e ammiccamenti fatali, senza giri di manovella, senza baci, senza abbracci. Se si rinuncia al teatro, nella vita, c’è più verità? A me non pare. Anzi. Ci sono più cose, e più gesti, fra cielo, terra e palcoscenico, Orazio, di quante possa contenerne la tua filosofia! E così, il gesto più teatrale cui abbia assistito al Teatro del Sale, nei suoi dieci anni di vita, è per l’appunto un abbraccio. E non si è manifestato, quasi mai, sul palcoscenico, ma davanti ad esso, nel corso delle presentazioni che Fabio fornisce sera dopo sera ad ogni spettacolo, mediando con ineguagliabile miscela di spirito gregario e di istrionico narcisismo il passaggio cruciale fra momento conviviale e momento artistico. Il gesto, l’abbraccio è quello che gli tributa Marco, l’aiuto-cuoco (credo) affetto da trisomia, o sindrome di Down, come si diceva prima, dopo che per molti anni si era detto peggio. Mi sono chiesto, all’inizio, e per diverso tempo, se quel gesto mi emozionasse o mi infastidisse, mi commuovesse o mi imbarazzasse, se fosse teatrale, come lo si definisce nel lessico comune (non tanto da parte di Marco, ma da parte di Fabio, che lo consentiva e anzi lo incoraggiava pubblicamente), o non piuttosto teatrale come lo intendiamo noi, e come abbiamo spiegato poco fa. Non dico di averci messo dieci anni a risolvere questo dilemma. Ma c’è voluto un po’ di tempo, questo sì. E, adesso, il rammarico: per essere stato così lento di comprendonio, e anche, un po’, di spirito; e quel che è peggio, io sì: poco teatrale. Sipario.
Foto James O’Mara
Da Varsavia
Staino 2013
Ci dormirei per vedere se di Tessa Capponi
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la mnie Teatro del Sale to miejsce „ dzieciństwa“ w tym sensie, że pozwala mi być dzieckiem chociażby przez jeden wieczór. Nam, dzieciom podobają się niespodzianki więc nigdy nie wiesz co wyjdzie z tej magicznej kuchni, na którą spoglądzasz przez dużą szklaną ścianę. Potem jakby cudem otiwera się okienko i wychyla się postać Pożeracza Ognia z bajki Pinokio i tubalnym głosem, który straszy a jednoczesnie fascynuje , proponuje cudowne jedzenie ( takie, których same nazwy powodowały, że nasze angielskie guwernantki umierały z przerażenia , a które włoskie nianie z kolei dawały nam na boku i po cichu w taki sposób, że żarcie stawało się jeszcze smaczniejsze właśnie przez ten posmak zakazanego owocu). Więc stajemy w kolejce, jak grzecne dzieci, bo zawsze jest coś nowego do spróbowania, do degustowania, jakiś smak, w którym można się zakochać. A potem , jak już nie mogę nic więcej zjeść, to skulę się na kanapie w rogu żeby patrzeć na spektakl na scenie i smieję się albo płaczę, albo jedno i drugie, bo każdy spektakl ma inną historię do opowiadania. Chętnie bym tam została żeby spędzić noc i zobaczyć czy wtedy ,tak jak w najlepszych bajkach, skrzaty nie zaczynają gotować znowu od początku. Tak to jest ,jak wam się coś podoba. Mnie bardzo. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
In scena
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Tommaso Chimenti
ieci ragazze per me possono bastare. Come i dieci comandamenti. Come Maradona. Dieci anni di cucina a vista, di una barba bianca che urla le pietanze, di colonne grigie dove appoggiare la schiacciata con lo strutto, di parquet scricchiolante, di tessuti rossi ad imbottire la visuale. Ho scelto dieci momenti per l’estate in Toscana, luoghi nei quali trovare (cercare di) quell’alchimia tra cibo ed arte che è regina al Teatro del Sale. A Castiglioncello parte, a cavallo tra giugno e luglio, il Festival Inequilibrio, fino al 7 luglio, con il meglio delle produzioni e delle residenze della scena italiana di nuova drammaturgia: Sacchi di Sabbia, Capuano, Batignani, Goretti. Nuovo festival, nell’annus horribilis 2013, l’Orizzonti verticali di San Gimignano, dal 3 al 7 luglio, con un parterre di artisti di tutto rispetto: da Moni Ovadia a Nicola Piovani, da Virgilio Sieni a Giancarlo Cauteruccio. Immancabile VolterraTeatro, quest’anno ridotto dal 23 al 28 luglio, con lo spettacolo in carcere con gli attori/detenuti, nelle vicinanze Collinarea a Lari, dal 20 al 28 luglio, presenta alcune tra le migliori novità del teatro indipendente nazionale: dai Kanterstrasse con Muro, i Carrozzeria Orfeo, la Scenica Frammenti con la chiusura con il concerto dell’aficionado Bobo Rondelli. Novità di scrittura e nuovi linguaggi da esplorare anche per Kilowatt a Sansepolcro, dal 22 al 28 luglio, con l’innovativa formula di Visionari, un pool di abitanti del luogo neofiti della scena che scelgono gli spettacoli da rappresentare, ed i Fiancheggiatori, operatori teatrali che si confrontano con i primi e con le compagnie dopo le piece. Resiste dopo molte vicissitudini Radicondoli, dal 27 luglio al 3 agosto, che quest’anno prende il titolo di Altri sguardi con interventi internazionali, compagnie da Israele e Senegal. A Monticchiello il Teatro Povero ritrova ogni anno, dal 20 luglio al 14 agosto, il brio che ha portato tutto un paese di trecento anime a farsi attori, registi, scenografi, costumisti, drammaturghi, per non dimenticare le radici. Per i funamboli, i fuochisti, gli attori sulla torri così come nelle cripte torna Mercantia nel borgo alto di Certaldo, dal 17 al 21 luglio, parata degli artisti di strada di ogni foggia e colore. Si mangia mentre si gode delle storie paesane con la Tovaglia a quadri, a cavallo di Ferragosto, ad Anghiari, mentre per tutta l’estate, fino a metà settembre, continua la grande sfida di Andrea Kaemmerle (quest’anno orfano di Carlo Monni) con la sua Utopia del Buongusto che tocca diverse province toscane tra mangiar bene, piccoli scorci sconosciuti ma affascinanti e storie dette da un palco: “Si può solo soffrire o godere, godicchiare non è serio”.
Circo-lo
Erba voglio
Dimitri
R-Accolta e abbracciata di Caterina Cardia
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Percorsi
Pieni d’Islam
Qualcosa di molto importante
Casa è dove sto bene
di Massimo Niccolai
di Giovanni Curatola
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ieci anni dopo. Come dice un mio amico sociologo, dieci anni è il tempo canonico per legarsi a qualcosa o qualcuno così da non dimenticarsene più, rimarrà sempre impresso dentro di noi. Anzi, diciamo che non se ne potrà più fare a meno. Da tempo frequentavo la trattoria il Cibreino, luogo ideale per assaporare cibi che evocano ricordi lontani, capaci di rinnovare nella mia memoria una cultura da cui il quotidiano ci allontana sempre più. Un giorno, passando da via de’ Macci, mi accorsi che erano in corso dei lavori, così incuriosito chiesi in giro. La risposta fu che il Picchi stava per aprire “qualcosa di veramente speciale”. E alla fine devo dire che quel qualcosa si rivelò davvero speciale. La prima volta che vi entrai fu una sorpresa e una conferma. Sì, una conferma perché in quel luogo si proponeva non solo cultura culinaria come già eravamo stati abituati, ma anche ben altro; una sorpresa perché non mi sarei aspettato che qualcuno potesse tentare un’operazione così complessa. Insomma ne fui felice tanto che desiderai condividere con altri questa mia condizione. All’epoca lavoravo presso un centro diurno della salute mentale e decisi, supportato dai miei colleghi, di tentare qualcosa di molto importante per noi: andare a mangiare al Teatro del Sale. Per entrare dovevamo tutti conoscere ed accettare uno statuto ed un regolamento e una volta dentro non sarebbe più esistito il confine tra operatori e pazienti bensì l’essere semplicemente membri della stessa associazione. Il fatidico giorno arrivò e, con una certa ansia, andammo. Tutto fu semplice, direi anche troppo. L’accoglienza fu eccezionale. Prendemmo posto al nostro tavolo, il cibo dovevamo andare a prenderlo, a scansione dalla cucina veniva annunciato il piatto del momento; io me ne stavo in disparte a controllare che tutto andasse bene e aiutare chi, eventualmente, ne avesse avuto bisogno ma questo non avvenne, anzi tutti se la godettero alla grande; uno del gruppo in particolare poté dare sfogo al suo perenne desiderio di cibo senza essere limitato da nessuno. Quest’ultimo, un signore alto con gli occhiali e sorridente, cominciò il pranzo gustandosi avidamente sei o sette panini e poi piano, piano a seguire tutto quello che venne proposto. Al momento del dolce fu capace di mangiarne ben otto pezzi! Abbiamo continuato a frequentare il Teatro per lungo tempo ma ancora oggi ricordo con soddisfazione quel primo giorno e l’espressione appagata di quel signore alto con gli occhiali.
iaggio molto, l’ho sempre fatto e credo che continuerò a farlo. Le mie mete sono, quasi sempre in Asia, vicina (come la Turchia), media (come la Persia) o lontana (Cina e Corea). Poi, spesso mal volentieri, torno in Italia e di questi tempi (qualche anno, in verità), mi accorgo subito di quello che non mi piace, non solo nella politica, ma nella società, nella gente. Per strada non sorride quasi più nessuno; c’è un senso diffuso di angoscia, rassegnazione, sconfitta, impotenza e ineluttabilità di una decadenza palpabile con mano. Nemmeno rabbia, quella la vedo a Istanbul (già a fine aprile ne avevo individuato le radici, parlando con i miei vecchi amici), o in altri luoghi del mondo. Paese immobile e triste, molto più dell’India ancora largamente stracciona, ma con molte scintille negli occhi o in Cina, la superba, ma con milioni di problemi, eppure in fermento anche sociale. La gente, là, è viva e spesso resiste e progetta il futuro. Non posso dire di avere fatto incontri importanti o decisivi nel nostro circo-lo o al sale, anche perché non ci sono molti specchi. Ma è il teatro in sé che è l’incontro, non solo e non tanto per Maria e Fabio, ma proprio per tutti gli altri: Diego, Duccio, Francesco, Giulio, Luca, Marchino, Vieri e quelli che non dimentico (in effetti avevo pensato di scrivere solo i nomi di tutto lo staff del teatro e basta). Ecco, si torna a Firenze, a casa, ma è casa anche per questa piccola incasinatissima oasi. Se proprio si deve scegliere un incontro importante, comunque, ci metterei le arselle, molto, molto piccanti!
el mezzo del cammino del Teatro del Sale mi ritrovai a bussare a codeste porte che la mia retta via era smarrita. Cinque anni fa o quasi vivevo infatti con altri ragazzi in una magione nei boschi di Compiobbi, piccola frazione di Firenze, cercando di condividere con loro un’ideale di autosussistenza e autocrazia creativa, ma ad un certo punto la dura realtà della vita mi costrinse a cercare un lavoro retribuito perché le mie finanze erano diventate troppo esigue. Cercai in città ma passarono mesi e non successe niente di significativo, se non che, vidi continuare a ridursi in maniera drammatica le già minime risorse su cui potevo contare. Stavo passando un brutto momento, convinta di dover tornare a chiedere aiuto alla casa materna, cosa che in quel momento costava tanto al mio orgoglio. All’interno di quella piccola comunità autogestita in cui vivevo, io ero la persona che procurava verdure a costo zero, nel senso che mi occupavo insieme ad altri della produzione dell’orto e soprattutto andavo a cogliere erbe spontanee nei campi lì intorno, avendo imparato a riconoscere le erbe da mia nonna e affinato poi negli anni questa piccolissima arte seguendo i consigli della mia amica Anna, cuoca di professione, che mi aveva insegnato a distinguere bene i sapori di ogni pianta e combinarli insieme secondo similitudini o contrasti. Ero sicura di essere diventata molto brava a creare insalate, mescolanze cotte e ripieni di diversi sapori e gli apprezzamenti dei miei coinquilini-commensali me lo confermavano. Successe che un giorno dopo aver camminato fino al punto più alto della collina, in contemplazione di quella natura, non me ne vogliano i fiorentini, meno affascinante di quella del monte Amiata e della Val d’Orcia in cui sono cresciuta io, sentii nascermi dentro la sensazione che se ero finita in quella valle doveva esserci una ragione e che avevo da ricevere qualcosa di buono da quella situazione e da quel posto perché ero fermamente convinta di meritarmelo. Mentre tornavo alla magione dove, appunto, abitavo ebbi una folgorazione: pensai che in una città come Firenze poteva esserci un cuoco che avrebbe apprezzato le mie composizioni mangerecce e che magari mi avrebbe pagato per mangiarne. Chiesi ai miei coinquilini il nome di qualche ristorante costoso in città e mi suonò bene all’orecchio quello del Cibreo. Fu così che una mattina di fine marzo del 2009 mi presentai con diversi vassoi di insalate diverse in quel ristorante e fui indirizzata al vicino Teatro del Sale, dove mi dissero mi avrebbe ricevuto lo chef Fabio Picchi di cui io non avevo sinceramente mai sentito parlare. Forse in questi anni non gliel’ho mai detto ma davvero non conoscevo affatto né lui né la sua etica - si può dire così? - di cucina perché avevo 24 anni, amavo già la natura ma avevo ancora altri interessi e vagavo ancora alla ricerca della mia identità. Certo è che in quel momento stavo cercando qualcuno che sapesse apprezzare il valore delle mie insalate, quello che consapevolmente stavo facendo e cioè dare valore alla terra e alla tradizione dalla quale vengo e potesse pagarmi con una giusta moneta. Credo adesso, dopo averlo conosciuto meglio, che la frase che lo colpì durante la nostra prima trattativa sia stata: “Io la sera con un’insalatina così, un ovino (inteso come uovo) e un pezzettino di cacio so’una signora!”. Le porte del Teatro del Sale si spalancarono, fui pagata profumatamente per quelle insalate e questo barbuto e burbero signore con il passare del tempo mi ha confermato direttamente che stavo e sto facendo qualcosa di buono, e indirettamente che la magia esiste se in così poco tempo, desiderandolo intensamente, avevo trovato quello che cercavo. Negli anni Fabio e poi Maria, certo molto più dolce e delicata di lui, mi hanno regalato molte soddisfazioni e buoni consigli, mi hanno fatto conoscere persone con cui ho potuto condividere idee e pensieri, tra tutti un geniale amico e collega che scrive di orti in questo giornale, e indirizzato verso una strada che sta diventando la strada maestra della mia vita. Mi hanno confermato che seguire con onestà un ideale e una passione sincera porta grandi risultati visto che sto insegnando a molti come riconoscere ed utilizzare erbe e fiori e che questa passione sta diventando per me un vero mestiere. Lunga vita al Teatro del Sale e a tutti quelli che lo animano ogni giorno, da un’amica che ormai passa al circo-lo saltuariamente ma che quando pensa a quello che sta facendo della sua esperienza di vita non può non pensare da dove è partita e inviare un pensiero di riconoscenza e affetto sinceri a chi per primo in questo senso l’ha accolta e abbracciata. Auguri cari soci, la vi mando un bacione a Firenze!
Bella vita Casa è una cosa sola di Alessio Sardelli
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e l’avete presente quando si torna a casa dopo un lungo e faticoso viaggio, ci si toglie i vestiti, le scarpe dai piedi indolenziti per il lungo camminare e ci si tuffa sotto la doccia rinfrescante col finire poi distesi beatamente sull’amico letto? Ecco questa è la sensazione di piacere che in tutti questi anni ho accumulato al Teatro del sale, tante storie, tanta gente, diversi spettacoli e tanto gustoso cibo. È difficile pensare ad una cosa sola, io ho incontrato tante uniche, belle persone e cose che ne fanno un assieme vincente. In dieci anni ne è passata di acqua sotto i ponti, come si suol dire a Firenze, e gli episodi di bella vita vissuta in mezzo a quel bel legno si sprecano; aneddoti, curiosità, riso, pianto, tutto è passato di lì e se mi debbo chiedere cosa ci ho trovato rispondo: beh, la vita! Dedicato ad un grande soggetto: il teatro.
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2003 - 2013
SHOW! SHOW! PARTY!
Perle d’estate
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ome da tradizione, per l’estate Maria Cassi porta al Teatro del sale uno studio-spettacolo, vocato a diventare consolidato all’inizio della stagione autunnale. “Il pubblico – dice lei – sarà il mio regista”. Spettacolo in realtà già strutturato e complesso, che vuole però sentire – prima di darsi una veste ufficiale – il respiro della platea, perché resta ancora testo aperto, disponibile a limature, aggiunte, cambiamenti. Anche il nome è un working title, una titolazione in progress, (forse) appunto provvisoria: Attente al lupo. Lo spettacolo è incentrato su di un tema carissimo alla Cassi: le differenze che ci sono tra gli uomini e le donne. Ora però qui accade qualcosa di particolare, perché queste eterne differenze, vengono raccontate attraverso la Bibbia del Vecchio testamento. Una lettura biblica rivista da Maria Cassi si presenta come atto teatrale esplosivo, e dai suoi ultimi spettacoli, come Galateo o Crepapelle o My Life... al Libro sacro agli ebrei ed ai cristiani, il salto non è da poco. Tre i momenti scelti per dare una frame ai vari passaggi dello spettacolo. La Creazione, le vicende legate a Noè, e infine la torre di Babele, la Babilonia narrata anch’essa nella Genesi. Maria Cassi parla di uomini e di donne, di lingue e di animali, dando fondamentalmente la sua lettura sul nostro umano vivere. Sintesi importante perché il lavoro fatto in questi anni dalla Cassi sul corpo e sulla fisicità – per questo paragonata dalla stampa internazionale a Charlie Chaplin, Jerry Lewis e Jacques Tati – trova qui una sua centralità. In scena Maria Cassi è uomo e donna, personaggio remoto e contemporaneo, giovane e vecchio, mentre le anatomie raccontate con le parole diventano elemento di sdrammatizzazione di una umanità che diventa comica. Se “tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Genesi 11, 1-9), quando dopo “il Signore confuse la lingua di tutta la terra”, è chiaro che succede di tutto. Il nome del sesso femminile in questa Babele rivista e corretta, si moltiplica – immaginiamo – all’infinito, in passera, topa, cicala, tana, pucchiacca, patata, fessa. Per non parlare di quello che accade quando si mette mano alle altre lingue europee e non. Si ride tanto, come sempre negli spettacoli di Maria Cassi, ma con delicatezza, in maniera alle volte surreale, sempre poetica. Non a caso il grande Gabriel Villela ha sintetizzato il lavoro della Cassi, di attrice, ballerina, cantante, mimo, improvvisatrice, in una definizione: “è un’azione poetica in scena”. A fare da filo conduttore, a cucire i vari momenti dello spettacolo, è un personaggio un po’ gotico, oscuro, diremmo oggi underground. Ed è questo personaggio – che come gli altri mille è sempre lei – che porta per la prima volta in scena una nuova lingua che la Cassi ha inventato e che da qualche tempo adopera. Un Gramelot vero, fatto di parole-non-parole, non fine a stesso, solo iperbolico, ma fortemente espressivo. “Ho avuto bisogno di inventarmi questa nuova lingua, tutta basata sulla musicalità delle parole – dice la Cassi – perché le parole vecchie non mi bastavano più. Con queste parole riesco ad esprimere cose che con le parole che avevo a disposizione non riuscivo ad esprimere”. Una lingua delle emozioni, dunque, che senza rete verrà portata in scena “anche per capire se funziona, se viene capita e sentita dal pubblico”. Uno spazio importante sarà riservato alla musica, con Marco Poggiolesi alla chitarra, protagonista di una partitura che pervaderà lo spettacolo in maniera capillare. Musiche di Boris Vian, Mina, Rettore, De André e Dalla (che ha segnato tutta la sua vita artistica con interventi di Gramelot). Musiche che diventano parte integrante della drammaturgia originale e densissima, dove però “dentro può entrarci ancora di tutto”.
Polaroid Dietro le quinte by Kate McBride
Backstage 1
Backstage 2
Creak open the hidden door, poke your nose through Quickly adjust to the blackness of the ante room A shimmer of light glows through the side curtain slits Casts your shadow across creaking floor boards Peak through to see the heads of a waiting crowd Murmuring voices and squeaking chairs in anticipation Shhhh! Move slowly. Tip toe softly past red velvet chairs under extra lights and cables dangling. Climb up the stairs, round and round To Enter the secret chamber A beaudoir of red and black Walls covered in paintings between antique doors to the unknown A settee draped with fine fabric offers rest for the senses Glance up, follow a ladder to a high platform A curtain surrounds a hideaway. Is that a the flash of a cat’s green eyes? Now along the hallway toward a sliver of light To find the artist behind a half open door. She stares intently into her mirror face, moves quickly, deftly, applies makeup, shapes hair, dons a costume, tips a hat And becomes the face of dreams. The face known and loved. To become the face that grabs our soul with both hands and yanks us to the fantastic places of her creation She descends. Theatre lights down. Stage lights up! She steps through the curtain. Applause explodes. Welcome to Maria’s world.
Reel up the red slat shades one by one A special room comes to view where a cast of players performs Chop slice whip whirl Pots boil, ovens glow hot Potato peels fly. Carrot skins curl. Clams open. Fish fries. Spits turn with an array of delicacies. Bread rises. Hands deftly scatter herbs and spices. A dance of precision and artistry Overseen by the bust of Carducci, a sailing ship and a baby cat peaking through the curtain of a neighbors window far above the inner courtyard. Stage left, the captain sweeps in. All players turn to attention as he samples and corrects Salts and peppers Instructs and judges A careful blend of tastes, smells and textures that lead to perfection Ready now with steaming platters The large window of the kitchen opens A thundering voice booms out. An anxious audience, gathered at tables, turns to the source Dinner is served! Step right up! Welcome to Fabio’s world.
■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Lasciate che i bambini Teatro del sale in zucca di Tomaso Montanari
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Foto James O’Mara
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are entrare la storia dell’arte nella vita di coloro che si occupano di tutt’altro”: la prima volta che ho provato a farlo sul serio è stato sul palcoscenico del Teatro del Sale, nel 2007. Un paio di anni dopo (esattamente il 9 gennaio 2009), mentre tentavo di raccontare – sempre su quel palco – Las Meninas di Diego Velázquez, proiettai una fotografia simile a questa: bambini di fronte ad un’opera d’arte. Una foto presa a caso sul web: non particolarmente bella, né importante. A me serviva per far capire che lo spazio di Las Meninas è uno spazio abitabile, un prolungamento dello spazio reale, l’annullamento delle barriere tra realtà e rappresentazione. Ma chi sedeva in sala vide in quella foto molto più di me, anzi vide ciò che io proprio non vedevo: i bambini. I bambini seduti in terra, al Prado, di fronte (o dentro?) Las Meninas. I bambini inclusi, e non esclusi. Qualche mese dopo nacque l’Ambasciata teatrale, e la mia rubrica si chiamò Lasciate che i bambini: ogni mese un’opera d’arte raccontata ai più piccoli. Un titolo che le è rimasto attaccato anche quando si è sdoppiata, comparendo sul Fatto quotidiano del lunedì, e che forse sarà anche il titolo del libro che, a settembre, riunirà questi testi. Una fotografia, un giornale, un libro: e soprattutto un’idea, un progetto, due (anzi
molte) persone. Fino ad allora non avevo capito che circolo culturale non è un cimitero per babbioni, ma può anche voler dire un luogo dove la cultura circola. E cioè si rinnova, cambia, si attiva, aumenta, viene condivisa. È quel che avviene al Teatro del Sale: e di tutto quel Sale, alla fine, qualcosa ti entra pure nella zucca.
Azione poetica in scena
Il popolo del blues
by James O'Mara
Classika
Dylan Bob
Ernesto e Elvis
Uno strapuntino nello zoo
Una nave sulle onde
di Giulia Nuti
di Gregorio Moppi
di Marco Poggiolesi
D
A
E
i americani dal Teatro del Sale ne saranno passati a migliaia, eppure ce n’è uno che ha lasciato il segno. È un pomeriggio di giugno del 2005, suona il telefono ed Ernesto De Pascale mi dice che “c’è un americano, ma non un americano qualunque”. Si tratta del musicista Elvis Costello. Il suo tour in Portogallo è saltato, ha un concerto a Sesto Fiorentino la settimana dopo e così ha deciso di anticipare l’aereo per l’Italia e trascorrere i suoi giorni liberi a Firenze, città a lui particolarmente cara perché ci ha studiato da ragazzo. Tra tutti i posti in città, Costello sceglie Sant’Ambrogio. È lì, tra Cibreo e Teatro De Sale, che Ernesto De Pascale e Fabio Picchi lo riconoscono. Ne scaturisce una bellissima settimana in cui Costello ci dedica il suo tempo, visita gli studi di Controradio e accetta l’invito di Ernesto De Pascale ad essere ospite nel corso del suo programma, Il Popolo del Blues. Sfata velocemente il mito di artista tenebroso e di poche parole dimostrando grande disponibilità, comportandosi come chi pensa che aver deciso di trascorrere quei giorni a Firenze sia stata davvero la scelta giusta. Il ricordo culmina con l’arrivo della moglie a Firenze, la pianista Diana Krall e un pomeriggio trascorso tutti assieme proprio al Teatro del Sale, con Diana seduta al pianoforte a suonare qualche nota per i fortunati presenti.
nch’io sto tra gli uomini e gli altri animali della Maria Cassi. Mi ci sono messo da solo. E credo davvero di meritarmelo ad honorem un strapuntino in quello zoo. Perché – permettetemi un briciolo di vanteria – se oggi sul palco la Cassi si ritrova accanto quelpopodipianista di Antonino Siringo, il merito è mio. Sì. Una mattina, quando lo spettacolo era già ben rodato, mi chiama Fabio Picchi. Urge un nuovo pianista, mi dice, perché le date si stanno moltiplicando a dismisura. Io mi schermisco: pianisti gliene saprei consigliare una caterva se servissero per suonare classica, è la mia giurisdizione; ma che possano far da spalla alla Cassi, proprio no, in questo campo mi sento arreso. Chiedo comunque qualche minuto per riflettere. Eureka. Me ne viene in mente uno dalla solida formazione classica (abbiamo frequentato il conservatorio negli stessi anni e ora siamo colleghi alla Scuola di Fiesole) che però si è fatto molto onore pure oltre i confini di Mozart e Chopin: uno così estroso, vivace, intelligente che con la Cassi non potrebbe che fare il paio. E difatti, in quattro e quattr’otto, Siringo viene arruolato. Non so dire quante centinaia di volte, da allora in avanti, abbia lavorato con lei. Fatto sta che ormai appartiene da tempo al suo serraglio. E visto che ce l’ho spinto io, spero che la Cassi un posticino là dentro vorrà serbarlo anche a me.
ravamo arrivati all’ultimo brano da registrare e un’aria di festa, di gioia e di soddisfacente stanchezza pervase la sala. Quando la musica sfumò lentamente come il soffio leggero di una brezza mattutina riaprì gli occhi e quel momento era già diventato indelebile nella mia mente. C’erano tutti: Fabio naturalmente, e così ripercorsi quella passeggiata con lui lungo la Senna parlando di barche; Diego era dietro il mixer e sentì tutte le note di tutte le prove prima di tutti i concerti; Francesco stava appoggiato alla colonna e ci siamo stretti la mano come facciamo sempre dopo gli spettacoli e poi Giulio, Giuditta, Duccio, Enzo, Buio, già c’era anche lui. Ma soprattutto c’era arte, poesia, risate, prove, palchi e camerini, parole scambiate, insegnamenti fondamentali, “Suoniemozioni” e chilometri di strade e di versi e di note, in poche parole c’era Maria e io che ero lì, accanto a lei meravigliato e orgoglioso di essere parte di tutto questo. Quel giorno non registrammo solo un disco ma l’esperienza e la condivisione fatta di ore che fanno mesi e anni. Registrammo l’entusiasmo della ricerca futura, di un viaggio che continua e continua a bordo di questa nave straordinaria che è il Teatro del Sale sulle onde della vita.
Da Tel Aviv Pre marriage dinner di Sefy Hendler
■T raduzione su ambasciatateatrale.com
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Ri-cercata
Cinema
L’orto
Neuroni, sinapsi, sorrisi
Poesia di Buon Auspicio
Acquolina in bocca
di Clara Ballerini
di Stefano Pissi
di Juan Pittaluga
E
mpatia, neologismo creato da Edith Stein che indica la capacità di cogliere un’interiore somiglianza fra me e l’altro senza per questo perdere la mia identità: un vero e proprio processo di riconoscimento. Il Teatro del Sale non lo conoscevo, nel 2003 e anni successivi vivevo all’estero; ma l’ho subito riconosciuto. La mia prima volta al Teatro la ricordo benissimo, è stata anche la mia prima volta di Crepapelle, dopo una giornata difficilissima, dove mai avrei pensato di mettermi a ridere senza freno in mezzo a tanti sconosciuti. È proprio questo il punto, il Teatro del Sale è un’esperienza empatica, dove tagliare non serve e dove più di tutto è la condivisione emotiva che funziona, il riconoscersi negli altri. Sera dopo sera va in scena un esperimento, in termini biologici, dove i miei neuroni specchio, particolari cellule nervose del sistema motorio che non determinano alcun movimento, si attivano e con loro un mucchio di sinapsi rende questo sorriso collettivo possibile.
Al Sale e ai suoi dieci anni Scrivo adesso schiette rime Per dimenticar tutti gli affanni Eh salgo su le alte cime Prima che la vista mia s’appanni Lindo la rima con le lime che non si perda questa storia Lascio l’inchiostro, visibile memoria
P
ourquoi le vin blanc sec que je prend al Teatro del Sale est meilleur qu’ailleurs? Est-ce un effet de magie, quelque chose qui affabule ma crédulité? Borges, avec Berkeley, pense que le goût de la pomme n’est ni dans le fruit ni dans nos papilles gustatives, mais dans le troc qui se trame entre les deux. Alors peut-être que le geste esthétique que Maria Cassi et Fabio Picchi ont initiée al Teatro del Sale se met devant nous pour provoquer, cette saveur qui se prépare, l’eau à la bouche, l’acquolina in bocca. Plus que la nourritures ou le spectacle qu’ils offrent, c’est eux qui font la chose, c’est leurs présence charnelle face à nous qui fabrique cet effet. Et tout devient possible. Le morceau de pain éclaboussé d’huile d’olive a autant variations de goût qu’étoilés il y a dans la nuit Toscane. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com
Entrai alle sette qui e fu Vittoria
Un verre de vin rouge
Da affamato mi trovai risorto Qui c’è sempre festa e mai baldoria
Una stella a Firenze Scrutare, di nuovo di Stella Rudolph
C
onfesso che non mi ero resa subito conto, quando nacque il Teatro del Sale dieci anni or sono, della portata di codesta iniziativa che effettivamente suturò l’ormai famosa cucina dei due ristoranti Cibrei (più il simpatico bar sulla piazzuola antistante) in quell’unicum del Circo-lo creativo d’intrattenimento culturale S. Ambrogio città aperta Firenze che ha dato una sterzata vivificatrice alla città, anzi un contesto così stimolante da essere recepito ovunque nel mondo. In seguito alle interessantissime conversazioni con Fabio Picchi, Maria Cassi, Francesco Cury ed altri, durante alcune cene dopo gli spettacoli, era chiaro che bolliva in pentola un’altra costola da mettere in tavola: ossia il varo nel 2009 dell’Ambasciata Teatrale, mensile che riannoda puntualmente i fili di un discorso intellettuale/politico/culturale sempre in fieri e destinato a rimanere, su carta e internet, accanto ai nostri ricordi di quanto si è potuto vedere ed ascoltare là dentro. Il loro invito (sfida alquanto coraggiosa, devo dire) di affidare a me la presente rubrica mi ha sprigionata dalla torre d’avorio delle ricerche da storica dell’arte e spronata a ripossedere l’antico centro di Firenze da un’altra prospettiva: scrutare di nuovo lapidi e tabernacoli, nonché pescare recondite notizie dalle fonti per riproporli all’attenzione dei (pazienti) lettori ed intervenire talvolta (con una voce che non avevo prima) su varie questioni che riguardano l’attuale fase che stiamo vivendo/subendo. Quanto al futuro, chissà se il Teatro abbia in serbo la pubblicazione di un libro che ne racconta l’entusiasmante avventura, che è già storia collaudata ma destinata a rinnovarsi di continuo con le sue energie inventive.
Vi giuro accadde tutto dentro un Orto Profumi, colori e legno ecco la gloria Qui si ragiona e niente è a babbomorto Alla finestra è Marco attento al fuoco Francesco, Diego e Vieri, sono Vigili del Cuoco E come dentro ad un bel giuoco Percepisco forte l’Energia C’è Maria qui, scusa se è poco Per sempre risi e mai fu nostalgia contento in Spagna che sono il Loco niente sangiovese, niente malvagia lungi da me da far dei danni Teatro del Sale, cento ancora di questi compleanni
di Pietro Jozzelli
I
l caldo esploso pochi giorni fa ha spalancato la porta all’ingresso dell’unica vera stagione di Firenze, che è quella dell’estate piena di ristoranti all’aperto, kermesse di Pitti Uomo, piazze e sagrati occupati fino all’alba, barbari spettacoli del tipo finto calcio storico o infinite e ormai tradizionali riedizioni delle letture dantesche di Benigni. Qualche tempo fa, esattamente nel 2003, l’estate mi sembrò sospesa, come se non dovesse mai arrivare: vidi sorgere da un magazzino di marmi che un tempo era il luogo di raccolta degli approvvigionamenti di un convento di suore, una specie di ossimoro di Firenze, un contrasto logico e surreale con la città: un teatro ad aria condizionata che si faceva sberleffi delle serate in pantaloni corti e camicie slacciate nonché dei vizietti finto-intellettuali dei fiorentini. Ho visto qui presentare cose che sono vere e comiche nello stesso tempo, mentre Firenze è sempre incerta tra il tragico e il farsesco; una sera ho ascoltato le canzoni di Kurt Weil e certe poesie dimenticate di Bertold Brecht ed ho capito che il filo che lega tutti noi è un’idea malinconica dell’esistenza, abitata da cose intraviste felicemente in gioventù e diventate incerte all’avvicinarsi del crepuscolo. C’è, nel Teatro del Sale, una affermazione di contendibilità dei percorsi della vita che mi fa pensare di essere più vicino alla mia libertà.
di Ugo Federico
G
iancarlo Notari, è stato per me come per chiunque abbia avuto la possibilità, grande maestro di stile e di vita. Uomo di grande ironia, esempio di professionalità e di buone maniere. Incontro avvenuto in una fredda giornata di dicembre nel 2007 al Teatro del Sale in occasione di un pranzo di lavoro. Braccio destro del marchese Piero Antinori per tanti e tanti anni, consigliere fidato e pieno di passioni. Era il 1997 quando data la sua età decide di ritirarsi e di realizzare il suo sogno. Nasce così la Compagnia del Vino, con l’acquisto della fattoria il Grillesino nella Maremma più bella. Frutto di una collaborazione con la famiglia Antinori dove si rifugia per dar spazio alle sue passioni. Il Ceccante, la sua punta di diamante, Cabernet Sauvignon in purezza di un’eleganza disarmante, quasi francese per concezione, ma con il carattere di una terra incredibile come la Maremma. Al naso frutti rossi maturi e melange di spezie dolci. Esuberante e persistente con un finale dolcemente tannico. Grande vino rosso, figlio di un grande uomo che non c’è più, ma che continua a rivivere ogni qualvolta con grande gioia ne stappo una bottiglia. Bevuto la prima volta in un giorno freddo d’inverno insieme al maestro.
Palazzo Strozzi Anime civili di James Bradburne
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Di line e di lane Vicini alla libertà
Il vino è una vita
Disegno di Lucio Diana l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno V Numero 7 del 1/7/2013. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it
Si ringrazia
conti capponi [conticapponi.it] MARCHESI MAZZEI [mazzei.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]
abio Picchi is larger than life – a cross between Karl Marx and Giuseppe Garibaldi. He is affable, extroverted, funny and charming. Seen from the outside, it seems that everything about him can be known from just looking and listening. Nothing could be further from the truth. Fabio is not at all what he seems, and to know Fabio it is not enough to meet him, or listen to him shouting out that the clams are ‘very, very, very spicy’. To know Fabio, you have to know his work – il Cibreo, the Cibreo trattoria and café, and above all, the Teatro del Sale, direct by Maria Cassi. For Fabio is a philosopher, and uses his art – that of the kitchen – to create a perfect expression of his vision of an ideal world. Fabio does not just talk - he builds. He does not just hold political beliefs, he makes them real. His staff come from twenty countries and speak a dozen languages, and there are ten times more staff than he actually needs if his goal were to make a a big splash and big money. But that is not his goal. Fabio’s goal is to make a better world, and the best way to reach this goal is to start at home. A single word defines Fabio’s vision of this world – civility. Like his cooking it is authentic, intelligent, respectful, modest and deeply rooted in the Tuscan soil. To know Fabio, you have to go to the Teatro del Sale. There you find a slice of Florentine life you find nowhere else. Old people, young people, children, farmers and aristocrats, foreigners and locals. At the Teatro del Sale artists, poets, filmmakers and photographers rub shoulders with accountants, supermarket checkout staff and pensioners. They all become members, they all sign up to the same rules of civility, they all pay the same price for dinner. And they all stay for culture afterwards, music, dance, readings, and if they are lucky, performances by Maria Cassi, Fabio’s talented actress wife. It is not about branding, it is not about globalisation, it is not about showing off. Fabio’s Florence has no desire to look like New York, nor does Cibreo’s cuisine intend to compete with El Bulli, Noma and the Fat Duck. Fabio’s is a philosophy you can taste, in every sense of the word. If there is to be a Florence, let it be like the Teatro del Sale, and if the world has a future, it is in becoming in some small way a reflection of Fabio’s and Maria’s vision of civility. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com