Ambascaita Teatrale - Dicembre 2011 - Anno III Numero 10

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circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze

www.ambasciatateatrale.com

Sc-atto Maria Cassi by James O’Mara

Editoriale

Riprendiamoci il nostro tempo di Fiorella Mannoia

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Quel che vi pare, acqua, fuoco, terra, aria

Ri-cercata

Il popolo del blues

Il granaio dell’energia

La risposta è nel vento

di Clara Ballerini

di Giulia Nuti

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A

he sia acqua che cade, fuoco che brucia, terra radioattiva o vento tutto ci parla di energia. La domanda di elettricità cresce e trovare il giusto equilibrio fra generazione, distribuzione e costo finale per chi poi la utilizza non è né facile né scontato. Di sicuro dobbiamo diventare più bravi nell’immagazzinare energia, soprattutto se si parla di energia rinnovabile eolica o solare, per natura più discontinua e sfuggente. Gli scienziati sono al lavoro per costruire batterie più efficienti delle vecchie dominate dal binomio sodio/zolfo perché è per tutti chiaro che più efficiente sarà il sistema e più si riuscirà a conservare l’energia elettrica: dobbiamo costruire una sorta di granaio di combustibile. Questo raccolto dipenderà dall’incontro di due fattori fondamentali: l’efficienza delle tecniche di conversione in energia e quella delle modalità di trasporto. Negli ultimi anni le numerose idee innovative che portano a forme di energia meno inquinanti, rinnovabili, compatibili portano anche verso una ancor più complicata rete di distribuzione, e su questa contiamo in futuro perché la luce resti accesa.

lcune persone dicono di non preoccuparsi dell’aria. Altre, non hanno mai avuto esperienza con l’aria. Invece no, conviene respirare. Respira nell’aria, non avere paura. C’era del fumo sull’acqua, e fuoco nel cielo. Sarà stato per quello? Fatto sta che io le avevo chiesto dell’acqua, ma lei mi ha portato la benzina. E io, piuttosto che vederla con qualcun altro, avrei bevuto volentieri il fango del Missisippi. Già. Deve essere proprio figlia del fuoco e dell’acqua, perché ha tutto ciò che serve per spezzare il cuore di un uomo. E nonostante tutto, è una strada lunga quella che ho percorso per arrivare fino a qui. Attraverso la sabbia, per trovare la pace tra la sua gente, nel sole. Dove le famiglie lavorano la terra come hanno sempre fatto. Mentre il mio paese no, è finito lontano, da tutt’altra parte. C’è gente che è arrabbiata per il modo in cui si abusa della terra. Per il modo in cui ne abusano coloro che hanno imparato come trasformare la sua bellezza in potere. Ma non si può pretendere di avere una risposta. La risposta, amico, è affidata al vento. (Parole di Talking Heads, Pink Floyd, Deep Purple, Howlin Wolf, Free, Jackson Browne, Bob Dylan e un po’ di vecchio blues).

ella vita di tutti i giorni gli elementi sono per lo piú parole quasi astratte, alle quali prestiamo poca attenzione, siamo abituati a respirere, a bere, ad usare il fuoco per cucinare, e al massimo, quando abbiamo tempo, come unico contatto con la terra, a piantare un fiore sul balcone di casa. Abbiamo troppe cose da fare, sempre cosí presi dalla routine della nostra vita di occidentali indaffarati, devoti al lavoro e al benessere per come lo concepiamo noi schiavi dell’ultimo modello di telefonino o di Ipad (con il quale io stessa sto scrivendo). Quasi mai ci soffermiamo a pensare, non solo agli elementi, ma a pensare in profondità, in generale. Non c’é piú tempo, ce lo hanno tolto. Ci hanno convinto che il tempo da dedicare a noi stessi sia tempo perso, che fare niente (apparentemente niente) e stare semplicemente seduti sul greto di un fiume ad guardare l’acqua che scorre, o davanti a un caminetto (quando hai la fortuna di averne uno) a fissare il fuoco, o a respirare l’odore della terra bagnata dalla pioggia, sia tempo sprecato. Una cosa da fannulloni, cose da gente bizzarra della quale é meglio diffidare. Ma e a volte ti chiedi: perché? Dove stiamo andando cosí di fretta? Quele mente diabolica ci ha convinto che questo sia il modello di vita migliore? Siamo in un ingranaggio che credevamo solido e perfetto e che invece si é rivelato essere di vetro, salta (o lo fanno saltare) un dentino della finanza globalizzata e di colpo ci ritroviamo nel panico a discutere sul nostro presente precario e sul nostro futuro incerto, senza renderci conto di quanto tutto questo sia un inganno, una grande truffa, siamo schiavi di questo meccanismo e lavoriamo tutta la vita, a testa bassa, felici di poterlo fare, e grati a chi ce ne da la possibilità senza piú chiederci perché, siamo stati contagiati da questa malattia dei consumi da questa occidentalità presuntuosa e ci convincono, e noi ci crediamo, che questo sia l’unico modello di vita e ci affanniamo ad esportarlo, tronfi e convinti di fare bene all’umanità, e la triste verità é che da questa malattia non si guarisce, una volta che ci sei dentro non se ne esce (salvo rare eccezioni) siamo nati occidentali e moriremo occidentali, nel bene e nel male. Sono da ritenersi fortunati quelli che almeno se ne rendono conto ammettendo di esserne affetti, perché almeno questo permette loro di guardare ad altre culture con Segue a pagina 2 curiosità, rispetto e meno presunzione.

Occhio di bue


Editoriale

Gatti

Segue dalla prima

Riprendiamoci il nostro tempo

Quintessenza

Il corpo dell’attore è un museo vivente

di Fiorenlla Mannoia

by Kate McBride

di Marco Baliani

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G

oi all’improvviso arriva la pioggia, e l’acqua e si porta via la terra con tutto quello che c’é sopra riprendendosi quello che le é stato tolto e ci riporta a riflettere su quello che stiamo facendo alla natura e a noi stessi, e per un attimo, ritrovando il contatto con gli elementi, ci sentiamo piccoli e indifesi come nella notte dei tempi, quando gli umani salutavano in ginocchio la nascita del sole, ed é in quel momento che vive la vera e unica globalizzazione, l’alluvione, il terremoto, il fuoco. Sono, loro sì, democratici. Lí, di fronte alla furia degli elementi finalmente siamo tutti uguali, negli occhi, lo stesso terrore da New Orleans a Genova, da Haiti a l’Aquila, l’uomo riscopre l’umiltà, la fratellanza, la compassione. Un attimo, ancestrale, terribile, il battito di un solo cuore, e poi si ricomincia e tutto ritorna come prima, costruendo, iquinando, disboscando, violentando la nostra madre terra e la nostra anima. La verità é che ci stiamo allontanando sempre di piú dalle cose essenziali, per correre dietro al nulla, una nuova auto, un nuovo televisore, dal quale qualcuno ci consiglia l’acquisto di altro nulla. E il fuoco, l’acqua, l’aria e la madre terra? Sono ancora venerati da popoli per noi incivili, idolatri, ignoranti, straccioni, poveri, semplici e, se li lasciamo in pace felici.

reek Author Flavius Philostratus wrote In The Life of Apollonius of Tyana, 220 AD, that aether, also called quintessence is the fifth element and the matter from which gods are made. Quintessence is the pure essence of something, the embodiment, the soul, the marrow, the kernel, the gist, the distillation, the Photo by James O’Mara lifeblood. Quintessence is the element inbetween the major elements. Sound is a chief characteristic of quintessence. To discover the quintessence of something, you touch the soul. Cats tune into the element inbetween when they run for safety just before an earthquake. They often pick up on the melancholy mood of the humans they live with that seems to travel in the quintessence and respond with affection. Sometimes a photograph sees the unseen element. We imagine our due gatti living at the Ponte alle Grazie use this fifth element to communicate to one another and to us. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Gesti teatrali Tutto quello che dovevo sapere su mio nonno di Alberto Severi

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rima di infermarsi a letto e ridurre all’essenziale, per otto lunghi anni, i suoi gesti, il nonno fu per me una fonte inesauribile di gestualità elementare e magica. In gioventù era stato minatore, nelle miniere di lignite di Cavriglia. In vecchiaia, finché la malattia non lo folgorò, si era dato a coltivare un piccolo orto, dietro la casa che abitava, in affitto, nel Villaggio Minatori di san Giovanni Valdarno. I suo gesti relativi all’elemento TERRA erano perciò innumerevoli. Quello basilare, e più teatrale, consisteva nel dissodarla e rivoltarla per la semina, con la zappa. Gesto antichissimo, e quasi ancestrale, umile e solenne: che conferiva al Nonno un’aura mitica. Altre volte, invece, anziché la zappa, il vecchio minatore impugnava il rastrello, e raccoglieva stoppie, foglie morte, scarti vegetali, ammucchiandoli nel pratino sotto il ciliegio. Poi, gli dava FUOCO. Con un fiammifero. Che aveva acceso sfregandolo, con un rapido gesto prestidigitatorio, sotto la suola ruvida della scarpa. Magnifico. L’odore del fumo delle stoppie bruciate, nell’aria frizzante di novembre, ancor oggi

In scena Non nuoto, però canto di Tommaso Chimenti

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Riflessioni

l teatro è la massima combinazione degli elementi, miscelati, mantecati, distribuiti, amalgamati. Senza uno degli ingredienti secolari cardine, senza il fuoco, senza l’acqua, senza la terra, senza l’aria, non ci sarebbe vita. Facciamo un gioco. Se fosse aria, se dovesse esserlo, potremmo identificarla, teatralmente parlando, con Tutta colpa di Miguel Bosè, il 7 dicembre al Teatro di Rifredi, con Fabio Canino a fare da mattatore. Aria frizzante, pungente, di montagna. Tratto dall’omonimo romanzo umoristico di Sciltian Gastaldi, una panoramica su una famiglia normalmente italiana, excursus dagli anni ’70 ad oggi, passando dalla tv commerciale fino al coming out. Se fossi foco arderei lo mondo. Rosso cuoco è il liquido che scorre nelle vene. Nozze di sangue (8 e 9 dicembre al Puccini), da Garcia Lorca, per la regia di Serena Sinigaglia riportato nel sardo della Barbagia “una lingua di terra e sangue, intrisa dei luoghi e delle persone che la parlano. Una lingua che è già storia di faide, confini difesi e violati, campi arsi, coltelli, parole impronunciabili, silenzi violenti. Una lingua antica”. Se dovesse essere acqua non avremmo dubbi sul Canto perché non so nuotare, one man show di Massimo Ranieri, il 26 al Politeama Pratese, tra musica, balli, e i ricordi, dallo scugnizzo del rione Santa Lucia di Napoli che era fino ai più grandi palcoscenici del mondo raggiunti: un recital che ha superato le cinquecento repliche. Se invece fosse terra, non c’è niente di più umano, mortale e profano del Natale nostrano tra parenti serpenti sottolineato in Benvenuti in Casa Gori di Alessandro Benvenuti, il 16 e 17 al Teatro Dante di Campi Bisenzio, con Carlo Monni e Anna Meacci ed uno stuolo di bravissimi attori emergenti. Aria, terra, fuoco, acqua: mescolare bene prima dell’uso.

può trasportarmi a ritroso nel me stesso bambino del 1967, e in quell’orto. In mezzo al quale, in uno spiazzo, si ergeva il piccolo monumento di una pompa in ghisa. Mandando in su e in giù la leva circonflessa, risucchiava ACQUA dal pozzo sottostante, con un rumore che pareva quello di un raglio d’asino, e la proiettava fuori dalla conduttura, in maniera tanto più gagliarda quanto più gagliarda e rapidamente ripetuta era stata la spinta impressa dalle braccia alla leva. Con l’acqua tirata su dal pozzo, il Nonno annaffiava le piante dell’orto, e in primis le piante di fagioli: un legume di cui andava ghiotto. Con qualche conseguenza sgradevole, va detto: che indovinavo visivamente allorché il Nonno, seduto a riposare su un masso, si inclinava leggermente su un lato. Era questo il gesto meno teatrale e più nascosto dei suoi: ma come lo coglievo, mi apprestavo ad allontanarmi, prima che me ne giungesse la percezione olfattiva. Perché, certo: di tutti gli elementi, ha detto qualcuno, l’ARIA è il più nobile e puro. Quel qualcuno, però, non conosceva il Nonno. Sipario.

Staino

La mano esiste, non solo come servitrice del corpo umano ma come indicatrice della parola giusta, l’unica in grado di inserire le cose nel gesto che è segno e parola. E.Bloch

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on mi piacciono le cellule fotoelettriche che spalancano automaticamente cancelli e porte. E’ un ennesimo atto di sottrazione di esperienza che la nostra tecnologia va compiendo. Sembra quasi che la massima aspirazione del nostro progresso tecnologico sia quello di azzerare la possibilità del fare, la manualità, il movimento che compie il corpo nel mettere in moto un’azione. Le nostre mani si muovono sempre meno, non afferrano più, non modellano, non toccano. Non girano più la maniglia, quindi non partecipano ad una decisione, varcare la soglia non è più un atto di coraggio, non c’è più tempo per un ultimo tentennamento, il corpo non sosta indeciso, si è anticipati dal meccanismo. Ci viene tolta l’esperienza del passaggio e dell’attraversamento, non c’è più possibilità di seduzione, perché un cancello che si apre da solo così oscenamente non potrà condurci verso alcun mistero. L’informazione massificata delle notizie sottrae alle cose del mondo e alla materia di cui sono composte le azioni umane. L’essere umano risulta come affrancato, deresponsabilizzato, quasi che le azioni umane si fossero alienate la possibilità di interferire e modificare il corso degli avvenimenti. Lo schermo trasmette immagini che mai toccano il nostro corpo, che non entrano in conflitto con la nostra esistenza, che non chiedono nulla al nostro sguardo, ci chiedono solo di essere lì davanti a fare audience. Ciò che accade in quella scatola è intoccabile dalle nostre vite, eppure veniamo fortemente modificati dal modo con cui percepiamo quelle immagini, non per i contenuti che trasmettono ma per il linguaggio che le veicola. Fuori di lì il mondo si uniforma a quel modello percettivo, le cose, gli oggetti, le azioni umane si allineano come merci su un immenso scaffale, si possono acquistare e consumare ma non producono una relazione di esperienze. La relazione, se avvenisse, presupporrebbe la possibilità di un conflitto, o di una percezione diversa da quelle previste e già codificate. Non accumulandosi più esperienza sulle cose, nessuno ha più da tramandare quel tipo di sapere che era frutto di apprendistato e di lavoro artigianale. Quel processo di conoscenza, dispendioso di tempo, sembra ormai essere ormai fuori dal nostro orizzonte. I lavori alienati sono tali perché non hanno possibilità di variazioni, i movimenti del corpo si ripetono simili giorno dopo giorno, non c’è spazio per il cambiamento, ma solo per una progressiva atrofizzazione dell’immaginazione. Il fare si atrofizza e con esso la capacità di narrare e tramandare esperienze. Mentre sembra sempre più mancare la capacità di compiere esperienze significative e strutturanti, dovute al quasi nulla che accade nella vita di tutti i giorni, all’assuefazione abitudinaria con cui guardiamo il mondo a noi prossimo, dall’altro rischiamo di essere sopraffatti da una mole di esperienze immaginarie veicolate da linguaggi caleidoscopici, rutilanti, dove il senso del visivo prevale su tutti gli altri. Un troppo pieno di immagini si riversa incessantemente su di noi privandoci della possibilità di farle diventare patrimonio del nostro percorso di vita. L’overdose di immagini preconfezionate è tale che rischiamo, come per un eccesso di droga, una morte percettiva. Gli sguardi, il sentire, si fanno opachi, perdiamo la possibilità di entrare in relazione profonda col mondo e con gli altri. Ma quando si apre la possibilità di un altro tempo, quando all’essere umano viene concesso di potersi distanziare dall’accadimento, allora scopre il valore che possedeva l’esperienza. Il teatro è il luogo di quell’altrove temporale dove l’esperire può acquisire un nuovo senso, e dove, a volte, è possibile intravedere il mistero nascosto che ogni esperienza porta con sè. Allora, se gli attori sono capaci di essere portatori di esperienze, sentiamo che quel loro dono diviene un tassello importante della nostra vita, e non smettiamo più di rammemorarlo attraverso un incessante racconto interiore. Un’esperienza è portante quando riesce ad interpretare in maniera sensata il mondo, quando si fa portatrice di un senso imprevisto o sconosciuto. Ma al tempo stesso deve potersi affermare contro il mondo intero. Se noi attivassimo, con un costante allenamento, il nostro percepire, molte di quelle esperienze che al primo sguardo sembrerebbero di segno inferiore potrebbero acquistare di colpo valore di esperienze portanti. Gli artisti o i mistici altro non fanno che allenarsi a questo sentire, a cogliere, nella apparente successione banale degli eventi, elementi di esperienza profonda. Il lavoro dell’attore e del raccontatore di storie è simile. Un allenamento a cogliere stati di esperienze portanti nel mondo che lo circonda che è anche il mondo del personaggio o della storia che sta vivendo e che è anche il suo mondo interiore. Questo lavoro attorale è una specie di manutenzione dei gesti perduti, delle voci dimenticate, delle parole abbandonate e avviene, sempre, attraverso la messa in gioco di un fare che è tutta corporeità. Il corpo dell’attore è una specie di museo antropologico vivente. Conserva e preserva azioni, voci, parole, gesti, memorie, li distilla come perle preziose dallo scorrere uniforme dei giorni e li scambia con gli sguardi degli spettatori, riattivando in loro un antico stupore. Oggi, ancor più di ieri, i corpi degli attori in un teatro rimandano, anche solo nella loro pura presenza biologica, ad un mondo altro da quello della norma, espongono conflitti, inquietano, costringono ad un soprassalto della percezione, Quei corpi sono corpi politici, parlano alla polis, mostrano effimeri esseri viventi densi di contraddizioni e quindi di vita, di gesti, di fisicità. Non sono lì per apparire, ma per essere.


Il libro

Lasciate che i bambini

Da Varsavia

Moby in montagna

In una chiesa a Bologna

L’equazione del bollito

di Martino Ferro

di Tomaso Montanari

di Tessa Capponi

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«Babbo, cosa sono i quattro elementi?» «Gli antichi pensavano che tutto il mondo fosse retto da quattro sostanze, o quattro forze: la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco» «E, babbo, posso toccarli, questi quattro elementi?» «Beh, no, Maria, non puoi… Anzi, ora che mi ci fai pensare, forse c’è un posto dove li puoi toccare, è proprio qua a Bologna» «Davvero, e dove?» «In una chiesa, ci stiamo arrivando, ora» «Come si chiama questa chiesa, babbo?» «Si chiama un po’ come te, e ha un nome bellissimo: Santa Maria della Vita. Forza, entriamo» «Ma babbo, dove sono gli elementi?» «Oh, quanta fretta, Maria. Vedi, eccoli là» «Babbo! Ma quelle sono delle statue» «Eh sì, sono delle statue di terracotta. Vedi come sono belle?» «Sì, sono bellissime. Ma qualcuna fa un po’ paura. E cosa c’entrano con gli elementi?» «C’entrano, perché per farle, tanti tanti anni fa, lo scultore, che si chiamava Niccolò, prese della terra e la mescolò con un po’ d’acqua. Poi la plasmò con le sue mani, e quando le ebbe dato queste forme meravigliose, la affidò al fuoco, e cioè la fece cuocere in un forno». «Ho capito, babbo. La terra, l’acqua e il fuoco. Ma l’aria dov’è?» «Non la vedi l’aria, Maria? Non vedi il vento come gonfia le vesti, i veli, i capelli? L’aria gliel’ha data l’artista: proprio come Dio, quando soffiò nell’ar-

ome in certa cucina macrobiotica, in cui ci si preoccupa di non separare yin e yang, anche nella lettura è regola buona e saggia fare in modo che i quattro elementi non siano mai disgiunti. E così Moby Dick, piuttosto che leggerlo in riva al mare, sarebbe più opportuno sfogliarlo in montagna (terra), davanti al camino (fuoco), con in bocca una pipa da marinaio (aria). Allo stesso modo Il piccolo principe, un libro fatto d’aria, lo si dovrebbe leggere su uno scoglio, riscaldati dai raggi del sole e accarezzati dalla brezza marina. E quale miglior modo di godere di Viaggio al centro della terra di Verne, se non durante le lunghe ore di un viaggio aereo intercontinentale, sorvolando una candida distesa di nubi?

Sintesi esaustiva

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gilla, bagnata e modellata, per formare il primo uomo, Adamo» «Ma andò proprio così, babbo?» «Non lo so, Maria, se andò proprio così. Ma so che se vuoi toccare i quattro elementi, se vuoi tenerli in pugno e sentirne tutta la forza, hai bisogno degli occhi e della mano di un artista». Niccolò dell’Arca, Particolare di una dolente dal Compianto di Cristo, 1465 circa. Bologna, Santa Maria della Vita.

Provocazioni

In processione per un fiasco d’acqua

Ridateci un Paese normale

di Milly Mostardini

di Luigi Settembrini

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essuno fino ad oggi ha tentato un discorso davvero ponderato sui politici italiani e qualche loro corollario, e allora ci provo io. In fondo poveracci se lo meritano. Prendiamo allora i segni dello zodiaco e le connessioni che questi (e i politici) hanno con le radici del mondo, ovverosia acqua, terra, fuoco, aria. Berlusconi e Bersani, per esempio. Entrambi nati il 29 settembre e quindi bilancia/aria. E qui cominciano i pasticci. Già perché l’aria indica capacità di comunicazione e con Berlusconi ci saremmo, ce ne ha davvero comunicate di tutti colori. Ma Bersani - come direbbe Di Pietro - con la comunicazione che ci azzecca? E poi la bilancia: Bersani bilanciato è bilanciato mentre Berlusconi non parrebbe proprio. Altro problema ci pone D’Alema, nato il 20 aprile, e quindi ariete/fuoco che sviluppa l’energia creativa. Per lui avevamo in mente piuttosto l’energia come supponenza/antipatia e invece, avete visto, ci siamo sbagliati. Energia creativa che si adatta perfettamente a Mara Carfagna (fuoco anch’essa, essendo nata in Sagittario), almeno fino a quando faceva la velina, poi il fuoco s’è assopito insieme alla brace - ma succede - quando s’è proposta ministro, e nessuno, tranne l’onorevole Bocchino, l’ha vista più. Benissimo invece la Camusso, 14 agosto, leone/fuoco, che a una leonessa somiglia proprio moltissimo, soprattutto fisicamente. Casini. Che come ogni democristiano che si rispetti quando incontra qualcuno lo saluta dicendo “Pace e bene”. Casini pone un caso (lo dice la parola stessa): essendo nato il 3 dicembre va sotto il segno dell’ofiuco, ovvero un tredicesimo che con gli altri dodici proprio non c’entra. Parlando di politica ad alto livello non possiamo ovviamente tacere di Ruby Rubacuori (è o non è la nipote di Mubarak? Il nostro parlamento ha o non ha votato così a stragrande maggioranza?). Dunque Ruby, nata il 1 novembre, è scorpione/acqua. E l’acqua – ci avremmo giurato - indica immaginazione e capacità d’amare, però come la mettiamo con la codina velenosa? Soprattutto il prototipo dello scorpio minorennis, pericolosissimo quando pizzica omarini sopra i settanta. Quando accade, l’omarino finisce che ci lascia le penne, almeno politicamente. Ora Bossi (dovevamo trattare solo politici italiani ma per l’Umberto facciamo un’eccezione) e Nichi Vendola. Entrambi vergine/risorse mentali e materiali: e se per Vendola ci avremmo giurato, il senatur ci sorprende. Vergine con quella voce, quei rutti, quelle canotte, quel dito medio alzato? Si vede che in Padania la vergine usa così. Paese che vai, vergini e risorse mentali e materiali che trovi. Chiudiamo, doverosamente, con il nuovo Presidente del Consiglio. Mario Monti, nato il 19 marzo, è pesci/ acqua e col suo segno freddo calza a pennello. Ma l’acqua, ricordavo sopra, individua immaginazione e capacità d’amare. Mario, coraggio allora. Immagina. Immagina, ma seriamente, che l’Italia sia un Paese normale. Immagina, ma con grande forza e speranza, che torni a essere il Paese che era. E visto che sei capace d’amare, voglici tanto tanto bene!

ra la chiamano bene comune: denominazione di merito, ma su qualche bocca di troppo sa di metafora retorica. È l’acqua, che entrando in questo mondo, ce la siamo trovata come un dono. Dunque di tutti noi. E da quando non si raccoglie con le mani o croste di legno, ci si fa portare a casa, dai rubinetti, segno di distinzione e censo fino a ieri, uscente da impianti cittadini, filtrata, pulita, sana. Pagando, certo, a una mano pubblica, che fa il servizio, senza che ci lucri o speculi. Qualcuno ha calcolato che nella nostra città l’acqua costa di più che nel resto d’Italia: è possibile?Quanti sono i luoghi del mondo, dove l’acqua non arriva dove le persone vivono: chi lo sa? Ci pensate mai? Io le ho viste le donne e bambine che camminano per chilometri con i secchi di plastica per arrivare al pozzo meno lontano. Sono processioni dolorose e scene bibliche, tra guerre e botte, intorno a quei pozzi, buchi tutti uguali nella terra. Dimentichiamo i cortili delle ville toscane e gli eleganti pozzi antichi. Qualcuno lo sa che un sindacalista siciliano, Salvatore Carnevale, fu ucciso e con la testa ficcata dentro una polla d’acqua sorgiva, nei terribili anni Cinquanta, perché aveva denunciato lo sfruttamento e la speculazione sulle autobotti dell’acqua, gestito da organizzazioni criminali e padronali? Da quei dannati del nostro mondo, forse l’acqua è pagata a prezzi più alti dei nostri. Certo qui c’è lo spreco e il privilegio: quante piscine, prati all’inglese, parchi bellissimi e piante amate da salvare nelle stagioni bollenti. Ho nella mente l’immagine di quella bambina, che con un fiasco in mano faceva la fila alla fontanella del giardino della Gherardesca, l’estate del ’44, nella sola ora al giorno di sospensione dello stato d’assedio. Per non morire, senz’acqua. Altro che andare alla Mecca o a Santiago, un pellegrino oggi, se le forze glielo permettessero, andrebbe per esempio nel sud del Sudan, con qualche tanica d’acqua in mano. Omeniddio non lo perderebbe di vista, per tutti gli altri sarebbe un pazzerello. Si più tenersi all’essenziale? Questo non lo so. Però ora tutti sappiamo i danni che abbiamo fatto ai nostri fiumi, laghi, mari, beni comuni essenziali: come l’aria per respirare, come la terra per nutrirci. Di chi è la terra? Per il fuoco addirittura abbiamo fatto un furto, rubato agli rei, secondo i terribili greci, che però sapevano già tutto. Ora i nostri dei sarebbero, per l’essenziale calore, Enel, Eni e quanti altri? Filiera lunga.

Foto Torrini Fotogiornalismo©

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a zajęciach z Historii Kuchni, które prowadzę na Uniwersytecie Warszawskim, poświęcam zawsze kilka wykładów dietetyce średniowiecznej i renesansowej. Zdaję sobie sprawę, że dla młodzieży przyzwyczajonej do rozwiązywania wszelkich dolegliwości za pomocą całej baterii produktów chemicznych od paracetamolu po ranitydynę, teorie Galena mogą się wydawać równie realne jak bajka o Kopciuszku. Według Galena człowiek, oraz wszystko to, ożywione lub nieożywione, co istnieje na tym świecie, składa się z czterech podstawowych elementów: Ziemi, Wody, Powietrza i Ogienia odznaczających się z koleji specyficznymi właściwościami; gorącem lub zimem oraz suchością bądź wilgocią. Każda istota ludzka składa się z czterech elementów, z których każdy charakteryzuje się dwoma ze wspomnianych właściwości: krew jest gorąca i wilgotna (Powietrze), żółć jest gorąca i sucha (Ogień), czarna żółć (Ziemia) jest zimna i sucha, a flegma (Woda) zimna i wilgotna. Te elementy mają swoją siedzibę w poszczególnych częściach ciała; czarna żółć w śledzionie, żółć w wątrobie, flegma w mózgu, lub szerzej w czaszce. Krew natomiast, jest tutaj pewnym wyjątkiem, będąc po trosze mieszanką wszystkich elementów. Zdrowie człowieka jest związane z równowagą wszystkcih czterech elementów, natomiast jej zaburzenie powoduje chorobę. W tej kwestii pożywienie ma znaczenie zupełnie podstawowe pełniąc rolę zarówno zapobiegawczą jak i leczniczą. Każdy produkt żywnościowy (sklasyfikowany według miary widącej od gorącego do zimnego i od suchego do wilgotnego, na czterech kolejnych poziomach) jest przemyślnie połączony z innymi tak, aby osiągnąć idealną równowagę. Mądre gotowanie jest gwarancją zdrowia. Doskonałym przykładem może być tutaj sztukamięs podawana we Włoszech z zielonym sosem (salsa verde). Zielona pietruszka, czosnek i pieprz są w wysokim stopniu gorące i suche a służą tuaj do „rozgrzania“ wołowiny, substancji „zimnej“ i „suchej“, trudnej do strawienia, którą najpierw należy ugotować aby nadać jej odpowiednią ciepłotę i wilgotność, a w końcu podać ją z właściwym sosem. Pomijając dążenie do równowagi, to sztukamięs z zielonym sosem jest daniem fantastycznym, ale to już kwestia smaku, który przecież pozostaje niewiadomą X w każdym równaniu. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Dylan Bob Chitarra nel fuoco di Marco Poggiolesi

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ames Marshall non sapeva leggere lo spartito, non sapeva i nomi delle note nè tanto meno i nomi degli accordi, ma prima di lui nessuno era riuscito a dare un’anima alla chitarra, a farla parlare, piangere, urlare. Era come se avesse avuto il dono della conoscenza profonda, dell’essenza misteriosa delle cose, i quattro elementi della musica e i suoi segreti più reconditi. Dal fuoco si realizzò il suo battesimo, nel fuoco si muovevano le sue dita e al fuoco ha dedicato la sua ispirazione fino al sacrificio più grande; quel gesto durante il concerto a Monterey nel 1967 quando si inginocchiò e consegnò alle fiamme il suo strumento davanti a migliaia di occhi attoniti. Quel giorno il suo nome e il suo inno sono stati marchiati nella leggenda: Jimi Hendrix, Fire.

Classika Auditorium conchiglia di Gregorio Moppi

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er la musica, arte scritta nell’aria che svapora nel momento stesso in cui si manifesta, Zaha Hadid ha disegnato un teatro altrettanto etereo che si dilegua nel nulla non appena i concerti finiscono. Auditorium in forma di conchiglia, smontabile e ricomponibile altrove, pensato per accogliere le note di Bach. Pare fasciato da un lungo nastro di raso color panna questo spazio di 17 x 25 metri, onirico e tuttavia altamente tecnologico nella definizione acustica, dove duecento persone possono rannicchiarsi estatiche nell’esperienza dell’ascolto come dentro un bozzolo traslucido. Ha debuttato a Manchester nel 2009, l’anno dopo è stato trasferito in Olanda, pochi mesi fa si trovava ad Abu Dhabi. Chissà dove andrà in futuro il padiglione portatile. Certo è che la Hadid, cittadina britannica di nascita irachena, vorrebbe farne un luogo di scambio transculturale e transgenerazionale sotto il manto ecumenico del nome Bach.

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La valigia dell’attore

Da Tel Aviv L’insostenibile separazione dal maiale

Recitare in barca sotto Ponte Vecchio

di Sefy Hendler

di Alessio Sardelli

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er correr miglior acqua arza le vele ormai la navicella del mio ingegno. Alla fine del secolo scorso mi capitò tra le mani un libriccino regalato a mio padre da una sua ammiratrice: La divina commedia esposta e commentata in cento sonetti fiorentineschi umoristici e satirici da Venturino Camaiti . Venturino, chiamato Fra Succhiello per la sua minuta fisicità, era un bizzarro poeta nato e vissuto nel rione di Santa Croce e che scrisse i primi sonetti della divertente commedia alle caverne dei Briganti, sul monte Amiata, nell’estate 1920. Pensai tra me e me: questa è una bomba, la voglio recitare! Ma come? Dove? Fu qui che mi arrivò l’idea che poi si sarebbe rivelata geniale: unire il sommo poeta con questo omino secco secco e recitare sulle barche in Arno! E il pubblico? Nientepopodimenochè sistemati sulle imbarcazioni trasformate in platea! Con il grande aiuto e disponibilità dei renaioli, veri uomini d’acqua, si riuscì, io e un gruppo di folli e coraggiosi teatranti del tempo, a metter su la commedia. Rematori, prodieri, attori, musicisti e spettatori, tutti in barca sull’Arno d’argento. Beh, proprio d’argento… Comunque il risultato fu cosi sorprendente che ancora oggi, ogni estate, viene rappresentata con successo. Vi garantisco che provare l’emozione di recitare sotto le volte del Ponte Vecchio al lume di torce e ancora sotto il bel Santa Trinita e infine sul fronte della bellissima chiesetta di San Jacopo, è di rara bellezza. Tutti gli elementi si uniscono nel cantare: l’ amor che muove il sole e l’altre stelle.

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Prospettive

Percorsi

Il tempio cucina

In viaggio dall’acqua fino al fuoco

di Raffaele Palumbo

di Massimo Niccolai

UN FUOCO. Il tempio sikh di New Delhi si trova vicino a Juma Masjid, la moschea della città. E’ la Mecca della religione sikh, dedicata all’ottavo guru sikh, Sri Harkishen Sahib. Prima di entrare nel tempio, i sikh si lavano nel sarovar, la vasca sacra. Qui si celebra ogni anno la nascita del guru Sri Sahib e l’anniversario della morte del maharajá Ranjit Singhji. Qui, ogni giorno, senza eccezioni, vengono sfamate cinquemila persone, gratuitamente e senza discriminazione alcuna. All’interno, arde un grosso fuoco, su questo si alternano pentoloni grandi quanto una cucina.

cqua aria terra fuoco. Questi quattro stati mi evocano una sola cosa: un viaggio, il viaggio del nostro mondo interno. Abbiamo grossi problemi con la memoria, gli avvenimenti più remoti si riconoscono più facilmente dai traumi che da reali ricordi. Quindi, i primi tempi della nostra vita la passiamo nell’acqua e nuotiamo felici respirando in quel liquido amniotico così tranquillizzante, fino a che un giorno accade l’inevitabile, dobbiamo cambiare senza possibilità di appello la nostra condizione. L’aria è il primo elemento con cui ci confrontiamo e non c’è dubbio: il trauma è notevole. Da un continuo dondolio ci troviamo in una stabile condizione e dobbiamo respirare questo nuovo elemento. Il tempo passa e, nonostante le nostre resistenze all’adattamento nel nuovo mondo, non possiamo altro che prendere atto della nostra impossibilità a tornare indietro e quindi accettare l’inevitabile. Poiché sospesi non riusciamo a stare, cadiamo sempre su quell’elemento solido, comprendiamo che non c’è via di uscita: il nostro mondo è lì. Ci lasciamo sedurre dalle lusinghe di soggetti alti e grossi che stanno su due trampoli e che ci sorridono continuamente e così per non contraddirli proviamo a fare come loro e cominciamo a prendere famigliarità con la terra, camminandoci sopra, a questo punto iniziamo il nostro racconto. L’ultimo stato, il fuoco, può significare varie cose, calore tonificante, vita. Comunque distrugge anzi direi senza dubbio che trasforma, ci porta in un altro stato. E qui si ricomincia. O forse si finisce.

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Polemica

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Leggi

Una stella a Firenze

Così hanno smantellato Geologia

Tu dici Ambiente

La meridiana che svela i segreti dei Venti

di Giancarlo Ceccanti

di Paolo Maddalena

di Stella Rudolph

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a notizia dell’alluvione di Genova è arrivata praticamente in diretta mentre ero nello studio con i miei colleghi; attraverso la rete hanno cominciato ad accavallarsi immagini e suoni di una forza tanto devastante quanto lo era nella città, quella dell’acqua. Morte e distruzione che arrivavano puntuali con le piogge che hanno cominciato a scaricarsi furiose dopo una interminabile estate. Non riesco più a reagire a questi eventi con la freddezza dell’addetto ai lavori; tutte le volte ormai vengo preso da un malessere sempre più profondo che tocca la mia corda umana e civile, il mio essere cittadino in questa Italia così sciagurata. Mi sono venuti a noia i discorsi che faccio ormai da più di trent’anni, da geologo di cantiere, accusato da qualcuno di appartenere ad una categoria di menagrami matricolati. Finito il liceo, entusiasmato da un professore che amava le scienze della terra e da un viaggio avventuroso che per la prima volta mi aveva fatto sentire gli odori ed i colori dell’Africa, scelsi di iscrivermi alla facoltà di geologia. Era la seconda metà degli anni ’70 - non proprio la preistoria; sembrava che avessi fatto una scelta stravagante perché nessuno sapeva cosa facessero veramente i geologi e quale potesse essere il futuro di questa professione. Dopo le defezioni fisiologiche del primo anno, rimanemmo letteralmente in quattro gatti con l’indubbio vantaggio, volendo, di poter seguire con la massima partecipazione le lezioni. Anche allora come ora, una volta laureati era difficile trovare lavoro, ma devo dire che per quanto mi riguardava (ci riguardava), ero convinto saremmo stati capaci in qualche modo di trovare una nostra precisa collocazione, tanto era disastrata l’Italia dal punto di vista ambientale. In effetti nel bene o nel male quasi tutti siamo riusciti a svolgere la nostra professione ma quanta fatica per mantenere la posizione, quanta fatica per ritagliarsi spazi di manovra sempre troppo ristretti in confronto alla complessità dei problemi che si andavano ad affrontare. Sono passati più di trent’anni ma poco da allora è realmente cambiato rispetto all’atteggiamento che comunemente si ha nei confronti dell’ambiente; l’applicazione della marea di leggi e direttive che dovrebbero governare il territorio viene vanificata dalla regolare presenza di interessi sovrastanti e contrastanti che non si può pretendere di fermare solo a colpi di burocrazia. Il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale avrebbe dovuto essere governato da una politica lungimirante improntata quantomeno ad attutire gli effetti inevitabili di questo passaggio cruciale della nostra vita e della nostra storia che inesorabilmente (non era così difficile prevederlo) avrebbe portato a profondi cambiamenti anche del nostro habitat tanto particolare quanto vulnerabile. Ancora oggi per la incapacità della politica di confrontarsi su prospettive di lungo termine, sono in via di smantellamento anche le facoltà di geologia costrette a smembrarsi per la mancanza di professori e ovviamente di studenti.

pesso la terminologia giuridica è come un’araba fenice: tutti usano determinate parole, ma pochi sanno cosa esattamente significano. La parola ambiente è stata discutibilmente definita persino dai giuristi e dalla giurisprudenza, la quale ha addirittura parlato di bene immateriale, come se la terra, le acque, il mare, le rocce, le piante e gli animali non fossero cose tangibili. Figuriamoci cosa debba pensare al riguardo il cittadino comune. E’ da segnalare, però, che la sentenza della Corte costituzionale n. 387 del 2007 ne ha dato una definizione chiarissima: “si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti. Oggetto di tutela, come si evince anche dalla Dichiarazione Onu di Stoccolma del 1972, è la biosfera”. C’è solo da aggiungere che nel concetto di biosfera sono compresi non solo i beni naturali, ma anche quelli creati dall’uomo, e cioè il patrimonio storico ed artistico della Nazione, di cui parla l’art. 9 della Costituzione. Infatti, esiste un paesaggio, non solo naturale, ma anche urbano.Anche per la parola Stato occorre riferirsi alla Costituzione. Lo Stato non è una persona giuridica, cioè, come diceva Jhering, una pura idea, ed in particolare non è l’autorità, come comunemente si ritiene, ma è il popolo, lo Stato-comunità, che si serve, per il raggiungimento dei suoi fini concreti, della persona giuridica Pubblica amministrazione. Se si pensasse a questa verità, se si pensasse che lo Stato è formato da tutti i cittadini e dai loro rappresentanti, (i Romani indicavano la Res publica con le parole Senatus Populusque Romanus), si rivaluterebbe il senso dello stare insieme, e, forse, sarebbe anche meno gravoso sopportare pesi che devono equamente gravare su tutti, come quello di pagare le tasse.

enza i quattro elementi non si vive: altresì di essi si muore per incendi, alluvioni, valanghe, smottamenti provocati da nubifragi o tzunami. È l’aria che respiriamo continuamente quello più ingannevole in quanto impalpabile finché si materializzi, in quei venti che spingono le nuvole gonfie di acqua a scaricarsi sulla terra, e d’altronde alimenta pure il fuoco. Ma dell’arcana meteorologia sono proprio i venti ad impressionarci come avviso di cambiamenti forieri di disastri oppure anche di diversi stati d’animo. Verso metà ‘400 l’arguto Pievano Arlotto si chiedeva: “Che cosa è il vento. Turbolazione d’aria, mobilità d’acqua, siccità della terra”. Il protagonismo dei venti si coglie appieno al cospetto della bellissima meridiana - su disegno di Luisa Schnabel e Filippo Camerata - eretta a Firenze nel 2007 davanti al museo Galileo. Attorno allo svettante gnomone bronzeo, che segnala il passare delle ore, sul pavimento sono tracciati non solo i segni oroscopici dei mesi, ma anche la rosa dei venti secondo i punti cardinali a ricordarci l’antica magia dei nomi evocativi degli zeffiri e quelli burrascosi, tuttora arbitri del nostro ecosistema.

La terra

di Felice Cappa

Il sole alle spalle, i piedi ben piantati a terra, nell’aria il profumo della prima vendemmia; dopo tanta acqua passata tra i filari, un pensiero: questo lembo di terra ci è dato solo in custodia…


acquifera.org

Ricetta

di Fabio Picchi

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e vi avanza una tazza di ragù sicilianizzatelo con un cucchiaino di seme di finocchio polverizzato, per condirci poi dei paccheri giganti benedetti da Dio che ogni tanto si manifesta anche a noi atei. E nell’evangelico pensiero che nessun avanzo debba essere buttato, se ve ne rimane rigirateli in una ricca besciamella (burro, latte, parmigiano ma senza noce moscata). Posateli poi in una teglina, ricopriteli con ulteriore besciamella e ricuoceteli il giorno dopo per 20 minuti. Il tutto risulterà pesante e ridondante, ma magnifico!

Pieni d’Islam Il lustro metallico dei vasai musulmani

Un verre de vin rouge

di Giovanni Curatola

di Ugo Federico

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a terra è l’argilla che da sempre nelle mani sapienti del vasaio sfruttando la rotazione (terrestre e non solo) si trasforma in oggetto. Ma è terra – unita ad acqua – anche quella dei pigmenti che la colorano (minerali con minerali, come nelle ceramiche; vegetali e animali, laddove tale è la base, come nei tessili e nei tappeti). Il fuoco è la cottura che rende la terra solida e permanente anche asciugando quello poca acqua rimasta dopo l’asciugatura naturale. L’aria può essere aggiunta o tolta! Il verde ossido del rame, rimane verde, oppure, molto ossigenato, diventa turchese. Se gli togliamo l’ossigeno quasi completamente diventa una pellicola trasparente con varie tonalità rosso ramato. E’ il lustro metallico, gloria dei vasai musulmani, spesso copiata e imitata.

eggendo un libro di Stainer, padre del concetto di Biodinamica sono rimasto attratto e anche piacevolmente confuso dalle verità raccontate. La sua è una dottrina senza dubbio appassionante ma anche difficile da comprendere se non raccontata da qualcuno che vive e vinifica seguendo quello che in fondo è un ritorno alla coltivazione della terra e al rispetto della natura del passato. Manuel Di Vecchi Staraz, giovane fiorentino, nel 2006 acquista una fantastica vigna in Francia, nei Pirenei, in una terra dove non piove mai. Il Banyuls è un vino dolce, naturale, amato e conosciuto. Ma il suo è veramente unico: vino prodotto in maggioranza da uve Grenache alle quali durante la fermentazione viene aggiunta una piccola percentuale di alcool per fermarne il processo di modo che risulti un residuo zuccherino più consistente. Vinyer de la Ruca è un’azienda dove i processi meccanici non vengono contemplati. Manuel è aiutato unicamente da una mula e dal alcune donne che pressano con il loro piedi e con attenzione i grappoli nel tino. Vino prodotto da un giovane contadino che ha scelto di rispettare la terra, alimentato dal fuoco della sua passione. Eleganza francese ma con un carattere del tutto italiano.

Cinema

Di line e di lane

Un film introvabile

Aspettando il default umano

di Juan Pittaluga

di Pietro Jozzelli

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a Terra trema de Visconti, ou Paisà de Rossellini portent en eux, comme certains vins de Bourgogne, une saveur de terre, qui vient aussi d’un sillon ouvert dans la réalité sociale. It’s a Wonderful Life de Capra ou Miracolo a Milano de De Sica, recrée la légèreté profonde de l’air, pare ce qu’ils font rêver et interprètent nos désir dans ce que nous avons de meilleurs. Amarcord de Fellini ou The Godfather I et II de Coppola ont quelque chose de l’eau, par ce qu’ils bougent, enveloppent et nous emportent dans leur courant. The Misfits de Huston ou A Woman Under the Influence de Cassavetes, ont quelque chose du feu, dans l’intimité brûlante qu’ils provoquent. La Dolce Vita de Fellini réussie à mélanger l’eau et le feu. Stromboli de Rossellini mélange la terre et le feu. On pourrait continuer comme ça dans l’absurdité, à comparer les éléments aux films. C’est arbitraire. C’est aussi curieux, je cherche, mais ne trouve pas un film qui porte au même temps les quatre éléments, est-ce possible? ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

ome sarà il prossimo default cioè il fallimento italiano? Non una alluvione disastrosa, perché le alluvioni le abbiamo già, sono ricorrenze da calendario e in qualche modo con loro conviviamo. E non sarà nemmeno un incendio più o meno simbolico di tutte le illusioni e le ultime speranze: viviamo già nell’inverno dello spirito e i barbari non hanno un futuro da bruciare su un falò. Non è neanche immaginabile un terremoto più devastante di quelli che conosciamo, non viviamo sopra la faglia di San Andreas, né un vortice di aria che devasti come un uragano il nostro povero territorio distrutto sì ma dai condoni. No, il fallimento prossimo venturo non sarà fatto né di terra né di acqua, né di fuoco né di aria. Sarà il disvelamento di ciò che siamo: un mondo di ex eroi che sopravvivono con gli occhi bassi, camminano a quattro zampe e se ne fregano di chi passa loro vicino. Leggete La strada di Cormac McCarthy, la vita ridotta a una fuga nelle tenebre dove si salva solo l’amore filiale, e troverete qualcosa di molto simile all’Italia prossima ventura.

www.ambasciatateatrale.com l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Sergio Passaro. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi Anno III Numero 10 del 1/12/2011. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it

Si ringrazia

conti capponi [conticapponi.it] Marchesi Mazzei [mazzei.it] PODERE VOLPAIO [poderevolpaio.it] Unicoop Firenze [coopfirenze.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP Questo numero dell’Ambasciata Teatrale è stampato su carta naturale prodotta con il 100% di carte riciclate post consumer

L’orto

di Stefano Pissi

Disegno Lucio Diana

N

egli orti, ancora adesso in questo dicembre, verdeggia una pianta della passata estate, il peperoncino, con ancora su le foglie i fiori e i frutti. Anche quest’anno, di nuovo, questa pianta mi sorprende; la mattina le brinate, il giorno che di luce ne ha sempre meno, e loro che resistono vicino ai cavoli neri e porri, per le minestre invernali. Se ci vogliamo divertire a coltivare un peperoncino particolare vi consiglio l’habanero (Capsicum chinense jacq.), proveniente dalla penisola dello Yucatan, probabilmente dall’Avana. Il suo grado di piccantezza è definibile pericoloso, specialmente ai meno abituati, nel 2006 i frutti di tale pianta detenevano il Guinnes dei primati per questo aspetto. La pianta deve essere coltivata a dovere, basta un vaso sul terrazzo per avere scorte di piccante per un anno intero; ma occorre terra buona, vera direi, mescolata a terriccio e stallatico, il vaso meglio se lo avvicinate ad un muro, per il calore del sole riflesso – il fuoco in arrivo – l’acqua nè tanta nè poca, giusta che non ristagni, per l’aria dobbiamo accontentarci di quella che ci meritiamo. Dopo l’estate nei suoi frutti, in particolare nei semi, si trova accumulato tutto il sole che la pianta ha recepito, un fuoco da maneggiare con cura, meglio se protetti da guanti, occhiali e mascherina se decidete di produrne polvere dai frutti essiccati. Come vedete gli elementi sono per natura pochi, elementari direi, e per forza di qualità. Per vivere ci basta poco, tanto quanto serve per complicarsi la vita; ad aver intuito questo mi ritengo fortunato, come quando faccio retromarcia in tempo prima di sfiorare il fondo di strade cul – de – sac. Mi nutre la terra se coltivandola la rispetto, conoscendola. Mi giova l’acqua, solo quando decido di farmi condurre e interrompo il percorso controcorrente. Mi rasserena l’aria quando muove la chioma dei cipressi e io la sorseggio con ritmo di natura. Del fuoco, mia energia preferita, ne faccio scorta durante le estati per gli inverni e talvolta si manifesta proprio piccante, sempre quando qualcuno mi tocca i frutti... E specialmente se schiaccia i semi!

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