amici del
musical
Das Phantom der Oper Silvester Levay The Bodyguard Loserville Titanic Shrek Cats Gerderobe #1 West Side Story Thomas Borchert Daniela Pobega ... e tanto altro!
w e b z i n e
05|2012
ciao, regina di Simona Patitucci
Cara Alida , la notizia della tua partenza per i “quartieri alti” mi ha raggiunta mentre stavamo per portare in scena lo showcase di Fantasmi a Roma, ed eravamo a poche centinaia di metri dal Sistina. è stato quindi naturale dedicarti quello spettacolo che, sono certa , ti piacerà tanto quando lo vedrai finalmente in scena, dal posto privilegiato che avrai, lassù, nella Celeste balconata. Però sentiremo la tua mancanza Alida cara, noi colleghi grandi e piccoli, ed il pubblico che di te si è innamorato ammirandoti sulle tavole del palcoscenico del Sistina di cui sei stata la Regina. Io ho avuto il privilegio di conoscerti e di frequentarti. Di godere della tua carica vitale, della tua risata sonora e contagiosa, della tua bellezza, che era e rimane intramontabile, della tua generosità di cuore. Sei stata per la mia generazione di performer e non solo, l’esempio di artista donna che univa il talento alla bellezza, la vis comica all’intensità interpretativa. Ci hai dimostrato che per far ridere, e quando hai interpretato Consolazione in Aggiungi Un Posto A Tavola, oppure nei tanti ruoli in Cielo Mio Marito, di risate ce ne hai fatte fare tante, non era obbligatorio essere bruttine o sgraziate.
Ouverture
E la tua era una bellezza che piaceva anche alle donne, cosa rara. Hai tenuto testa ai grandi primi attori maschi dello spettacolo musicale italiano, con una grinta e una vèrve impareggiabile, ne è esempio la tua memorabile Rosetta di Rugantino, che secondo me, senza voler offendere nessuna, né chi ti ha preceduta, né che ti ha seguita, rimane il TUO ruolo. Ecco, mentre scrivo di getto queste parole, mi si riempiono gli occhi di lacrime, ma già ti immagino a farmi quel gesto con la mano col palmo rivolto all’insù ed il braccio proteso in avanti che era tutto tuo, solo tuo, con quel tuo bel sorriso beffardo come a dire “Ma che stai a fà?!” E allora ti dico solo arrivederci Alida, salutami tutti i tanti amici e colleghi che hai raggiunto lassù in tourneè, e se ti capita ogni tanto buttate un occhio quaggiù che mi fa piacere sentire la vostra presenza. Buon viaggio Regina, e grazie di cuore. Tua Simona
Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine ideazione, coordinamento editoriale, progetto grafico e impaginazione Francesco Moretti in redazione Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio si ringrazia Simona Patitucci n. 05|2012 21 dicembre 2012
Dove non specificato, le immagini sono state reperite sul web. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com issuu.com/amicidelmusical
Facts & Figures
Reportage da Vienna Galà del Musical e dell’Operetta Silvester Levay Das Phantom der Oper - Das Konzert The Bodyguard Loserville Let it be Garderobe #1 Piccola Bottega degli Orrori Shrek Titanic Zorro Grease Cats Thomas Borchert West Side Story Daniela Pobega News
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foto: Nilz Bรถhme
Vienna è sempre Vienna Quattro musical dalla capitale austriaca: La Bella e La Bestia, Elisabeth, Das Phantom Der Oper - Das Konzert e Sister Act di Franco Travaglio Metti un week-end lungo a Vienna. E un poker di musical capace di scaldarti anche dal freddo autunno austriaco. Quattro capolavori che rappresentano per me vecchie conoscenze, di cui sono sempre stato appassionato e a cui ho avuto anche il piacere di lavorare con grande divertimento e soddisfazione. Tutti in tre giorni e in posti stupendi, approfittando della squisita generosità dei Teatri Riuniti, e della sempre ricchissima offerta teatrale, culturale e artistica di questa deliziosa capitale della musica e del musical. 8 dicembre 2012, h 15 Stadt Halle Die Schone Und Das Biest Niente di più di un antipasto questa produzione de La Bella e la Bestia firmata Budapester Operetten e in tour nella modernissima Stadt Halle, sala viennese a metà tra l'arena e il
teatro. Si tratta di uno spettacolo modesto, che sfoggia scene spettacolari, che scadono spesso nel kitsch senza essere nemmeno troppo funzionali (Gaston per far capire che sta crollando dalla torre deve urlare "sto cadendo!!!", la trasformazione della Bestia è la versione ‘vorrei ma non posso’ della scena di Broadway, con la Bestia appesa che rotola mentre intorno è un turbinio di gobos, e Maison des Lunes è ambientata su un pontile che limita troppo i movimenti del terzetto), coreografie sotto tono che trasformano la sezione coreografica della canzone Gaston in una lezione di aerobica, e ammiccamenti dei personaggi che salutano con la manina i bambini in sala e in alcuni casi travalicano i limiti narrativi (Lefou urla a Gaston in quinta "Ich liebe dich" - Ti amo). Intendiamoci, lo show è decisamente più professionale di tante
produzioni italiane, si avvale di un'ottima orchestra dal vivo e di un cast molto convincente, in cui spicca la deliziosa Belle di Nikolett Furedi - talento canoro cristallino e molto a suo agio in tutte le scene, anche se la regia non crede troppo in lei e sposta l'attenzione dalla sua intensa Home facendo girare vorticosamente la scena alle sue spalle, in un numero che dovrebbe rimanere a mio parere più intimistico che da baraccone. Ottime anche le qualità vocali e attoriali di Norman Szentmàartoni negli arruffati panni della Bestia, anche se insicuro nella nota finale di If I Can't Love Her complice la tra-
foto: Nilz Böhme
duzione che inspiegabilmente aggiunge una nota proprio in uno dei punti più impegnativi dello score. Simpatici, in parte e completi tutti gli altri interpreti. Nonostante tutto però, gli sforzi produttivi e interpretativi si perdono nel palato fino del pubblico viennese, evidentemente abituato troppo bene. 8 dicembre 2012, h 19:30 Ronacher Theater Das Phantom Der Oper Das Konzert Le emozioni, quelle vere, arrivano in serata, con questo meraviglioso evento in onore del venticinquen-
nale dell'Orchestra dei Teatri Riuniti di Vienna. Tra le tante partiture-capolavoro di Andrew Lloyd Webber nessuna come il Jesus e The Phantom of the Opera si prestano ad essere gustate anche in versione concerto. Lo stesso Re incontrastato del musical ha recentemente prodotto due versioni Oratorio delle sue opere, il primo in versione concerto rock di cui è da poco uscito il dvd, e il secondo in un'altra celebrazione, che ne festeggiava i 25 anni di repliche londinesi consecutive, alla Royal Albert Hall, un evento a cui però la definizione di concerto sta un po' stretto viste le scene, i costumi, gli effetti speciali
foto: Moritz Schell
sfoggiati. Tale definizione calza a pennello invece alla versione viennese a cui abbiamo avuto il piacere di assistere, in cui gli interessanti elementi di messa in scena non mettono in ombra la vera protagonista della serata: la musica, mirabilmente interpretata dai festeggiati orchestrali - un centinaio gli effettivi, diretti dalla sapiente bacchetta di Koen Schoots - e interpretata rigorosamente in tedesco dai componenti dell’eccellente compagnia, in trenta tra protagonisti e ensemble. Ai vertici del celebre triangolo amoroso Christine-Phantom-Raoul un terzetto di interpreti d'eccezione: l'intensa Lisa Antoni, che re-
foto: Moritz Schell
foto: VBW / Brinkhoff / Mรถgenburg
gala un Whishing You Were Somehow Here Again da brividi, Oliver Arno, romantico e convincente Raoul, e Christian Muller, che non ha bisogno di trucchi e maschera per cantare la deformità psicologica a sentimentale del Fantasma. La messa in scena si concentra come dicevamo sull'aspetto musicale, con l'eccezione del contrappunto simbolico di videoproiezioni che si allontanano dall'apparato iconografico originale, sostituendo ad esempio la consueta maschera con il viso di un putto che si distorce in mostro. In abiti 'borghesi' i personaggi, che utilizzano come unico elemento di attrezzeria il proprio spartito che solo di tanto in tanto leggono, specie durante i momenti metateatrali di 'opera nell'opera'. Non mancano alcuni effetti pirotecnici e l’interpretazione svavillante del lampadario del teatro nel ruolo di sé stesso. Lodevole, ma non del tutto riuscito, il tentativo di creare una sponda coreografica alla serata tramite una coppia di pur bravi ballerini onnipresenti, forse perché si è rivelato l'elemento più spiazzante rispetto alla produzione originale, o perché il Phantom non è propriamente un dance musical, o ancora perché personalmente non ho mai amato le 'presenze danzanti'. Su tutto l’immortale musica della notte (o dell’oscurità nella lezione
dell’ottimo Michael Kunze) che tutto avvolge e permea, e che ci trasporta in quella zona sospesa tra scena, quinte, illusione, mito, amore, odio, realtà, teatro e vita in cui regna incontrastato, da quasi tre decenni, il Fantasma dell’Opera. 9 dicembre 2012, h 18:00 Raimund Theater Elisabeth Triste destino quello del musical che viene dopo il Phantom... Se non è più che un capolavoro, dopo l’esperienza lloydwebberiana per eccellenza lo spettatore rischia l’effetto nostalgia e il confronto impietoso. Per fortuna in questo caso il testimone è passato a un altro capolavoro, ‘il’ capolavoro assoluto della coppia d’oro del musical austro-tedesco, il paroliere e librettista Michael Kunze (che nasce adattatore) e il compositore Sylvester Levay (che nasce compositore di colonne sonore di film d’azione). Eppure sembra che siano andati a scuola proprio dal Lord in persona o almeno da Boublil e Schoenberg, e siano stati i primi della classe. Hanno capito perfettamente e fatte proprie le regole del Megamusical: come sposare musica classica e pop, come raccontare una storia tramite leit-motiv e liriche d’effetto, e soprattutto come scegliere i soggetti vincenti. La vita della principessa Sissi, nono-
stante la fuorviante e strappalacrime saga di Romy Schneider, è perfetta per diventare un musical gotico di grande effetto. C’è tutto: mistero, politica, intrighi, sentimento (ma non sentimentalismo), atmosfere cupe, un narratore beffardo. Mancava giusto il triangolo amoroso, ed ecco la genialata di inserire come terzo incomodo nella coppia reale Elisabeth - Franz Joseph, niente meno che Sua Maestà, la Morte. L’amore fatale della principessa per la propria autodistruzione, incarnata da un giovane androgino (ma sempre più mascolino nelle ultime riedizioni) e i loro
foto: VBW / Brinkhoff / Mögenburg
ripetuto attrarsi e respingersi fino al liberatorio bacio finale, fornisce ai due autori materiale da vendere in quel gioco sospeso tra simbolismo, ossessione e drammaticità che è stato il pane quotidiano del musical di fine secolo. Citiamo i vertici anche di questo triangolo: Annemieke Van Dam si è ormai scrollata di dosso lin confronto con le ingombranti colleghe che hanno costruito la carriera su questo personaggio, e indossa con grazia, energia e convinzione i bellissimi costumi di Elisabeth; la cover Rory Six rinuncia agli urletti in falsetto per costruire la Morte più con l’intensità che con gli effetti speciali, Franzi-
skus Hartenstein dà il giusto spessore a Franz Joseph, seguendone con aderenza il percorso umano e drammaturgico senza mai risultare bolso (è lui l’anello debole a livello di scrittura, come Raoul). Simpatico, talentuoso ma troppo bonario il Lucheni di Kurosh Abbasi, e di grande livello tutto il resto del cast, tanto che è un piacere trovare nell’ensemble Carin Filipcic tornata nei panni di Frau Wolf dopo aver creato Miss van Hopper in Rebecca. L’allestimento non riproduce fedelmente quello del tour visto recentemente a Trieste con in scena alcuni membri di questo cast, ma
foto: VBW / Brinkhoff / Mögenburg
rappresenta una riedizione dell’originale andato in scena al Theater An Der Wien, con tanto di girevole a più livelli che sprofonda, si apre, si eleva in diagonale. Tutte le diavolerie insomma che danno mano libera al regista Harry Kupfer per sorprendere continuamente lo spettatore senza allontanarsi dall’idea di fondo: la vita di Sissi vista come un enorme Luna Park con tanto di autoscontri, giostre, partite a scacchi ad altezza naturale. C’è anche una chicca in questa riedizione: il duetto Morte / Elisabeth Rondo Schwarzer Prinz presente nelle versioni ungherese e giapponese ma mai inserita in un cast album viennese.
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10 dicembre 2012, h 19:30 Ronacher Theater Sister Act Torna dopo la pausa phantasmagorica la lunga tenitura del Ronacher che si appresta a lasciare la scena alla versione austriaca di Legally Blonde. Ultime settimane di repliche quindi per Sister Act, uno degli innumerevoli cast internazionali del format Stage Entertainment, regia di Carline Brouwer, lo stesso spettacolo che abbiamo avuto la fortuna di applaudire anche nel nostro Paese durante la scorsa stagione. Per ragioni di conflitti di interesse non farò confronti, sappiate però che, almeno contando le risate, il pubblico milanese non ha nulla da invidiare, anche rispetto alla versione parigina - deliziosa - che ho visto recentemente. Ma torniamo a Vienna: tocca alla star Ana Milva Gomes (Aida, Lion King,Tarzan) vestire gli abiti della suora per caso e cantare la meravigliosa partitura di Alan Menken e recitare il testo riscritto per Broadway da Douglas Carter Beane, il tutto tradotto in tedesco da un team di ben quattro adattatori. Il ritmo di questa edizione è indiavolato, a volte anche a discapito di una risata in più, e ci si trova immersi sin dall’inizio in questa ‘caccia alla donna‘ senza possibilità di annoiarsi. Lo spettacolo dimostra che i Teatri Riuniti di
Vienna, sicuramente conosciuti in gran parte per titoli più drammatici, hanno nelle loro corde anche produzioni più frizzanti, e il pubblico, pieno di giovanissimi, risponde alla grande. Il punto di forza è sicuramente il cast: leggendo il simpatico programma di sala che presenta gli artisti con tante foto-segnaletiche, scopriamo che quasi tutti possiedono un curriculum impressionante: citerò per tutti la novizia Barbara Obermeier, che è stata in Les Miserables, Ludwig2, Jekyll&Hyde, Rebecca,Tanz Der Vampire. Tutti sono perfetti e in parte, e presentano una recitazione molto stilizzata e irresistibile, dal Monsignore fino all’ultimo dei chierichetti. A sostituire la star Drew Sarich ora sul ring di Rocky, è entrato nel cast un’altro nome del musical tedesco, sebbene stranamente non ci sia nemmeno il suo cv nel programma: Patrick Stanke è Joey, lo sgherro piacione che canta coi colleghi l’irresistibile Lady in the long black dress. Ovviamente non mancano i travolgenti numeri delle suore, i battibecchi con la superiora (la brava Dagmar Hellberg), la pelliccia di puffo, tante emozioni e soprattutto un mare di risate.
Sotto le stelle del Rossetti Gran Galà per festeggiare i vent’anni dell’Associazione Internazionale dell’Operetta, con tanta musica e ospiti di prestigio di Enrico Comar Platea colma, galleria invece un po’ lacunosa; qualche autorità, diversi artisti, e in prima fila, inconfondibile, lui: Sylvester Levay, intento a chiacchierare con la vicina (che, come scoprirò poi, è sua moglie) e ad ammirare il soffitto del teatro. Io naturalmente sono in ritardo (di nuovo); faccio appena in tempo a sedermi quando le luci si abbassano, segnando l’inizio dello spettacolo. Paolo Limiti, anfitrione della serata, dimostra sin da subito un entusiasmo esagerato, avventurandosi in una lunga e articolata lode a Trieste e la sua cultura teatrale e artistica. Apre le danze (è proprio il caso di dirlo) la splendida e sontuosa Gold und Silber di Lehar. Seguono, in rapida successione, alcuni classici dell’operetta, affidati alla verve di Andrea Binetti. Si parte da L‘amore sciocco di Kalman (accompagnato dalla deliziosa Ilaria Zanetti) per poi passare a Tace il labbro di
Lehar (con Daniela Mazzucato) e Bruna bimba d’Ungheria, ancora di Kalman (Maria Giovanna Michelini), nei quali l’energico istrionismo di Binetti si conquista i favori del pubblico. Non meno mattatore è Paolo Limiti, che tra un brano e l’altro guida il pubblico in un viaggio nella storia dell’operetta, continuando a sfoderare aneddoti e curiosità di ogni genere, con una disinvoltura che sfiora a volte il surreale (“Lo sapete il dialetto viennese, vero?“), avendo comunque cura di inserire gli interventi garantendo una certa fluidità, senza appesantire più di tanto l’insieme. Agile e frizzante, l’orchestra regionale Filarmonia Veneta offre una prova eccellente sotto la direzione di Romolo Gessi, tanto nei brani cantanti, quanto negli intermezzi strumentali, passando agilmente dell’eleganza e leggerezza di Lehar al brio frizzante dello Strauss più mondano.
Il temuto momento istituzionale di rito giunge a metà spettacolo senza turbare più di tanto l’insieme. Claudio Grizon e Danilo Soli (rispettivamente presidente e presidente onorario dell’Associazione) per fortuna conoscono bene i tempi teatrali e riescono ad essere esaustivi senza annoiare (dote che non tutti, anche nell’ambiente, hanno). Grizon ringrazia il pubblico triestino, ricordando i venti anni dell’associazione (i modesti inizi, l‘espansione negli anni 2000, il Festival internazionale dell’operetta, i Pomeriggi musicali e le molte iniziative sorte in questi vent‘anni); i “primi venti anni” ci tiene a sottolineare, prospettando
un lungo futuro malgrado il momento di crisi, ammettendo senza giri di parole le difficoltà attuali (la sospensione, forse definitiva, del prestigioso Festival dell’operetta in primis) ma dicendosi speranzoso per gli anni a venire. Segue la consegna del Premio Massimini a Simone Leonardi. “Un premio, per il momento, sulla fiducia” sottolinea il giovane interprete di Priscilla. Fiducia che si annuncia ben riposta, a giudicare dalla delicata e struggente (“ma tutto il resto di Priscilla è allegrissimo” rassicura Leonardi) interpretazione del brano MacArthur Park in cui si esibisce pochi istanti dopo.
La seconda parte della serata è invece dedicata interamente al musical. Netto cambio di registro nella direzione musicale di Gessi, con l’orchestra che, abbandonate le sonorità operettistiche, intona energicamente una suite sul tema di Night and day di Cole Porter. Non mancano nuove parentesi storico/aneddotiche da parte del presentatore, che a tratti può contare su Gessi, a metà tra il complice e il rassegnato, a fargli efficacemente da spalla. Dopo una Smoke gets in your eyes di Jerome Kerne dall’arrangiamento bizzarro (e un po troppo Plattersstyle), un simpatico siparietto sull’incapacità degli italiani di battere a
tempo le mani in levare (puntualmente confermato un minuto dopo) introduce la Gershwin Medley (But not for me, Embraceble you, ‘s Wonderful) affidata ad una vigorosa e trascinante Cheryl Porter (a dire il vero un po‘ stridente con il tono generale della serata, ma molto apprezzata dal pubblico in sala). Prima di arrivare al Gran Finale (catapultati nuovamente nel mondo dell’operetta, con i due splendidi corali da Il pippistrello e La vedova allegra, inframmezzati, con poca coerenza ma grande effetto emotivo, dalla My Way della Porter) ecco il momento più atteso dagli amanti del musical.
Invitato da Limiti, Levay sale sul palco per ricevere il Premio internazionale dell’Operetta. Superata, non senza difficoltà, la surreale intervista del presentatore (che, incurante dei tentativi del musicista di portare la conversazione sul musical, insiste sulla sua carriera di compositore per il cinema, continuando peraltro a interrompere le risposte per fare la traduzione simultanea al pubblico in sala, con il risultato di travisare completamente la trama di Mozart!), Levay si siede finalmente al pianoforte e, per quattro minuti, semplicemente incanta. A Stefania Seculin spetta invece
l’onore e l’onere di eseguire due cavalli di battaglia del compositore. Comprensibilmente tesa quando intona Ich gehoer nur mir (nell’ormai consueta traduzione italiana di Franco Travaglio) di fronte a Levay, ne esce a testa alta, guadagnandosi l’applauso di tutta la platea. Tensione che invece scompare del tutto, pochi minuti dopo, sulle note di Gold von den Sternen, lasciando spazio all’emozione più pura. E quando le mani della sua Baronessa Von Waldstätten si tendono verso la volta stellata del Rossetti, tutta la platea, Levay incluso, non può fare a meno di guardare verso l’alto.
Silvester Levay Quattro chiacchiere con l’autore di tanti grandi successi del musical austriaco, da Elisabeth a Rebecca di Enrico Comar Incontro Sylvester Levay (anzi, Lévay Szilveszter, come imporrebbe la grafia ungherese) durante l’intervallo del Gala internazionale dell’operetta e del musical, intento a sorseggiare un calice di prosecco accanto alla moglie, nel foyer del Teatro Rossetti di Trieste. Il sorriso affabile e cordiale che sfodera sotto i folti baffi grigi e una calorosa stretta di mano non bastano a cancellare del tutto la mia soggezione, nel trovarmi faccia a faccia con uno dei “miti” del teatro musicale contemporaneo. I tempi sono molto stretti, quindi, dopo le rapide presentazioni, parto subito con le domande. Lei lavora abitualmente con il librettista Michael Kunze. Qual è, a grandi linee, il vostro abituale metodo di lavoro? Dedichiamo innanzitutto molto tempo alla ricerca di un soggetto valido; è indispensabile lavorare su
qualcosa che sia in grado di stimolare positivamente entrambi. Poi iniziamo il processo creativo vero e proprio. Sono generalmente necessari dai 4 ai 6 anni per scrivere un musical, durante i quali io e Michael lavoriamo a stretto contatto, confrontando continuamente il nostro lavoro fino ad esserne completamente soddisfatti. Lavorando a stretto contatto, è molto importante la fiducia che ognuno riversa nell’altro, così come l’onesta reciproca, anche nel caso di dubbi o critiche. Lo stretto legame che si è creato tra noi nel corso degli anni rende a volte un po’ difficile dire apertamente “ehi, questo brano non funziona” o “questo testo non è buono”, ma sappiamo entrambi che è necessario. Nel 1992, con Elisabeth, lei ha segnato un punto di svolta nel teatro musicale europeo, soprattutto nei
paesi di lingua tedesca. A vent’anni da allora, come è cambiato, secondo lei, il mondo del musical europeo? C’è stata sicuramente un’evoluzione che ha portato diversi cambiamenti sia positivi che negativi. Venti anni fa il musical attraversava una fase di grandissima popolarità in tutto il mondo, soprattutto grazie alle novità portate da autori di “scuola europea” quali Lloyd Webber o Schoenberg. C’è stato un momento in cui tutti sembravano voler fare teatro, produrre e finanziare spettacoli. Questo da un lato ha reso le cose molto più facili, ma dall’altro ha creato non poche difficoltà. Si è
giunti ad avere troppi teatri, troppi spettacoli, rendendo più difficile realizzare e dare spazio a show di qualità. Si creano spesso musical mediocri che restano in scena per un po’ e poi vengono dimenticati; ma il pubblico di oggi pretende qualcosa di più, vuole assistere a spettacoli in grado di appassionare, di far provare loro qualcosa. Uscendo da un teatro, uno spettatore non ragiona in termini di “questa cosa era bella, questa era brutta, ecc”, quello che ricorda sono le emozioni che lo spettacolo è riuscito a dare. Noi autori, oggi più che mai, dobbiamo davvero lavorare “per il pubblico”
prima che per noi stessi, capire di cosa il pubblico ha bisogno e cercare di darglielo. E’ per questo che spesso apporta modifiche ai suoi lavori nel corso del tempo? Per me è molto importante continuare a lavorare costantemente su di essi. Spesso gli stessi spettacoli vengono proposti a platee di cultura, tradizioni e gusto completamente differenti. Ogni volta che ci si trova di fronte ad un determinato pubblico, lo spettacolo deve necessariamente adattarsi alle esigenze e alle necessità di quel pubblico. Abbiamo alle-
stito Elisabeth in Austria, Ungheria, Italia, persino in Corea e Giappone ed ogni versione è stata modificata rispetto all’originale. Nel caso di Marie Antoniette lo spettacolo è stato interamente riscritto appositamente per il pubblico giapponese. Ed è sempre un’esperienza splendida, perché ogni volta mi rendo conto di imparare qualcosa di nuovo sulla mia stessa opera. Il segnale acustico annuncia la fine dell’intervallo, ma Lévay non sembra avere fretta, malgrado il bicchiere ancora pieno e la moglie in attesa accanto a noi, spingendomi anzi a continuare l’intervista.
Corea e Giappone negli ultimi anni sembrano essere un terreno fertile per molti autori occidentali. L’estremo oriente potrebbe essere una nuova frontiera per il musical? Si. L’estremo oriente sta rapidamente crescendo in tal senso. Negli anni ‘90 abbiamo portato Elisabeth in Giappone con grande successo ed adesso la stessa cosa sta accadendo con la nuova produzione coreana in corea. Nella loro cultura c’è una naturale comprensione, un feeling con il dramma e la musica che li rende un pubblico particolarmente avido di emozioni. Inoltre sono molto interessati e affascinati dalla cultura europea.
Un’ultima domanda, forse un po’ indelicata. Qualche commento sulla questione “Rebecca a Broadway”? Non è affatto una domanda indelicata. Anzi è una domanda valida. E‘ stata una triste faccenda. Abbiamo lavorato per 6 anni per produrre quello spettacolo, prima a Londra poi a New York, ed ogni volta che si iniziava a fare qualcosa di concreto, qualche incidente se non qualche comportamento criminale, bloccava il lavoro, costringendoci a ripartire da zero. (suona l’ultimo avviso, mentre il pubblico sta già rientrando in sala, Lévay beve in sol sorso il bicchiere di vino e non accenna a smettere di parlare) Ora Rebecca è un titolo famoso a Broadway. Il New York Times, il New York Post hanno parlato di noi, hanno scritto articoli su questo nostro calvario. Quello che prima era solo “un altro musical europeo” adesso è qualcosa di importante. Ironicamente il non andare in scena lo ha reso più celebre. Questa è la vita, no?
foto: Moritz Schell
Un Phantom “minimal” ma di grande effetto A vienna la versione in concerto dei VBW, diversissima da quella del 25ennale londinese di Enrico Comar Dopo aver visto il Ronacher goticamente addobbato durante Tanz der Vampire, mi aspettavo un annuncio più plateale per il venticinquesimo anniversario viennese di Phantom der Oper. Invece all’ingresso campeggia l’insegna di Sister Act (in scena al Ronacher fino al 2013) e, in tutto il teatro, solo qualche locandine annuncia “l’evento” (ben pubblicizzato invece lungo le strade della città) Dimentichiamo quindi fin da subito la pompa magna dell’anniversario londinese di due anni fa o di altre operazioni simili (del resto,Vienna non vede un Phantom in scena da un bel po’, quindi questo compleanno ha un sapore più nostalgico che celebrativo). La versione presentata è puramente concertistica: Niente scenografia, niente oggetti scenici (tranne quelli esibiti, non si sa bene per
quale ragione, nel prologo), poche, semplici proiezioni (più simboliche che scenografiche) ad accompagnare l’azione; uomini in frac, donne in abito da sera ed ensemble in completo scuro, niente make-up per il Fantasma, e soprattutto, niente maschera (che ricompare solo nel finale, con un ingresso a effetto che compensa in parte la sua assenza nel corso dello spettacolo). Ma non ci si aspetti nemmeno il classico concerto con i cantanti allineati di fronte ai microfoni. Seppure in “forma non scenica”, questo Phantom possiede infatti una teatralità del tutto particolare. L’azione appare sin da subito intensa, dinamica (coreografia, efficacissima, di Pascale-Sabine Chevroton), con gli attori che si muovono liberamente sulla scena (l’ensemble anche in platea), interagiscono con l’orchestra (anch’essa sul palco, proprio al centro dello
spazio scenico) e con il teatro stesso (il “box n°5”, il sipario e, naturalmente, il grande lampadario del Ronacher). Il regista (ammesso di “regia” vera e propria si possa parlare) sceglie una forma ibrida che a tratti lascia un po’ perplessi (i personaggi che girano per il palco con lo spartito chiuso - sempre in mano, a volte sapientemente utilizzato come og-
foto: Moritz Schell
getto scenico, altre volte semplicemente di impaccio per gli attori, costringendo ad esempio il povero Oliver Arno - Raoul - a fare acrobazie quando cerca di abbracciare Lisa Antoni - Christine - alla fine del primo atto), ma che riserva anche grandi emozioni, con soluzioni sceniche spesso di grande effetto (a partire dalla coppia di ballerini che accompagna i protago-
nisti in scena, spesso fungendo quasi da “doppio” degli stessi, dando vita ad una dimensione onirica e magica che offre nuovi interessanti spunti interpretativi), adeguatamente sostenute dall’ottimo lavoro di luci di Andrew Voller. Koen Schoots, alla guida dell’orchestra dei Vereinigten Bühnen viennesi, cesella ogni suono cercando di penetrare le sfaccettature dell’arrangia-
mento di David Cullen. La cosa a volte funziona egregiamente, con sonorità insinuanti e barocche, in altri momenti sembra perdere invece di vista l’equilibrio di insieme (affetto da una sorta di horror vacui sonoro, si ostina inoltre a non comprendere l’importanza, drammatica prima ancora che musicale, dei silenzi). Bravi Ramin Dustdar e Reinhard Brussman nei ruoli di André
e Firmin (il secondo più del primo), così come il simpatico (e vocalmente impeccabile) Emilio Ruggerio nei panni di Piangi. Splendida la Carlotta del soprano canadese Siphiwe Mckenzie. Oltre a sfoderare una voce operistica di magnifico smalto e grande tecnica, dimostra una grande verve scenica senza indulgere a eccessi o effetti “ruffiani” (avendo l’accortezza di non sminuire il personaggio
foto: Moritz Schell
rendendolo una pura caricatura). Oliver Arno (già splendido Rudolf nella recente trasferta italiana di Elisabeth) sfoggia una voce solida e ottime doti sceniche, senza tuttavia riuscire a dare a Raoul il carisma sufficiente a reggere il paragone il rivale. Lisa Antoni è probabilmente la vera trionfatrice della serata, dimostrandosi non solo l’elemento migliore del cast, ma una Christine in grado di competere con le più
note interpreti internazionali del personaggio. Appena qualche gradino al di sotto di lei sta l’ormai veterano (malgrado la giovane età) Christian Müller, nel ruolo principale.Voce ricca, timbro fascinoso, fraseggio intelligente ed espressivo, anche se ha la tendenza ad apparire scenicamente fin troppo “discreto” rispetto alle potenzialità del personaggio, del quale riesce ad ac-
centuare molto bene la solitudine e la fragilità, dandone un ritratto in definitiva piuttosto coinvolgente e commovente. Teatro colmo, giustamente caloroso con tutta la compagnia. Piccola folla all’uscita artisti, nonostante il freddo e il vento, con il cast più che disponibile a parlare con i fan (pardon, phan). E attorno a noi la gelida, calorosa, frizzante Vienna natalizia, magica quasi quanto il suo Fantasma.
The Bodyguard Un po’ musical, un po’ concerto, per far rivivere in scena una grande e indimenticata storia d’amore di Sara Del Sal Chiariamolo subito: è uno spettacolone. Conoscendo l’Adelphi Theatre, è facile immaginare a un allestimento imponente. Ed è esattamente quello che ci si trova di fronte per il nuovo musical The Bodyguard. Nonostante il titolo ingombrante, che riporta per nulla velatamente alla pellicola del 1992 con Whitney Houston e Kevin Costner, lo spettacolo si rivela una grande sorpresa. Luci e scene sono curatissime e funzionali alla storia con tanto di chalet di montagna che ricorda tanto quello del Tanz Der Vampire. Basta un primo sguardo per capire che ci sono tutte le caratteristiche dello spettacolo in grande stile, ma c’è molto altro. Le scene continuano a cambiare, e nonostante sia impossibile riprodurre il lavoro fatto per girare una pellicola su un palcoscenico, ci sono andati molto vicini. Basandosi sulla storia di Rachel Marron, una cantante-attrice in nomination per l’Oscar, non si po-
teva non tenere conto dell’effettoconcerto.Volumi quindi utilizzati ad hoc per dare l’impressione di essere parte delle sue esibizioni, da pubblico, tra il pubblico. Qualcuno ha già catalogato questa produzione come jukebox musical. Ma in realtà non è proprio così, o almeno non solo. Tra le innumerevoli hits della Houston infatti fanno capolino anche degli inediti, che fanno da collante alla storia, ed il fatto che le esibizioni di Rachel siano parte della storia in realtà, con una regia meno accurata sarebbe potuto risultare penalizzante, invece dando sempre una diversa contestualizzazione agli eventi, il gioco diventa divertente ed entusiasmante. Il fatto che in West End sia stata chiamata Heather Headley per il ruolo della Marron è già una notizia di per sé, ma quando la sua voce riempie il teatro è lampante che la scelta è stata fatta per colpire ed andare a segno. Non si
può guardare lo spettacolo senza restare colpiti. Quando parla ha una voce molto profonda e quando canta invece ha mille colori. Attenzione, però, perché non è l’unica che sa far venire la pelle d’oca. Debbie Kurup, che interpreta Nicki Marron, la sorella meno fortunata e più cattiva, è una grande performer, che strappa applausi a scena aperta. Lloyd Owen, nel ruolo che fu di Kevin Costner, è un agente Farmer molto elegante, serio, dedito al suo lavoro. Un grande attore. Di prosa. Quando era stato presentato il musical lui stesso aveva sorriso all’idea di cantare, e il modo in cui approccia una canzone, in una serata al ka-
raoke con Rachel, è davvero sorprendente. Riesce a recitare, intonando leggermente, in modo sornione, un colosso come I will always love you, che farebbe paura anche ai cantanti più navigati. Il fatto è che lui ci riesce con naturalezza e simpatia, senza volere dimostrare nulla. E funziona. Alcuni critici lo hanno definito statico, ma lo era lo stesso Costner, fa parte del ruolo una certa postura, e in definitiva, guardandolo, si fa ben amare dal pubblico, fin dal suo ingresso. Mark Letheren fa i conti, vincendo, con un personaggio odiatissimo, anche a scena aperta, da tutti. Lui è quello che vuole uccidere la star della
quale è innamorato, ed è incredibile come anche gli adulti, inglesi, tentino di proteggere la loro beniamina dalla platea. Un po’ come fanno i bambini quando, vedendo uno spettacolo avvertono il pericolo e cercano di avvisare il protagonista. All’ Adelphi accade lo stesso. Persino negli applausi finali, quando esce viene accolto da un coro di disapprovazione, che poi però si tramuta in un fragoroso applauso, perché Letheren è più che credibile e dotato non solo nella recitazione, ma anche nel canto. Anche in questo caso c’è un bambino, il figlio della Marron in scena, e, ovviamente è perfetto nel ruolo, completo. Insomma gli ingredienti ci sono tutti per passare una bella serata. Un po’ di suspence, un po’ di amore, un pizzico di follia e tanta buona musica. Chi volesse leggere lo spettacolo come un tributo alla Houston non troverà difficoltà a farlo, e si renderà conto di quanto, per certe canzoni, serva l’impasto di tre voci per raggiungere sonorità simili alla sua, indimenticata e indimenticabile. Se ci fosse qualcuno che non ama le trasposizioni da film a musical, sappia che loshow è molto ben bilanciato, non ci sono salti imbarazzanti tra parlato e canzoni. Se ci fosse qualcuno indeciso sulla scelta di questo spettacolo in un eventuale viaggio a Londra…beh… andatelo a vedere, e capirete da soli perché meriti il prezzo del biglietto.
Loserville Da Londra un musical fresco e giovane tra nerd e computer anni Settanta di Sara Del Sal Girovagando per Londra, a pochi passi dalla stazione della metropolitana di Leicester Square, ci sono numerosi teatri, uno di questi è il Garrick, ed è proprio lì che si può passare una serata spensierata, con uno spettacolo nuovissimo, ed in chiusura il prossimo 5 gennaio. Loserville the musical non lascia spazio alle indecisioni, o piace o non piace. Ma se piace…piace tantissimo. è il classico spettacolo per il quale il pubblico italiano si potrebbe entusiasmare, perché si basa su canzoni fresche, molto corali, è coloratissimo, è ironico, è pieno di simpatia e di buoni sentimenti e c’è ovviamente una storia d’amore. O più di una. Si parte da un genio dei computer, che ha una missione: riuscire a mandare un messaggio da un terminale all’altro. Ovviamente siamo negli anni ’70, in cui i computer erano ancora dei macchinari enormi, utilizzati da pochi e capiti
principalmente dai nerd delle scuole. Ed è proprio uno di loro, Michael, che tenta di mettere in atto la sua idea. Con i suoi compagni di scuola si ritrova nella stanza del computer e lavora incessantemente, cercando una soluzione. Gli altri sono un virtuoso ma incompreso scrittore di fantascienza, Lucas, e due appassionati di Science Fiction. Insomma, gli sfigati della scuola, amici per la pelle e pieni di sogni e passioni. Nella scuola arriva Holly, una ragazza che si presenta con gli occhiali e un bel bagaglio culturale e che si intende di computer. Michael, che vede immediatamente in lei una potenziale partner nel suo progetto, deve però affrontare la sua incapacità di parlare con le donne e viene aiutato da Lucas, che con le parole è molto più sciolto. I due ragazzi finiscono per innamorarsi di Holly e si giocano l’opportunità di invitarla fuori.Vince
Michael, che la porta al Planetarium, dove, dopo momenti di puro imbarazzo ma nell’atmosfera da sogno delle stelle, riesce a trovare il coraggio di baciarla. Il bello della scuola, Eddie, figlio di un ricco imprenditore, si ritrova minacciato di finire nell’esercito dal padre che non vede in lui nessuna delle capacità manageriali che invece contrad-
distinguono i suoi fratelli. Per non perdere il suo futuro da sogno, con la ragazza che sta al suo fianco, e che è la più carina della scuola, mette in atto un piano perfido. Ricatta Holly con delle fotografie del suo passato, un passato per nulla da nerd, nella scuola che aveva precedentemente frequentato, e la costringe a lavorare per lui, rubando i
dati di Michael con la complicità di Lucas, che sentendosi abbandonato dagli amici, e soprattutto da Michael, che passa tutto il tempo con Holly, la ragazza che lui stesso ama, si vende al nemico per vedere pubblicato il suo libro. Intanto c’è anche il festival della fantascienza e i loro due amici vincono con un progetto davvero divertente, ma la
vincitrice femminile è una delle amiche della ragazza di Eddie, che coltiva di nascosto la sua passione, per non essere presa in giro dalle amiche, concentrate invece su cose piÚ futili, e trova il coraggio, grazie alla vittoria di prendere le distanze. Al party per celebrare le vittorie al Festival tutti si divertono. Ma non Holly, che si trova costretta ad ac-
cettare la proposta di Eddie e che viene sorpresa, mentre Eddie la bacia, proprio da Michael. Mentre Holly tenta in ogni modo di trovare la chiave per risolvere l’enigma informatico, Michael è arrabbiato e sconfortato, e non vuole nemmeno parlare con Lucas, avendone scoperto il tradimento. Un attimo e Holly trova la risposta ma non sa proprio come metterla in funzione. Fa in modo che Lucas ne parli con Michael e organizza una conferenza stampa nella quale Eddie dirà al mondo e al padre di essere riuscito a fare un grande passo nel mondo dell’informatica. Il giorno della conferenza stampa tutto è pronto e
Michael, seguendo le istruzioni di Holly manda quindi un messaggio dal suo computer a quello che sta utilizzando Holly. La prima email. Un trionfo, ma non per Eddie, che si vede spedire nell’esercito, essendo stato smascherato di fronte a tutti. Michael e Holly festeggiano e si ritrovano. Mentre Lucas incontra per caso la ex di Eddie, che ha trovato il suo libro nella spazzatura e gli dice che lo ha adorato. Finale scontato, forse, per una storia non certo impegnativa ma che funziona. I dialoghi sono freschi e Lucas, Richard Lowe, è straordinario, perché ogni volta che parla va a citare capolavori come Guerre Stellari o simili, ed
è un godimento stare a cercare tutti i riferimenti che fa. Un cast giovane e fresco con Eliza Hope Bennet nel ruolo di Holly e Aaron Sidwell in quello di Michael, e con il fisicatissimo Stewart Clarke in quello di Eddie, ma nel quale è proprio Lowe a brillare più di tutti, perché suo è il personaggio più impegnativo, che trova il culmine nella canzone Holly I’m the one, nel quale lo struggimento e le emozioni arrivano dritte al pubblico. Una produzione non multimilionaria che ha saputo far fruttare l’ingegno. Una gabbia di ferro fa da contorno al palco, ma si muove, ed ha in sé centinaia di stelle, che
sanno accendersi al momento giusto, togliendo il fiato. Per il resto… largo alla fantasia, con dei cartoncini che si fanno matita, banco, zaino, e qualsiasi altro oggetto, arrivando ai titoli di coda o ai nomi dei protagonisti. Come dire… c’è addirittura, nel massimo risparmio, qualcosa in più rispetto agli altri musical. Nonostante lo spettacolo sia davvero ben fatto e ben cantato, non ha ottenuto gli apprezzamenti sperati, e il 5 gennaio lascerà il teatro del West End… ma speriamo per trovare spazio in altri teatri del mondo… perché quando si esce dalla sala rimane tanta voglia di rivederlo.
Dimmi chi erano i Beatles A Londra furoreggia Let it Be, musical-tributo alla band più famosa di tutti i tempi di Sara Del Sal Mettiamola così… i Beatles sono un simbolo dell’Inghilterra, come la Regina, e il Big Ben e quindi sembra forse anche tardi per uno show dedicato a loro. Un debutto al Prince of Wales Theatre, in Leicester Square, dove peraltro gli stessi Fab Four si esibirono in un concerto nel 1963 ed è proprio da lì che parte il racconto. Let it Be è un concerto teatrale che ripercorre, attraverso le canzoni, le tappe di una carriera strabiliante che ha portato i Beatles a diventare forse la band più famosa del mondo. L’impianto scenico è scarno, con la band in primissimo piano, come si conviene per un concerto, ma sul fondale e ai lati ci sono delle video proiezioni che contestualizzano i diversi stadii della loro conquista del mondo musicale. Ci sono mille colori, grazie alle luci e ai costumi, che movimentano la scena, e poi ci sono loro. Si devono essere parecchio divertiti i
produttori e il regista a fare il casting, perché sono riusciti a scovare degli artisti che davvero assomigliano agli originali, e, a sorpresa, tra loro c’è, a dare corpo a Paul McCartney, un ragazzo che ha partecipato a X Factor. Non sarebbe una gran novità per il West End, non fosse altro che il giovane, che assomiglia davvero tanto a uno dei suoi miti, ha partecipato all’edizione italiana, ed è infatti un italiano che si chiama Emanuele Angeletti. Con lui sul palco, per un doppio cast, ci sono John Brosnan, Gordon Elsmore, Michael Gagliano, Reuven Gershon, Stephen Hill,Phil Martin e il bravissimo (ed è il secondo McCartney, il che è quasi da non credere) James Fox, che in Italia avevamo applaudito per la sua straordinaria interpretazione dell’Americano in Chess, al Rossetti. Il gioco delle somiglianze ha fatto ottenere il ruolo a Angeletti ma non
c’è da stupirsi se i fortunati che trovano sul palco Fox escono davvero senza fiato da teatro. Il pubblico in sala si diverte e canta, dalla prima all’ultima, le canzoni che conosce da sempre. Ma è un pubblico adulto, che se le ricorda ancora. I teenager non sono così numerosi, forse anche perché i loro miti di oggi sono altri. è uno show che scorre veloce tra titoli insormontabili ed indimenticabili come I Wanna Hold Your Hand, Hard Day’s Night, Day Tripper, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Strawberry Fields,When I’m 64, Hello Goodbye, Get Back o, ovviamente la canzone che da il titolo all’evento. Tutto funziona alla perfezione, e guardando bene nel team della produzione, c’è BB Production, che ha già portato in Europa Thriller Live e
che non mancherà di certo di pensare di portare in tour anche questo titolo. Se cercate due orette e mezza di musica suonata bene e cantata come cantavano i veri Beatles…questo è lo spettacolo che fa per voi. Ma se anche voi, guardandoli e assistendo alle proiezioni dell’epoca con le ragazzine urlanti e piangenti che si strappavano i capelli, pensate che voi non lo avreste fatto, non per loro per lo meno… rifletteteci su, perché in mezzo a quelle famosissime ci sono anche canzoni che un pubblico meno preparato nel loro repertorio potrebbe non conoscere e, se il genere non vi appassiona, potreste trovarle un po’ noiose. Insomma, è uno show che va visto ma che viene apprezzato di più da chi i Beatles li ama per davvero.
Le foto del servizio sono di Gabriela Knoch
Roba da primedonne Dalla Baviera Garderobe Nr. 1, uno show per sole donne... anzi, per primedonne di Laura Confalonieri Quando un ballerino/coreografo cura la regia minimalista di una rivista musicale, è quasi scontato che il balletto la farà da padrone. E se le protagoniste sono solo due, toccherà ovviamente alla più giovane dimostrare le sue capacità tersicoree. Ivan Alboresi, modenese diplomato in balletto classico, moderno e jazz all’Accademia del Teatro Nuovo di Torino, regista del "Teatro in cerca" (che, nato da un esperimento dell’Istituto Romanico dell’Università di Würzburg, è ora un’istituzione che porta in giro per la Germania e per il mondo classici italiani di Pirandello, Fo, Buzzati, Scascia, De Filippo e Scarpetta, oltre che di nuovi autori quali Quattrocchi e Cattivelli), ha messo insieme per i Kammerspiele, scantinato del "Mainfranken Theater" di Würzburg (del cui balletto è membro stabile) un collage di brani di musical noti e meno noti, e ha
preso in prestito dall’Opera (al pianterreno) il soprano Anja Gutgesell, il mezzosoprano Barbara Schöller e il pianista Jeremy Atkin per dimostrare in modo macchiettistico e stereotipato che anche il mondo del musical, come quello dell’opera, vive di primedonne che rifiutano di abdicare e nuove leve che non riescono a sfondare. Titolo della rivista: Garderobe Nr. 1. Perchè una primadonna del musical debba avere un nome italiano – Paola (che tutti, lei compresa, pronunciano 'Paóla') Fraschetti – non si capisce. Né si capisce perchè debba venire da Milano.Visto che la diva – francona (all’anagrafe Pauline Huber, nata a Würzburg) – si è scelta un nome d’arte, poteva sceglierselo inglese o americano e dire che veniva da Londra o da New York. Comunque: Frau Huber alias Fraschetti è l’amante del sovrinten-
dente Guido (pron.: 'Ghido') Schulze (Klaus Müller-Beck), che non solo per lei non vuole lasciare la moglie, ma la vuole anche scaricare come primadonna. Dopo l’Overture delle Donne (bella l’idea di proiettare i volti delle due protagoniste in tante espressioni diverse mentre cantano e bello il video che ne ha fatto Nikolai Kröhnert), si vede l’ennesimo litigio fra Paóla e Ghido, con lei che se ne va e lui che regge imbarazzato una lettera. Quello stesso giorno, nel camerino ancora deserto della diva, entra Sylvie Dorn, convocata per un’audizione per il prossimo allestimento
di My Fair Lady. Un camerino tutto per lei? La ragazza in completo grigio venuta dalla provincia westfaliana già per questo si sente arrivata: canta, novella Charity, Könnt’ mich jetzt eine sehn (If my friends could see me now). Arriva la diva, vestita da Norma Desmond. Dopo uno scambio di battute appena appena modificato per non stonare con le circostanze, si lancia in Nur ein Blick (With one look)". Sulla nota finale si capisce che è un mezzosoprano. Quando si rende conto che dovrà sopportare la presenza di un’estranea, batte stizzita un pugno sul tavolo, facendo uscire un ripiano dal
muro. La ragazza dovrà sistemarsi lì, nell’angolo, e cercare di fare meno rumore possibile. Esilarante la scena del "riscaldamento" di Sylvie, fatto di esercizi di respirazione più da partoriente che da cantante e di vocalizzi a fil di voce sulla parola 'Broadway'. Ottimista com’è, sogna addirittura una carriera a Hollywood, come la dattilografa Flaemmchen in Grand Hotel (Mädchen im Spiegel / I want to go to Hollywood). La diva la disillude bruscamente: per far carriera bisogna sapersi presentare bene; i completini grigi e le faccine acqua e sapone hanno perso in partenza. Le canta Mein Sinn für Stil"
("My strongest suit") e fa una piccola sfilata per dimostrare che, come diceva già Amneris ai tempi di Elton John, l’abito fa la diva. Nonostante a Kristopher Kempf uno dei costumi sia venuto un po’ largo, Sylvie capisce l’antifona e le fa da coro. La diva comincia a prenderla in simpatia e le chiede quante audizioni abbia già fatto. "Quattro", risponde la ragazza, e, senza volerlo, la gela continuando: "…questa settimana". Alla smorfia di dolore di Paóla risponde con Ich komme voran (Climbing uphill). La diva ricorda che anche per lei agli inizi è stata dura (Gar nichts /
Nothing dal musical 'da dietro le quinte' per eccellenza, A Chorus Line), e quasi si tradisce sulle sue vere origini. L’attenzione si sposta per un momento sugli uomini che non sanno nulla sulle donne (Was du nicht weißt über Frauen / What you don't know about women). Sylvie viene chiamata in scena per l’audizione. Rimasta sola, la diva commuove con Großmutters Liebesbriefe (My grandmother's love letters). La voce del buttafuori (Christian Taubenheim) che dall’altoparlante cerca Sylvie la richiama al presente. Sospira:"La ragazzina si è persa!", ed esce a cercarla. Sylvie rientra in camerino sull’orlo di una crisi di nervi: non ce l’ha fatta a salire sul palco, è stanca di fare audizioni dalle quali finisce sempre scartata.Vuole sposarsi e ritirarsi in campagna (Im Grünen irgendwo / Somewhere that’s green). La diva, che nel frattempo è rientrata anche lei in camerino e ha sentito tutto, la incoraggia a non darsi per vinta: Mach die Augen zu (Baby, dream your dreams)". Sylvie le chiede se lei non senta mai il bisogno di una casa, di una famiglia. La diva risponde: Ich treibe einen glatt zum Wahnsinn (versione leggermente riveduta di You could drive a person crazy) e si dichiara sposata con la musica. Sylvie accetta l’ultimo, gentilissimo
ma perentorio, avviso via altoparlante di presentarsi subito in scena se vuole ancora fare l’audizione, ed esce di corsa. Paóla ne approfitta per riflettere sulla sua storia d’amore che sta naufragando (Die unübliche Art, dich zu lieben / Unusual Way). Sylvie rientra abbattuta: anche stavolta è stata scartata. E pensare che, in duetto con sua sorella, era la star di tutta la provincia! Ma adesso sua sorella è morta (quando Paóla cerca di abbracciarla per consolarla, neanche le dà retta, tanto è infervorata dalla storia dei suoi trionfi che ora vuole assolutamente raccontare), e da sola certi numeri non si possono
fare. Leider geht’s nicht allein (I can’t do it alone) è un trionfo di danza e comicità per Anja Gutgesell. La diva risponde inanellando il meglio di tredici musicals in meno di dieci minuti, passando con agilità da The sound of music a Il bacio della donna ragno, da I feel pretty a Big spender, dall’urlo Naaaaan ts'ngonyaaaaa ma bakithi Baba! a Mamma Mia! (puntandosi alla tempia un trapanino rosa), da Evita a Cabaret, per chiudere in bellezza con una ripresa di Nur ein Blick. Sylvie ormai è gasatissima e accetta la sfida: Alles, was du kannst (Anything you can do, I can do better), che sfocia nell’aria di coloratura Glitter and
be gay. Anja Gutgesell gioca con un lunghissimo filo di perle e fa sentire di essere abituata a cantare Mozart, Strauss e Verdi. Nel frattempo Paóla Fraschetti ha trovato la lettera indirizzata a Pauline Huber ("Mi sono sempre meravigliata che parlasse tedesco senza il minimo accento", dice Sylvie) che il sovrintendente ha preferito lasciarle sul tavolo e, dopo aver inforcato gli occhiali da vista ("Dottoressa!", ridacchia Sylvie, e riceve come risposta:"Arriverai alla mia età!"), ha appreso che la parte che si credeva già in tasca di Eliza Doolittle verrà assegnata a Maite Kelly (in Italia la cosa non fa ridere, ma in Germania, dove tutti cono-
scono la Kelly Family - e Maite Kelly in particolare, soprattutto nel ruolo di Tracy Turnblad in Hairspray - la trovata è geniale e il pubblico ride di gusto) e che a lei verrà riservato il ruolo della madre del professor Higgins. è troppo. Fa le valigie e convince Sylvie a seguirla verso nuove avventure: Es muss etwas geben (There's Gotta Be Something Better Than This). Per buona misura ci mette anche Heutzutag (Nowadays). La ragazza si lascia di buon grado convincere. Il finale le vede cantare insieme su un palcoscenico americano Allein wär’ ich gar nichts (I'm nothing without you). Si replica fino a febbraio.
Le foto del servizio sono del Theater der Altstadt
Una piantina con molto appetito Da Stoccarda La Piccola Bottega degli Orrori, il grande classico di Alan Menken di Laura Confalonieri Il Theater der Altstadt di Stoccarda è sempre stato un teatro "insolito": alla sua fondazione, nel 1958, una semplice baracca di legno con 99 posti; nel 1970, un anno dopo l’incendio che l’ha distrutto in 15 minuti nel 1969, sala da 155 posti nel tunnel della metropolitana di Charlottenplatz; dal 1998 sala da 148 posti nella vecchia sede del cinema "Feuerseekino", dietro al Feuersee, il laghetto artificiale che nel diciottesimo secolo costituiva la riserva d’acqua della città. Oggi i posti a sedere sono diventati 190. è un teatro d’avanguardia, dove si rappresentano, fra gli altri, lavori di André Gide, Jean Cocteau,Wolfgang Bauer, Samuel Beckett e Pavel Kohout. Dal luglio 1999 ha un busto di gesso di Arthur Schopenhauer (colorato da sembrare un clown e con una maglietta a righe bianche e azzurre, da marinaio) sulla sua tettoia. Nel piccolo foyer ci sono casse di
libri usati. Chi ne vuole prendere uno da portar via, può lasciare un’offerta o lasciare un altro libro in cambio. è un teatro a conduzione famigliare: fondato nel 1958 da Klaus Heydenreich e sua moglie Elisabeth Justin, alla loro morte, nel 1995, è passato alla figlia Susanne, che da allora ne è sovrintendente e regista. Anche se la direzione dal 2007 ha scoperto il musical, non ha rinunciato al suo stile "alternativo": il primo musical rappresentato è stato Linie 1, ovvero storie di varia umanità nella linea metropolitana berlinese 1, che attraversa(va) il lato ovest della città. Visto che si tratta di un piccolo teatro che può contare solo su attori di prosa, la scelta deve essere ristretta a pezzi che possono essere eseguiti anche da interpreti non vocalmente prestanti, solo intonati, che canticchiano e/o abbozzano.
Per lo stesso motivo le coreografie non devono essere troppo complicate, e per motivi di budget le scenografie non devono essere troppo sfarzose (e i costumi nemmeno). Quest’anno la scelta è caduta su La piccola bottega degli orrori, il musical che dalla sua "prima" tedesca (5 maggio 1986) è quello più rappresentato pur senza avere fissa dimora. Per restare in tema, le rappresentazioni sono cominciate nel periodo di Halloween. La regia di Susanne Heydenreich, le scenografie di Siegfried Albrecht e le luci di Jens Rechner e Utz Rohrmann ricreano lo squallore dei bassifondi con
molto verismo: il quartiere Skid Row è buio, inquietante; gli ubriaconi che lo popolano girano fra il pubblico scolando le loro bottiglie di birra e ruttando. Arrivati sotto il palcoscenico, vomitano nei bidoni della spazzatura. Ronette (Jenny Winkler, nera), Chiffon (Sorina Kiefer, rossa) e Crystal (Lucia Schlör, bionda), le tre narratrici/commentatrici della storia, sono punk sboccate ruminanti chewing gum. Si muovono bene sulle coreografie semplici di Myriam Pleva e ballano bene anche il tip tap. Portano i costumi di Marina Zydek, che potrebbero essere
usciti dagli armadi di qualsiasi teenager ribelle. Raccontano la storia di un negozietto (Little Shop of Horrors), che tutti dovrebbero evitare, in un quartiere dal quale tutti vorrebbero traslocare (Downtown). Il negozio appartiene a Mr Mushnik (Reinhold Weiser), un brontolone che ha uno strano accento, un commesso imbranato, Seymour Krelborn (un vero stuntman alla Ridolini: Sascha Diener), e una commessa bionda, Audrey (sensibile: Julia Coolens). Visto che tutti stanno alla larga sia dal quartiere che dal negozio, Mr Mushnik vuole chiudere.
Seymour, disperato più al pensiero di non vedere mai più la collega Audrey, di cui è segretamente innamorato (e dalla quale è - altrettanto segretamente - riamato) che da quello di perdere il lavoro, porta al negozio una piantina di sua proprietà dall’aspetto strano, comprata durante un’eclissi di sole da un misterioso cinese (Lou Bertalan, trasformista nato), sperando di attirare qualche avventore. In onore della sua amata in segreto, battezza la piantina Audrey II. La sua relazione con lei, tuttavia, si rivela subito tanto travagliata quanto quella con la Audrey in carne ed ossa: la pianta snobba
acqua, concime e tutto quello che potrebbe farla crescere, e avvizzisce a vista d’occhio. Seymour, dopo averle provate tutte ed essersi punto un dito, le grida, fuori di sé:"Cosa vuoi, il mio sangue?", e trasecola quando vede che la piantina, proprio grazie a poche gocce di sangue, rifiorisce all’istante (Wachs für mich / Grow For Me). Piazzata strategicamente in vetrina, man mano che cresce la piantina comincia ad attirare un numero sempre crescente di curiosi, che immancabilmente diventano clienti. Seymour non si capacita di esser diventato l’eroe del momento (Wunder gibt es doch / Ya Never Know),
corteggiato e richiestissimo da stampa, radio e TV, e Audrey sogna un futuro di sposa in una periferia più vivibile con lui (Im Grünen Irgendwo / Somewhere That's Green). Tutti ignorano che, dopo la chiusura serale, Seymour è costretto ad organizzare vere e proprie trasfusioni per sfamare la pianta. Non solo: la pianta ha anche cominciato a parlare (qui con la voce sensuale della regista), chiedendo carne, oltre che sangue. Seymour sacrifica i suoi risparmi per comprare qualche bistecca prima e qualche quarto di bue poi, ma, a lungo andare, capisce che il suo magro stipendio non basterà
mai per saziare la sua creatura, ormai dentata come uno squalo. Una sera la sua collega Audrey viene prelevata al negozio dal suo fidanzato Orin Scrivello (Bernhard Linke), un giovane dentista col ciuffo alla Elvis, una grossa moto e una giacca di pelle alla James Dean, dai modi spicci e dal frasario non proprio da accademico. Non fa segreto di provare un piacere sadico nel far male ai suoi pazienti; anzi, in un monologo (Zahnarzt / Dentist) si autoincensa per aver avuto fin da bambino la vocazione a far del male. Consiglia a Seymour di approfittare della momentanea celebrità e di trasferirsi con la sua pianta in un quartiere migliore e trascina Audrey a casa a strattoni, spintoni e parolacce. Mushnik approfitta del fatto di esser rimasto solo con Seymour per proporgli di diventare suo figlio adottivo, nonchè socio in affari. Si allacciano nel tango Mushnik & Son. Audrey II suggerisce a Seymour di fare a pezzi Scrivello e servirglielo per cena. Seymour dapprima rifiuta, ma, quando vede di nuovo il dentista maltrattare Audrey, si autoconvince che non c’è altro da fare, per il bene di tutti (Gib's Mir / Feed Me). La sera dopo va nel suo studio, aspetta che tutti se ne vadano e si finge paziente a sua volta. Si è portato un fucile.
Ronette, Chiffon e Crystal hanno indossato il camice bianco da infermiere e chiedono dieci dollari di ticket ai pazienti (in Germania si devono pagare 10 € ogni trimestre, se si va dal medico). Orin, di umore peggiore del solito per aver appena curato un paziente sadico (di nuovo Lou Bertalan) che godeva del male fattogli, quasi non crede alla fortuna di poter torturare il malcapitato commesso: si mette un casco da Darth Vader e ne apre la bombola di gas esilarante incorporata per darsi la carica. Purtroppo qualcosa va storto e Seymour, che si rende conto di non farcela a sparargli, ignora le sue disperate richieste di aiuto e lascia che il gas lo soffochi (Jetzt / Now). Seymour lo porta in carriola al negozio, ne fa a pezzi il corpo con un’ascia e lo dà alla sua pianta (a proposito: i pezzi di carne umana sono molto realistici). In negozio c’è tanto da fare che anche Ronette, Chiffon e Crystal sono state ingaggiate come fioriste, (Heute Nicht Mehr / Call Back in the Morning). Per quanto non ne senta la mancanza, Audrey confessa a Seymour di essere preda di rimorsi per aver segretamente desiderato la scomparsa del fidanzato. Lui adesso è libero di dichiararle il suo amore (Jetzt Hast Du Seymour / Suddenly, Seymour). Soprattutto in questo nu-
mero Julia Coolens dimostra di avere una voce solida, ben educata, e che durante tutto lo spettacolo ha dovuto mettere la sordina, per non far troppo sfigurare i suoi compagni di scena. I due sono pronti a cominciare una nuova vita insieme lontano da Skid Row. Mushnik, intanto, ha trovato nel bidone della spazzatura il camice da lavoro insanguinato di Seymour e ha capito tutto. Quando rimangono di nuovo soli, alla chiusura del negozio, minaccia di denunciarlo per l’omicidio di Scrivello. Audrey II istiga Seymour ad uccidere anche lui, altrimenti, gli dice, perderà tutto, Audrey compresa
(Essenszeit / Suppertime). Detto fatto: quando Mushnik chiede di avere i guadagni della giornata, Seymour gli dice di averli nascosti nelle fauci della pianta per sicurezza. Troppo tardi l’avido Mushnik si accorge dell’imbroglio - e viene divorato. Ora padrone di tutto, Seymour continua a gestire con successo il negozio, sempre sotto i riflettori dei media. Sa che è solo questione di tempo prima che Audrey II chieda altri sacrifici umani, e sa anche di esserne moralmente responsabile, ma non ha cuore di estirparla, né di rinunciare alla fama, che crede gli abbia guadagnato l’amore di Audrey (Die
Letzten Werden Die Ersten / The Meek Shall Inherit). Mentre Seymour si prepara per un giro di conferenze, a Audrey II torna a brontolare lo stomaco. Seymour viene sorpreso da Audrey a minacciare di estirparla. La ragazza gli confessa che lo amerebbe anche se non fosse ricco e famoso. La rivelazione suggella il fato di Audrey II: verrà estirpata l’indomani, dopo il servizio per LIFE Magazine. Seymour ordina ad Audrey di rincasare.Vuole rimanere solo. Durante la notte, tuttavia, Audrey torna in negozio a cercarlo. Audrey II approfitta dell’assenza di Seymour e chiede alla ragazza di essere innaffiata. Quando Audrey si avvicina, la pianta la avvolge con i suoi tentacoli verdi e la inghiotte. Seymour rientra in tempo per salvarla, ma i morsi della pianta si rivelano mortali. E quando Seymour le rivela che la pianta si nutre di carne umana, Audrey lo prega di rendere il suo cadavere alla pianta, per potergli stare vicina in negozio per sempre (Essenszeit Reprise / Suppertime II). Seymour esaudisce il suo ultimo desiderio, poi, stremato, si addormenta. Ad Audrey II spuntano fiorellini rossi. Il giorno dopo Patrick Martin della World Botanical Enterprises chiede a Seymour gemme della pianta per
venderle in tutta l’America. Solo ora Seymour capisce che Audrey II altro non è che una creatura aliena, scesa sulla Terra durante l’eclissi per conquistarla. Tenta di estirparla, le spara, l’avvelena. Niente. Ormai la creatura è cresciuta troppo e resiste a tutto. Disperato, Seymour si getta nelle sue fauci armato di machete, per tentare di ucciderla dall’interno, ma viene digerito. A Patrick, Crystal, Ronette e Chiffon non resta che raccogliere le gemme. Nel finale, Crystal, Ronette e Chiffon raccontano che altre piantine simili ad Audrey II sono fiorite in tutta l’America, e hanno convinto altre persone a coltivarle a sangue in cambio di fama e fortuna. La stessa Audrey II, ora enorme, appare con nuovi boccioli che hanno il volto Seymour, Audrey, Mushnik e Orin, che pregano il pubblico di non nutrire questo tipo di piante (Finale Ultimo / Don't Feed the Plants). Audrey II (nella persona di Gunther Haas), però, allunga già i tentacoli verdi oltre il palcoscenico e minaccia di avvilupparci le persone delle prime file. La musica non è suonata dal vivo, ma Alexander Reuter ha diretto l’orchestra con passione. I tecnici del suono Wolfgang Schlotter, Jonathan Hotze e Max Kirks hanno fatto il resto.
Principessa, ti salverò io E’ iniziata la lunga tourneè per Shrek, l’orco verde più simpatico del teatro musicale di Roberto Mazzone Ha debuttato al Teatro Nuovo di Milano la versione italiana del musical Shrek, prodotta da LV Spettacoli e diretta da Ned Grujic e Claudio Insegno, con le coreografie di Valeriano Longoni. L’allestimento riprende quello francese, andato in scena al Casinò de Paris lo scorso inverno. Anche questa volta, il lavoro di Insegno sul testo originale di David Lindsay-Abaire punta ad adattare personaggi, battute e situazioni (anche ampliandole, senza però tradirne le linee fondamentali, n.d.r.) al gusto del pubblico italiano: il risultato è uno spettacolo, forse ancora un po’ lungo (il pubblico di giovanissimi apprezza, ma è noto che i bambini sono difficili da tenere calmi dopo la prima ora di spettacolo, n.d.r.) e dal ritmo non sempre incalzante, caratterizzato da una comicità, a tratti superficiale, ma genuina, puntuale e mai troppo sopra le righe
o volgare, dovendo avere a che fare con personaggi delle fiabe davvero molto particolari. Tra rutti e puzzette, quella che in generale può sembrare la semplice vicenda di un eroe atipico e ingombrante, che “rompe gli schemi stilistici” delle classiche favole (un orco che salva una principessa in attesa del “vero amore”, segregata in un castello sorvegliato da una “terribile” draghessa per condurla in sposa a un eccentrico e codardo nobile, affetto da un evidentissimo complesso di inferiorità…), diventa uno spettacolo che cerca, a suo modo, di veicolari valori e temi attuali e importanti (amicizia, dignità, rispetto, solidarietà). Al grido di “Mostra quel che sei, mostra quel che hai!”(un vero e proprio inno all’accettazione di se stessi, n.d.r.), i personaggi delle favole rompono il silenzio e insieme all’orco Shrek e al suo inseparabile
amico Ciuchino, diventano emblema di tolleranza, restituendo dignità a qualunque forma di diversità. A vestire gli ingombranti panni di Shrek, Nicolas Tenerani: la sua è un’interpretazione che convince e diverte il pubblico, ma, all’occorrenza, soprattutto commuove. Grandi applausi e apprezzamenti dalla platea per la brava Alice Mistroni, che ha saputo rendere al meglio la connotazione volutamente “bipolare” affidata al personaggio della Principessa Fiona. Emiliano Geppetti è un esilarante e insuperabile Ciuchino; il “mezz’uomo” Lord Farquaad è certamente un personaggio che, per molti aspetti (tranne uno!, nd.r.), sa essere esuberante: al suo interprete, Piero Di Blasio (che ha curato anche la traduzione italiana dei testi delle canzoni, n.d.r.) va indubbiamente riconosciuto il merito di mostrare brillanti doti da performer pur rimanendo sul palco tutto il tempo in ginocchio! Menzioni speciali per la voce di Fiorella Nolis
(Fiona bambina nel brano I Know It’s Today, n.d.r.) e le doti da caratterista di Marco Stabile (un cinico, ma davvero spassoso Pinocchio). La band di dieci elementi diretta da Dino Scuderi, che esegue dal vivo le musiche originali di Jeanine Tesori (l’unica canzone tratta dalla colonna sonora del film Dream-
Works è I’m a Believer, eseguita durante i saluti finali, n.d.r.), le scenografie e i costumi di Luisa Spinatelli e le maschere di Sergio Stivaletti sono i valori aggiunti di uno spettacolo che, a mio parere, può solo migliorare nel corso del lungo tour italiano, fino a marzo 2013.
Un iceberg chiamato Trieste Ha ancora bisogno di rodaggio la coraggiosa produzione italiana di Federico Bellone e del suo Titanic di Sara Del Sal Ci vuole pazienza, uno spettacolo va rodato e va provato. Quando parliamo di produzioni inglesi, parliamo di spettacoli che prima di aprire ufficialmente stanno in scena per circa un mese come preview, e poi debuttano, dopo mesi di prove e revisioni. Questo non garantisce sicuramente che lo spettacolo poi sia un successo, ma se non altro permette agli artisti e al team di sapere esattamente come, dove, quando fare determinate cose. In Italia non sempre c’è tempo per tutto questo, e le prove si riducono a qualche settimana il che comporta che uno show appena debuttato possa non essere ancora al massimo, anche se è già nella seconda piazza. è quello che è successo a Titanic-il musical, che ha incontrato un iceberg chiamato Trieste. Fosse stato in programmazione alla fine della tournèe sarebbe stato meglio. Trieste è una
città nella quale il pubblico ha dimostrato un interesse per il musical che è stato ripagato dal Politeama Rossetti con l’arrivo di produzioni da capogiro, spesso provenienti da oltremanica ma anche dall’area di lingua tedesca. Insomma, quando il livello si alza, inevitabilmente si dimostra al pubblico che certi apici si possono raggiungere e il pubblico, non solo i critici, si accorge ormai subito, quando c’è qualcosa che non va. Titanic è una produzione tutta italiana, che porta la firma di Federico Bellone sia come autore che come regista e che ci ha messo il cuore, ma che non ha potuto fare il miracolo di presentarlo già perfetto nel capoluogo giuliano. Confidando in un perfezionamento dello spettacolo in corso d’opera per gli aspetti prettamente tecnici, si può di certo cercare di evidenziarne i punti di forza e quelli di debolezza.
Danilo Brugia sa tenere il palco, non ha una voce incredibilmente potente, ma se la cava bene, nel ruolo di Francesco Ferrari, un italiano in cerca di fortuna che si imbarca da clandestino sulla nave definita inaffondabile nel suo viaggio inaugurale, che sarà anche l’ultimo. Chi avesse visto il film con Di Caprio non farà fatica a ritrovare
molti punti in comune. Solo che in questo caso Francesco era stato un aiutante di Houdini, e si era nascosto proprio nei suoi bauli. E a modo suo sa fare qualche numero da prestigiatore, mentre Di Caprio si dedicava ai ritratti. Luca Giacomelli è indubbiamente il migliore sul palco, innanzitutto perché completo. Canta, balla e recita. Inter-
preta l’amico di Ferrari, un ragazzo irlandese che vuole andare in america per ricongiungersi con la sua fidanzata e lo fa con freschezza. Angelo De Maco e Nicoletta Ramorino interpretano la coppia di anziani signori, legati da un amore che non ha tempo, una coppia che indubbiamente rende credibile la composizione delle persone
imbarcate, ma che viene appesantita da battute un po’ troppo melense e da troppe spiegazioni. Nel ruolo di Bruce Ismay invece Marco D’Alberti è spesso sopra le righe, accentuando troppo dei tratti isterici invece che cercando di mostrare con maggiore eleganza la sua posizione. Spiace dirlo ma Valentina Spalletta, nel ruolo di Isabelle
Duval non convince. Innanzitutto interpreta una cantante lirica, e invece dimostra enormi difficoltà nell’utilizzo della voce in quel registro, laddove in Italia ci sono parecchie sue colleghe in grado di cantare quelle note senza problemi. Quando canta con voce non impostata le vengono affidate quasi solo canzoni urlate con rabbia, e probabilmente sarebbe meglio sentirla alle prese con altre melodie. Il resto del cast, che ha davvero un range di età ampio per le produzioni italiane, ce la mette tutta sul palco. Le musiche - non indimenticabili ma qualche brano è orecchiabile - e la trama (lo si sa fin dall’inizio che la
nave affonderà) non lascia spazio a grosse sorprese. Le intenzioni ci sono, anche a livello di scenografia, ma a fronte di alcune scene ben fatte, ce ne sono altre che avrebbero potuto essere risolte in altro modo e forse con meno ingombro. Non c’è da stupirsi se a Trieste lo spettacolo sia stato accolto un po’ freddamente, ma i margini per il perfezionamento ci sono. Titanic non fa l’errore che hanno fatto in troppi, non è uno spettacolo per bambini che si autopromuove musical, è un musical bisognoso di rodaggio e di una buona sistemata, soprattutto se, come ha scritto qualcuno, vuole andare nel West End.
Le foto del servizio sono di Federico Riva
L’eroe romantico tra cappa e spada W Zorro, il nuovo musical di D’Orazio e Facchinetti, non riesce ancora a convincere del tutto di Roberto Mazzone Dopo il debutto romano e le repliche a Napoli, Bari e Catania, il nuovo musical W Zorro, scritto da Stefano D’Orazio, con le musiche dell’ ‘amico per sempre’, Roby Facchinetti parte alla conquista del Nord Italia. All’Alfieri di Torino. Lo spettacolo – che vede il ritorno sui palcoscenici italiani, nelle vesti di protagonista di Michel Altieri, dopo alcune esperienze professionali a New York – arriva nel week end dell’Immacolata. L’ouverture trasporta subito il pubblico nell’atmosfera giusta, tra flamenco e altri ritmi dal gusto tipicamente latino: tutto il cast entra in scena indossando i panni e la maschera di Zorro, l’eroe mascherato, difensore dei peones, di cui da oltre dieci anni, si è persa ogni traccia. Ci troviamo nel palazzo del governo di San Rosarito, una parte della California, in cui il potere è mantenuto dal pavido Juan de Salvatierra, insieme alla
frivola, quanto astuta, moglie Consuelo. Si festeggia il ritorno a casa di don Diego, il quale ha trascorso proprio gli ultimi dieci anni viaggiando per tutta l’Europa, ma è ora costretto a tornare in patria su espressa richiesta del padre William Lamport, un uomo dagli ideali profondi, da tempo malato e ormai in fin di vita. Alla festa, Diego conosce Cecilia, una giovane rimasta orfana da bambina, nel corso di un’imboscata organizzata proprio da Juan, e da quel momento cresciuta da William come fosse figlia sua, e ne rimane subito colpito. Sul letto di morte dell’amato padre, Diego scoprirà la vera identità di Zorro, un segreto che William ha custodito, non senza sacrifici per tutta una vita: solo adesso Diego comprende fino in fondo il significato di quegli ideali libertà e giustizia che il padre ha sempre fatto in
modo di trasmettergli. Gradualmente, il giovane avrà consapevolezza della sua missione: continuare l’opera di Zorro, far rivivere la sua leggenda, per mantenere una speranza di libertà nel cuore della sua gente. L’allestimento è gradevole e funziona, le musiche pur nell’inconfondibile stile-Pooh, non annoiano e non sono date per scontate, addirittura rimangono subito impresse nella testa. A non convincere fino in fondo sono il testo e le liriche; si passa con evidente disinvoltura da passaggi come “Mille gocce fanno un mare che nessuno fermerà” ad altrettante soluzioni meno ricercate come “Le donne in Spagna son spagnole” oppure “Con due ‘cose’ così che ci faccio?”. Michel Altieri affronta dignitosamente questa nuova sfida; in particolare, sfrutta al meglio la sua vocalità e può permettersi di “percorrere strade” che magari alcuni ruoli interpretati in passato non gli consentivano di intraprendere con altrettanta sicurezza. Alberta Izzo incarna, con la giusta convinzione, lo spirito e la determinazione propri del personaggio di Cecilia. Il resto del cast funziona “a coppie” e oltretutto trova immediato riscontro da parte del pubblico: convincente Roberto Rossetti, come
tiranno messo sotto scacco dalla propria moglie, Jacqueline Ferry, (una Consuelo, a tratti volutamente ispirata a Mina, n.d.r.); ma soprattutto la coppia dei due “cocchi di mamma”, Fabrizio Checcacci (fra Diego de la Cruz, ma anche William Lamport) e Maurizio Semeraro (Henriquez Diego Pinto Garcia, per gli amici Hugo, n.d.r.): i loro numeri sono un vero compendio di spassosa comicità. Rimane comunque l’impressione che lo spettacolo, in generale, vada
a compensare le lacune di un testo non particolarmente efficace e completo, a livello drammaturgico. A risentirne, in questo caso, anche la regia e le coreografie firmate da Fabrizio Angelini e Gianfranco Vergoni, nonostante l’indiscutibile valore aggiunto rappresentato dai numeri di flamenco e dai duelli con la spada (questi ultimi resi possibili sotto l’attenta supervisione del campione mondiale di scherma Stefano Pantano).
Le foto del servizio sono di Cosè Manuel Rossi
Ora e sempre, brillantina! Non stanca e non delude mai l’evergreen Grease, da 15 anni in scena in Italia di Roberto Mazzone Guardarsi intorno e accorgersi che il teatro Alfieri di Torino sembra gremito. Non sono in grado di dire se si tratti di “un tutto esaurito”, ma viene spontaneo pensare che, in fondo, “Grease è sempre Grease”. Un pensiero confermato dalla ribalta finale, quando, dalla seconda fila di platea, è possibile leggere sui volti la soddisfazione di uno strepitoso cast che alza gli occhi e dedica un inchino agli spettatori in galleria. Quasi un lusso, in questi tempi di crisi, anche e soprattutto a teatro. Eppure Grease è sempre lì, ancora una volta (l’ottava) sul palco della sala di piazza Solferino. La versione italiana prodotta dalla Compagnia della Rancia, di nuovo con la regia di Saverio Marconi (regista associato Marco Iacomelli) compie quindici anni. L’allestimento rimane pressoché quello che tutti conosciamo e continuiamo ad amare, e come un adolescente al culmine
della crescita, risulta vitale e, a tratti, perfino, “ammiccante”, dal ritmo sempre coinvolgente e mai sopra le righe. Una sorta di “ritorno alle origini” per un cast, ancora giovane, ma di volti ormai noti del musical italiano, a partire da Riccardo Simone Berdini, che al ruolo di Danny Zuko regala quella consapevolezza e la determinazione, risultato delle proprie esperienze professionali degli ultimi mesi (Fonzie in Happy Days, ma anche un apprezzatissimo Jean Valjean nella versione di Les Misérables, in scena lo scorso luglio al Teatro Comunale di Bologna). Serena Carradori è una Sandy ormai collaudata, dopo aver interpretato il ruolo in alcune delle precedenti edizioni, e offre al pubblico il meglio di sé soprattutto nel corso del secondo atto. Floriana Monici torna a vestire i panni di Rizzo e non potrebbe
deludere il pubblico nemmeno se lo volesse‌ una garanzia di professionalità ! Colpisce sotto svariati punti di vista (vocalità e presenza scenica soprattutto) Gianluca Sticotti (probabilmente il miglior Kenickie degli ultimi anni, con buona pace di tutti i suoi predecessori, n.d.r.). Il resto del cast, dalle Pink Ladies (Maria Silvia Roli, Silvia Contenti, Federica Vitiello), ai T-Birds (Gioacchino Inzirillo, Luca Spadaro, Giancarlo Capito), trasmette la stessa energia e spensieratezza, adesso come al debutto italiano del 4 marzo 1997 al Teatro Nuovo di Milano. Da allora, molti performer hanno preso parte a questo
musical e di qualcuno sicuramente il pubblico (come anche la critica) conserva un ricordo particolare… Altro elemento interessante è il potersi soffermare su alcuni particolari, che differenziano questa edizione dalle precedenti. Alcuni esempi sono il ritorno degli effetti stroboscopici nella scena di Greased Lightening (non sempre realizzati nel corso degli anni) o la canzone La regina del rock’n’roll, che non viene eseguita dai TBirds, all’approssimarsi del finale dello show…
Le foto del servizio sono di Nilz Bรถhme
I gatti tedeschi graffiano poco Luci e ombre del tour tedesco di Cats, tra cast non sempre azzeccati e tensostrutture non troppo adeguate di Roberta Mascazzini Il nuovo, lungo tour di Cats partito il 6 gennaio 2011 da Amburgo (dopo 25 anni dal debutto in terra tedesca), continua attualmente nel sud del paese dopo aver ripreso da Colonia, con parziale cambio di cast, in seguito alla pausa estiva. I gatti non ballano in veri teatri questa volta, ma in un enorme teatro tenda che nel design richiama il logo del musical: l’intera struttura si estende su una superficie di 15.000 mq, ospita 1.800 spettatori in una sala a forma di anfiteatro, è fornita di 450 riflettori, 300 dimmer e 10.000 normali lampadine di vari colori. Il palco è composto da ben 3.000 singoli pezzi assemblati. Il foyer occupa ben 1.000 mq ed arriva ad un’altezza massima di 16 mt; la tenda nel suo complesso arriva fino a 25 mt. di altezza ed ha un diametro di 60 mt. Per rendere possibile tutto ciò, è necessario un esercito di 50 tir ed una schiera di
professionisti che in pochi giorni, in qualunque condizione meteorologica riescono a garantire un’organizzazione perfetta. L’esperienza dello spettatore, però, è ben diversa, nonostante i numeri da capogiro. Il foyer, enorme se confrontato a quelli dei comuni teatri, non é soddisfacente rispetto alle esigenze. Nello stesso ambiente si trovano anche il guardaroba, il merchandising e ben tre bar, forse troppi. Prima dell’apertura della sala al pubblico, si sta veramente stretti, tutti in piedi con lo stesso spazio procapite di una manifestazione di piazza. Molto più accogliente la sala, con poltrone comode, ben distanziate e mai distanti più di 20 mt dal palcoscenico. Una bella trovata, se non fosse che i posti più laterali hanno una visuale tanto ridotta da non poter permettere di assistere ad alcuni momenti del musical che si svolgono nella parte più arretrata
del palco, né di apprezzarne a pieno la scenografia. Per contro, la vista dalle prime file centrali è una delle migliori mai viste. Una punto negativo lo segna l’acustica, non ideale, del tendone alla quale bisogna aggiungere, purtroppo, una musica che talvolta copre le voci dei ballerini. Chi abbia visto la produzione originale rimarrà deluso, non da qualcosa di particolare, ma dall’insieme. L’effetto ricreato nella sala della tensostruttura non è lo stesso che si vive in un teatro stabile e le catene di luci che sovrastano lo spet-
tatore danno quasi la sensazione di trovarsi al circo o in una festa di piazza estiva. Un altro appunto che si potrebbe muovere ad Howard Eaton, disegnatore delle luci, è quello di aver rovinato la magia dell’Ouverture con delle luci che tendono più al verdognolo che al giallo dei famosi occhi felini. La sensazione che si prova non è del tutto la stessa, considerando che l’apertura costituisce il marchio di fabbrica di questo longevo musical. Se non fosse per le note musicali, si penserebbe di
esser proiettati in un altro, sconosciuto musical. I ballerini sono all’altezza del musical e veramente impeccabili, all’unisono e non sbagliano un passo. Le coreografie sono quelle originali dell’indimenticata Gillian Lynne, per opera di Chrissie Cartwright. I gatti hanno tratti caratteriali predominanti, ben definiti, ma non approfonditi ed ognuno rappresenta, se vogliamo, un pezzo di umanità trasposto nell’universo felino. Anna Montanaro ha ricoperto all’inizio del 2012 il ruolo di Griza-
bella: un’interprete famosa per un ruolo altrettanto famoso. Per questo, la più cocente delusione di tutta la rappresentazione nella scorsa stagione: la voce non era abbastanza melodiosa e delicata per il ruolo e Memory e le parole risultavano quasi gridate nei punti in cui le note sono più alte. Molto più brava Masha Karelle che veste le stracce vesti dell’ex glamour cat nella ripresa dopo la pausa estiva: intonazione deliziosa e voce melodiosa, ma nello stesso tempo piena di energia e di pathos.
Ma Cats non è costituito dalla sola Grizabella. Old Deuteronomy è il più vecchio dei gatti, uno dei pochi felini che non ballano; è interpretato dal bravo Pieter Tredoux, attore sudafricano con varie esperienze in Europa: voce profonda e tanta pazienza a farsi fotografare, come d’uopo, con spettatori dagli 0 ai 90 anni durante l’intervallo. Nulla più. Bombalurina, interpretata ora da Shirim Kazemi, bella voce, movenze felinamente sexy ed un fisico più adatto di quello della performer della scorsa stagione, Birgit Breinschmid, un po’ troppo cicciottella per il ruolo e perciò poco credibile.
Nei panni di Jenny Fleckenfell (Jennyanydots), la simpatica gatta dall’istinto materno che tiene a bada topi insegnando loro a ricamare ed a far l’uncinetto, si nasconde Eva Maria Bender. Un vero peccato che la parte di tip tap non sia più lunga come succede in alcune produzioni. Il pubblico pare apprezzarlo in particolar modo. Il Munkustrap di Robert Marx pare esser a suo agio nella veste del narratore, un po’ vice di Old Deuteromy ed un po’ protettore della tribù felina. Una voce chiara, parole ben scandite e scatti felini durante la lotta con il criminale Macavity. In questo caso si tratta di una new
entry nel cast della stagione 20122013. Mark John Richardson presta il corpo all’acrobatico Mr. Mistoffelees, sicuramente uno dei felini più amati dal pubblico, per via dei 24 fouettés en tournant da cui è caratterizzato il numero e nonostante il fatto che la canzone a lui dedicata sia cantata da Rum Tum Tugger, altro beniamino del pubblico. Il gatto dalle movenze sexy ed ammiccanti è impersonato da Dominik Hees, bravino, non del tutto convincente come macho strapazza-micette, nonostante l’evidente impegno. L’attore è molto giovane e quindi avrà sicuramente tempo di crescere
professionalmente e già nel corso della tournée ha migliorato la mimica e l’espressione vocale. Anche il costume è stato evidentemente modificato, in quanto nella stagione passata era ornato da bruttissime righe giallo fluorescente che rovinavano l’immagine che tutti gli appassionati hanno di Rum Tum Tugger. Gavin Eden e Jo Lucy Rackham vestono rispettivamente i panni di Mungojerry e Rumpleteazer, eseguono il numero correttamente, ma non lasciano il segno. Ad Asparagus manca la tipica voce da gatto-vecchietto e Yngve Gasoy-Romdal dovrebbe sicuramente lavorarci maggiormente.
Inutile elencare il resto del cast, nomi comunque sconosciuti ai più e di non certo eccellente statura. Ad onor del vero, bisogna segnalare come dal 2011, un pò per il rodaggio, un pò per gli avvicendamenti nel cast, il musical sia decisamente migliorato. Insomma, questo Cats non è esattamente come quello che si sarebbe potuto vedere a Londra, ma in tempi in cui i fans erano in crisi da astinenza felina e prima ancora che si annunciasse la tournée inglese nel 2013 era quanto di meglio si potesse sperare ed avere.
Š I.Z. / Thomas Borchert Support
Natale in casa Borchert, anno secondo Istrionico, gran mattatore, voce potente e sensuale allo stesso tempo; la musical star non delude mai di Roberta Mascazzini Thomas Borchert, seguendo la sua tradizione, propone anche quest’anno una breve tournée di concerti natalizi alternando questo impegno alle rappresentazioni di Tanz der Vampire, dove veste i panni del conte Von Krolock che lo hanno reso tanto amato dal pubblico. Ma Borchert è lungi dall’esser lugubre come un vampiro e durante i concerti dà sfogo alla sua verve di pianista, di cantante e di attore. Il concerto dell’8 dicembre si svolge al teatro Ebertbad di Oberhausen, una piccola, intima sala, da soli 450 posti ricavata nel 1986 in una struttura nata nel 1894 come piscina coperta e che via via ha subito diverse trasformazioni. Lo spettatore è accolto in sala da un culturista molto poco vestito, che però sfoggia un cappellino da Babbo Natale e che distribuisce Lebkuchen, dolcetti speziati al cioccolato tipici della tradizione natali-
zia tedesca e che ogni tanto anche la musical star lancerà tra il pubblico in vari momenti del concerto. Ci si accomoda tra seggiole e tavolini, a lume di candela, dopo aver indossato il cappellino natalizio trovato sul posto assegnato. Dopo tutto si tratta di un concerto natalizio, quindi perché non stare al gioco? Chi pensasse a qualcosa di molto tradizionale, però, si sbaglia. Non sarebbe lo stile di Thomas Borchert. A lui piace giocare: con la voce, con il pianoforte, ma soprattutto con il pubblico. E così inizia il concerto con una canzone in cui il pubblico deve aiutarlo ad interpretare una sua versione di Kling Glöckchen kling (suona campanella suona): non appena canta le parola “Kling Glöckchen klingelingelin” tutti, ma proprio tutti devono suonare con i cappellini, pena esser sgridati in pubblico dalla star in persona.
Š I.Z. / Thomas Borchert Support
Segue un’altra canzone natalizia dove il divo fa suonare i campanellini alle donne e canticchiare in falsetto gli uomini, dando anche suggerimenti su come ottenere la voce adatta e giocando quindi sulle parole Glöckchen (campanello/i) e Glocken (le campane, ma anche gli attributi maschili). Ed è tutto un susseguirsi di canzoni tradizionali natalizie tedesche reinventate a volte solo nel ritmo, che diventa di volta in volta jazz, rhythm and blues ed anche un po’ rock, a volte persino nei testi, completamente stravolti e riscritti in modo ironicissimo. Il pubblico apprezza e ride. Due momenti commuovono l’audience: la canzone scritta ben sedici anni fa per la nascita del figlio e la lettura, sì, la lettura come un bravo Vittorio Gassman teutonico, di una lettera pubblicata dal Sun circa un secolo fa. Con essa, il direttore di questa rivista domenicale del NY Times rispondeva alla domanda di una bimba che gli chiedeva se Babbo Natale esistesse veramente, perché alcune persone cattive le avevano detto che si trattava un’invenzione. E siccome il suo papà diceva sempre che il Sun scrive solo la verità… La lettura era decisamente un filino lunga per un concerto impostato in modo ironico ed ha rallentato il ritmo incalzante che lo spettacolo aveva preso. Forse è stata studiata a
tavolino per dar modo alla star di fare una pausa o forse davvero per rendere anche un po’ riflessiva la serata. Il momento è stato comunque l’occasione di far pensare a tutti a cosa sia davvero il Natale, al di là di tutto quello vi ruota attorno. Tutta la prima parte, incentrata su questo periodo di festività, ha rivelato un Borchert sconosciuto, che si è dedicato anche ad un lavoro di ricerca di canzoni anche un po’ sconosciute ed antiche della tradizione tedesca e le ha personalmente rielaborate al pianoforte creando anche giochi vocali che farebbero invidia a Lucio Dalla o alla Mina di Bravo bravissimo. Creare un ritmo e giocare con la voce pronunciando solo vocali o frasi semplici, anche insensate, non è da tutti. E nemmeno lo è passare in pochi secondi da note basse al falsetto a note alte e prolungate. Ma non tutti si chiamano Thomas Borchert. Il momento più atteso per i pochi musical fans presenti era certamente quello dedicato alle hits degli spettacoli più famosi cui ha preso parte. Si inizia con The impossibile dream da The man of La Mancha cantata in tedesco e lui che alla fine mette alla prova il pubblico chiedendo se sapesse da quale musical fosse tratta. Inizia quindi a parlare dei musicals in generale e del suo preferito, Les Miserables. Racconta del film, col ca-
noro registrato durante le scene, una vera novità dalla quale è rimasto affascinato. Ha visto il trailer, non vede l’ora che arrivi Natale per vederlo, ma il pubblico lo delude: il film uscirà in Germania solo a febbraio! Voleva mettere di nuovo alla prova gli spettatori? Ne era convinto? Voleva farsi pubblicità per quando riprenderà il ruolo di Jean Valjean nel luglio 2013 in Magdeburgo? Fatto sta che la sua interpretazione di Bring him home è stato il più grande e commovente successo della serata. Non sono mancate altre highlights nelle quali ha potuto esprimere tutta la sua bravura e potenza vocale: The music of the night (The Phantom of the opera), This is the moment (Jekyll&Hyde), Hell to your door-
step (The count of Monte Christo). Pur avendo girato intorno per tutta la serata all’argomento vampiri e conti, non ha deliziato il pubblico con la bellissima Die unstillbare Gier che solo lui interpreta con tanta potenza e passione. Pare che i vampiri non si addicano allo spirito natalizio che dovrebbe essere piuttosto riflessivo (besinnlich). Guest star della serata è stata Michaela Schobert, che fece parte insieme a lui del cast di Rebecca a Stoccarda, ricoprendo uno dei ruoli dell’ensemble. Bellissima la voce della giovanissima cantante che giocava in casa: è proprio di Oberhausen. Ha incantato gli spettatori con la sconosciuta canzone irlandese Blue Moon e con un paio di duetti natalizi con Thomas.
© I.Z. / Thomas Borchert Support
Non poteva mancare, in chiusura di un concerto natalizio, l’allegra Jingle Bells cantata in inglese insieme ad un pubblico sorridente. La serata sembrava esser giunta alla conclusione, ma quel burlone di Thomas ha giocato due volte lo stesso scherzo al pubblico: saluti, inchini, scomparsa dietro le quinte e riapparizione dopo qualche secondo per sedersi nuovamente al pianoforte a cantare un’altra canzone. Un vero peccato che, a causa di queste “finte”, qualche spettatore avesse già lasciato la sala convinto che il concerto fosse davvero giunto al termine. L’ultima Wildschweinduett era un esilarante dialogo tra due cinghiali, maschio e femmina, circa il natale ed i cibi natalizi.
© I.Z. / Thomas Borchert Support
Non poteva mancare migliore conclusione ad un concerto nel quale il pubblico si è divertito ed ha riso a crepapelle. Borchert ha dimostrato di saper non solo cantare in modo eccellente, ma anche suonare bene ed intrattenere il pubblico, cosa che si impara solo con tanti anni di teatro alle spalle. I suoi concerti si possono definire dei veri e propri one-man show che hanno il solo svantaggio di essere adatti per lo più ad un pubblico che capisca il tedesco. Ma non è mai troppo tardi per iniziare a studiare la lingua se poi si può fare una vacanza-studio in Germania per assistere ad uno dei suoi concerti!, non è vero?
Le foto del servizio sono di Nilz Bรถhme
Un’emozione che non finisce mai Il tour tedesco di West Side Story conferma ancora una volta la magia senza tempo di questo capolavoro di Roberta Mascazzini 22 ottobre 2012, Colosseum Theater, Essen: ultima rappresentazione del musical West Side Story nella cittadina nella Ruhr. Musical storico messo andato in scena in un edificio che ha segnato la storia della città: ex fabbrica della Krupp dalla fine ‘800, poi memoriale di guerra ed infine teatro negli anni Ottanta. Bell’ambiente, grande foyer, opere di arte moderna ovunque e, soprattutto, attenzione all’accesso per i disabili, perché la sala sorge sul luogo in cui Albert Krupp fu reso invalido dallo scoppio di una bomba durante la Seconda Guerra Mondiale. E così, la cultura ed il musical qui si possono avvicinare a tutti. Dopo una minaccia di chiusura da parte di Stage Entertainment nel 2010, a causa delle annuali perdite, il teatro viene ora affittato a varie produzioni di buon livello e non propone più i costosi long running shows.
Anche l’opera di Leonard Bernstein non mostra i suoi 55 anni. La chiave del successo sta sicuramente nell’incredibile mix di trama semplice e senza età, belle musiche e meravigliose coreografie. Delle carte vincenti, che rischierebbero però di tramutarsi in un insuccesso clamoroso, qualora gli interpreti non si dimostrassero all’altezza, soprattutto per quanto riguarda il difficile ruolo di Maria. Questa produzione della BB Productions è decisamente di buon livello, può contare su eccellenti ballerini che cantano con disinvoltura, passione e non sbagliano una nota. è purtroppo nella recitazione che il musical sembra stentare a prendere il volo. Battute espresse in modo piuttosto meccanico, senza convinzione, in particolar modo da parte di Andy Jones nella parte di Riff. Anche le prime due canzoni, When you’re a Jet e Something’s coming non
emozionano quanto si vorrebbe. Chris Behmke/Tony necessita la durata di tutta la canzone per scaldarsi e cominciare a vivere il ruolo. Anche la sua voce migliora sensibilmente nelle successive canzoni Maria,Tonight, Keep cool e la com-
moventissima Somewhere dove i due protagonisti danno il meglio di sĂŠ. Molto brava infatti la sua partner, Elena Sancho Pereg, nel celeberrimo ruolo di Maria. Dolce, ingenua ed innamorata al punto giusto.Voce delicata e ben educata. Brilla sicu-
ramente, anche per via del ruolo particolarmente trascinante, la trascinante Yanira Marin nei panni sgargianti di Anita.Voce potente, recitazione ineccepibile, movenze fluide e veloci. Non da meno Pepe Muñoz/Ber-
nardo: recitato perfetto e qualità da ballerino perfetto. Come perfetto era tutto il resto del cast, un insieme di “sconosciuti di talento” come spesso succede per gli spettacoli che fanno lunghe tournée. Spiacerebbe non citare il resto della
truppa, ma sarebbe troppo lungo e noioso, per cui ci si può limitare ai personaggi più di rilievo: tenente Schrank / John Wojda, Action / Rhett Aren Guter, Chino / Nikko Chimzin, Doc / Joe Gioco, Baby John / Michael Bullard e via dicendo. Le coreografie di Mascha Pörzgen sono quelle originali del grande Jerome Robbins. I costumi di Renate Schmitzer sono semplici e moderni: jeans colorati, t-shirts e canotte. Colori sgargianti per gli Sharks e monocromatici per i Jets, in modo da seguire lo stereotipo della gamma di colori usati dai latino-americani e dai polacchi.
Le scenografie di Paul Gallis sono molto funzionali: una serie di impianti mobili e girevoli che permettono ricostruire sia gli interni sia gli esterni. Immagini della Grande Mela sono proiettate sullo sfondo nelle scene di apertura e di chiusura a completare l’ambientazione nella New York degli Anni 50. Il pubblico, a dire il vero non giovanissimo, ha apprezzato il musical, si è commosso, ha pianto insieme a Maria ed ha soffocato gli interpreti con interminabili applausi. Tony è morto, ma il musical di Bernstein vivrà per sempre, a teatro e nei cuori degli spettatori.
Una leonessa a Madrid Quattro chiacchiere con Daniela Pobega, l’attuale Nala nel Rey Leon nella capitale spagnola di Franco Travaglio Abbiamo avuto la fortuna di vederla lo scorso luglio. La sua interpretazione è piena di energia, emozione, personalità e bravura, un miracolo che si incontra solo quando un sogno prende vita. E il suo sogno con la S maiuscola l'ha coltivato, accudito, fatto crescere e cullato per tanti anni, finché si è avverato, ed ora è una bellissima realtà del teatro europeo, che dà orgoglio al teatro musicale italiano che ha lanciato e apprezzato questo talento internazionale. Dal 21 ottobre 2011 Daniela Pobega è Nala a Madrid ne El Rey León di Stage Entertainment España. Le abbiamo chiesto di parlarci della sua magica esperienza. Ci racconti nel dettaglio come è iniziato il tuo viaggio nel mondo di El Rey León, dalle audizioni agli attuali successi? è iniziato parecchi anni fa quando vidi lo show a Londra e me ne innamorai.
Ne avevo sentito parlare moltissimo da alcuni miei colleghi che mi dicevano: "Devi vedere questo spettacolo e tu saresti perfetta per essere Nala". La prima volta che lo vidi non era Nala il mio obiettivo principale, sicuramente un sogno, ma non l'obiettivo. L'obiettivo era un giorno poter far parte di questo musical ed ero letteralmente disposta a fare qualsiasi cosa nello spettacolo, lo dicevo sempre: dall'erba ("Grassland"), agli uccellini (le "bird ladies"). Perché non dovete dimenticare che l'ensemble, in questo show, è fondamentale. Quando nell'ottobre 2010 sono stata con Pinocchio a New York sono ritornata a vederlo per la sesta volta e ho avuto la fortuna di conoscere l'attore che interpreta la iena a Broadway che mi disse dell'intenzione di aprire Lion King a Madrid. Mandai il curriculum però non
ricevetti nessuna risposta. Non dimentichiamo che avevo anche fatto le audizioni anni prima in Germania, dove mi avevano chiamata per ensemble e cover Nala, e a Londra per ensemble. Ma l'Universo mi ha dato molto di più di quello che ho chiesto!!! Alcuni mesi dopo (in aprile), capitai sul sito della Stage Entertainment spagnola e vidi che le audizioni erano ancora aperte e così rimandai il curriculum. Questa volta mi richiamarono pochi giorni dopo, dicendo che stavano ancora cercando Nala e che il ruolo richiedeva una persona con le mie caratteristiche fisiche. Ora volevano anche vedere le ca-
ratteristiche artistiche e così, mentre ero a Roma con lo spettacolo Flashdance, mi fu chiesto di mandare prima una registrazione di Shadowland in spagnolo e poi un video accompagnata da un pianista. Dopo varie vicissitudini, a giugno venni chiamata per fare finalmente l'audizione a Londra, per la prima volta, di fronte agli americani, perché sia in Germania che a Londra non ero mai arrivata di fronte a loro... e così è stato. Il mio sogno si stava avverando. Forse lo sentivo. Sicuramente lo speravo! Dopo una setttimana mi dissero che ero Nala ne El Rey León di Madrid.
A un anno dall'inizio di questa tua importante esperienza qual è il tuo bilancio? Un anno è volato! mi sembra ieri che abbiamo debuttato. E come mi succede spesso alle prime, sono talmente concentrata che poi non ricordo nulla. Ricordo sicuramente l'emozione finale quando sul palcoscenico sono saliti Julie Taymor, Joop Van Den Ende, Tim Rice, etc... Dopo un anno mi sento di dire che siamo tutti cresciuti moltissimo, i nostri personaggi sono cresciuti. Inizialmente sentivo molto la pressione della lingua e delle aspettative dei madrileni. Un sacco di spagnoli hanno fatto
l'audizione per questo che è il musical di maggior successo al momento a Madrid, ma quello che gli americani cercavano era un cast internazionale e credo che, alla fine, il pubblico esce dal teatro emozionato, soddisfatto, commosso ed è questo l' importante. Quindi il mio bilancio è sicuramente positivo. Anche perché è una gran esperienza di vita, anche soltanto per il fatto che per la prima volta in un cast ci sono così tante culture a confronto. Ora è il momento di goderselo appieno. Che feeling si è creato con gli altri interpreti principali? Ho un bellissimo rapporto in parti-
colar modo con i due attori che interpretano Simba (Carlos Rivera) e Scar (Sergi Albert). Carlos è un partner di lavoro eccezionale, sempre attento, presente in scena, sempre pronto a risolvere qualsiasi difficoltà e con Sergi ho un po' meno di interazione rispetto a Carlos però è un gran sostegno a teatro e fuori dal teatro. Ed entrambi sono due grandi professionisti.
Come ti hanno aiutato ad interpretare Nala i ruoli da te affrontati in Italia? Turchina è un ruolo totalmente differente rispetto a quello di Nala, ma io cerco di portare in scena con Nala la "luce" che io vedevo nella mia Turchina e anche la determinazione di Turchina nel salvare Pinocchio; Nala ne ha la stessa nel lasciare la famiglia per salvare la sua terra.
Nel meraviglioso numero che avevo in Flashdance sul pannello della tigre, già mi avvicinavo all'essere felina, da tigre a leonessa! A parte gli scherzi, forse Keisha ha un passato doloroso come quello di Nala.Voglio ritrovare nalla mia Nala la forza della mia Keisha. C'è una caratteristica del teatro spagnolo che vorresti esportare in Italia? Del teatro spagnolo, ciò che mi ha
colpito di più è un ottimo lavoro di ufficio stampa. Una promozione impeccabile: in televisione, su riviste locali, quotidiani locali, autobus, manifesti nella metropolitana, per la strada, canali appositi su internet, social network. Ovunque ti giri: El Rey León. Solo dopo arriva il passaparola. Inoltre, forse quello che manca in Italia è la gente disposta a muoversi
per vedere uno spettacolo. Certo, Madrid è una capitale con tanto turismo, ma ogni giorno ci sono anche pullman con persone provenienti da tutta la Spagna venute appositamente per vedere lo spettacolo. La gente si sposta per vedere l'arte, non aspetta solo che arrivi sotto casa. C'è invece una caratteristica del teatro italiano che ti manca a Madrid? In Italia c'è sicuramente maggior puntualità e precisione. Quali maestri della tua carriera e formazione sono stati secondo te fondamentali per affrontare lo spettacolo e il ruolo dei tuoi sogni? Fondamentale per la mia preparazione vocale, lo dico sempre, Shawna Farrell, con la quale, anche se non continuatamente, ho avuto la possibilità di studiare da privatista per un periodo, purtroppo mai frequentando la scuola di Bologna, però il mio salto vocale l'ho fatto con lei. E, forse fondamentale per la mia determinazione, Mary Setrakian, insegnante in Italia e a New York, che è stata una delle prime persone a dirmi che avrei dovuto "audizionare" per Nala. Ed io pensai "se me lo dice una persona come lei, forse sono davvero adatta e potrei davvero puntare non solo allo show ma addirittura a Nala...". In uno stage suo abbiamo proprio lavorato su Shadowland, con parti-
colare attenzione alle emozioni alla base della canzone. Quali ingredienti di questo spettacolo ti hanno colpito da spettatrice, e come sono cambiati affrontandolo da interprete? Ti aspettavi esattamente le emozioni che provi o è stato tutto una sorpresa? Da spettatore si vede soltanto la magia che scaturisce da questo show, da dentro si è più consapevoli di tutti gli ingranaggi che devono funzionare affinché lo show funzioni. E tutti gli incastri. è uno show che può essere pericoloso se non tutto è controllato bene. Da spettatrice ci sono alcuni numeri, come il numero iniziale, che è
uno dei più emozionanti e tutt'oggi, anche se ne faccio parte, per me rimane così. Lo guardo ogni giorno dalla quinta (prima di andare a vestirmi e al trucco)! La sorpresa è che ho avuto la possibilità di vedere lo spettacolo anche dopo averlo fatto e la cosa bella è che mi sono resa conto di cosa faccio parte, e di quanto fortunata sono, e del perché me ne sono innamorata. è molto diverso cantare la mia canzone. Era meraviglioso ascoltarla da fuori, ma da dentro significa raccontarla, soffrire perché si lascia la propria famiglia, affrontare il viaggio, capire il significato di quella coreo-
grafia che prima soltanto ammiravo. In una parola raccontare la storia. Qual è la citazione dal musical che secondo te racchiude lo spirito dello spettacolo? In realtà ne ho due: "Has olvidado quien eres y asì me has olvidado a mi tambien. Mira dentro de ti Simba. Eres mucho màs de lo que te has convertido. Debes ocupar tu sitio en el ciclo vital" che dice lo spirito di Mufasa a Simba, ossia "Ti sei dimenticato chi sei e così ti sei dimenticato anche di me. Guarda dentro te stesso Simba. Sei molto di più di quello che sei diventato. Devi occupare il tuo posto nel cerchio della vita". O quando Rafiki dice a Simba: "El pasado puede doler. Pero solo se pueden hacer dos cosas: huir de el, o aprender de el", ossia "Il passato può far male. Però si possono solo fare due cose: fuggire da lui o imparare da lui". Elton John è stato uno dei pochi autori pop ad essere riuscito a ottenere più di un successo nel mondo del musical, dimostrando anche una certa versatilità, pensando agli altri successi Billy Elliot e Aida. Qual è secondo te la caratteristica della sua musica che la rende adatta al teatro musicale? Sicuramente il fatto che ha unito la commercialità (nel senso buono) della sua musica, e quindi la facilità della musica di arrivare e di rimanere nelle nostre orecchie e nei nostri cuori, all'esperienza di saper adattare quella musica al teatro. è
musica che funziona alla radio e a teatro. El Rey León è in scena ormai da un anno a otto repliche a settimana, e così continuerà ancora per molti mesi. Come si affronta uno spettacolo così emozionale dovendo affrontare la routine settimanale? Quali sono i maggiori rischi e i lati positivi? La cosa positiva è che prendi davvero confidenza con il tuo personaggio, con gli altri attori: c'è una certa sicurezza. Il maggior rischio è proprio che si cada nella routine settimanale e soprattutto per un musical di così gran successo che quindi non dura solo una stagione, ma anni... il rischio è l'automatismo. Motivo per cui il team americano viene periodicamente, circa ogni 4 mesi a ripulire il tutto. Noi attori lavoriamo soprattutto con il regista associato John Stefaniuk ed ogni volta si ritorna a tavolino come la prima volta a cercare cose nuove e a rinfrescarci. Ed è il lavoro che amo di più. Poi il difficile è portare tutto il lavoro fatto (ma per fortuna John è bravissimo a tirar fuori dagli attori quello che cerca) sul palcoscenico... Hai potuto vedere altri spettacoli in Spagna? Come giudichi il livello artistico rapportato al musical italiano? Ho avuto pochissime possibilità di
vedere altri spettacoli in Spagna. In più di un anno soltanto due, perché lavoriamo sempre, fortunatamente, però grazie alla rotazione (la sostituzione mensile per farci riposare) ho avuto la possibilità di vedere Follies e di questo spettacolo mi ha colpito l'altissimo livello nella recitazione. La maggior parte dei personaggi era gente adulta e quindi attori molto completi che però cantavano benissimo. L'altro show che ho visto, che ha anche avuto molto successo in Spagna, è uno degli show su Michael Jackon, Forever King of Pop (da fan ovviamente non potevo non andarci) e devo dire che il livello è molto simile a quello italiano. In Italia c'è tanta gente brava, non dimentichiamocelo. Cosa ti porterai nel cuore di questa esperienza? è un po' troppo presto per dirlo perché prevediamo - e speriamo che lo show continui a lungo, quindi spero di risentirti tra qualche anno, e allora tireremo le somme di questa importante e fondamentale esperienza umana ed artistica. Nel frattempo vi saluto, sempre con il saluto regale di Nala e Simba e invito tutti i lettori di Amici del musical a venirci a trovare!!
dal mondo del
musical
a cura di Francesco Moretti invia le tue segnalazioni - notizie, stage, workshop, audizioni... a francesco.moretti@gmail.com
news Come nasce un musical? Ce lo spiegano Franco Travaglio e Simone Manfredini in un inedito stage che analizzerà il musical dal punto di vista creativo e drammaturgico, seguendone lo sviluppo dallo spunto iniziale alla messa in scena. Per aspiranti creativi, appassionati, performer, l’appuntamento è a Torrita di Siena il 2 e 3 febbraio 2013. info e iscrizioni
Musicalendario 2013 E' dedicato alle grandi storie d'amore di Broadway e dintorni il Musicalendario 2013, l'imperdibile ed esclusivo regalo di Natale firmato Amici del Musical. Da Nala e Simba, Elphaba e Fiyero, a Cosette e Marius, Jane e Tarzan, fino a Girl e Guy di Once, le grandi coppie dei musical che ci hanno fatto innamorare ci accompagneranno per tutto il 2013. scaricalo ora!
Jesus Christ Superstar Un cast di oltre 40 giovani artisti della Scuola di Formazione dell’Attore di Torino mette in scena, il 18 e 19 Gennaio 2013, Il rock musical che ha letteralmente segnato e cambiato la storia del teatro musicale nella nuova produzione firmata Accademia dello Spettacolo e Fondazione Via Maestra. Scritto da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice nel 1970 Jesus Christ Superstar racconta l’ultima settimana della vita di Gesù toccando i grandi temi dell’uomo: la guerra, l’oppressione, il potere, l’amore, la morte, l’amicizia, la fede, il tradimento. Quella narrata nel musical è la storia di un uomo, Gesù, chiamato “figlio di Dio”, vista attraverso gli occhi di un altro uomo, Giuda, uno degli amici più cari e fidati di Gesù, un amico che lo ha tradito, ma che al tempo stesso si è sentito tradito. In lingua originale e completamente live il nuovo allestimento presentato al Teatro Concordia si propone, pur rispettando la versione di Webber, di attualizzare e contestualizzare nella nostra società la storia più conosciuta e raccontata al mondo. La regia curata da Mario Restagno si avvale delle coreografie di Lucia Carnevale e della preparazione vocale di Stefania Piovesan. I giovani attori saranno, inoltre, supportanti da una rock band diretta dal maestro Paolo Gambino e composta da Alessandro Anelli (Basso), Alberto Catasso (Chitarra), Gabriele e Michelangelo Tommaso (Chitarra e Batteria) che suonerà l’intero spettacolo dal vivo. Il progetto, nato della sinergia tra Accademia dello Spettacolo e Fondazione Via Maestra, raccoglie la sfida di scommettere sui giovani: giovane è il cast tutti artisti al di sotto dei 25 anni che frequentano la Scuola di Formazione dell’Attore di Torino, un centro di eccellenza a livello nazionale per la formazione alle arti sceniche, giovane vuole essere, in particolare, il pubblico a cui si rivolge il musical. I biglietti sono in prevendita presso la biglietteria del teatro (Corso Puccini – Venaria Reale) dal Lunedì al Venerdì 10.3012.30 e 15.00-18.00 oppure sul circuito Vivaticket (www.vivaticket.it). www.accademiadellospettacolo.it e www.teatrodellaconcordia.it.
Debutto il 17 gennaio Dopo gli showcase dell’estate e l’ultimo tenuto in occasione di Telethon, la famola musicale voluta da Simona Patitucci e Gianfranco Vergoni debutterà ufficialmente il 17 gennaio nell’Aula Magna dell’Università La Sapiena di Roma. Liberamente tratto dall’omonimo film, lo spettacolo ha musiche di Massimo Sigillò Massara, e regia e coreografie di Fabrizio Angelini. segui i fantasmi su facebook
Masterclass con Voghera e Matteucci Due masterclass con due beniamini del teatro musicale quali Fabrizio Voghera e Vittorio Matteucci: li promuove e organizza l’Associazione Culturale MOOSEE in febbraio e marzo 2013. info e iscrizioni
news Winter Musical Week Ultimissimi giorni per iscriversi al Winter Musical Week, quattro intensi giorni dedicati al teatro musicale promossi e organizzati da Dreamin Academy di Padova dal 27 al 30 dicembre info e iscrizioni
Weekend del musical italiano Per due giorni Roma si trasformerà nella capitale italiana del musical con il Weekend del Musical Italiano, promosso da LIM - Laboratorio IALS Musical, il 23 e 24 febbraio 2013. L’iniziativa è rivolta a tutte le scuole di danza italiane. La serata finale sarà condotta dal giornalista Michele Cucuzza. info e iscrizioni
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