amici del
musical
Fantasmi a Roma Frankenstein Jr. Les Miserables Uwe Kroeger + Pia Douwes Anything Goes My Fair Lady Das Phantom Der Oper The Sound of Music ...e tanto altro!
w e b z i n e
06|2013
Il teatro per me era Trovajoli di Fabrizio Angelini
La prima volta in assoluto che i miei mi hanno portato a Teatro fu alla prima edizione di Aggiungi un posto a tavola… Dorelli-Panelli-Valori… Avevo 11 anni e probabilmente fu lì che decisi quello che avrei fatto da grande.
Passarono gli anni… Tornò Aggiungi, e io tornai a vederlo più e più volte… Ci fu poi un’importante ripresa di Rugantino, con Montesano-Fabrizi-Valori-Chelli… Altro innamoramento… E poi tanti e tanti altri spettacoli, con le musiche di Armando Trovajoli… Perché per me Trovajoli è sempre stato Teatro. Ovvio, sapevo e so che è stato anche un grande compositore in altri campi, in particolare nel cinema, ma io volevo fare “il Teatro”, e il mio principale focus era proprio quello. All’epoca mai avrei immaginato che un giorno lo avrei conosciuto… Avvenne per le audizioni di un Poveri ma belli per il Teatro Sistina del quale avrei dovuto curare le coreografie. Sue sarebbero state le musiche, e la regia di Saverio Marconi. Ricordo il suo modo un po’ burbero ai provini, ma anche lo stupore nel vedere che degli ottimi ballerini erano anche bravi
Ouverture
cantanti. Io ovviamente ero molto intimidito, non solo perché era Armando Trovajoli, ma perché per me “era” la commedia musicale italiana, con la quale ero cresciuto… La cosa poi purtroppo non andò in porto, con mio grosso rammarico, perché inseguivo quel sogno da oltre 30 anni. Il destino però tramava diversamente. Quasi per caso tre anni fa ho iniziato una collaborazione con una giovane compagnia di Ortona (CH), diretta da Gabriele de Guglielmo, con il quale abbiamo deciso di mettere in scena proprio Aggiungi un posto a tavola. Per me si trattava, come dico sempre, di mettere a posto un tassello della mia vita, essendo lo spettacolo che ho amato di più in assoluto. Abbiamo deciso di richiedere i diritti professionali, mai concessi prima ad una Compagnia che non facesse capo al Teatro Sistina, e mi sono messo in moto. Sfruttando quel contatto di qualche anno prima sono riuscito a vincere l’iniziale diffidenza del Maestro e della signora Maria Paola,
...il posto a tavola sarà dedicato a lui
al punto di essere ricevuto in casa loro insieme a Gabriele. Penso sia uno di quegli episodi della propria vita che rimangono indelebili. Come due scolaretti, timidi e impacciati, abbiamo suonato a quella porta. Ci sentivamo piccoli piccoli… Loro però devo dire ci hanno messo subito a nostro agio. Il Maestro ha cominciato a parlare di musica con Gabriele, che è anche il direttore musicale dello spettacolo, ha suonato qualcosa al pianoforte, ci ha fatto ascoltare dei brani, hanno parlato di arrangiamenti… Una persona tranquilla, pacata, che ha compreso perfettamente la passione che aveva unito me e Gabriele, e l’amore verso quello spettacolo che in qualche modo aveva segnato le nostre vite. Al punto di concedere, poco tempo dopo, un’audizione a tutta la compagnia, che per l’occasione è venuta a Roma. Inutile dire l’agitazione di tutti noi. Quando i ragazzi hanno intonato Aggiungi un posto a tavola ho rivisto in un momento quei quasi 40 anni che nel frattempo erano passati da quella mia prima volta a Teatro… Ero talmente emozionato che non ho pensato subito a girare un video. Ho recuperato però poco dopo. Certi momenti vanno inevitabilmente fissati, non sono cose che avvengono tutti i giorni… Il Maestro ha ascoltato coro e solisti, ha dato dei consigli, ha fatto ripetere alcune cose, ma era piacevolmente sorpreso, e abbiamo subito capito che era stato conquistato, credo in particolare dalla preparazione musicale dei ragazzi. Alla fine si è prestato per autografi e foto… Ha guardato molto incuriosito la mia raccolta di “cimeli” relativa ad Aggiungi (ritagli, articoli, tamburini, tutto della fine degli anni ’70…)… E poi ci siamo salutati, dandogli appuntamento in Abruzzo per il nostro debutto. Ha sorriso, ha detto «Vediamo, chissà… C’è il mare? Deve essere bello, lì».
Ouverture
con il patrocinio del
COMUNE DI LANCIANO
Purtroppo non abbiamo fatto in tempo… Il nostro Aggiungi debutterà il 19 aprile (grazie naturalmente anche all’approvazione degli altri autori ed eredi), e sarà a lui dedicato, GARINEI e GIOVANNIN I insieme ai tanti che hanno IAIA FIASTRI partecipato alla sua creazione, o che vi hanno ARMANDO TROVAJOLI GABRIELE DE GUGLIELM preso parte in passato, e O CAROLINA CIAMPOLI TOMMASO BERNABEO GAETANO CESPA che ora non ci sono più con BRUNELLA PLA TANIA e con JAC QU ELINE FERRY (Garinei & Giovannini in con la partecipazione di ARIANNA come special guest primis, ovviamente). L’arte nel ruolo di CLEMENTINA “LA VOCE DI LASSÙ” è è un modo per contidi SEBASTIANO NARDONE direzione musicale nuare ad essere presenti scene GABRIELE DE GUGLIELM O GABRIELE MORESCHI costumi anche dopo il trapasso, e MARIA SABATO regia e coreografie ripr odotte da noi sappiamo che lui sarà FABRIZIO ANGELINI lì, con noi, con la sua musica e la sua generosità, Teatro “Fedele Fena roli” - LANCIANO PRIMA NAZIONALE 19 aprile | e quel “posto a tavola” 18 | 20 aprile | 21 aprile Teatro “Francesco Pa olo Tosti” - ORTONA sarà per lui. 11 | 12 maggio Un grosso grazie alla signora Maria Paola per averci sostenuto e aver creduto in noi. Un grazie che estendiamo naturalmente anche a tutti gli altri autori ed eredi. in collaborazione con
COMUNE DI
della Accademiadello
Spettacolo
ORTONA
PROVINCIA diCHIETI
commedia musicale di
scritta con
liberamente ispirata a After me the deluge di David Forrest
■ MOBYDICK - ORTONA
musiche di
La prima edizione profes sionale italiana autoriz zata dagli autori e dagli dopo le cinque preced eredi enti di esclusiva del Teatro Sistina di Roma *Arianna sarà presente in alcune repliche dello spettacolo
2013
ore 21.00
ore 21.00
| info e prenotazioni 0872
ore 21.00
717148 | 0872 7135 86 |
085 9065550
ore 18.00
Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine ideazione, coordinamento editoriale, progetto grafico e impaginazione Francesco Moretti in redazione Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio si ringrazia Fabrizio Angelini n. 06|2013 13 aprile 2013
I credits fotografici sono in aggiornamento. La versione definitiva con tutti i riferimenti sarĂ pubblicata online tra il 21 e il 28 aprile 2013 Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com issuu.com/amicidelmusical
Facts & Figures
Fantasmi a Roma Frankenstein Jr. Sindrome da musical The Full Monty Siddharta My Fair Lady Les Miserables Les Miz: le opinioni dei performer Anything Goes The Sound of Music Das Phantom Der Oper + Nacht Der Musical West Side Story Uwe Kroeger + Pia Douwes I love you, you’re perfect, now change W Zorro Swan Lake on Ice Rat Pack live from Las Vegas + Ute Lemper Dal mondo del musical
9 15 21 29 33 39 45 53 59 65 71 79 87 97 101 107 111 119
Ma chi ha paura di questi fantasmi? Nella Capitale lo showcase di Fantasmi a Roma, il progetto voluto e coccolato da Simona Patitucci di Alessandro Caria Quando circa venti anni fa debuttò a New York Crazy for You, il severo e autorevole critico del New York Times, Frank Rich, salutò con queste parole l’avvento di questo spettacolo: “When future historians try to find the exact moment at which Broadway finally rose up to grab the musical back from the British, they just may conclude that the revolution began last night.” Finalmente Broadway e il pubblico americano si riappropriava della loro Tradizione, che non era quella di Cats, del Phantom o di Les Miz. “Sale la luna e va, vola la nostalgia, voci lontane risuonano qui, tornano a vivere ancora…”Nostalgia, ecco. Nel senso che di questo termine se ne da a Broadway. Nostalgia di qualcosa che è nostro e di cui ci dobbiamo riappropriare. Proprio partendo dalle prime parole dell’evocativo opening Vivere di Fantasmi a Roma, visto nell’anteprima
nazionale tenutasi lo scorso gennaio presso l’Aula Magna della ‘Sapienza’ di Roma, spero e, forse, arditamente auspico che questo nuovo spettacolo, che come un bambino cresce e matura e fa progressi ad ogni uscita, segni una riscossa per la nostra Tradizione di Teatro Musicale, dopo anni di spettacoli importati dall’estero. Sia chiaro, questo non significa che non siano i benvenuti i vari Beauty and the Beast, Mamma Mia!, Sister Act o gli ottimi allestimenti della Compagnia della Rancia, che se da un lato portano pubblico e divulgano il genere, dall’altro danno lavoro a tanti ottimi performers e vari addetti ai lavori. Ma questo Fantasmi a Roma (ispirato allo splendido film del 1961, diretto da Antonio Pietrangeli, sceneggiato dallo stesso Pietrangeli al fianco di Ennio Flaiano, Ettore Scola e Ruggero Maccari, interpre-
tato da un cast stellare ed in stato di grazia, che comprendeva gli inimitabili Marcello Mastroianni, Sandra Milo, Eduardo De Filippo, Tino Buazzelli, Lilla Brignone,Vittorio Gassman) parla genuinamente di Noi, di quello che eravamo e di quello che – nel bene e nel male – in fondo siamo ancora. Fantasmi a Roma, per felice intuizione di Simona Patitucci è una Favola Musicale. Perché – fondamentalmente – questo è uno spettacolo chiaro, lieve, solare ed italico dove ognuno può ritrovare sogni e delusioni di un epoca controversa come quella del Boom Economico (speculazione edilizia, rincorsa al fa-
cile successo, decadenza morale della borghesia, sfrenato consumismo…). Fantasmi a Roma è elegante e surreale, ottimamente recitato e con dialoghi arguti e mai banali… ma soprattutto profetico sullo scempio che si stava attuando nel nostro bel Paese e a cui continuiamo ad assistere. Oggi come ieri (musical e film) sempre controcorrente rispetto alla generale euforia per il «moderno» e il «nuovo». Gran merito di questo va dato allo script di Gianfranco Vergoni, davvero godibile: spiritoso e non superficiale, divertente ma profondo, garbato e mai violento o aspro nella sua critica sociale.
La marcia in più di questi Fantasmi a Roma sono le musiche del Maestro Sigillò Massara. Note che vanno da intelligenti citazioni del nostro repertorio a motivi che speriamo presto diventeranno delle hit. Insomma, un esilarante e divertente gioco di contaminazioni musicali che finalmente ci regalano un vero autore di Teatro Musicale non banale e non cervellotico! Che dire degli interpreti? Elogi sinceri davvero per tutti: Marco Gandolfi Vannini, Gianluca Bessi, Marco Rea, Carlotta Maria Rondana, la brillante Compagnia dell’Alba guidata da Gabriele De Guglielmo… nota speciale per il
tenero e dolce Carlo Reali, lo spiritoso Cristian Ruiz, l’ironico Toni Fornari, la candida Gaia Bellunato, la sensuale e felliniana Elisa Marangon e il controverso e amletico Andrea Croci… e che dire dello spassosissimo Giancarlo Teodori che regala l’Eleven O'Clock Number della serata con l’ormai mitica Marcia delle Mazzette (sentire un gruppetto di ragazzi che uscendo dall’Aula Magna della Sapienza, dopo mezzanotte e con un freddo polare, canticchiare in coro “meglio che a ramino, briscola e tresette ti assicurano fortune le mazzette” vuol dire che hai fatto centro!) e ancora Renata THE-
VOICE Fusco, che oltre alle eccelse qualità canore (con Finalmente via ha fatto tremare l’Aula Magna dagli applausi!) si è rivelata ottima attrice con perfetti tempi da musical comedy e infine la cara “Regina” Patitucci: mette in campo voce, cuore e passione dimostrando di essere un’attrice davvero a tutto tondo creando un personaggio vincente, un po’ gattara e un po’ cenciosa, una romanaccia fool shakesperiana che (dato che è "matta ma non scema") ci ricorda una grande Verità: le Storie e il Passato sono importanti, così
come i Fantasmi che ci guardano e ci assistono… Tutti sono guidati in maniera superba e trascinante dalla mano sicura di Fabrizio Angelini, una figura completa e poliedrica assai rara, se non unica, in Italia. Un vero metteur en scene che ama e sa far funzionare la macchina scenica e lo si è visto bene nelle scene d’insieme con l'intelligente e brillante gestione contemporanea di orchestra, coro (ma nell’occasione pure solisti e soliste) e tutto il cast in scena! Bella serata davvero!
Lupo ululà? Musical ululì! Riuscitissima la versione in musical del celebre film di Mel Brooks: Frankenstein Jr., si-può-fareeeee davvero! di Sara Del Sal Un musical che nasce da un film spesso mette apprensione nel pubblico. Difficile dire a priori se reggerà il confronto. Ma quando il film è un vero e proprio cult come Frankenstein jr. ecco che tutto si complica. Come portare a teatro il genio e l'intelligenza di Mel Brooks? Facile, se a farlo è proprio Mel Brooks. Lo spettacolo è fedelissimo al film e non fa mancare nulla allo spettatore, anzi, gli offre delle canzoni piacevoli ed ironiche (le liriche e l’adattamento sono di Franco Travaglio). Si, ma in Italia come si fa? Ci pensa Saverio Marconi, con la regia associata di Marco Iacomelli, che ha già dimostrato anni fa di sapere lavorare egregiamente sugli spettacoli di Brooks con The Producers e che con Frankenstein jr. conferma un feeling particolare con i suoi lavori. Questo spettacolo, che sta girando il bel paese con ottimi riscontri ovunque vince e convince.
Funzionali le scenografie e le luci, e ottimo il cast. A Trieste, al Rossetti, il ruolo del protagonista è stato affidato a Roberto Colombo, (Giampiero Ingrassia rientrerà nel cast per le ultime tappe del tour) un musical performer completo, che ha saputo dare a Frederick Frankenstein corpo, anima e voce, confrontandosi con un ruolo difficile, e con delle partiture per nulla comode. Al suo fianco un'applauditissima Giulia Ottonello nei panni di Elisabeth, la fidanzata che finirà tra le braccia del Mostro, un fantastico Fabrizio Corucci. Personaggio icona di questo titolo però è da sempre Igor, con la sua gobba che si sposta e tutto vestito di nero, pieno di buone intenzioni ma spesso maldestro e Mauro Simone supera se stesso in questo ruolo. Anche Valentina Gullace, la bionda Inga è più che efficace e
dimostra ancora una volta il suo talento. Ma in questo spettacolo colpiscono, per le loro interpretazioni e per le loro grandi voci Altea Russo, ovvero Frau Blucher, e Davide Nebbia che a Trieste ha interpretato sia Victor von Frankenstein che il generosissimo ma pericolosissimo Eremita. Una compagnia ricca di talenti quindi, che si sta imponendo per la propria freschezza, allegria ma anche per come lavora. Con serietĂ e passione (citiamo anche le coreografie di Gillian Bruce).
Purtroppo le basi registrate non aiutano l'audio, e spesso creano degli impasti fastidiosi, soprattutto in parti a più voci, con la musica che copre tutto, ma questo è davvero l'unico tassello da sistemare per uno show altresì perfetto. Insomma, considerato i sold out di Grease e le ottime recensioni di Frankenstein jr. si può proprio dire che la Compagnia della Rancia, con delle scelte meno televisive ma di qualità superiore dei performer abbia imboccato la strada giusta per
aprire una nuova era del musical italiano, quella in cui il talento vince sui nomi televisivi che spesso sono sinonimi di scarsa qualità e quella in cui... a vincere davvero è il musical, che arriva al pubblico nel modo giusto, emozionando. Come direbbero quelli di Frankenstein, speriamo che siano finiti i tempi in cui “potrebbe andare peggio, potrebbe piovere” e si apra l'era del “si può fareeee”!
Vi lasciate contagiare anche voi ? Travolgente lo show con Manuel Frattini e Silvia Di Stefano, una Sindrome da Musical che contagia migliaia di spettatori di Roberta Mascazzini La tensostruttura di Assago è sold out come nei vecchi, gloriosi tempi. La febbre sale in attesa che, finalmente, lo spettacolo cominci. Ma cos’è innanzitutto questa Sindrome da Musical? Il genere è difficile da definire: non si tratta propriamente di un vero musical, in quanto costruito su canzoni preesistenti tratte da varie opere musicali italiane e straniere. Non è un concerto, perché ha una sua trama. Non è nemmeno un vero e proprio oneman show, perché, nonostante tutto ruoti attorno alla figura di Manuel Frattini, gli altri membri del cast si possono definire comprimari. Lo spettacolo scritto da Lena Biolcati, con la consulenza di Stefano D’Orazio e con la regia di Alfonso Lambo è piuttosto sui generis: una semplice trama funge da canovaccio, da fil rouge per percorrere un viaggio tra i musical interpretati da Frattini e non solo.
Manuel ed i suoi sei colleghi stanno facendo le prove di uno show che per una volta NON è un musical, quando questi ultimi si accorgono che il loro amico ha problemi di personalità, che confonde la vita reale con il teatro e come un Dr.Jekyll/Mr.Hyde, si trasforma improvvisamente in un altro personaggio. I ruoli dei musicals si sono impossessati di lui. Sdoppiamento della personalità? Quanti personaggi vivono in lui? Da buoni amici, mandano il malato performer da una psicologa, interpretata dall’eccellente Silvia Di Stefano, che possa guarirlo da questa strana sindrome. I momenti delle sedute di psicoanalisi sono tra i più esilaranti dello show e rivelano una Silvia Di Stefano padrona della scena, travolgente oltre che naturalmente ironica. Il lavoro della terapeuta, più interessata a spennare l’ennesimo
interessata a spennare l’ennesimo insopportabile pollo che a guarire il paziente, sortirà un risultato inaspettato: il cliente guarirà gradualmente, ma lei e gli amici di Frattini saranno a loro volta contagiati dalla sindrome. La psicologa scoprirà addirittura, grazie a Manuel, cosa sia un musical e se ne appassionerà a tal punto da desiderare d’interpretarne uno. è un po’ quello che succede allo spettatore a teatro: una volta che si scopre quel mondo, non si desidererebbe altro che provare le stesse emozioni di chi sale sul palco. Questo spettacolo ripercorre tutti, ma proprio tutti, i musical a cui Manuel Frattini ha preso parte: cominciando da A Chorus Line, forse il più significativo per chi svolge questa professione, passando per Cantando sotto la pioggia, dove fu un indimenticabile Cosmo Brown, per Sette Spose per Sette Fratelli dove fu un trascinante Gedeone, La Piccola Bottega degli Orrori nel quale il numero di ballo con la piantina Audrey II fu inserito apposta per lui, fino alle varie favole in musica Pinocchio, Aladin, Peter Pan. Non mancano comunque incursioni in altri musicals, come Chicago, La Febbre del Sabato Sera, Fame. E come avrebbe potuto man-
care una citazione da Grease? è il più longevo musical della Compagnia della Rancia, cui Manuel deve molto e la quale a lui deve molto. In fondo, la storia teatrale di Frattini ha accompagnato per un lungo tratto quella della compagnia fondata ormai trent’anni fa da quell’attore e regista coraggioso che risponde al nome di Saverio Marconi. Si potrà amare oppure odiare la Compagnia della Rancia, ma ad essa si deve la diffusione della “moda del musical” in Italia. Grazie a lui ed a performers come Manuel Frattini che si son saputi metter in gioco, possiamo ora godere di numerose produzioni e di uno show come Sindrome da Musical. Sarà un caso che Marconi fosse presente tra il pubblico e che Frattini stesso lo abbia, giustamente, citato e ringraziato? Alcune chicche sono state le interpretazioni di Nel blu dipinto di blu di Silvia di Stefano e di Bambola e Parole parole da parte di un insolito e sorprendente Manuel, che dall’inizio della carriera ha notevolmente affinato le doti canore. Vale davvero la pena di citare tutti coloro che hanno dato vita a que-
sto spettacolo oltre a Frattini ed alla già citata Di Stefano. Comprimari sulle tavole di legno sono Andrea Verzicco, Angelo di Figlia, Andrea Casati, Lucia Blanco, Nadia Scherani e Eleonora Lombardo. Tutti eccellenti artisti, alcuni già compagni di lavoro di Manuel in Pinocchio, a riprova del fatto che a volte un musical possa dar vita anche ad amicizie ed ulteriori collaborazioni professionali. Lo stesso dicasi di Lena Biolcati e Stefano D’Orazio, entrambi presenti in sala ed entrambi presenti l’uno come autore, l’altra come attrice, nel kolossal sul burattino. Vera sorpresa è stata invece l’ospitata di Mauro Simone, il Lucignolo di Pinocchio nella parte tutta da ridere della zia meridionale di Manuel. Un vero talento comico. Potrebbe riproporre la macchietta a Zelig dando una rinfrescata al programma. Le coreografie dello spettacolo riprendono per lo più quelle originali dei musicals e quindi sono firmate Michael Bennet, Bob Fosse, Fabrizio Angelini, Gillian Bruce e via dicendo. La scenografia è, come si usa dire oggi, essenziale, senza fronzoli, solo con lo stretto necessario alla narrazione: una piccola scalinata tipo varietà ed elementi mobili, quali le sedie per lo studio della psicologa. Una bella trovata sono le proiezioni sul videowall posto sulla parete di
fondo di alcuni interventi di personaggi che hanno conosciuto e lavorato con Manuel Frattini: Raffaele Paganini, Rossana Casale, Saverio Marconi, Roberto Ciufoli, fino ad arrivare ad un esilarante e inedito Stefano D’Orazio in versione casalinga, con grembiulone spiritoso e gambe nude. Anche i costumi sono semplici: pantaloni quasi sempre neri e camicia bianca per gli uomini e completi hot pants e canotta per le donne. Per entrambi entrano in gioco, di tanto in tanto, anche giacche e cappelli. Manuel Frattini, dovendo distinguersi in quanto è su di lui che ruota la storia, veste anche un completo bianco. I colori dominanti sono dunque, come in una scacchiera, il bianco ed il nero.Vuoi per i colori, vuoi per lo stile dei completi maschili, in particolar modo di Frattini, vuoi per alcune coreografie, per esempio nel pezzo Dancing Fool, viene in mente il musical Thriller su Michael Jackson. Chissà se Manuel ci ha mai fatto un pensierino… Quella sera di sabato 7 aprile è DAVVERO venuto giù il teatro, con il pubblico che non solo batteva le mani, ma anche i piedi e regalava standing ovations a tutto il cast. Bello il discorso di ringraziamento del nostro verso il pubblico, verso Saverio Marconi, Stefano D’Orazio e Lena Biolcati con il quale è riu-
scito a strappare un ulteriore fragoroso applauso. D’altra parte Manuel Frattini sembra esser, da sempre, particolarmente amato nel capoluogo lombardo: sarà perché è originario della provincia di Milano, sarà perché è veramente bravo, simpatico e ci sa fare col pubblico. Ma alla fine è il risultato che conta. E di sicuro, nonostante i tanti bravissimi performers che calcano i palcoscenici italiani, il piccolo grande ballerino è l’unico che si
può permettere uno show che ripercorra la sua carriera, così come usano fare gli attori di musical all’estero. Dopo qualche musical di successo, dove le sue capacità non erano valorizzate al meglio, finalmente uno show che restituisce al pubblico le migliori qualità del dinamico Manuel Frattini. Purtroppo le tournée è prevista solo fino ad aprile, ma chissà, chi se lo è perso, magari potrà sperare in una ripresa nella prossima stagione.
Il musical ai tempi della crisi Anche due veri disoccupati nel nuovo allestimento di The Full Monty di Massimo Romeo Piparo di Sara Del Sal The full monty è un titolo che piace principalmente al pubblico femminile, che conta su quel servizio completo promesso già dal titolo. Ed erano principalmente loro a gremire il teatro di Monfalcone (GO) per due serate da tutto esaurito. Massimo Romeo Piparo ha adattato il testo all'Italia, in piena crisi, scegliendo quindi di allontanarsi dall'Inghilterra originale. E si parte subito parlando di spread, tanto per utilizzare termini tanto odiati quanto comuni. La scelta di utilizzare nomi come Paolo Calabresi, Gianni Fantoni, Sergio Muniz e Paolo Ruffini si è dimostrata vincente sul pubblico, che ride e si diverte con la loro verve ma molto meno per gli appassionati del musical che non possono di certo contare su artisti completi nella triple art. Discorso diverso invece per Jacopo Sarno, che invece si conferma completo, come
Nicola Zamperetti, che, chiamato a sostituire Pietro Sermonti, fa la differenza dimostrando cosa dovrebbe fare un performer da protagonista. La storia, nonostante il cambio di nazionalità, è pressoché la stessa del film, anche se parecchio tagliata e le canzoni, nonostante una nuova traduzione, rimangono brutte. David Yazbek non ha scritto un capolavoro con questo spettacolo, ma si sapeva. Quello che funziona... è l'allestimento. Scene e luci sono semplici ma ben pensate. Quello che manca è l'orchestra dal vivo, le basi registrate ancora una volta penalizzano i cantanti, anche una voce come quella di Giovanna D'Angi viene sovrastata dalla musica. Effettivamente quasi tutti i numeri interpretati dalle ragazze del cast risultano particolarmente ingarbugliati, e quasi mai si capiscono le parole. Insomma, se da un lato gli
uomini in cast sembrano fare a gara per chi è piÚ simpatico, le donne faticano ad accattivarsi la simpatia del pubblico. Una canzone dedicata ad Andrea Pirlo e tante altre citazioni "di casa nostra" non distolgono dal momento, emozionante in cui padre e figlio, Zamperetti e Sarno cantano il loro duetto, dimostrando come si fa a trasformare in un attimo uno spettacolo comico con musiche in quello che si chiama Musical con la M maiuscola.
Quando la spiritualità si fa musical Una inedita rilettura teatrale della vita e del pensiero di Siddharta di Roberto Mazzone Siddharta, opera musicale liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Herman Hesse, ma anche al film di Bernardo Bertolucci Piccolo Buddha, continua il suo tour italiano che lo ha portato sabato 6 e domenica 7 aprile al Teatro Alfieri di Torino. Rispetto al debutto romano del gennaio scorso, lo spettacolo attualmente in scena – scritto dalla cantautrice IsaBeau con Fabio Codega e la collaborazione alle musiche di Beppe Carletti dei Nomadi – è stato “accorciato” in maniera evidente; tuttavia sarebbero necessarie ulteriori “limature”, soprattutto nell’alternarsi tra dialoghi e parti cantate (alcuni intermezzi musicali, ritornelli e perfino singole parole si ripetono troppo spesso, prolungando il ritmo narrativo). Resta una conferma il forte impatto visivo dell’allestimento, che può
contare su un disegno luci tutt’altro che intimistico (come magari ci si aspetterebbe), bensì a tratti quasi “invasivo”: inoltre, si nota un impiego ancora più efficace di stupefacenti proiezioni video che ben compensano la scenografia, comunque imponente. La storia di Siddharta («colui che cerca») in questo spettacolo viene suddivisa in due parti: il primo tempo racconta la vita del Principe all’interno del suo “mondo dorato”, protetto dall’affetto delle persone care e circondato dagli agi e dagli onori a lui tributati dal popolo; il secondo tempo descrive, dopo la “scoperta” e successiva “consapevolezza” dell’esistenza della sofferenza umana, il viaggio alla ricerca della vera essenza della vita e l’incontro con il Buddha Gotama, il «Perfetto», fino al raggiungimento dell’illuminazione interiore, che si manifesta non nell’eliminazione del
dolore, ma nel “vivere (l’amore) in serenità, con gioia e con semplicità”. “Quante sono le cose che non riusciamo a vedere? Quanti giorni, quanti mesi, quanti anni vissuti sulla strada del niente? E quante cose cerchiamo al di fuori di noi? Ma la felicità è sempre lì, dove non guardiamo mai, nel nostro cuore. Perché tutto è dentro di noi e intorno a noi”. Un messaggio positivo che non si allontana molto dalla (successiva) tradizione cristiana: risulta facile, assistendo allo spettacolo, un certo parallelismo con la dottrina francescana . Le musiche richiamano la tradizione indiana, intrecciandosi con sonorità moderne (non mancano velati accenni a Morricone), ma soprattutto
spaziano su vari generi (atmosfere rock-musical in stile Jesus Christ Superstar, sonorità gospel & spiritual, fino alla contaminazione tra l’Om e il canto gregoriano). L’intento dello spettacolo segue una direzione dichiaratamente contemporanea (e il pubblico se ne rende conto); d’altronde concetti come vita, amore, sofferenza, malattia e morte travalicano il tempo… Giorgio Adamo, nei panni di Siddharta, è sicuramente dotato di una voce decisa e di una presenza scenica forte, ma dimostra di aver maggiore consapevolezza del proprio ruolo soprattutto nel primo atto, dove la giovinezza del suo personaggio è l’elemento che lo rende davvero protagonista. A catturare l’attenzione sulla storia ci pensano
anche altri personaggi come il Siddharta-narratore, interpretato da Paolo Scheriani, o il barcaiolo Vasudeva (Gaetano Caruso). Emotivamente significativi i ruoli del Re (Paolo Gatti) e della Regina Maya (Chiara Sarcinella). Più in generale, si ha l’impressione che non tutti i protagonisti capiscano bene quello che stanno facendo; un aspetto riconducibile probabilmente anche ad alcune “leggerezze” a livello drammaturgico. Alcuni personaggi come il fedele amico Govinda (Michelangelo Nari) o la cortigiana Kamala (Caterina Desario), figure centrali nel romanzo di
Hesse, sul palcoscenico, a mio parere, non vengono pienamente valorizzati; mentre altri, come ad esempio Ishan (Daniele Arceri), devoto servo della Regina Maya, non fa fatica a farsi notare, soprattutto dal punto di vista vocale. Il pubblico torinese applaude, anche se l’affluenza subalpina è risultata in diminuzione rispetto a quella romana. A premiare l’impegno di tutti coloro che hanno preso parte a questa produzione ci penserà Milano, dove lo spettacolo tornerà con ulteriori recite (dopo quelle dello scorso febbraio) al Teatro degli Arcimboldi dal 10 al 12 maggio.
My fair lady: la favola romantica che non smette di ammaliare In una nuova edizione di Massimo Romeo Piparo, un grande classico del teatro musicale che riempie sempre le platee di Enza Adriana Russo Palermo, 9 marzo 2013. My fair lady è il musical che più di tutti, da sempre, affascina il pubblico. E l’ultima edizione italiana di questa immortale favola romantica, con la regia di Massimo Romeo Piparo e i protagonisti Luca Ward e Vittoria Belvedere, ne è stata un’ulteriore conferma. In Sicilia ci sono state le ultime repliche di questa tournée, iniziata a dicembre e che ha registrato ovunque il tutto esaurito. Anche a Palermo, al Teatro Al Massimo, con la più lunga permanenza dopo quella al Teatro Sistina (coproduttore con Peep Arrow) e più di 15.000 spettatori. Tutti (o quasi) conoscono la storia di Eliza Dolittle, resa famosa al cinema dall’interpretazione di Audrey Hepburn, al fianco di Rex Harrison e tratta dalla commedia Pigmalione di George B. Shaw del 1912. In Italia moltissime sono state le versioni teatrali. Tra le ultime quella della
compagnia d’operetta di Sandro Massimini (d’altro canto, My fair lady è il musical più operetta che ci sia) e quella del 2000 dello stesso Piparo con protagonisti Olivia Cinquemani e il doppiatore Luca Biagini. Anche in questa trasposizione Piparo ha scelto come co-protagonista nel ruolo di Mr. Higgins un doppiatore. Anzi per l’esattezza il re dei doppiatori italiani, Luca Ward. Chi meglio di lui (e soprattutto della sua famosa ed affascinante voce), per interpretare un erudito e colto professore di fonetica e dizione, che raccoglie la sfida della giovane e povera fioraia Eliza che gli chiede di aiutarla nel suo riscatto sociale, diventando il suo insegnante? Ed ecco che vediamo Luca Ward vestire a perfezione i panni di Mr. Higgins, misogino e scapolo convinto, a cui l’attore romano riesce a dare il giusto mix di ironia e cinismo, ma che canta in scena “sono un uomo
come tanti, egocentrico, ma non eccentrico”. Stesso colore riesce a dare Vittoria Belvedere alla sua Eliza, che Mr. Higgins definisce “delicatamente volgare e terribilmente sporca”. Egli la vuole trasformare in una duchessa ammirata e corteggiata da tutti ed insieme a Pickering, professore di fonetica come lui, decide di mettersi subito all’opera, innanzitutto ripulendola dei suoi sporchi vestiti, e mettendole subito regole e punizioni, corrompendola con la cioccolata, grande debolezza di Eliza, come si fa con i bambini. L’Eliza della Belvedere ha perfettamente i due volti che la piccola fioraia deve avere. Nel primo atto è una rozza e buffa bambina, volgare quanto un maschiaccio, non amata e schiava del padre che la fa lavorare al posto suo; nel secondo atto è un’elegante lady (anche se la sua trasformazione avviene molto gradualmente), a cui la Belvedere regala una perfetta dizione. Piparo decide di sfruttare le origini calabresi dell’attrice, facendole parlare uno strano dialetto siculo-calabrese, con le vocali molto aperte, ed in cui le parole che riesce a pronunciare con più facilità, e più frequentemente, sono uno sbuffante “camurrìa” ed un musicale “schiticchiàta”. Suscitando l’ilarità del pubblico con perfetti tempi comici (c’è una piacevole complicità artistica tra Ward e la Belvedere in scena), Eliza subisce le
torture di Higgins, che in modo rude e cinico la vede come una sua proprietà, e le insegna con strani tecniche come quelle della fiamma e delle palline in bocca, a saper parlare la lingua, con la frase “la pioggia in Spagna bagna la campagna” (frase che diventa il ritornello del tema musicale principale, insieme al popolare “ Vorrei danzar con te”). All’inizio del secondo atto la scena si apre ad Ascott ed Eliza appare come un’affettata e leziosa signora, che non ha ancora metabolizzato del tutto gli insegnamenti del suo maestro, ma che con la sua fresca originalità conquista il cuore di molti giovani, ed anche quello della madre di Higgins, che la vede come sposa ideale del figlio. Eliza è innamorata di Mr.Higgins, ma sa che lui la disprezza ancora, quindi decide di accettare il corteggiamento del giovane Freddy, che a lei dedica le dolci note di “Questa strada è Paradiso se ci sei tu”. I due giovani fuggono insieme: Eliza vuole essere amata, è stanca delle parole, dice che vuole solo baci. Ed è a questo punto che Mr. Higgins, ormai lontano da lei, si accorge di amarla, ma non va a cercarla per non abbassare le sue difese. Ammira la sua magnifica fierezza ed alla fine tra varie avventure gli innamorati si ricongiungono con un finale a sorpresa. Ma l’amore riscatterà davvero Eliza? Se ci fermiamo in superficie, alle
luci, ai colori, alla magnificenza di questo musical, davvero il racconto della storia di Eliza ed Higgins è una favola. Ma Lerner e Loewe hanno scritto un musical che per drammaturgia e risvolti psicologici è, e rimarrà, alle vette, e Piparo nella sua attenta e curata regia riesce a far risaltare al massimo l’aspetto maschilista della commedia di Shaw. Se osserviamo bene, infatti, Higgins, che ha odiato sempre il legame con le donne, da egocentrico qual è, finisce per innamorarsi di quella che egli considera una sua creatura, e forse il riscatto di Eliza non avviene davvero così, in modo palese, come si prospetta all’inizio della commedia.
Tutto viene mascherato da una sagace ironia, ma l’ultima frase che pronuncia Higgins è: “Eliza, vai a prendermi le pantofole”. Oltre alla storia che cattura sicuramente il pubblico, un vero plauso va alla regia curata di Piparo che non lascia niente al caso: scenografie lussuose, ma funzionali, fastosi costumi cinematografici (delle sorelle Ferroni: tra tutti risalta il prezioso abito bianco con mantello rosso che Eliza usa al ballo all’ambasciata), corpo di ballo ed ensemble degno dei migliori musical di Broadway, con le coreografie di Roberto Croce, che ricordano i magnifici balletti della tv italiana di qualche
anno fa. Oltre agli attori principali è presente un folto cast di attori di esperienza, come Giulio Farnese nel ruolo di Alfred Dolittle, padre di Eliza, a cui sono affidati insieme all’ensemble, i due numeri coreografici più belli dello spettacolo, il ballo dei coperchi ed il ballo delle scope che sembrano citare, non sappiamo se volutamente, Allelluja brava gente! e gli spazzacamini di Mary Poppins. Ma nessuno è da dimenticare: il Freddy di Roberto Giuffrida, il Pickering di Enrico Baroni, lo Zoltan di Paride Acacia, la Mrs. Higgins di Chiara Costanzi, la signora Pearce di Donatella De Felice. Un’edizione così magnificente di My
fair lady che applaudiamo con gioia, ed a cui perdoniamo col sorriso due “pecche”: la mancanza di un’orchestra dal vivo, come queste immortali musiche meriterebbero, e le défaillances da cantante della Belvedere, di cui il pubblico - purtroppo per lei - si accorge, ma che sono perdonate in virtù della sua grandezza attoriale. D’altronde prima di cominciare la sua prima avventura in un musical Vittoria aveva messo già le mani avanti: “Ci provo. Sono un’attrice, non una cantante”. Nel prossimo numero speciale, in uscita a breve, l’intervista al protagonista Luca Ward.
La travolgente rivoluzione di Les Misérables Finalmente al cinema il musical più replicato della storia: ed anche sul grande schermo affascina e meraviglia di Franco Travaglio Dopo averlo visto tante e tante volte a Londra, New York e in giro per il mondo interpretato da cast impareggiabili, dopo aver vissuto live l'indimenticabile venticinquennale alla O2 Arena, dopo aver gustato una sensazionale school edition di Gianni Marras la scorsa estate a Bologna, pensavamo che Les Miserables avesse esaurito la sua capacità di sorprenderci. Invece eccoci qui, al cinema, a provare ancora una volta i birividi della prima volta. Les Miz al cinema è più di un musical, più di un film, più di un evento: è un'esperienza di emozione pura. Si parte con Valjean forzato che si carica sulle sue spalle l'albero di una nave su cui è issata la bandiera francese, simbolo di tutti gli ultimi ingiustamente caricati delle colpe di una Nazione. La camera segue le sue vicissitudini: liberato su parola dal poliziotto Javert e scacciato da tutti, viene salvato dal Cardinale di
Digne (il grandissimo Colm Wilkinson, creatore di Jean Valjean a teatro, a cui il regista regala anche una toccante e quasi divina apparizione alla fine del film) e dopo la tormentata What Have I Done un'inquadratura a volo di uccello sfonda la prospettiva su una pittoresca abbazia. È l'inizio ufficiale del film. Passa del tempo,Valjean è ora sindaco e imprenditore, e At the end of the day sposta il focus su Fantine (una struggente Anne Hathaway) e la sua discesa agli inferi dal licenziamento alla prostituzione alla morte. La sua interpretazione è sconvolgente per bravura, verità, commozione (ci si dimentica che I Dreamed a Dream è una delle canzoni più ascoltate e inflazionate della storia del musical e i brividi non finiscono mai) e la fotografia di Danny Cohen (Il discorso del Re, I Love Radio Rock) ci trasporta in un bordello pittorico visivamente sug-
gestivo ed emotivamente claustrofobico, ma tutto il film sembra un grande dipinto animato disegnato con gusto e perfetta aderenza storica e narrativa. Ecco che incontriamo la piccola Cosette (Isabelle Allen, praticamente perfetta) e i due osti canaglia Thenardier. Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen sono bravi attori cantanti ma non sono i più convincenti del cast, a teatro abbiamo visto coppie più affiatate e con tempi comici più irresistibili (si rimpiange il Thenardier di Matt Lucas, che ci sembra di aver visto in un cameo tra i suoi scagnozzi) anche perché a mio parere servirebbe un
fisique du role più buffo. Javert bracca Valjean fino alla capitale e il film vive un altro inizio: dai toni cupi della prima parte passiamo ai colori vivi di una Parigi in sommossa colma di diseredati e governata dagli 'scugnizzi' alla Gavroche (Daniel Huttlestone, come spesso accade il più bravo in assoluto di tutto il cast). Gli studenti cercano di spingere la popolazione alla rivolta (Aaron Tveit è Enjolras, uno dei più in parte) ma Marius (l'ottimo Eddie Redmayne, che regala a un personaggio la personalità che non aveva mai avuto senza tradire la sua freschezza) cercando la rivoluzione trova l'amore.
Quando questo amore si chiama Amanda Seyfried il cuore batte anche allo spettatore e quando i due iniziano a cantare i duetti d'amore (nonostante a mio parere siano i brani meno riusciti del musical) il cuore batte ancora più forte. Se poi si trasformano in terzetti e inseriamo anche l'interpretazione della bellissima Samantha Barks (Eponine) si rischia l'infarto. Per Eponine e la sua On My Own vale lo stesso discorso di I Dreamed a Dream, e la pioggia che accompagna il personaggio fino alla dolente A Little Fall Of Rain la rende ancora più bella mentre tra le pozzanghere parigine canta il suo amore sfortunato
e ci travolge. Il film è un capolavoro. Il suo maggior merito è l'aver saputo trasferire al grande schermo il musical meno cinematografico mai scritto (la sceneggiatura, oltre che degli autori del musical Alain Boublil, Herbert Kretzmer, Claude-Michel Schonberg è di William Nicholson) senza rinunciare a nessuna delle scene più famose e amate (arricchite e a volte riscritte ma mai stravolte nelle nuove orchestrazioni di Anne Dudley e Stephen Metcalfe) spostando le arie più belle in momenti ancora più efficaci ed emozionanti (Do You Hear The People Sing al funerale
di Lamarque ha ancora più senso) e radunando un cast impareggiabile ma mai divistico. Hugh Jackman si imbruttisce e segue la parabola del ruolo dei ruoli annullandosi completamente in esso. Dà il meglio nei duetti con Fantine e Cosette bimba e delude "solo" con un Bring Him Home non troppo all'altezza dei precedenti, per scelte vocali non troppo azzeccate. Ma è da oscar la sua Suddenly, scritta apposta per il film e dedicata allo stupore di un uomo che si ritrova improvvisamente a fare da padre a una piccola sconosciuta. Per il resto tiene le fila del film e recita con la voce, gli occhi, il corpo, sfoggiando
un'espressività misurata e sempre efficace. Un gradino sotto il Javert di Russel Crowe. Più che di tecnica vocale il suo è un problema attoriale: sembra spaesato e fin troppo rigido nel padroneggiare il canto come mezzo espressivo, tanto che dà l'impressione di "cantare" più degli altri. Però la sua Stars è riuscita, anche grazie all'idea registica di fargliela cantare in bilico su un tetto, presagio della sua fine. Questo è uno dei meriti maggiori della regia del premio Oscar Tom Hooper: l'aver diretto un capolavoro in punta dei piedi, piegando l'andamento narrativo alle esigenze cinematografiche e per il resto
mettendo la macchina da presa al servizio della musica e degli attori. Non ha avuto paura di inflazionare i primi piani, né ha voluto stravolgere la teatralità per renderla banalmente cinematografica né il cinema per renderlo teatrale, ma ha saputo alternare i due registri e accompagnare con semplicità lo spettatore lungo la storia. Geniale e rivoluzionaria la scelta di registrare il cantato in presa diretta e farne lo spunto per le orchestrazioni: tutto
ha il sapore della verità e non c'è nulla di artificiale. Forse gli amanti del bel canto a tutti i costi storceranno il naso per certe soluzioni volutamente sporche, ansimanti, singhiozzanti, sfiatate, deformate dall'allegria come dal pianto, ma il musical è recitazione, non è estetica della nota perfetta né sfoggio di virtuosismi canori, è emozione, emozione che si fa musica. Come succede in questo inimitabile e imperdibile capolavoro.
...ma i performer che ne pensano? Le opinioni (ed emozioni) di Maurizio Semeraro, Paola Lavini, Fabrizio Angelini, Pierpaolo Lopatriello, Elisa Colummi, Roberto Rossetti di Enza Adriana Russo Maurizio Semeraro, giovane e promettente cantante ed attore, è stato tra i protagonisti dell’ultimo Zorro nel ruolo del buffo Ugo; tra le sue precedenti interpretazioni i musical Poveri ma belli, Aladin, I Promessi sposi di Guardì, Alice nel paese delle meraviglie. È attualmente impegnato nello spettacolo Tobia di Alex Mastromarino. “Meraviglia! Quella che ho provato con le note iniziali e la scena della nave da tirare in porto. Una tale meraviglia da suscitare in me tante lacrime ed emozioni. Le emozioni sono cresciute mano a mano durante la visione ed ascoltando le interpretazioni dei pezzi come, secondo il mio parere, vanno interpretati, anche se è certo, comunque, che il cinema nell’interpretazione aiuta molto. Non mi dilungo sui giudizi interprete per interprete, ma posso dire che, tranne una piccola delusione ricevuta dall’inter-
pretazione di Russell Crowe, ho ammirato tutti gli attori di questo film: tutti bravi, qualcuno fantastico, un paio superlativi.Vedere il film è stato così forte per me, che ho voluto rivederlo una seconda volta. Insomma io ho AMATO Les Miz!” Pierpaolo Lopatriello, performer di musical, ma anche docente di canto e recitazione, la sua carriera è stata lunga e fruttuosa con musical come Hollywood di Massimo Ranieri, Pinocchio ed Aladin dei Pooh, I promessi sposi ed Il ritratto di Dorian Gray di Tato Russo. Memorabile la sua interpretazione di Mr. Cellophane in Chicago per la quale interpretazione ha vinto il premio IMTA – Italian musical theatre award. Da vero ed esperto critico le sue parole per Amici del musical: "Il film Les Miserables: un'esperienza totalizzante, intensa, commovente, persino salvifica. Hugh Jackman in-
carna maestoso l'eroe della Redenzione e merita senza ombra di dubbio di essere premiato e apprezzato per ogni suo sguardo, ogni sussulto che vive e regala, così come Anne Hathaway giganteggia magistralmente in una sfida senza pari con la macchina da presa, rischio affrontato e vinto da ognuno degli interpreti di questa storia che ha fatto la Storia. È come se lo spettatore teatrale, abituato all'emozione nella sua totalità di spazio e tempo, venisse premiato con la possibilità di scrutare in ogni cuore, ogni viso,avvicinandosi a tal punto da sentire i reciproci battiti fondersi e indurre alla commozione. La meraviglia è finalmente quella del Canto che si fa parola, senza infingimenti, artificiose leziosità, ostentazioni inutili. E infatti alcuni brani improvvisamente conquistano potenze emotive impensate, laddove invece perdono alcune delle canzoni solitamente incensate, o qualche scena d’insieme meno intimista. Iin Italia difficilmente potrà raccogliere il giusto consenso, ma altrove sta pienamente dimostrando quanto sia possibile un percorso artistico non scontato e denso di emozioni dove - a prescindere dall'imprinting letterario assolutamente indiscutibile - possano unirsi i più grandi valori umani, religiosi e filosofici, i soli a rendere davvero Artisti gli uomini che ne possono godere. Capolavoro."
Roberto Rossetti, giovane attorecantante di musical, è stato il primo alternate italiano, ricoprendo tutti i ruoli principali ne La Bella e la Bestia della Stage - notevole la sua interpretazione de La Bestia- . È stato Don Juan, il “cattivo” del W Zorro di Stefano D’Orazio in scena in questa stagione. Ecco le sue emozioni: “Attendevo con vibrante attesa questo grande Musical al cinema! E con tutta sincerità le attese non sono state deluse. È stato veramente emozionante vederlo, un vero Musical! Credo che noi italiani dovremmo prendere spunto. Per la serie: bisogna saper copiare! Gli interpreti mi sono piaciuti tutti , anche se non tutti allo stesso modo. Musiche epiche e primi piani che farebbero gola a qualsiasi attore. Ma non posso non dar sfogo alla mia consueta vena polemica dicendo che trovo assurdi i confronti fatti con altri film veramente poco degni, dagli addetti ai lavori, sull’affluenza nelle sale, per un capolavoro del genere.Voto: 10. W il Musical!” Elisa Colummi, performer completa e cantante lirica, lavora da molti anni nel mondo del musical. I suoi lavori più recenti: La Bella e la Bestia, Priscilla la regina del deserto e Shrek, che riprenderà nella prossima stagione. Le sue parole: “Per me assolutamente un capolavoro che mi ha fatto piangere per
tutto il tempo della visione. Sono felice che il mio musical preferito abbia avuto una versione cinematografica così bella, con Jackman e Anne Hathaway da Oscar. Chiaramente il linguaggio del cinema è diverso da quello del teatro. Quando hai la possibilità di primi piani,devi giocare di più sulla recitazione. Per cui chi dice che le esecuzioni vocali non erano perfette, sbaglia. Nella trasposizione cinematografica non viene chiesta una performance vocale impeccabile, ma un'interpretazione vera che giunga al cuore; e secondo me, ne Les Misérables, tutto ciò c’è stato. Comunque nel complesso, nella tecnica vocale, solo Crowe lascia qualche perplessità: si vede che ce l’ha messa tutta ma non ha una grande voce. E se proprio devo dirla tutta, non mi sono piaciuti molto i Thenardier : ho trovato la recitazione di Cohen e della Bonham Carter molto monocorde. Ma l’unica vera pecca per me, riguarda il doppiaggio italiano: per quattro frasi parlate secondo me non era necessario, sarebbero bastati i sottotitoli anche in questo caso…” Fabrizio Angelini, ballerino, coreografo, longevo e prolifico regista del musical italiano, non ha bisogno di ulteriori presentazioni. Anche in questa stagione ha firmato la regia di numerosi spettacoli e presto ri-
porterà in scena Aggiungi un posto a tavola con protagonista Arianna Bergamaschi. Anche chi vive nel mondo del teatro da moltissimi anni come lui, è riuscito ad emozionarsi nella visione di questo film: “Non è soltanto un grande film, con un gran cast (chi più, chi meno, chi al top), con delle risoluzioni eccellenti e mozzafiato, con re-interpretazioni da urlo. È stare seduto 2 ore e 40 minuti e rivedere un po’ il proprio trascorso. Ed è ripensare. A quando per la prima volta hai sentito quella musica; hai comprato gli spartiti; hai studiato le canzoni, le hai portate alle audizioni, le hai sentite, le hai cantate, e le hai cantate con i colleghi. A quando hai visto lo spettacolo a New York; hai sognato di essere in quel cast, in qualsiasi parte del mondo fosse. A quando hai sbavato davanti ai video del 10° e del 25° anniversario, ed hai sognato l’ipotesi che venisse messo in scena in Italia, per poi capire che era solo un sogno, e tale sarebbe rimasto. E dopo oltre 20 anni sei lì con gli occhi sbarrati e le orecchie attente, quasi incredulo di quello che vedi e che senti. E quando non riesci a distogliere lo sguardo nemmeno dai titoli di coda, con gli occhi annebbiati dalle lacrime versate a più riprese (ebbene sì), ripensi un po’ a tutto questo e rivedi in un certo senso un gran pezzo della tua vita. E forse capisci
perché cavolo hai deciso di voler far questo mestiere. O almeno di cercare di farlo”. Paola Lavini, performer di musical ed operetta, ma anche prolifica attrice di fiction e cinema, è stata tra gli interpreti dei musical I promessi sposi - nel ruolo di Agnese -, Bulli e pupe, Nun-sense e del film presentato con successo a Cannes e vincitore di numerosi premi Corpo celeste. Tra gli ultimi suoi lavori il musical La colpa è dei grandi? ed un cortometraggio contro la violenza sulle donne. Molto tecnica la sua recensione de Les Misérables:
“Mi sento di dire che preferisco vederlo a teatro. L’ho visto tante volte a Londra nel West End ed ho interpretato Fantine tante volte quando studiavo alla scuola di musical, ma anche Mrs o Madame Thenardier, e Cosette in vari recital. Un’altra storia, un’altra emozione. Io poi che faccio anche cinema, trovo stupenda l’idea della presa diretta, ma è pur vero che avranno fatto tanti "ciak", e tutto ciò si sente e si vede, e si perde nell'emozione. Non sto dicendo che non siano bravi i performer (anche se debbo dire che di primo acchitto mi sono detta: beh, ormai il livello di molti perfomer
perfomer italiani è più alto del loro! E me lo sono detta con orgoglio, stanca di sentire dire “Eh ma gli americani sanno fare tutto , mentre in Italia...”). Non ho amato tutti i piano- sequenza, i molti primi piani che non hanno dato dinamicità al musical. E non ho amato “le vocine” femminili, tutte di testa, tutte uguali, tutte con poca “varietà” da personaggio a personaggio, a scapito di un’intensità. Perché? è una scelta? Forzata? Ho trovato invece convincente Jean Valjean, straordinario nella trasformazione fisica, nell'invecchiamento. Un grande attore. Stupisce che canti
bene? Ma se fa I miserabili, deve cantare bene! Il film non mi ha commosso, devo essere sincera, non ho sentito e visto gli ultimi veramente disperati. Anche i Thenardier, così poco sporchi! Tutto a mio avviso “poco” fino in fondo. Non ho sentito la vera rivoluzione, la lotta, la morte. Ho visto un bell’allestimento, ma non teatrale. Una bella immagine. Troppo borghese? Ma se l’opera si chiama I miserabili perché devo avere la sensazione di un'immagine edulcorata se la realtà rappresentata è "miserabile"?”
... e la nave va A Monaco uno scintillante allestimeno di Anything Goes. il capolavoro di Cole Porter di Laura Confalonieri Un comandante in alta uniforme (galloni, berretto e guanti bianchi compresi) saluta militarmente il pubblico e prende posto sul podio del direttore d'orchestra. Sul bordo del palco, al centro, un lucidissimo grammofono d’ottone gracchia a sipario tirato: "In olden days a glimpse of stocking / Was looked on as something shocking, / But now, God knows, / Anything goes." E qui attacca l’orchestra (vivace sotto la direzione di Jürgen Goriup, esplosiva sotto quella di Oleg Ptashnikov). Sono solo diciannove elementi, ma sembrano il decuplo. Coprono spesso e volentieri le voci dei solisti. È la prima volta che il musical di Cole Porter viene rappresentato a Monaco, ed è una coproduzione di due compagnie senza fissa dimora (quella del Deutsches Theater e quella del Gärtnerplatztheater, l’uno in restauro fino al 2014, l'altro in
restauro fino al 2015) e un teatro svizzero (quello di San Gallo). Sono due anche le lingue usate nello spettacolo: inglese per le canzoni, tedesco (divertente la traduzione di Christian Severin) per i dialoghi. Il regista Josef E. Köpplinger, sovrintendente del Gärtnerplatztheater, per fare le cose ancora più in grande, ha perfino "importato" due brani da altri due musicals di Porter (Night And Day e Let's Do It) e una star internazionale: Anna Montanaro, già celebrata nel West End e a Broadway come nuova Ute Lemper, è una Reno Sweeney grintosa e vocalmente ineccepibile. La gravidanza le ha tolto la figura snella dei tempi in cui nei panni di Lucy faceva girare la testa a Jekyll e a Hyde, ma non l’agilità: balla il tip tap, fa la ruota e la spaccata. Daniel Prohaska è un Billy Crocker romantico e un ottimo tenore:
durante Be Like The Bluebird si lancia nell’acuto finale di La donna è mobile, lo sostiene - e la voce non gli si incrina. Anche il capitano Previn Moore è un tenore che sa tenere lunghi gli acuti senza dare segni di stanchezza. Il suo spiccato accento americano dà un tocco di colore originale allo spettacolo. Hannes Muik ha studiato a Vienna e a New York. Al suo ritorno ha scritto e cantato Forbidden Musical, la versione viennese di Forbidden Broadway, che ha mandato su tutte le furie Steve Barton e in sollucchero tutti gli altri. Il talento comico, dunque, non gli manca, e lo
dimostra tratteggiando un Lord Evelyn Oakleigh caricaturalmente inglese, perfetto fin nel dettaglio di un accento così British che più British non si può. Esilarante il suo Gypsy In Me, nel cui finale salta in braccio ad Anna Montanaro. Anche Boris Pfeifer, nei panni di Moonface Martin, dimostra buone doti di commediante. Frank Berg, però, li batte tutti, col suo monologo dello steward, quando da sotto la divisa fa apparire un tutù. Milica Jovanović è una Hope di belle speranze. Già coppia collaudata in Sweeney Todd, Dagmar Hellberg e Erwin
Windegger formano anche nei panni di Evangeline Harcourt e Elisha Whitney una coppia ben assortita. Del resto il Let's Do It di lei che termina in posizione inequivocabile sopra di lui non ammette repliche. La Erma di Sigrid Hauser è a ragione ambita da tutti i marinai della M.S. America. Rainer Sinell ha realizzato scene (che somigliano a quelle dello spettacolo della Stage Entertainment Ich War Noch Niemals In New York) e costumi su schizzi di Heidrun Schmelzer. La produzione è dedi-
cata a lei, recentemente scomparsa. Le coreografie di Ricarda Regina Ludigkeit fanno sudare non poco il corpo di ballo. Anything Goes segna la chiusura del provvisorio teatro tenda del Deutsches Theater. Riaprirà il 19 marzo 2014 nella sua sede storica del centro città con West Side Story. Il sovrintendente Köpplinger, invece, ha per il suo Gärtnerplatztheater progetti più ambiziosi: nel 2014 porterà per la prima volta a Monaco Chitty Chitty Bang Bang.
La famiglia Von Trapp ritorna a casa Per la prima volta dal debutto, The Sound of Music arriva nella sua terra d’origine: Salisburgo di Laura Confalonieri Il 23 ottobre 2011, a 73 anni dalla fuga della famiglia von Trapp dall’Austria occupata, Salisburgo assiste ad una prima storica: nel Landestheater va in scena per la prima volta The sound of music. Il sottotitolo-slogan recita:"A musical comes home!" Da allora lo spettacolo, intensamente voluto dal sovrintendente del Salzburger Landestheater, Dr. Carl Philip von Maldeghem, e tradotto in rima b(r)a(c)ciata da Heiko Wohlgemuth e Kevin Schroeder, registra il tutto esaurito. Alle audizioni per ottenere i due ruoli principali si erano presentati oltre 600 cantanti, e oltre 300 bambini avevano sperato di diventare uno/una dei sette figli del capitano. Alla fine l’ha spuntata – quelle surprise! - Uwe Kröger, il cui primo e unico contatto con questo musical fino ad allora era stato in un bar di Singapore, allorché un’orchestrina
jazz s’era messa a suonare Edelweiss. Legnoso e autoritario al punto giusto, il ruolo gli calza a pennello. Inoltre non deve cantare assoli. Al suo fianco, nel ruolo di Maria Rainer, Milica Jovanović, che, grazie a una borsa di studio della banca West LB, ha potuto perfezionarsi prima con Pia Douwes e poi alla Royal Academy of Music di Londra, nonchè cantare per Andrew Lloyd Webber nel workshop di Love Never Dies. Ha una bella voce da soprano - e si è talmente immedesimata nel suo ruolo che porta il dirndl anche nel tempo libero. Le scenografie di Court Watson sono tanto essenziali che, quando Maria entra in scena sdraiata su un bozzo rotante (sullo sfondo la silhouette nera di Salisburgo) coperto da un tappeto verde con false margherite e un crocefisso nano, sembra di essere all’oratorio.
I registi Christian Struppeck e Andreas Gergen, d’altronde, sono famosi, oltre che per inscenare in coppia, per i loro allestimenti minimalisti. Nonostante qualche paradosso
temporale (è legittimo dubitare che all’epoca ci fossero già turisti e lavoratori orientali a Salisburgo), non manca il verismo: ci sono le bandiere con le svastiche e fa una certa impressione vedere quei ragazzi in
uniforme beige e con la croce uncinata al braccio piantonare le uscite della sala durante la scena del festival, ed è inquietante assistere a una Reibpartie in scena. Il musical si apre perfino con una
scena di guerra al fronte: scoppi di bombe, ululati di sirene, raffiche di mitra, tuonar di cannoni, soldati che corrono, molti di loro feriti e sanguinanti. Una didascalia ci dice che è il 1945.
Un lampo accecante, poi il buio - e uno scoppio più forte di tutti gli altri. Quando torna la penombra, ci ritroviamo nel convento di Nonnberg, sette anni prima. Fra tutte le suore salmodianti, la Madre Superiora Frances Pappas ha la voce migliore - e il suo Climb Ev'ry Mountain alla fine del primo atto lo dimostra al meglio. Franziska Becker è un’attrice che si è perfezionata al Lee Strasberg Theatre Institute di New York
grazie ad una borsa di studio della fondazione arte e cultura della regione Vestfalia, e che ha collezionato ruoli da protagonista in numerosi musical in tutti i paesi germanofoni. La sua Elsa Schrader è un incrocio fra la Tanja di Mamma Mia! e la Lilli Vanessi di Kiss me, Kate. Hubert Wild è il baritono per il quale Mark Moebius ha composto il ruolo di Heinrich Heine nella sua opera Idilia. Che la voce dell'ex allievo di Dietrich Fischer-Dieskau sovrasti tutte le altre nei numeri in
cui Max Dettweiler deve cantare qualcosa è quasi naturale. Come cantante lirico merita un punto extra anche per la recitazione spigliata. Hanna Kastner e Sebastian Smulders erano già stati fidanzatini nell’edizione viennese di Spring Awakening: là erano Wendla e Melchior, qui sono Liesl e Rolf. Carini. Peter Ewaldt ha a disposizione l'orchestra del Mozarteum, ma non la usa appieno. Anche le coreografie di Kim
Duddy non devono costare molta fatica al corpo di ballo del Landestheater. Complimenti a Wolfgang Götz per il suo lavoro con i bambini: Rafael Hofmann (Friedrich), Helena Aigner (Louisa), Julius von Maldeghem (Kurt), Isabella Holyst (Brigitta), Christina Rohrer (Marta) e Maria Straßl (Gretl) sono perfetti, senza aver perso in naturalezza. Alla fine tripudio di applausi e, come bis, medley in inglese di pubblico e cast.
L’altro fantasma del musical tedesco Spettatori e fans sono avvertiti: forse è meglio stare alla larga da questo Phantom der Oper di Roberta Mascazzini Il palazzetto della Mitsubishi Electric non è una struttura teatrale, ma un palazzetto dello sport che ospita nel corso dell’anno i più disparati eventi: sport, musicals, concerti, congressi e via dicendo. Proprio per questo motivo, gli spettatori non si devono aspettare l’atmosfera, l’acustica e la qualità di un tradizionale teatro. La grande sala viene adattata all’evento attraverso pannelli modulari, tendaggi e sedie imbottite a fungere da poltrone per la platea. I posti laterali sono, in tutto e per tutto, i classici seggiolini di plastica dei palazzetti dello sport. E già questi potrebbero esser motivi di delusione e di arrabbiatura per i prezzi vergognosamente alti dei biglietti. Tra gli eventi in cartellone all’inizio del 2013, se ne segnalano due a tema musical, entrambi della Central Musical Company e prodotti da ASA Events. Il 16 gennaio ha avuto luogo l’unica rappresentazione in città
dello sconosciuto Das Phantom Der Oper, di due altrettanto sconosciuti autori berlinesi: Arndt Gerber (musiche) e Paul Wilhelm (liriche). Potrà sembrare incredibile, ma la pièce risale al 1987 e si potrebbe perciò definire coeva al capolavoro di Webber. E proprio questo porta a riflettere su come lo stesso romanzo possa ispirare due composizioni così diverse tra loro tanto nell’impianto musicale quanto in quello scenico e nell’impostazione generale. In realtà esistono anche ben altri due “fantasmi dell’opera”, quello del 1976 di Ken Hill e quello del 1991 di Maury Yeston, ma anche loro sembrano non aver lasciato traccia. L’opera di Gerber e Wilhelm non è un musical in stile anglosassone con prevalenza di parti cantate - ed è più vicino alla tradizione italiana, in cui i molti dialoghi si alternano ai
motivi musicali, quasi fossero solo un elemento di contorno. Non esistono arie o melodie che, seppur piacevoli, possano costituirne un “tema principale” e quindi lo spettatore non ne porta a casa nulla. Anche la messa in scena è piuttosto semplice, essenziale. Gli stessi autori hanno definito Das Phantom der Oper un musical in 22 quadri. E così si presentano le scene agli occhi del pubblico: dei quadri che spesso si integrano faticosamente l’uno con l’altro a causa dei tempi relativamente lunghi richiesti agli attori per muovere i pochi arredi di scena e cambiare “quadro”. La narrazione ne risulta affannata, poco scorre-
vole, alquanto disturbata da queste continue interruzioni a luci del proscenio spente. Gli arredi di scena sono peraltro piuttosto scarsi: qualche sedia, una scrivania per i direttori dell’Opera Garnier, le sbarre per gli esercizi delle ballerine. Il resto è proiettato sul fondale. Ed è proprio con una proiezione degli sfarzosi interni del palazzo parigino che si apre il musical: sulla balconata a metà delle scalinate si succedono i personaggi in una presentazione che lascia piuttosto perplessi quanto al senso. è in questo momento che appare il narratore/usciere del teatro e si
chiede se il famigerato fantasma sia mai esistito veramente e suggerisce perciò di porre la domanda a chi il teatro lo frequenta per avere la risposta. A questo punto, si è trasportati nella storia, presumibilmente con un flashback, ma ogni riferimento temporale in questa scena o in quella precedente mancano del tutto, quindi si tratta solo di una supposizione. La storia è nota, quindi sarebbe inutile soffermarsi. Basti sapere che la narrazione si svolge per lo più a mezzo di dialoghi, inframmezzati da diverse musiche che, purtroppo, pur essendo piacevoli all’ascolto, lasciano il tempo che trovano e
spesso annoiano. Le voci sono decisamente belle, soprattutto quelle femminili, ma tutto il cast manca, in un certo senso, di entusiasmo, di motivazione; la cosa si trasmette anche al pubblico, che è assai avaro negli applausi o forse addirittura assopito. Non si può far a meno di sottolineare come questa tournée attragga il pubblico in modo alquanto discutibile: da nessuna parte sono menzionati gli autori del musical e la maggior parte degli spettatori acquista il biglietto, peraltro piuttosto caro, con la convinzione di assistere al fantasmagorico spettacolo webberiano. Siamo ai limiti della frode.
Sarà per questo motivo o per tutto il resto che lo spettacolo delude, soprattutto se si conosce già il celebre musical londinese. L’annuncio per la stampa presenta lo show come “pieno di charme, passione ed umorismo”, ma in realtà nessuno sembra accorgersene. Citiamo, per dovere di cronaca, gli attori della serata: Fantasma/Boris Becker, Christine Daé/Anna Christine Hofbauer, Raoul/Johann Bech, Moncharmin/Hans-Jürgen Zander, Carlotta/Barbara Freitag, Mme Giry/Ingrid Schlemmer. Gli autori hanno introdotto anche un commissario di polizia ed un suo assistente, che probabilmente, nelle
intenzioni originali, dovrebbero essere personaggi comici. Occorre far notare come, oltre alle numerose critiche negative da parte del pubblico, qualcuno è anche davvero entusiasta della rappresentazione, ma si tratta di pochi casi. Del musical non esistono nemmeno registrazioni audio, sebbene vada in scena da diversi anni. Qualora qualcuno tra i lettori voglia togliersi lo sfizio di navigare in internet alla ricerca di video, troverà solo quello ufficiale, usato come promo, che appare molto diverso dalla resa dal vivo, non certo per le musiche e le voci, ma per quanto riguarda le scene in se stesse.
Grande successo di pubblico ha invece avuto il concerto Die Nacht Der Musicals del 17 febbraio, della stessa società di produzione. Si potrà puntualizzare che sia molto più facile raccogliere applausi con dei successi altrui, molti dei quali conosciuti anche a chi non ha mai assistito a dei musicals. In scaletta ci sono, infatti, le highlights di shows che anche chi non frequenta i teatri conosce a memoria, o quasi. Il concerto si apre però con una tripletta da Tanz der Vampire, ovvero Die rote Stiefel,Totale Finsternis – lei brava, lui meno - ed Die unstillbare Gier interpretata asetticamente da Dale Tracy.
Il primo atto prosegue con Rock of Ages, un’orrenda versione della title song de The Phantom of the Opera con due voci sicuramente non adatte (Dale Tracy e Kerstin Löcker) un’emozionante Memory da Cats (Eva Karner), e poi via coi “best sellers”: Falco,The Lion King, Tarzan, Cabaret e Mamma mia, che chiude il primo atto. Molto divertente è stata l’apertura del secondo atto con Sweet Transvestite da The Rocky Horror Show, titolo al quale in scaletta hanno aggiunto anche “Picture”, errore che chi si occupa di musicals non dovrebbe fare, non trattandosi del film.
Dirk Smitts ha passato gran parte del numero interagendo col pubblico e facendolo ridere e... sudare per la paura di essere coinvolti in qualche gag e fare brutta figura davanti a tutti. Come Frank’n Furter è stato davvero convincente e sarebbe bello vederlo nel musical intero. La serata è poi proseguita con Evita, Dirty Dancing, Elisabeth, con Ich gehör nur mir, applauditissima, essendo la canzone molto amata dal pubblico tedesco, ma in realtà interpretata in modo brutto da una voce assolutamente non adatta, con sfumature forti, quasi maschili, dalla cantante Kathy Krause.
Il concerto stava ormai raggiungendo il climax, trascinando il pubblico in un vortice di emozioni e di canzoni sempre più note ed amate e così il programma è finito proponendo un lungo medley da We will rock you (erroneamente chiamato “Queen” in scaletta!), Ich war noch niemals in New York, con il pubblico a cantare in coro ed infine tre canzoni, non dal musical, ma dal film Sister Act! Le scelte delle canzoni sono state furbe, tendenti al pop, sia nel senso di genere musicale, sia in quello originario del termine, popolare. Anche il loro susseguirsi in scaletta era sicuramente studiato a tavolino
per rendere il ritmo sempre più incalzante ed avere, se il termine può esser concesso, un successo facile, sicuro. Il tutto è stato condito da bei costumi colorati, che spesso facevano dimenticare le carenze di qualche cantante, e da vari balletti. La musica era, caso raro in Germania, su basi registrate e non esistevano scenografie, delle quali, comunque, non si sentiva la mancanza. Difficile dare un giudizio su Central Musical Company attraverso due soli eventi, ma l’impressione generale è che la compagnia cerchi il guadagno solo sull’onda del successo altrui.
Attualmente hanno quatrro spettacolo in tournée, due “best of” e due musicals dai titoli piuttosto fuorvianti. I “best of” sono, appunto, Die Nacht der Musicals e Night of the Dance, con pezzi da Cirque du Solei, Moulin Rouge, ecc. I due musicals sono Das Phantom der Oper di Gerber&Wilhelm e Sissi – Liebe, Macht und Leidenschaft di Amade&Müller, guarda caso, uno spettacolo che potrebbe esser facilmente confuso con Elisabeth di Kunze&Levay… Sir Andrew Lloyd Webber, Kunze e Levay possono dormire sonni tranquilli.
Tony e Maria in salsa alternativa Parecchio fuori dagli schemi, e con tante ingenuità, il West Side Story allestito a Ratisbona di Laura Confalonieri Regietheater è una parola coniata negli anni '70 dalla critica per descrivere un allestimento in cui le idee del/la regista prevalgono su quelle del compositore, dell’autore e degli stessi esecutori. Melomani e cantanti lirici hanno imparato ad odiarla a suon di nudi, sesso e violenza in scena. Gli allestimenti di Andrea Schwalbach non sono, almeno per ora, degenerati negli incubi psicotici di un Calixto Bieito, ma la francofortana è pur sempre una che ai tempi, al posto di regia, ha studiato filosofia e fondato un gruppo teatrale il cui nome – MUTARE – è tutto un programma. Per il teatro Velodrom (nato velodromo, diventato arena di atleti e pugili, teatro di varietà, sala da concerto e assemblee cittadine e infine cinema, per poi essere restaurato nella sua forma e nel suo uso attuale) di Ratisbona, 620 posti a sedere per gli amanti del musical, del
balletto e della prosa, un palazzetto rosa ben nascosto nel cortile interno di un grigio palazzo d’epoca che ora ospita un discount, ha messo in scena una West Side Story che comincia con l’arrivo di Maria da Portorico con la valigia di cartone sulle note del mambo che ballerà in seguito in palestra e si conclude col suicidio della stessa, chiaro riferimento a Shakespeare di un’umanista che per il mondo si augura "il ritorno allo spirito del Rinascimento". Nanette Zimmermann, sua costumista e allestitrice di fiducia, ha creato un ghetto coperto di graffiti di volti femminili sofferenti e vestito di felpe col cappuccio e tute da ginnastica a colori fosforescenti i Jets, ragazze comprese. I portoricani, invece, vestono oro, viola e/o nero. Chino ha chiaramente rubato l’uniforme a Javert.
Johannes Aichinger, d’altronde, è un professionista navigato (con tanto di brevetto di capitano), e può darsi che nei sei mesi che ha passato su una nave abbia attraccato, prima che a New York, a Parigi. Le coreografie di Yuki Mori si limi-
tano ad acrobazie ginniche similbreakdance. Nel 1985 Leonard Bernstein registrò questo suo capolavoro con cantanti d’opera professionisti e un’orchestra sinfonica. La critica si ribellò, come pure tanti amanti del musical.
Jens Neundorff von Enzberg, il nuovo sovrintendente del teatro di Ratisbona, che viene dall’opera (Dresda, Bonn e Braunschweig), ha ritentato l’esperimento. Philip van Buren non è Bernstein, ma è anche lui compositore e piani-
sta, oltre che direttore d’orchestra, e la Filarmonica di Ratisbona sotto la sua guida fa un ottimo lavoro. Lo stesso non può dirsi di Frank Thannhäuser e Nico Rabenald, che hanno tradotto molto liberamente i testi di Stephen Sondheim
per i sopratitoli (lo spettacolo è recitato in tedesco e cantato in inglese). Matthias Wölbitsch, il baritono ventiduenne che il sovrintendente von Enzberg ha detto di aver "comprato come Papageno" (tratta degli uccellatori?), ha una bella voce, ma è difficile passare dal recitar cantando di Mozart ai ritmi sincopati di Bernstein senza che le corde vocali mostrino la corda. Sarà per questo che il suo Riff ha un’espressione perennemente sgomenta e un che di piagnucoloso? Il Tony di Cameron Becker sfoggia un pizzetto alla Erroll Flynn nei panni di Robin Hood e una bella voce da tenore (alla fine dello spettacolo, tuttavia, una spettatrice alle mie spalle tesse con un conoscente gli elogi del bravissimo David Cameron). La bielorussa Anna Pisareva, finalista del concorso "Gian Battista Viotti" e vincitrice del ruolo di Micaela nel casting show Wer wird Carmen? (Chi sarà Carmen) organizzato dal canale televisivo ARTE, ha l’accento di Natalie Wood (all’anagrafe Natalia Nikolaevna Zakharenko) e la voce di Kiri Te Kanawa. Katharina Schutza, figlia di un cantante d’opera e dall’età di quattro anni presente sui palcoscenici operistici di tutta la Germania, è un’Anita grintosa come solo un mezzosoprano che sa ballare il flamenco e ha impersonato Evita e Sally Bowles sa essere.
Sascha Luder, diplomando dell’Accademia Everding di Monaco di Baviera, abituato a recitare in classici come Fedra di Racine, è Bernardo, che non ha assoli. Ad altri due diplomati dell’Accademia Everding sono affidati i ruoli di Action (Christian Fröhlich) e Baby John (Denis M. Rudisch). Completano la banda dei Jets Stephan Witzlinger (A-rab), Robin Koger (Diesel), Claudio Costantino (Snowboy) e Riccardo Zandonà (Big Deal). Divertente il loro Gee, Officer Krupke, pur se la drammaturgia di Eva Maskus non rinuncia – inspiegabilmente - alla violenza: l’agente Krupke (Matthias Friedrich, che, quando si toglie gli occhiali neri e mima il poliziotto cattivo, ha più l’espressione da stitico che da duro) viene pestato e legato ad una sedia. Le Jet Girls (Ljuba Avvakumova – Graziella; Ina Brütting – Velma; Pauline Torzuoli - Minnie) si notano poco, incappucciate come sono e sparpagliate come vengono nei numeri di ballo. L’unica che si nota e che si fa notare è Sina Reiß nel ruolo di Anybodys. Anche nell’impostare il suo personaggio, però, le scelte della regia non sempre sono comprensibili: che bisogno c’è che, mentre Tony e Maria, rimasti soli nel negozio di abiti nuziali, cantano il loro amore in One Hand, One Heart, Anybodys
si intrufoli nella bottega e si metta a provare scampoli rosa e parrucca in tinta? Tanto più che Anybodys è un maschiaccio che vuole essere un Jet a tutti gli effetti! Fra le altre perle: su una parete della palestra dove si tiene il ballo campeggia un manifesto di reclutamento (quello classico, con lo zio Sam che punta il dito e dice "I want you!") e Glad Hand porta l’uniforme e distribuisce mitra (sic!) ai ragazzi delle due bande rivali; Maria e Tony non restano mai soli, neanche per un duetto, eppure possono duettare senza che nessuno si affretti a separarli (quelli che dovrebbero farlo si ricordano che fanno parte di bande rivali solo alla fine dei duetti – e allora sì che vengono alle mani!). Solo nel finale, quando lo sparo di Chino che uccide Tony dovrebbe richiamare tutti in scena per il finale, non arriva nessuno. Arriva solo Anybodys, ma solo dopo che Maria si è suicidata con una pistolettata alla tempia (sic! sic!), e ne porta via la valigia. Dopo lo spettacolo tutto il pubblico è invitato ad un party con minestrone e DJ (gratis) e bevande (a pagamento). A mezzanotte il catering sbaracca, ma le danze continuano.
Uwe & Pia, nozze d’argento col musical La coppia d’oro del musical d’oltralpe festeggia sul palco 25 anni di carriera in parallelo di Roberta Mascazzini Colosseum Theater, Essen (D), 4 marzo 2013 - Negli ultimi due anni ci stiamo abituando ai venticinquesimi anniversari: Les Miserables, The Phantom of the Opera, Chess, Starlight Express, Into the Woods, il film Dirty Dancing. Troppi? Eppure ne abbiamo dimenticato uno, quello della coppia più collaudata del teatro musicale in lingua tedesca: Pia Douwes ed Uwe Kröger. Conosciutisi nei Paesi Bassi durante la produzione olandese del musical Les Miserables, ritrovatisi nella prima, celeberrima produzione viennese del musical Elisabeth, sembra che il destino teatrale li abbia uniti per sempre in un longevo matrimonio musicale. E due divi acclamati come loro possono permettersi il lusso di festeggiare il giubileo con una tournée di concerti dal titolo Uwe Kröger & Pia Douwes - die gröβte Musical Hits, che
ha avuto il suo apice nella serata al Friedrichstadtpalast di Berlino. Nonostante tutto ciò, si tratta di serate senza concessioni alla sontuosità. Sul palco ci sono solo gli otto orchestrali, diretti dall’arrangiatore/pianista Herwig Gratzer, le due star ed il quartetto vocale Gudrun, due uomini e due donne. Niente fronzoli scenografici, coreografici. Nulla. L’impostazione del concerto ricorda leggermente Still in love with musical: stessa essenzialità sul palcoscenico ed ouverture quasi identica. Il concerto si apre con un numero strumentale in cui vengono riassunti alcuni momenti della carriera dei divi. Tocca a Mr. Kröger rompere il ghiaccio aprendo il concerto con Cabaret direttamente dalla platea e scambiando un paio di battute col pubblico. Preso possesso del palcoscenico, scatta subito Nobody’s side, uno dei
cavalli di battaglia della coppia. Rotto il ghiaccio in questo modo, non gli resta che presentare la sua partner – come se ne avesse bisogno - e spiegare le ragioni del tour, nonché del ritorno al Colosseum Theater di Essen, dove si erano già esibiti il 17 gennaio. Uwe spiega della grande richiesta di biglietti – il teatro era esaurito anche a marzo – di come si siano conosciuti lui e Pia, durante il musical Les Miserables in Olanda.
E qui scattano i primi aneddoti divertenti, veri od inventati ad hoc che siano. La Douwes racconta che durante quella produzione, lei, come altri, doveva anche ricoprire altri ruoli, oltre a quello di Fantine: aiutare dietro le scene o impersonare caratteri secondari, di quelli che nemmeno si notano nel coro. Per esempio, racconta che doveva vestire i panni di un popolano – un uomo – e, dando le spalle al pubblico, mimare il gesto di far pipì. Per far vedere come fosse diventata brava in quella “parte”, invita un uomo scelto tra gli spettatori, entrambi si mettono di spalle e mimano l’azione, con grande ilarità di
tutti e tremenda vergogna per il prescelto o vittima. Immancabile la citazione del film musicale dell’anno e si prosegue quindi con Stern (Stars), cantata con una voce persin troppo da cattivo anche per Javert. Tocca a Pia quindi emozionare con la bellissima Ich hab’ geträumt vor langer Zeit (I dreamed a dream), primo show-stopper. Fino a questo punto, si direbbe che la serata sia una copia delle altre tournée di Uwe, sempre le solite canzoni. Ma ecco una novità: finalmente vengono inseriti in scaletta due songs dal musical Die drei Musketiere: Oh, Herr cantata da Kröger/cardinale Richelieu e Milady ist
zurück cantata dalla Douwes/Milady De Winter. Quest’ultima canzone è stata riarrangiata in realtà con un ritmo troppo veloce così da renderla meno incisiva e da farla sembrare una corsa contro il tempo. Ci pensa il quartetto Gudrun a riportare la musica a ritmi più umani con una versione quasi tutta a cappella di Seasons of Love, in uno stile simile a quello dei Neri per Caso. Si aggiungono poi anche le due stars nel corso della seconda strofa in cui si sente la prima stonatura della serata, da parte di un cantante del quartetto supporter. Si prosegue con le hits tratte dai musicals più “gotici”: e via nel vorticoso susseguirsi di Totale Finsternis, Nosferatu, Rebecca, Musik der Nacht, in cui Kröger stona palesemente al verso «...im Reich der Illusion…» per poi lasciar sfumare le note di questa canzone nell’incipit della title song Das Phantom der Oper. Una canzone più applaudita dell’altra nonostante la stonata, ma il vero brivido della serata è stato proprio quello di rivivere con Pia Douwes ed i Gudrun le atmosfere angoscianti suscitate dal refrain di Rebecca. Standing ovation per la cantante olandese con la seconda novità della serata dopo i moschettieri. Al pubblico è concessa una pausa per riprendersi dalle emozioni e riposare le doloranti mani e si riprende la serata con una seconda
parte aperta dalla versione strumentale di Strikes up the band. Uwe Kröger canta Skyfall, continuando così la sua serie di reinterpretazioni delle canzoni tratte dai film di 007, e passa quasi inosservato rispetto al resto del concerto. Non si sa se perché il pubblico non apprezzi o non (ri)conosca la canzone. I veri scroscianti applausi riprendono con All that jazz, il cavallo di battaglia krögeriano Sunset Boulevard, ormai scontatissimo nei concerti del divo tedesco ed una esecuzione di Nur ein Blick (With one look) da manuale. La signora del musical porta a casa un’altra standing ovation. Il pubblico non può reggere a lungo un susseguirsi di emozioni così forti e quindi ci pensa Uwe Kröger ad alleggerire l’atmosfera uscendo dalle quinte con il tradizionale costume austriaco – e non solo – suscitando l’ilarità degli spettatori. Indossa calzoni corti con bretelle, gilet e calzettoni. Di certo non lo fa per farsi ridere addosso, ma per prender in mano la chitarra, sedersi sullo sgabello e tentare di cantare Edelweiss da The Sound of Music. Già, provare a cantare. Perché la sua fidata chitarra lo abbandona subito. Fa ancora un paio di tentativi di suonare e poi sale sale sul palco un tecnico che cambia una batteria e quindi ricomincia a cantare e suonare per
qualche secondo, per poi esser lasciato definitivamente in panne dallo strumento musicale! è così costretto a proseguire prima senza musica e poi accompagnato al pianoforte da Herwig Gratzer. Lo raggiunge anche Pia indossando un dirndl, che lei racconta esser appartenuto a sua madre. Nessuno ci crede, ma tant’é. L’abito serve solo per fare un paio di gag. Pare che il modo in cui si allacci la cintura dell’abito, al centro, su un lato o sull’altro, indichi lo stato di una donna: sposata, vedova o vergine. Ci si riprende dal momento leggero con un’altra esibizione parzialmente a cappella dei Gundrun con Superstar che sfuma poi lentamente in Bad di Michael Jackson. La serata si chiude poi nel più ovvio, scontato e prevedibile dei modi: il musical Elisabeth che li ha resi due star nel 1991, e che tutt’ora resta una delle opere più amate dai tedeschi. Forse semplicemente perché è bello, o forse perché è il primo musical originale tedesco che si basa su una storia tedesca (Sissi era bavarese). Ecco le evergreen Der letzte Tanz con un’altra stonatura krögeriana, Ich gehör nur mir e Wenn ich tanzen will. Il concerto si chiude con interminabili applausi ed i due cantanti che regalano di nuovo al pubblico qualche momento canoro, con la trascinante The time of my life, con la
quale sarebbe davvero difficile non strappare applausi, vista la celebrità della canzone, del film ed il ritmo. La serata ha confermato come i due veterani del musical d’oltralpe sappiano tenere la scena non solo cantando, ma intrattenendo, ha mostrato la loro complicità ed il loro evidente affiatamento costruito in tanti anni. Molte le battute che si sono scambiati, come il pubblico, evidentemente costituito per lo più da aficionados, si aspettava. Ed una battuta è forse quella che ha centrato maggiormente l’immaginario dei fans della premiata ditta Pia&Uwe: il divo tedesco ha chiesto al pubblico se sapesse perché lui canta così volentieri con Pia ed ha detto di farlo perché Pia lo ama. è seguita una gag con un tentativo di comica dichiarazione d’amore di Uwe e poi un duetto da Elisabeth in cui alla fine si sono coccolati. Kröger ha affermato che molti gli chiedono se lui e Pia abbiano mai pensato di sposarsi tra loro. Pronunciata questa frase hanno cominciato a scherzare e gigioneggiare, ma la cosa dimostra come la loro immagine sia fortemente costruita ed indissolubilmente legata ai personaggi che hanno dato loro il grande successo, ovvero Sissi e der Tod. Nel musical la Morte amava l’imperatrice e lei ne era intimamente attratta ed il pubblico li
identifica (ancora) in quei due ruoli. Il fatto che le strade del signor Kröger e della signora Douwes si siano poi incrociate altre numerose volte, ha alimentato questa “speranza” nell’immaginario di alcuni. Ritornando invece alla realtà dei fatti, si deve ammettere che il concerto è stato piacevole, forse troppo corto – altri concerti del genere durano almeno mezz’ora in più – in parte scontato, in parte innovativo. Scontate sono la maggior parte delle canzoni in scaletta ed il perfezionismo di Pia Douwes, da alcuni considerato talmente eccessivo da renderla asettica ed incapace di emozionare. Innovativa l’introduzione di canzoni da Rebecca, da Die drei Musketiere, da The Sound of Music. Alcuni hanno rimproverato ai due divi di portar in tournée cose trite e ritrite. Eppure è più che naturale che un musical performer esegua in concerto le canzoni dei propri musicals, magari scegliendo tra quelle di più facile presa sul pubblico. Lo fanno tutti. I due performers si son prodotti in questo concerto in due risultati differenti: Pia perfetta, a proprio agio ed ironica. Uwe, altrettanto ironico, ma meno a proprio agio e non in
ottima forma vocale, avendo preso diverse stecche durante tutto il concerto. Il quartetto dei Gundrun è bravo, ma senza eccellere ed una delle due componenti femminili è decisamente poco a suo agio nei movimenti di accompagnamento al canto. Meglio sarebbe stato godere della presenza di un piccolo gruppo di ballerini come nella tournée Absolut Uwe. I nostri lettori sono ancora in tempo a farsi un’opinione personale assistendo ad una delle ultime tre tappe del tour: il 29/04 a St.Pölten, il 30/04 ad Innsbruck ed infine il 13/05 al Rhaimund Theater di Vienna, dove sono di casa. Ma il loro sodalizio artistico proseguirà anche quest’estate con Der Besuch der alten Damen, première a Thun il 16 giugno. Separatamente saranno impegnati la Douwes in diversi concerti sparsi tra Austria e Germania e Kröger nel musical The Sound of Music a Salisburgo che, è stato annunciato da poco, proseguirà ancora per un bel po’. Chi volesse togliersi lo sfizio di vederli e di fare contemporaneamente del turismo, ha di che scegliere.
I love you, you’re perfect... Anche in sloveno, il musical da camera sulla vita di coppia funziona alla perfezione di Sara Del Sal A volte le sorprese arrivano nel modo più inaspettato. Entrare al Kulturni Dom di Gorizia per vedere un musical potrebbe già essere una sorpresa ma è in corso KomiGo, un festival che unisce il musical alla comicità con un cartellone molto particolare e che si è aperto con Ljubim te – spremeni se!, un titolo che per chi non conosce la lingua slovena può risultare del tutto sconosciuto. Ma se si è fortunati ecco che la traduzione suona molto più familiare: I love you, you're perfect, now change!. A volte ritornano, è il caso di dirlo, perchè molti anni fa lo stesso titolo è stato prodotto dal teatro La Contrada anche in Italia come Aloviù, sei perfetto adesso cambia". Un musical "da ca-
mera" scritto e pensato per 4 performer che si interroga sul rapporto uomo-donna dall'epoca di Adamo ed Eva fino ai giorni nostri attraverso una serie di "quadri" ironici e divertenti. Hit dello spettacolo è A stud and a Babe, la canzone che racconta il primo incontro, le frustrazioni e le speranze di due imbranati che al primo appuntamento non sanno cosa dirsi ma che se potessero essere dei vincenti saprebbero bene come fare, salvo poi riscoprirsi per quello che sono e che salvano la situazione proprio accettandosi, dando alfine libero sfogo all'attrazione che comunque li ha portati in quel ristorante. Un pezzo che era stato rispolverato anche da GIanluca Sticotti per il suo 24h due anni fa in sala Bartoli a Trieste, e che aveva strappato applausi e risate a scena aperta. In questo caso sono stati un perfetto Danijel Malalan e una simpatica Simona Vo-
dopivec Franko a dare vita ai due imbranati di turno. e con loro Romana Krajnčan e Marjan Bunič, affiancati da un pianista e un sassofonista che hanno saputo con brio e un po' di fantasia giocare con la partitura dello spettacolo che è di quelle in grado di restare in testa agli spettatori. Una produzione piccola ma curata in tutti i particolari, dalle proiezioni in stile Lichtenstein ai costumi, tutti realizzati con gli accostamenti tra il bianco e il nero. Quello che colpisce è il livello dei performer sul palco. Malalan è un artista che spesso è impegnato in produzioni di prosa ma che conosce bene il canto e sa come muo-
versi e in questo caso dimostra tutto il suo talento, e verrebbe da chiedersi perchè non lo abbiamo mai visto in qualche produzione di musical in Italia, visto che comunque è italiano. E gli altri sono stati ironici e intensi al punto giusto. Insomma, un bel musical, piccolo piccolo, che è sempre piacevole rivedere, non importa in che lingua sia, soprattutto se chi sta sul palco sa comunque fare capire con la mimica e le intonazioni, quello che sta accadendo. Ed anche una rivelazione per un paese come la Slovenia, che finora non sembrava avere performer adeguatamente preparati... quattro di sicuro ce ne sono!
W Zorro: Amore e giustizia Sentimento, flamenco e duelli di spade gli ingredienti del successo del musical di D’Orazio di Enza Adriana Russo Zorro è stato uno degli spettacoli più di successo della stagione teatrale che sta per concludersi e che ha toccato le principali città italiane. Uno spettacolo prodotto da una giovane ma coraggiosa casa di produzione, la Medina (la stessa di Fantasmi a Roma) con pochi mezzi rispetto ad altre produzioni, ma con grandi risultati di pubblico. I testi sono di Stefano D’Orazio che ritorna al musical dopo l’esperienza di Aladin, e che nella stesura delle musiche si fa coadiuvare da Roby Facchinetti. D’Orazio ha voluto con sé di nuovo Fabrizio Angelini per la regia, ma anche per le coreografie, supportato stavolta da Gianfranco Vergoni. D’altra parte squadra che vince non si cambia. W Zorro è da sempre l’eroe preferito da D’Orazio, e quello di metterlo in scena era un desiderio che portava con sé da tanti anni, e secondo lui proprio questo era il mo-
mento giusto per farlo. L’Italia si trova in una situazione difficile, di crisi, e cantare, seppur tra musica e balli, i valori di amore e giustizia sociale era la cosa migliore da fare. L’ho visto a Palermo nei giorni di Carnevale, e penso che periodo migliore per immergersi nel sogno di Zorro non poteva esserci. La scrittura di Zorro di D’Orazio è tutta nuova ed originale e sostenuta dalla consulenza storiografica del Prof. Troncarelli, docente dell’Università di Viterbo. El Zorro (la Volpe) è stato un personaggio veramente esistito (si dice due secoli fa), e D’Orazio, anche se sceglie i modi leggeri della commedia musicale, lo vuole far conoscere al pubblico. A vestire i panni di Zorro in questa trasposizione scenica è Michel Altieri, rientrato apposta per questo ruolo dagli Stati Uniti, dove vive e lavora da qualche anno, proprio perché convinto della sua validità.
Insieme a lui come coprotagonista c’è Alberta Izzo, performer di esperienza, che interpreta Cecilia, figlia adottiva di William Lamport, che la raccoglie dalla strada ancora bambina. William è anche il padre di Don Diego che non conosce Cecilia, e ritorna dall’Europa dopo 15 anni, per correre al capezzale del padre morente. Diego, dopo la morte del padre, scopre che l’eroe che difende da sempre i diritti dei diseredati non era altri che lui, e quindi, anche se non si sente all’altezza di riprendere le sue gesta eroiche, decide che da ora in poi sarà a lui a vestire i pazzi di Zorro. Zorro incarna l’eterna lotta tra il
Bene ed il Male, e se il volto del Bene qui è quello di Diego e di Cecilia, il volto del Male è quello di Don Juan de Salvatierra (interpretato da Roberto Rossetti), e della moglie Donna Consuelo (Jaqueline Ferry), vecchia fiamma di Diego, che torna a sedurlo, appena lo ritrova dopo tanti anni. I nodi su cui si svolge la storia sono due: la lotta di Zorro a favore dei peones che vuole riscattare dalla tirannia di Don Juan, e la storia d’amore che nasce e si sviluppa tra Zorro (che solo dopo svelerà il suo vero volto) e la giovane Cecilia: un amore semplice, da favola, basta poco ai due per amarsi.
Il cast è tutto talentuoso e all’altezza, diretto e coreografato in modo eccellente (troviamo che stavolta Fabrizio Angelini, supportato da Vergoni, abbia davvero superato se stesso). Tutte le canzoni sono belle ed orecchiabili e rimangono nella memoria dello spettatore: il leit motiv è dato dalle note del flamenco, che si alternano ad altre varie sonorità (rock, fado, tango, mambo) riprendendo a volte la gioia musicale del vecchio avanspettacolo italiano. Forse solo il tema principale W Zorro risulta un po’ troppo monotono e ripetitivo (ed è un vero peccato), ma viene comunque
valorizzato dalle notevoli voci di Michel Altieri e di Alberta Izzo. Quella di Altieri è una sicura voce lirica, da tenore, di esperienza, che riesce a conquistare il pubblico fin dall’inizio, nell’assolo è giusto che sia così, quando decide che vestirà i panni di Zorro ereditati dal padre e canta “manterrò il mio segreto, sarò fragile, nessuno capirà niente.[...]ma al momento giusto alzerò la spada”. Alberta Izzo, oltre ad avere una voce bellissima, è anche una delicata e leggiadra ballerina, che ha piena libertà di esprimersi nelle coreografie di Angelini, sia negli assoli che nelle affascinanti coreografie di gruppo, come i duelli di spade insieme al resto del
cast (il maestro d’armi è Stefano Pantano, atleta pluripremiato). Rossetti è la voce rock del cast, forte e convincente. Il suo Don Juan è così cinico da risultare estremamente buffo e suscitare l’ilarità del pubblico, anche se il vero ruolo da comico è affidato a Maurizio Semeraro, che interpreta Ugo - il suo attendente - che definisce Don Juan un “mezzo imbecille” ma “solo perché lo conosce a metà”. Le sue battute sono efficaci e ruffiane (“Se la ricchezza è dentro, per essere ricco, quanti soldi devo mangiare?”; “è tutta casa e chiesa, ma è il tragitto che la frega”) e richiamano ripetutamente le risate del pubblico. A mio parere, suo è il numero più bello dell’intero spettacolo: Cocco di mamma che balla e canta insieme ad un altrettanto talentuoso Fabrizio Checcacci, nel ruolo di Fra José (che in scena interpreta anche William, il padre di Diego). Jaqueline Ferry-Donna Consuelo è la vera caratterista dello spettacolo; riesce ad indossare con bravura i panni dell’oca seducente e maligna, e sembra nella interpretazione un
felice incontro tra due soubrettes degli anni passati, Minnie Minoprio e Sandra Mondaini, riprendendo da loro verve comica ed ironia. Eccellenti tutti i componenti del corpo di ballo, che danzano in coloratissimi costumi e travestiti da leggiadri Zorro: i cambi di scena sono pochissimi, ma tutti i costumi sono curati in ogni particolare. Unica nota stonata (è proprio il caso di dirlo): i ballerini del cast fanno anche da coro, ed in alcuni assoli che a loro vengono affidati non esprimono di certo belle vocalità. Sicuramente da ricordare, infine, Giovanni Maria Lori alla direzione musicale e Rossana Casale alla direzione vocale. Nel complesso, W Zorro è uno spettacolo tutto da vedere, che tornerà in scena toccando altre numerose tappe nella prossima stagione teatrale. Le interviste a Zorro-Altieri ed al suo antagonista Don Juan-Rossetti potrete leggerle nel numero speciale di Amici del musical in uscita a breve. Visto a Palermo il 7 febbraio 2013.
Sul lago ghiacciato A Trieste, in esclusiva nazionale, l’affascinante Swan Lake in una stupefacente versione sul ghiaccio di Francesco Moretti Trieste, 3 marzo 2013. In quel teatro abbiamo visto discariche a misura di gatto, isole greche, scacchiere giganti, residenze asburgiche; ma una vera pista da pattinaggio su ghiaccio, ancora no. Eppure è successo: per una settimana il Rossetti di Trieste ha ospitato, in esclusiva nazionale - ma visto lo strepitoso successo e la fattibilità della cosa, chissà che qualche altro grande teatro italiano lo riproponga in futuro - l'affascinante Swan Lake degli Imperial Ice Stars, con la regia e le coreografie di Tony Mercer. Affascinante è proprio il termine appropriato: la grazia e l'eleganza del balletto classico sposano alla perfezione la tecnica, la fisicità e la leggerezza della danza su ghiaccio, in un mix esclusivo e dall'impatto visivo ed emozionale garantito. Roba da sorridere meravigliati da quando si alza il sipario fino alla
scena finale. Teatro gremito in ogni ordine di posti, pubblico dai 2 ai 99 anni, in autentico visibilio ed entusiasmo; anche le mie figlie, una di due anni e mezzo, l'altra di cinque e mezzo, non hanno staccato gli occhi dal palcoscenico per un attimo. Gran parte del merito va sicuramente all'immortale partitura di Ciajkovskij, qui rivisitata e riveduta negli arrangiamenti, resi moderni e qui e là addirittura rockeggianti; ma anche l'impianto scenografico, delle semplici quinte dipinte con paesaggi invernali e fiabeschi - ora la silohuette di un castello, ora le sponde del lago, ora un bosco innevato - fa degnamente la sua parte, impreziosito dal preciso disegno luci e da effetti nebbia sempre suggestivi. L'apparizione delle ballerine-cigno, tra nebbie e penombre, con il tema musicale universalmente conosciuto, lascia esterefatti per l'in-
canto e la meraviglia. Costumi fastosi, ricchissimi. Ovviamente le evoluzioni sui pattini dei danzatori, ex pattinatori che sotto la guida, tra gli altri, di Evgenj Platov - due volte medaglia d'oro per la danza su ghiaccio - danno vita ai personaggi della fiaba, completano ed esaltano lo show con espressivitĂ e stupefacente facilitĂ . Applausi scroscianti ed entusiastici per tutta la compagnia.
I signori e la signora del teatro musicale Frank, Sammy e Dean dal vivo da Las Vegas e il recital di Ute Lemper: un luccicante inizio 2013 per Trieste di Enrico Comar Un inizio anno in grande stile per il Rossetti. Si parte con una prima assoluta per il nostro paese: Christmas with the Rat Pack. Scelto come titolo di apertura del 2013 e andato in scena dal 3 al 6 gennaio, lo spettacolo (in scena per 8 stagioni nei teatri del West End londinese) giunge a Trieste, in esclusiva per l’Italia, dopo le fortunate repliche natalizie al Museum Quartier di Vienna. Una sfida decisamente ambiziosa (e rischiosa) per i produttori Paul Walden e Derek Nicol; riportare in vita quel “branco di ratti” formato da Frank Sinatra, Sammy Davis Jr e Dean Martin, cercare di ricrearne (almeno in parte) l’energia e la perfetta alchimia, soddisfare fans sempre pronti a storcere il naso, e far amare uno spettacolo vecchio di mezzo secolo al pubblico di oggi. Spettacolo natalizio ma non troppo, un po’ musical, un po’ teatro, un po’
tribute band; ma soprattutto una gigantesca illusione, un sogno in cui il pubblico deve farsi trascinare e in cui deve voler credere. Meglio quindi guardarlo dalla galleria, o dal fondo della platea, magari senza occhiali, per potersi godere fino in fondo l’illusione. Orchestrina swing biancovestita sotto la guida del giovane ed energico direttore-pianista Dominic Barlow, voci splendide, gambe in bella vista e deliziosa leggerezza e civetteria anni ‘60 per il magnifico terzetto delle Burelli Sisters (Frankie Jenna Sibthorp, Leanne Howell, Michelle White) che, in abiti da sera o (s)vestite di paillettes (per non parlare dei mini vestitini da babbo natale che non si dimenticano facilmente) interagiscono con i tre leading men nelle scenette e nei brani musicali. E infine i tre protagonisti, assolutamente superbi. La voce di Stephen
Triffitt non sarà quella di Sinatra (del resto, come potrebbe esserlo?), ma la sua immedesimazione nel personaggio, dalle movenze all’atteggiamento, sino al fraseggio musicale, è totale (complice anche una somiglianza fisica davvero sorprendente); Jay Marsh è un Davis Jr un po’ teatrale ma di grande effetto (incarnando la vitalità giovanile e la versatilità un po’ frustrata di Sammy), mentre Mark Adams pare a volte dover contenere la propria voce (sicuramente la migliore della serata) e la propria personalità per aderire al personaggio di Martin (che, tra atteggiamenti da latin lover e performance alcooli-
che ottiene ben presto i favori del pubblico). Battute e tempi scenici sono, naturalmente, quelli di mezzo secolo fa (dialoghi e situazioni si basano interamente sulle registrazioni dei veri spettacoli dei tre artisti) disorientando all’inizio lo spettatore moderno (ma è proprio questo il bello) e alcune situazioni sembrano costruite a tavolino, senza la sincerità e la verve che avevano in mano al terzetto originale (cosa del resto insperabile), ma tutto sta nel lasciarsi trasportare in quel mondo. E, grazie alle performance degli interpreti, alle scenografie di Sean Cavanagh e alle frizzanti coreo-
grafie di Mitch Sebastian, la cosa risulta straordinariamente facile. Così, tra battute su neri, omosessualità e mafia, litri di alcool (finto) e sigarette (vere), i protagonisti danno vita a performance musicali e scenette indimenticabili, lasciando che temi e caratteri emergano con naturalezza e senza forzature teatrali. E alla fine poco importa se Triffitt non ha il timbro di The Voice, o se i gesti di Marsh sono troppo costruiti, l’illusione un po’ alla volta diventa completa. Non una prima, bensì uno spettacolo ormai ben noto e apprezzato dal pubblico italiano, è invece Last tango in Berlin, il recital di Ute
Lemper che da quattro anni riscuote successi nei teatri di tutto il mondo e che finalmente (è il caso di dirlo) è arrivato anche a Trieste (l'8 gennaio, per una sola serata, che ha registrato il tutto esaurito). “From Brecht in Berlin to the Bars of Buenos Aires” recita il sottotitolo. Sin da subito, quindi, appare chiaro che il viaggio musicale e culturale in cui l’artista tedesca intende condurci sarà alquanto inusuale. Due realtà apparentemente opposte, due mondi estranei, tra i quali la cantante tesse un filo conduttore a volte nitido, altre volte contorto e quasi invisibile. Brani in ordine apparentemente ca-
suale, momenti di teatro sapientemente preparati e altri del tutto improvvisati (chi ha già visto lo spettacolo, si accorgerà che la scaletta muta di giorno in giorno), alternanza di canto, prosa, cabaret. La cantante tedesca gioca con i generi, con le regole, con le lingue (nel parlato alterna e spesso fonde tedesco, francese, inglese e spagnolo, cui aggiunge, per l’occasione, accenni di italiano), dando vita ad una galleria di personaggi senza nome che nascono fluidamente l’uno dall’altro, e tra i quali riappare Ute, a raccontarsi e a raccontare le loro storie. Unici oggetti scenici, uno sgabello, un cappello, un boa di piume. E lei, in un abito nero da sirena, in grado di incantare con la sua voce, duttile e poliedrica come poche (con una
capacità di mutare tecnica, stile ed espressività sino al limite del virtuosismo). Accompagnata al pianoforte da Vana Gierig e al bandoneon da Marcelo Nisinman, passa disinvoltamente dalla Germania di Weill e Hollaender (la sua Ich bin vom Kopft bis fuss aut liebe eingestellt è inarrivabile) alla Francia Bel (tra le altre, una disperata e vigorosa Dans le port d’Amsterdam) fino in quella seducente e tragica Buenos Aires dipinta così vividamente dalle note di Piazzolla. Dopo gli applausi di rito, spunta Amarcord di Nino Rota, come omaggio all’Italia, mentre agli appassionati di musical riserva un lungo medley in cui spuntano estratti da Cabaret e Chicago, per concludere lo spettacolo con una Ne me quitte pas assolutamente da brividi.
dal mondo del
musical
a cura di Francesco Moretti invia le tue segnalazioni - notizie, stage, workshop, audizioni... a francesco.moretti@gmail.com
news
Il canto nel musical Accademia dello Spettacolo di Torino e Amici del Musical in collaborazione con Arts Educational Schools di Londra promuovono il convegno Il Canto nel musical – Metodologie e teorie della didattica”. A sovraintendere i lavori Ceris Deverill, che porterà la sua esperienza artistica, maturata sui palcoscenici del West End, e didattica, formata in anni di insegnamento come Singing Tutor presso l'ArtsEd. Fondata nel 1939, l’ArtsEd è una delle istituzioni di formazione per il Musical Theatre più importanti nel panorama mondiale: negli anni ha formato artisti del calibro di Sarah Brightman e Julie Andrews e oggi vede come presidente Andrew Lloyd Webber. Le tre giornate saranno l’occasione per discutere, confrontarsi e cercare punti di contatto fra visioni spesso troppo distanti riguardo la vocalità teatrale, in particolare quella legata alla Commedia Musicale e al Musical; un momento di aggiornamento e di approfondimento sulla metodologia didattica sviluppata soprattutto nel mondo anglosassone negli ultimi 50 anni. Vocalità teatrale e vocalità pop coincidono? Può un esperto di vocalità pop formare tecnicamente un artista perché canti Les Misérables o West Side Story? Che differenza c'è fra un metodo e una tecnica? La tecnica vocale Classica è importante per la formazione di base di un Musical Performer? E se lo è, quale tecnica Classica? Il convegno, grazie all’aiuto e all’esperienza di Ceris Deverill, si propone di iniziare a dare qualche risposta a queste domande e di trovare punti di incontro tra i professionisti del settore. Accademia dello Spettacolo,Via Luserna di Rorà 16 – Torino (TO) da venerdì 14 a domenica 16 giugno 2013 con il seguente orario: venerdì e sabato 10.00-13.00 / 14.00-17.00 domenica 10.00-13.00. ufficio.stampa@accademiadellospettacolo.it | tel. 011.4347273.
Sono aperte le audizioni per la nuova produzione
EXCALIBUR, LA SPADA NELLA ROCCIA un musical di Mario Restagno con musiche di Giovanni Maria Lori Accademia dello Spettacolo di Torino, in un momento di evidente crisi del settore, vuole offrire un segnale in controtendenza promuovendo la creazione e l’allestimento di una nuova commedia musicale la cui produzione viene affidata a TEATRO DEI SOGNI SCARL. Nella scelta dei candidati sarà data priorità a giovani musical performer (under 30) diplomati nelle accademie italiane. La produzione si articolerà in due fasi: 1) DAL 26 AGOSTO AL 14 SETTEMBRE 2013 Prove e riprese cinematografiche in teatro di posa per la produzione del DVD video che sarà distribuito gratuitamente in tutte le scuole italiane. 2) DAL 22 OTTOBRE 2013 AD APRILE 2014 Prove, anteprima nazionale e tournée di 30 date in teatri del Nord e Centro Italia.
SI CERCANO RUOLI PRINCIPALI x MERLINUS (Attore/Cantante) - Età scenica 50 anni. Baritono. Personaggio dalla voce attoriale importante e dal fisico imponente (altezza almeno 1 metro e 80 cm.) x
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MORGAINE (Attrice/Cantante) - Età scenica 26 anni. Contralto. Bella presenza, ambigua (altezza almeno 1 metro 65). ARTHUR (Musical Performer) - Età scenica 19 anni. Tenore. GUINIVERE (Musical Performer) - Età scenica 17 anni. Soprano. Bellezza regale. SIR HECTOR (Attore/Cantante) - Età scenica 50 anni. Baritono.
RUOLI SECONDARI, ENSEMBLE e COVERAGGIO x 1 MUSICAL PERFORMER MASCHILE (Età scenica 19 anni. Tenore)
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1 MUSICAL PERFORMER FEMMINILE (Età scenica 17 anni. Soprano)
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2 MUSICAL PERFORMER MASCHILI (Età scenica 25-30 anni)
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4 BALLERINE/CANTANTI (Età scenica 20-30 anni)
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2 MUSICAL PERFORMER FEMMINILI (Età scenica 25-30 anni)
MODALITÀ DI CANDIDATURA La candidatura avviene compilando il modulo di pre-selezione sul sito www.teatrodeisogni.it Le audizioni si terranno a partire dal 28 maggio 2013 a Torino. Invitiamo a consultare la pagina dedicata sul sito http://www.teatrodeisogni.it/produzioni.htm per ottenere maggiori informazioni sul progetto EXCALIBUR. Torino, 25 marzo 2013 Accademia dello Spettacolo Ufficio Stampa
Georgie, il musical Nasce il primo musical in crowfounding: si tratta di Georgie, tratto dal manga giapponese che negli anni Ottanta ispirò un popolarissimo cartone animato. L’idea è di Claudio Crocetti, in collaborazione con le sezioni di Firenze, Milano e Roma dell’AVIS. Prima tappa della raccolta fondi: la creazione del CD, con le voci di Brunella Platania ed Enrico D’Amore. info America Un docu-musical sull’immigrazione italiana nel nuovo continente di inizio Novecento è il nuovo progetto teatrale di Simone Sibillano (JCS, Aladin), qui nella doppia veste di regista e performer. Nel cast anche Valeria Monetti. Diviso in tre parti, il musical debutterà in anteprima nazionale il 1° maggio al Teatro delle Energie di Grottammare (AP). info
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San Pietro il Musical Per l’imminente debutto del musical San Pietro, la SDT Music cerca urgentemente 8 ballerini (4 uomini 4 donne) con buona preparazione atletico/fisica, solida base di tecnica classica/contemporanea e predisposizione al modern. Gradita anche esperienza di acrobatica. Domenica 21 aprile 2013 dalle ore 11.00 presso la sede di Musical Modena, Via Emilia Est n° 798, Modena info 059/8396370 casting@mumomusicalmodena.com In arrivo Ghost Ghost, il musical di Bruce Joel Rubin, con musiche e liriche originali di Dave Stewart e Glenn Ballard, sarà lo show del 2013-14 della MAS Music, Arts & Show. Le audizioni per l’intero cast si terranno a Milano dal 13 al 17 maggio 2013 dalle ore 9.30 presso la sede del MAS, via Privata Antonio Meucci 83, Milano. è richiesta la disponibilità per l’intera giornata. > info
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Never Stop Moving Sabato 20 aprile 2013, in occasione del trentennale di attività della coreografa Adriana Cava, presso il Teatro Nuovo di Torino (corso Massimo d’Azeglio 17) la Compagnia Adriana Cava Jazz Ballett organizza due grandi eventi dedicati alla danza jazz: - dalle 9,30 alle 13,30, in collaborazione con il DAMS di Torino, una Giornata di studi sulla storia e la cultura della danza jazz a cui parteciperanno studiosi e critici del settore; - alle ore 21 lo spettacolo Never Stop Moving che vedrà sul palco, accanto ai 18 ballerini della Compagnia Adriana Cava Jazz Ballet, artisti di fama internazionale. Durante la serata avrà luogo anche la cerimonia di consegna del Premio Tesi “Adriana Cava” e delle due borse di studio per la danza “Stefania Cava” e “Mimmo Pagliasso”. Le iniziative del 20 aprile organizzate dall’Adriana Cava Jazz Ballett hanno il patrocinio della Città di Torino e della Regione Piemonte.
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