Amici del Musical #10

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amici del

musical Rugantino Cats Best of Musical Cercasi Cenerentola Der Besuch der Alten Dame Artus Stephen Ward From Here To Eternity Sunset Boulevard 49 Shades & 1/2 Alessio Impedovo ...e tanto altro!

w e b z i n e

10|2014


Premio PrIMO Il musical italiano si è acceso di Franco Travaglio - PrIMO direttore artistico Quando abbiamo lanciato la scommessa di un Premio per il musical originale italiano abbiamo avuto la sensazione di affrontare una sfida forse azzardata, ma importante per il futuro del teatro musicale italiano. Certo non pensavamo di ricevere un numero così alto di opere, ben 25, e di riscontrare un livello qualitativo veramente sorprendente. Titoli interessanti (anche sul piano commerciale), colonne sonore curate e non banali, liriche ben scritte, libretti ben costruiti. Siamo convinti di aver fatto la scelta giusta nell’affidare a tre diverse giurie l’attribuzione dei premi, perché l’opinione del pubblico è importante (voto on-line) quanto quella dei professionisti del campo e della critica (giuria di qualità composta dai redattori di Amici del Musical e da un gruppo di grandi nomi del musical italiano ed europeo, e Menzione Speciale di Saverio Marconi). Altri premi speciali verranno assegnati, anche perché siamo rimasti “affezionati” ad alcuni musical che non avevano passato la prima selezione, e per loro abbiamo pensato altre iniziative promozionali. Il meccanismo di un premio ha sicuramente molti limiti, alcuni ce li avete segnalati - cercheremo di migliorare nelle prossime edizioni - ma è sicuramente un modo efficace per portare alla ribalta alcune opere che sarebbero diversamente destinate a rimanere nei cassetti dei loro autori. Il successo riscontrato nella votazione on-line, che si è svolta dal 10 febbraio al 30 marzo scorsi, ha superato le nostre più rosee aspettative: 4943 votanti, 4441 visualizzazioni su youtube, boom di contatti per il nostro sito www.premioprimo.it e per la pagina facebook www.facebook.com/ilpremioprimo.


Ouverture

Questa prima fase di PrIMO 2014 non è che l’antipasto: il prossimo appuntamento, dopo la proclamazione ufficiale dei vincitori il 15 Aprile, farà finalmente uscire PrIMO dal mondo virtuale. Il 29 Giugno all’Hotel Rotelle di Torrita di Siena, alle 21.00, andrà in scena una serata di premiazione-spettacolo in cui verranno consegnati i riconoscimenti a tutti i vincitori e le opere premiate verranno eseguite sotto forma di breve showcase in forma semi-scenica. La serata avrà come partner organizzativi l’Accademia Toscana del Musical Theatre e la Compagnia Teatro Giovani Torrita. Rimanete sintonizzati per ulteriori particolari e sorprese!! Concludo ringraziando tutti i giurati, i collaboratori che hanno reso possibile questa iniziativa e tutti i visitatori che con il loro voto, i loro commenti, i loro suggerimenti hanno “Acceso il Musical Italiano”. W il teatro musicale!!


Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine issuu.com/amicidelmusical ideazione e coordinamento editoriale Francesco Moretti in redazione Stefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio n. 10|2014 8 aprile 2014 in copertina: Filippo Strocchi in Cats

Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com


Facts & Figures

dall’Italia Rugantino Cats Joanna Ampil Filippo Strocchi Best of Musical Cercasi Cenerentola Cinecittà Sette Spose per Sette Fratelli Ti amo, sei perfetto, adesso cambia Into the Woods

8 16 24 26 28 32 36 40 44 46

dall’estero Der Besuch der Alten Damen Artus Reportage da Londra

52 58 64

From Here to Eternity, Stephen Ward, Do I Hear a Waltz?,The Commitments

Jekyll & Hyde Stephen Ward From Here To Eternity Les Miserables Sunset Boulevard 49 Shades & 1/2

76 84 88 92 94 100

l’intervista Alessio Impedovo

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Un po’ di news

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dall’

It


amici del

musical

talia


foto | Pino Le Pera


Rugantino torna e va alla conquista di Broadway Enrico Brignano riporta al grande successo il classico di G&G e si prepara al debutto a New York di Alessandro Caria Roma,Teatro Il Sistina, novembre 2013 Enrico Brignano ha ripreso, dopo il travolgente successo di tre stagioni fa, l’intramontabile Rugantino, fiore all’occhiello del ricco repertorio della Premiata Ditta Garinei & Giovannini (quest’anno abbiamo apprezzato pure un felice e festoso revival di Aggiungi un posto a tavola – che si accinge a festeggiare i 40 anni dal debutto il prossimo dicembre – nella messa in scena della Compagnia dell’Alba). Quando Rugantino debuttò nel 1962, Garinei e Giovannini fecero un grande salto di qualità: quella nuova, saporosa, elegante commedia musicale, collocava lo spettacolo italiano, in un campo sino a quel momento ad esso non molto familiare, su livelli europei ed internazionali. Chi è Rugantino? Maschera e personaggio tra i più sfuggenti, tra i meno certificati dagli studiosi, esso ritrova la sua unità e attualità nel

sintetizzare alcuni dei caratteri dell’animo romano d’un tempo (e, in parte, ancora d’oggi): millantatore, perdigiorno, spiantato, prodigo più di parole che di atti risoluti, cinicamente sentimentale, amante degli scherzi grevi e delle belle femmine e del vino; ma pronto poi, per generosità e per passione, a giocarsi la vita stessa. Rispetto all’edizione del 2010 ci sono alcune novità nel cast e pure Brignano, pur lasciando nei crediti artistici la regia originale di Garinei e Giovannini, nella sua messa in scena attuale sembra aver voluto mettere un po’ più della farina del suo sacco. Qual è allora l’anima che Brignano ha voluto dare al “suo” Rugantino? Se Valerio Mastandrea ne fece un azzeccato e attuale bullo del 2000 (coraggiosa scelta di Pietro Garinei), impunito e strafottente, prototipo da commedia dell’arte, con rara in-


telligenza espressiva e senza sbagliare un ritmo, inserendosi, dal cinema “off” in un teatro molto “in”, non facendo rimpiangere né le qualità istintive e raffinate di Manfredi, né il gusto comico grottesco di Montesano, Brignano dal canto suo regala al pubblico un Rugantino fanciullo, quasi un cucciolo cresciuto in strada, mascalzone, che alla fine diventa adulto e muore come un eroe, esprimendo quel sublime concentrato della filosofia romana: “Moro pe' fa' l'omo, ma c'ho paura”. Certo, resta la cifra stilistica di Brignano, e dispiace che a volte ecceda in gigionerie che certamente deliziano la platea ma che a mio avviso

non rendono giustizia al personaggio che interpreta e alla sua bravura di attore. Sì, perché Brignano, quando vuole sa essere un grande Attore. Cito solo un momento per tutti, una scena da brividi che arriva alla fine dello spettacolo: Rugantino esce barcollando dal carcere spinto in malo modo dalle punte dei fucili dei gendarmi che lo conducono al patibolo: Brignano ha la faccia davvero stravolta dalla paura, i suoi occhi lucidi che urlano una pietà a cui lui ha rinunciato, per poi tentare di darsi un contegno non appena vede gli amici di scherzi e bevute e che infine cerca lo sguardo della sua amata Rosetta per un ultimo silen-


zioso addio. Perché non avere sempre questa linea di interpretazione? Veniamo agli altri interpreti. Vincenzo Failla ha restituito il bel personaggio del boia, reso indimenticabile da quel monumento attoriale che fu Aldo Fabrizi, affrontandolo con ottima misura, più malinconica che comica, senza scimmiottare il suo illustre predecessore, così come Paola Tiziana Cruciali mette tutta la sua scuola di attrice nel personaggio di Eusebia con fine ironia. Citazione particolare per Andrea Perrozzi e la sua voce: incanta la platea e ferma lo spettacolo con Tirollalero e Ciumachella. E Rosetta? La splendida

Serena Rossi è stata la vera rivelazione della serata. Entra un po’ in sordina, ma più passano i minuti più tira fuori cuore e grinta e… voce. E che voce. Sa cantare, vivaddio! Una performer che ha saputo restituire una intensa, bella, drammatica Rosetta, che si riprende le sue origini sensuali e sta al gioco in un equilibrio delicato, cantando e ballando senza risparmiarsi: anche qui non si rimpiangono le doti innate di attrice di una Lea Massari, quelle vocali della Vanoni o la comunicativa della Chelli. Serena Rossi ha saputo regalare alcuni minuti di emozione vera. ‘Na botta e via è stato un numero molto intenso: si


vede che Landi ha lavorato con lei su questo momento dello spettacolo, non dimentica mai che in quella scena il suo personaggio è umiliato… è incredibile come è fatta volare, sbattuta da un ballerino all’altro, e alla fine, indifesa e vilipesa, gettata a terra… scivola verso il proscenio e il suo urlo straziante di donna ferita comunica al pubblico immensa umanità. Da ricordare ancora È l'omo mio, numero intensissimo e spesso trascurato che lei restituisce in maniera straordinaria, coinvolgendo emotivamente il pubblico, sussurrando il suo doloroso e tenace amore per Rugantino. Alto momento di Teatro. In quel momento Serena Rossi non recita Rosetta, è Rosetta. Onore a Brignano per aver rimesso in piedi una macchina teatrale così complessa e costosa come si faceva una volta, facendo uno scrupoloso lavoro di ricerca e investendo molte risorse nel far risplendere un gioiello del teatro musicale italiano. Ha riportato una numerosa ed eccellente orchestra nella buca del Sistina, come accadeva fino alla fine degli Anni Settanta; ha rimesso a nuovo le vecchie scenografie di Coltellacci grazie all’intervento e al restauro di Mario Amodio: che gioia per gli occhi ritrovare l’incanto e la magia di quelle scatole a sorpresa che sapeva creare il genio di Giulio Coltellacci. Lui ha dato


una personalità a “quel” Sistina che nessuno ha più saputo imitare, unendo scenografia e costumi in una unica immagine. E quell’immagine regge nel tempo. Non si potrebbe fare meglio. Alla confezione dello spettacolo danno un fondamentale contributo il sapiente disegno luci (raro trovare in Italia una cura del genere) frutto del tandem Giancarlo Bottone - Valerio Tiberi, che unisce la tradizione con la modernità. Ci sono soluzioni molto suggestive: mentre le scene ruotano su due girevoli (dando un taglio cinematografico allo spettacolo), scorgiamo quasi delle controscene, suggestivamente illuminate e poi ecco come per incanto che si torna ad illuminare il proscenio. Il Maestro Gino Landi ha ripreso le sue coreografie, eseguite con più energia, più slancio, più aggressive e in perfetta sintonia con gli arrangiamenti più vigorosi, con quel giusto tocco di freschezza moderna come si fa all’estero nei Revival. Trascinanti i numeri del Saltarello e di Tira a campa’. A tal proposito è giusto ricordare il Maestro Armando Trovajoli, che alla veneranda età di 93 anni aveva diretto con vigore e passione l’orchestra alla Prima dell’edizione 2010, autore di una straordinaria partitura che mescola gli stornelli agli echi di Puccini e Bernstein.


È tornato Rugantino, spettacolo abile, lucente, raffinato e – soprattutto – completo di scrittura drammatica, ma anche, vedi il fugace ritorno a Broadway a 50 anni di distanza, perfetto per l’export. Perché – come le commedie di Edoardo De Filippo – anche se parla una lingua dialettale, comunica

valori universali: nel caso specifico il valore della dignità e del riscatto. Ammettiamolo, senza essere provinciali, quando alla fine del primo atto parte il celeberrimo numero (o production number, facciamo gli anglosassoni) con le eterne note di Roma, nun fa’ la stupida stasera, stare al Sistina è come stare a Broadway


o nel West End. E allora concludiamo con le parole del severo critico H. Taubman del New York Times che dopo aver esaltato l’interpretazione di Nino Manfredi e Aldo Fabrizi, concludeva così: «With the inside revolve turning one way and the outside the other, evocative wonders of Rome con-

stantly unfold before one’s eyes. For an erstwhile temporary Roman, it is all very nostalgic, even if he never was party to an eye filling and amusing procession of models draped enticingly for a sculptor in a profusion that would make a calmer man than Rugantino sit up and cry, "Bellissima!"»



Gli occhi gialli di Cats stregano l’Italia Il tour europeo tocca Trieste e Milano con una sfilza di “esaurito” e applaude l’italianissimo Rum Tum Tugger - Filippo Strocchi di Enrico Comar Trieste, Politeama Rossetti, 19 marzo 2014 Era il 28 maggio 2008 quando Cats giungeva per la prima volta al Teatro Rossetti. Un evento, sotto molti punti di vista, determinante, che vedeva lo stabile triestino - reduce da una fortunata serie di “esperimenti” musical-teatrali (le due edizioni di Elisabeth a Miramare, i pomeriggi musicali, i molti spettacoli di produzione nazionale) - affacciarsi, non senza rischi, sulla scena del musical internazionale, con il chiaro intento di porsi come teatro di riferimento per questo genere di produzioni in Italia. Sei anni sono trascorsi da allora, che hanno visto passare su quel palcoscenico alcune tra le più importanti produzioni europee di musical, e che hanno fatto del Rossetti un teatro ben noto e apprezzato nell’ambiente ed attrezzato nell’accogliere produzioni di questo tipo (solo negli ultimi due anni ha affrontato i 13 tir di scenografie e at-

trezzature sceniche di Elisabeth, la pista di ghiaccio di Swan Lake on Ice e molto altro). Cats rappresenta quindi un gradito, e per certi versi atteso ritorno, quasi a indicare la conferma del raggiungimento di un traguardo a cui quella prima esperienza guardava da lontano. Ad impreziosire questo reincontro, la presenza di ben due italiani nella compagnia: Il direttore musicale Antonio “Anthony” Gabriele e il performer Filippo Strocchi, quest’ultimo conoscenza di lunga data del Rossetti e della città, cui la produzione ha affidato un simpatico saluto di commiato “su misura per Trieste“ al termine degli applausi finali. Lo spettacolo è noto, altrettanto note sono la qualità della partitura e dell’ormai storica regia di Trevor Nunn (qui ricreata dalla mano fedele ma non accademica di Chrissie Cartwright), così come l’alta professionalità e la cura quasi ma-


niacale delle produzioni del Really Useful Group. Le poesie di T.S. Eliot si trasformano in una serie di scene più o meno brevi, in cui viene presentata una schiera di variegati personaggi, intenti a raccontare la loro storia o colti nella loro quotidianità, riuniti, sotto la guida del carismatico soriano Munkustrap, in attesa che

l’amato leader Old Deuteronomy scelga il gatto destinato a conquistare una nuova Jellicle life. La mancanza di una trama vera e propria alla fine non nuoce alla godibilità dello spettacolo (presentato in lingua inglese senza sottotitoli), che può essere apprezzato con una raccolta di singole sequenze autoconclusive solidamente costruite, che


variano dal comico al malinconico. L’alternanza di episodi ben distinti si rivela un ottimo espediente per far viaggiare la partitura dal puro pop al rock e a tocchi jazz, sino a omaggi alle operette di Gilbert & Sullivan e alla tradizione della musica popolare inglese, permettendo parallelamente alla regia di sfoggiare liberamente, senza vincoli di continuità e di coerenza, una serie inarrestabile di trovate sceniche, alternando assoli di canto a mo-

menti corali e ad elaborate coreografie (quelle “storiche” e feline di Gillian Lynne), passaggi altamente spettacolari e quasi baracconeschi ad altri più poetici e intimisti (da segnalare, all’inizio del secondo atto, la ripresa di Memory di Jemina eseguito per l’occasione in italiano). Le scenografie di John Napier (autore anche dei costumi), con qualche lieve semplificazione rispetto al vecchio tour (individuabile solo dallo spettatore più attento) e qual-



che novità (una sorta di bizzarro, e poco indovinato, disco volante al posto della tradizionale “zampona felina”) riempiono l’intero palco, scendendo sino in platea. La quarta parete più volte si annulla durante lo spettacolo, con l’ensemble felina che serpeggia tra le poltrone di platea e galleria, e le stesse stelle illuminate della volta del Rossetti sfruttate (quasi si trattasse di uno spettacolo creato per questo teatro) per fare da specchio e da complemento alla Jellicle Moon sul fondoscena. Il tutto affidato ad un cast tecnico e artistico di altissimo livello, giunto a Trieste dopo un “restiling” ateniese,

in cui si sono aggiunti alla compagnia, forte di un anno di repliche, una decina di nuovi performer, con tutta l’energia e l’ondata di nuova linfa inevitabile in casi del genere . La direzione musicale di Gabriele (giunto nella compagnia a dicembre, poco prima dell’ingresso dei nuovi membri del cast) è dinamica e ricca di teatralità, penalizzata tuttavia da un arrangiamento semplificato (con un ‘orchestra ridotta e largo uso di sintetizzatori) che non soddisferà chi ha amato le sontuose sonorità londinesi, ma che il giovane direttore ha saputo sfruttare al meglio (i vigorosi passaggi “rockeggianti” e alcuni momenti corali di grande im-


patto) trovando soluzioni spesso piuttosto interessanti. Irresistibili lo Skimbleshanks di Ross Finnie e il Rum Tum Tugger di Strocchi, che nelle rispettive scene si guadagnano due applausi tra piĂš lunghi e calorosi della serata, cosĂŹ come il poliedrico Paul Monaghan nel duplice (anzi triplice) ruolo di Bustopher Jones e


Gus/Growltiger. Impeccabile, ma un po’ sottotono rispetto alle potenzialità del personaggio invece, il Munkustrap di Ben Palmer. Straordinaria la Grizabella di Joanna Ampil, in grado di affrontare la classica, abusata, inflazionata Memory trasmettendone tutta la bellezza e la magia anche a chi la ascolta per la centesima volta.


Una Memory totalmente mia A tu per tu con Joanna Ampil, Grizabella nel tour di Cats di Sara Del Sal

“Non sapevo cosa volevo fare da grande ma mi hanno chiamata a Londra per cantare, una cosa che mi ha sempre fatto stare bene, e oggi non potrei di certo immaginarmi a fare altro...” É quasi una favola moderna, quella

che racconta Joanna Ampil, ormai star di molte produzioni in West End, arrivata in Italia come Grizabella in Cats. Una ragazzina che ha fatto un’audizione a Manila, all’ultimo anno della scuola superiore,


una scuola normale, non legata allo spettacolo, e pronta a prendere una delle decisioni più impegnative come quella relativa al percorso universitario. “Ho fatto l’audizione e mi hanno presa. Avevo 17 anni, e da minorenne non potevo di certo andare a Londra da sola, così mia mamma mi ha accompagnata, fermandosi con me per un anno. Appena arrivata ricordo di avere adorato tutto, la città, i suoi ritmi e la grande opportunità che mi veniva data con Miss Saigon. Dopo l’Inghilterra con quello spettacolo siamo andati in Australia, e quindi di nuovo a Londra dove mi aspettava un ruolo nel Jesus Christ Superstar, beh, il resto si sa, immagino.” E il resto l’ha vista passare da un ruolo da protagonista all’altro, infilando uno via l’altro titoli che fanno girare la testa. Eppure arriva in Italia con un classico di Webber proprio quando l’ultima creazione del baronetto stava chiudendo a Londra. “Non sono riuscita a vedere Stephen Ward, ma mi rendo conto che quello che va ultimamente sono show con canzoni famose, prendi gli Abba e il pubblico va in delirio, fai uno spettacolo con i Queen e diventa un successo. Sono anche show ben fatti, ma ben diversi da quelli che nascono da zero.Tra l’altro quello che noto nel nostro mondo è l’inserimento di ragazzi provenienti dai reality nelle produzioni.

Una cosa che di certo attira il pubblico ma che al contempo si rivela pericolosa, perchè senza training questi ragazzi non sanno come gestire otto repliche alla settimana, che sono sicuramente pesanti.Questo però ha portato molti ragazzi che hanno già lavorato a teatro a tentare la strada del talent a loro volta, per farsi conoscere... e questo nuovo trend è molto più interessante perché per lo meno sanno lavorare. La mia generazione non ha avuto questo tipo di opportunità, e io non ho nemmeno frequentato una drama school, ma sono stata diretta da grandi registi e ho avuto tanti insegnanti privati.” Un successo, il suo, che l’ha portata anche a conoscere i grandi compositori delle opere che ha interpretato. “Ed è stato davvero emozionante. Ho imparato a fingermi tranquilla, all’inizio, ma questo ha portato bene, perché ora molti di loro sono diventati degli amici, in realtà però ero agitatissima!" Joanna Ampil ha decisamente portato al pubblico italiano la sua interpretazione di Memory (che ha generato opinioni divergenti)... “Ho studiato le interpretazioni precedenti, ma io penso che si debba essere onesti e sinceri con la canzone, e io lo faccio. La mia versione non vuole quindi mettersi in competizione con quelle delle grandi Grizabelle precedenti, ma è totalmente mia."


Tugger? Il calciatore che è in me A tu per tu con Filippo Strocchi, Rum Tum Tugger nel tour di Cats di Sara Del Sal

Tra i gattini inglesi ne spunta anche uno molto italiano: Filippo Strocchi. "Sono felicissimo e sono felice anche di tornare proprio a Trieste. Sono venuto quattordici volte al Rossetti, da Ragtime nel 2007 a oggi, con un sacco di titoli diversi."

In questa ultima occasione però c'è arrivato da Rum Tum Tugger... "Il gatto ribelle, rock, indeciso e anche sexy, che mi diverte. Io amo da sempre il rock, ascolto solo quello, e solo qualche giorno fa ho realizzato


che il Tugger riesce a evidenziare un’altra mia grande passione, quella per il calcio che ho praticato per undici anni." Chi entra in Cats oltre che allo show in sé, deve misurarsi col trucco, che deve essere accurato e preciso. “Ci sono precedenti con performer che arrivavano a due ore e mezza di lavoro per riuscire ad andare in scena. Io per fortuna ho imparato presto e in trenta-trentacinque minuti sono pronto,

ma di certo a teatro dobbiamo arrivare almeno tre ore prima, anche perchè il riscaldamento per questo spettacolo è intenso ed impegnativo." Strocchi, che ha all’attivo anche Fyero in Wicked in Germania, non è nuovo agli ingaggi internazionali. “Sono felicissimo di questa nuova opportunità. Se però dovessi fare un confronto non sarei così certo di promuovere incondizionatamente gli inglesi. Quando ho visto Wicked mi ha colpito molto di più l’allestimento tedesco, per fare un esempio. Quindi non darei per scontato che quello che arriva dall’Inghilterra sia necessariamente migliore. In questo show lavoro con un cast inglese ed è sicuramente interessante, ma mi ricordo l’entusiasmo di lavorare con persone che arrivavano da ogni parte del mondo in Germania." Vedremo quali altre sorprese ha in serbo Strocchi, ma per ora l’Italia non può che augurargli un grande in bocca al lupo per questa esperienza a quattro zampe...


foto | Settimio Benedusi


Best of Musical I titoli portati in Italia da Stage Entertainment in un unico show ideato e diretto da Chiara Noschese di Alessandro Caria Roma, Auditorium della Conciliazione, 25 marzo 2014 Tra gli Amici del Musical, in questi ultimi mesi, una domanda ricorre spesso sempre più frequentemente: Stage Entertainment presenterà una nuova produzione in Italia? Nell’attesa (e nella speranza) che questo avvenga, abbiamo potuto gustare un bel concert show, The Best of Musical, costruito sui quattro titoli che hanno fatto finora la storia di Stage Entertainment Italia, ossia La Bella e la Bestia, Mamma mia!, Sister Act e La febbre del sabato sera. Tutto è partito da una felice idea di Chiara Noschese (anche regista dello spettacolo) che ha voluto mettere in piedi un evento tutto italiano in cui il pubblico potesse ritrovare alcuni dei grandi interpreti che sono stati i beniamini di questi show e, con il prezioso aiuto del direttore musicale Simone Manfredini, ha selezionato i brani che sono rimasti

nel cuore del pubblico (liriche di Franco Travaglio eccetto quelle di Mamma mia!, eseguite in inglese), molti dei quali sono stati riorchestrati e riarrangiati. Chiara Noschese ha confessato che la cosa più difficile è stata realizzare la “scaletta”, per forza di cose alcuni numeri sono restati fuori ed è un peccato. Così come è stato inevitabile lasciar fuori alcuni performer a cui in tanti siamo affezionati. Interpreti e brani si alternano in una scenografia neutra con collegamenti di volta in volta dettati da un’emozione, da un richiamo verbale, da una suggestione visiva. Un grande plauso va al disegno luci del bravo ed esperto Maurizio Fabretti. L’elegante confezione dello spettacolo è completata dai costumi di Emporio Armani e da una scatenata orchestra dal vivo che accompagna i numeri di Arianna e Michel Altieri (La


Bella e la Bestia), Francesca Taverni, Michele Carfora ed Elisa Lombardi (Mamma mia!), Loretta Grace e Timothy Martin (Sister Act), Gabrio Gentilini, Massimiliano Pironti e Marina Maniglio (La febbre del sabato sera), tutti coadiuvati da un nutrito Ensemble. Si comincia con I have a dream e con Thank you for the music: sogni, magia… quasi un manifesto programmatico riguardo quello a cui assisteremo. Ma come ci si aspetta in queste occasioni, il divertimento scaturisce dal fatto di ascoltare un interprete fuori dal contesto in cui lo si è “classificato”. Ad esempio, ecco allora Arianna che, reduce dalla tournée di Aggiungi un posto a tavola, ci (e si) diverte a ballare sulle note in chiave tango di Money money o a cantare Mamma mia! e partecipa con gioia a Fammi volare. Nota di merito per le energiche e spiritose coreografie di Eleonora Lombardo che, citando qua e là alcuni passi originali, crea delle soluzioni nuove ed azzeccate che uniscono i vari numeri. Così come è una sorta di collante fra palco e platea, la presenza di Martina Colombari e del piccolo Martino che si ritrovano coinvolti in questo turbine di emozioni, come a suggerire che dovremmo farci coinvolgere di più dal talento, osservare le

cose con occhi diversi, lasciarsi trasportare dalla magia della musica e del teatro. Magia che possiamo ritrovare anche in una versione di Qui da noi senza i rutilanti costumi a cui eravamo abituati, ma sempre esilarante e vivace. Molto coinvolgenti alcuni numeri come una “morbida” versione di


Dancing queen o il Quartet (Altieri, Bergamaschi, Maniglio, Pironti), ma è stata Francesca Taverni a stregare tutti con la sua stupenda The winner takes it all. Se l’obbiettivo era quello di toccare le corde del cuore e dell’emozione, ma anche e soprattutto del puro divertimento, offrendo un elegante e

particolare jukebox che racchiude il meglio di questi musical popolari, possiamo dire che la sfida è stata vinta, anche se a prevalere in un contesto del genere sono stati i numeri che hanno fatto ballare e battere le mani al numerosissimo e scatenato pubblico dell’Auditorium della Conciliazione.


foto | Alessandro Pinna


Cercasi Cenerentola La classica fiaba dei fratelli Grimm rivista e corretta in chiave pop da Saverio Marconi e Stefano D’Orazio di Roberto Mazzone Cercasi Cenerentola è la nuova produzione della Compagnia della Rancia, che riporta in auge il sodalizio artistico tra Saverio Marconi e Stefano D’Orazio. Come sempre, determinante per decretare il successo dello spettacolo, risulta la regia di Saverio Marconi e Marco Iacomelli, che anche stavolta puntano sul ritmo e sul divertimento, ma ancor più sui sentimenti. Quella a cui il pubblico assiste (e non solo) è una rilettura piuttosto moderna della classica favola, in questo caso ambientata tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel minuscolo regno di Microbia, che sta tra il Danubio e l’Arno, dove un principe buontempone (Paolo Ruffini), cerca in ogni modo di fuggire le responsabilità, evitando come prima cosa il matrimonio. Al suo fianco, un fidato consigliere, ma soprattutto un buon amico, Rodrigo (l’infaticabile Manuel Frat-

tini), che cerca di spronarlo ad adeguarsi alla realtà che circonda un principe regnante. Si potrebbe pensare che i due da soli siano in grado di mantenere la scena per tre ore di spettacolo (ed effettivamente poco ci manca), ma se c’è un pregio di questo copione sta nel fatto che i personaggi sono costruiti in modo da essere tutti protagonisti; a cominciare da una matrigna fin troppo “piaciona”, dislessica all’inverosimile (la spumeggiante Laura Di Mauro), passando per le due consapevoli sorellastre Anastasia (Silvia Di Stefano) e Genoveffa (Roberta Miolla); fino alla saggia, ma un po’ svampita, Fata Clementina (Claudia Campolongo). Non so dire se Beatrice Baldaccini sia la Cenerentola perfetta, ma di sicuro in questo spettacolo dimostra il suo talento come cantante e attrice, senza risparmiare al pubblico la sua dolce determina-



zione e la sua ironia. Non si possono non citare due momenti importanti per due performer come Manuel Frattini e Silvia Di Stefano: entrambi mandano in visibilio il pubblico, il primo con uno “stiloso” numero di tip tap; lei, invece, con la sua esibizione canora davanti al Principe. Le musiche di Stefano Cenci, unite alle movimentate coreografie di Gillian Bruce, scandiscono la

vicenda a tempo di rock, strizzando l’occhio un po’ a Bennato, un po’ ad altri musical come Hairspray, ma soprattutto coinvolgendo, nella giusta misura, il pubblico, la cui componente femminile interagisce ogni sera col Principe alla perenne ricerca della sua Cenerentola. Dopo Milano, dove lo spettacolo ha debuttato al Teatro della Luna, lo spettacolo sarà in tour nei maggiori teatri italiani fino a maggio.



Cinecittà Da Ben Hur al Grande Fratello La magia del cinema - e l’arrivo della tv - rivive a teatro grazie al nuovo spettacolo di e con Christian De Sica di Roberto Mazzone Una vera e propria lezione di cinema, di quelle come non se ne trovano nemmeno all’università. A marzo il Teatro Colosseo di Torino è diventato Cinecittà, la fabbrica dei sogni, così come vive nei ricordi di Christian De Sica, mattatore di uno spettacolo da lui stesso scritto insieme con Riccardo Cassini, Marco Mattolini e Giampiero Solari, che ne cura anche la regia. Una Cinecittà come solo un attore la può conoscere: popolata di registi, divi hollywoodiani e nostrani, ma anche comparse e tecnici. Simbolo di questo luogo dove i sogni potevano anche diventare realtà è il mitico Teatro 5, che sul palco del Teatro Colosseo rivive al centro di una scenografia quasi televisiva, nella quale è inserita anche l’orchestra dal vivo diretta dal maestro Marco Tiso, con al pianoforte il maestro Riccardo Biseo.

Sul palco l’attore è affiancato dal performer torinese Alessio Schiavo (che presta fuori campo la sua voce a un fantomatico Maestro Federico), Daniela Terreri, Daniele Antonini e da un energico corpo di ballo. Tutti si fanno notare, tra un omaggio ad Alberto Sordi e uno a Frank Sinatra. Non manca l’elogio al cinepanettone, anche quest’ultimo parte della vita (più recente) degli stabilimenti cinematografici romani, famosi in tutto il mondo. Tra ricordi, canzoni ed emozioni, si dipana la storia di Cinecittà, da Ben Hur al Grande Fratello, che sembra volgere a una triste conclusione nella marcata differenza tra il cinema e il voyeurismo tipico dei reality… ma che vuole sperare con lo sguardo verso il futuro attraverso il partecipato racconto che Christian fa di quando suo padre Vittorio nel 1944 fu destinato a dirigere il film



La porta del cielo (nel quale recitava la sua seconda moglie, madre di Christian, Maria Mercader) rinchiudendosi nella Basilica di San Paolo fuori le mura, territorio neutrale, e salvando cosĂŹ centinaia di ebrei dal destino dei lager. Fa effetto notare come il Colosseo non fosse proprio sold out per es-

sere la serata di un debutto; effetto La grande bellezza in tv? Non si sa, ma in ogni caso, lo spettacolo merita ogni apprezzamento possibile, grazie (ma non solo) a un protagonista del nostro cinema, che a teatro rende omaggio con stile all’eccellenza cinematografica italiana.


foto | Antonio Agostini


Sette spose per sette fratelli A sessant’anni dal film, non convince del tutto il nuovo allestimento del musical voluto da Massimo Romeo Piparo di Alessandro Caria Sette Spose per Sette Fratelli è un classico di cui ci si innamora facilmente, e in Italia il pubblico ha amato in maniera straordinaria l’acclamata edizione curata nel ’98 da Saverio Marconi, forse lo spettacolo più riuscito della Compagnia della Rancia, non solo per il consenso di pubblico e critica, ma per quell’insieme di intenzioni, di idee, di ritmi indiavolati e asciutti che Marconi aveva saputo trovare come raramente accade in Teatro, e per le strepitose coreografie di Fabrizio Angelini (Fai la corte, la festa e la sfida di fine primo tempo a velocità infernale, Paganini che fa pure variazioni di danza classica in un contesto musicale per lui inconsueto e l’ormai memorabile coreografia dei ritmi costruita con Giovanni Maria Lori). C’era quindi molta attesa per il debutto del nuovo allestimento firmato da Massimo Romeo Piparo, neo

direttore del Sistina, per celebrare il film di Stanley Donen - prodotto dalla MGM - che proprio quest’anno compie sessant’anni. Purtroppo lo spettacolo ha deluso un po’ le aspettative sotto diversi punti di vista. La regia di Piparo non riesce a trovare un giusto equilibrio, innanzi tutto non si capisce che registro abbia preso: quello fiabesco e un po’ cartoon con le fanciulle dalla vocina cinguettante o quello reale (e carnale) dei rozzi fratelli che pizzicano le natiche delle future spose? Poi il ritmo dello spettacolo, a volte un po’ lento. Magari avendo visto una delle prime repliche, ci auguriamo che dopo un giusto rodaggio le cose migliorino. Le scene di Teresa Caruso, se pur curate, non sembrano funzionali, fanno fatica a muoversi e così c’è un fastidioso e continuo scendere di un velatino, per fastidiose proiezioni, ogni volta


che c'è il cambio scena paesino / baita (e quindi, ecco continuamente immagini di vallate e monti) che rallentano lo spettacolo. Ottimo il lavoro fatto da Cecilia Betona per i costumi. Le canzoni di questo nuovo adattamento sono invece inascoltabili, la metrica va veramente per conto suo (scopriamo che Adamo Pontipee diventa Pontipì… sì, con l’accento sulla i, altrimenti non viene la rima). Ma una cosa che ho trovato davvero di cattivo gusto è la proiezione del nome dei mesi che passano! Il passaggio delle stagioni a Teatro si suggerisce (e non solo nel Musical – Giorgio Strehler docet!)

con trovate sceniche, luci, costumi e – vivaddio – canzoni (Spring spring spring, perché eliminarla?). È il gioco del Teatro! Se le spose come d’incanto cambiano colore del vestito (uno dei momenti più indovinati della serata) passando ad abiti dai colori pastello che evocano freschezza e rinascita, perché sottolineare tutto ciò dicendo con una proiezione che siamo ad aprile e quindi a primavera? Si perde la magia del gioco. Le coreografie di Roberto Croce regalano qualche buon momento con le acrobazie del finale di primo tempo ma poi mancano quei momenti che “fanno” il musical.


Mi spiego con un esempio banale: Milly non deve insegnare a ballare ai fratelli a parole, ma lo deve fare ballando con loro... che prima imbranati e poi sempre più bravi impareranno i passi da lei e con lei; poi, tutti insieme (la musica salirà magicamente) porteranno la coreografia al climax. Ebbene, sì, qui c’era la proiezione che dice che sono passati due mesi ed ecco (ovviamente) i fratelli tornare in scena tutti ballerini provetti! Non ci volevo credere. Ed è un peccato perché Roberta Lanfranchi recita con fare spigliato, è giusta nel ruolo dell’ingenua Milly che si ritrova a fare da

colf agli scalmanati fratelli che trasforma in damerini dai modi gentili, canta con giusta intonazione ed è un delitto non concederle qualche passo di danza. La sera che ho visto lo spettacolo Flavio Montrucchio era indisposto e quindi ho assistito alla performance di Nicola Zamperetti, voce potente ma recitazione incerta, cosa che gli possiamo perdonare visto che in Italia i cover non fanno mai il giusto rodaggio per sostituire in maniera adeguata l’attore principale. Sempre una gioia sentire suonare dal vivo e quindi lode ad Emanuele Friello e alla sua orchestra di sette elementi presenti in scena!



Ti amo sei perfetto adesso cambia Un piccolo gioiello di teatro musicale che un appassionato - e non solo - non dovrebbe perdersi... di Roberto Mazzone In scena fino al 13 aprile al Teatro dei Satiri di Roma, Ti amo, sei perfetto, ora cambia, adattamento italiano – curato da Piero Di Blasio – dell’omonimo musical “da camera” offBroadway, scritto da Joe Di Pietro, con le musiche di Jimmy Roberts. In Italia, lo spettacolo ha debuttato nel 2003, diretto da Vito Molinari, ed è stato ripreso a marzo a Milano, prima della messa in scena di questo nuovo allestimento per la Capitale, la cui regia è affidata a Marco Simeoli. In questa versione i quattro protagonisti sono Piero Di Blasio, Valeria Monetti, Stefania Fratepietro e Daniele Derogatis. Quest’ultimo (già visto in Shrek, diretto da Claudio Insegno, n.d.r.) qui ha la possibilità di mostrare meglio al pubblico le sue potenzialità vocali e comiche. Gli altri protagonisti sono positive conferme: l’istrionico Di Blasio, Stefania Fratepietro, intensa quasi ai livelli di una Christine Daàe (alla quale, peraltro, nel

corso dello spettacolo, ammicca, n.d.r.) e Valeria Monetti, la cui voce ostenta allo stesso tempo dolcezza e decisione. I quattro si muovono, accompagnati dalla musica dal vivo eseguita al pianoforte, all’interno di tutta una serie di situazioni che riguardano la vita di coppia: dal primo appuntamento fino alla rottura di un rapporto, passando per il matrimonio, il calo della passione e la vita con i figli, fino alle cause che decretano la fine di una storia. Tutto questo attraverso un ritmo scoppiettante, grazie anche alle canzoni, orecchiabili e incisive. Il brano finale – che dà il titolo allo spettacolo – rispecchia la degna chiusura di un lavoro che viene annoverato tra le “piccole gemme” che uno spettatore di musical non dovrebbe perdersi. L’accoglienza entusiastica di questa nuova versione italiana da parte del pubblico, evidenziata anche attraverso i social network, si è rivelata molto attendibile.



Chi ha paura del lupo cattivo? Una riuscita versione italiana di Into the Woods, il celebre musical di Sondheim, nell’allestimento della BSMT di Stefano Bonsi “C'era una volta, in un paese lontano lontano, una fanciulla, un giovanotto triste e un fornaio senza figli...”. Si è aperta così, il 12 febbraio al Centro Pandurera di Cento, una nuova replica di Into the Woods nella sua versione italiana dal nome C'era una volta... dentro nel bosco. Ogni favola racconta la crescita dei suoi protagonisti, ne evidenzia i lati positivi e li disegna come modelli da seguire, permettendo ai giovani lettori di identificarsi e imparare una morale, seppure addolcita, della vita. Non è questo il caso, poiché il libro Il mondo incantato di Bruno Bettelheim è stato riportato alla vita in un’opera firmata Stephen Sondheim e James Lapine, mostrandoci però nuove sfaccettature delle fiabe che ricordiamo e che abbiamo amato: ricordate i personaggi di Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, la Bella Addormentata

nel Bosco, Jack e il fagiolo magico o Raperonzolo? In Into the Woods faticherete a riconoscerli: più che creature fiabesche, essi ricordano le persone della vita reale con le loro incertezze, le debolezze, i loro lati più nascosti. Ad evidenziare l’anima cupa di questo musical ci ha pensato la regia di Mauro Simone (premiato recentemente come miglior attore non protagonista ai Musical Awards grazie alla sua interpretazione di Igor in Frankenstein Jr.), tremendamente astuta, originale ed evocativa, in grado di scuotere con forza il bambino che c’è dentro ognuno di noi. “La strada che ho scelto, senza perdere il sentiero, è stata quella di rivedere la storia con gli occhi di un bambino” spiega il regista, “creando situazioni e atmosfere solo con l’utilizzo dell’attore stesso”. Si alternano così sul palco protagonisti in costume e “servi di scena”


di nero vestiti, atti a stimolare l’immaginazione del pubblico. La qualità dello spettacolo è davvero alta, grazie alla presenza di un’orchestra dal vivo diretta da Maria Galantino, e un cast di giovani talenti tra i quali il narratore Luigi Fiorenti, Nicola Fesani nella parte del fornaio e la bravissima Elena Nieri nei panni della moglie, Alessia Gardini in una Cappuccetto Rosso decisamente alternativa, Brian Boccuni e Simone Pavesio vestiti da esilaranti principi vanesi o Marta De Zaiacomo nella sua malefica interpretazione della Strega. Questi solo alcuni nomi dei 20

membri del cast che hanno fatto rivivere la storia di Into the woods, un ottimo antipasto in attesa della pellicola prevista per gennaio 2015, prodotta dalla Walt Disney con la regia di Rob Marshall. La produzione di questa versione italiana – tradotta da Andrea Ascari – è invece a cura della scuola bolognese The Bernstein School of Musical Theatre, fondata nel 1993 e diretta da Shawna Farrell. In conclusione, tre ore di spettacolo divise in due atti, che hanno strappato sorrisi e lacrime al contempo. Prova del fatto che l’Italia non sia ancora pronta alla prolissità di Sondheim, è che al termine del primo


atto diverse persone in sala si sono infilate le giacche convinte che fosse terminato lo spettacolo, pregate poi dal personale di tornare al loro posto. Nonostante l’impeccabilità della struttura teatrale di proprietà della Fondazione Borgatti di Cento, C'era una volta... dentro nel bosco aveva trovato una più giusta collocazione nel Piccolo Giardino del Baraccano, la scorsa estate, in un’ambientazione esterna decisamente più suggestiva. La replica si è rivelata comunque un successo, il che ci porta ad augurare un grande in bocca al lupo (nda scusa, Cappuccetto Rosso!) a questi giovanissimi del musical, già impe-

gnati nella preparazione del Summer Musical Festival, occasione ghiotta per gli amanti del genere che questa estate potranno assistere a Bologna a cinque nuove produzioni BSMT in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna, il Piccolo Teatro del Baraccano e il Teatro Duse. Non mancheranno inoltre le occasioni per vedere di nuovo all’opera Mauro Simone nei panni di regista, grazie a RE-PLAY, scritto a quattro mani con Fabio Ingrosso e facente parte dello stesso festival, o in alternativa Out-ing il musical, versione italiana di Bare prevista per il 17 maggio 2014 a Cento.


dall’

es


amici del

musical

stero


foto | VBW/Brinkhoff-Mรถgenburg


Bentornata, vecchia signora? Una prima mondiale viennese in gran spolvero, con due beniamini del teatro musicale d’Oltralpe di Matteo Firmi Vienna, 13 marzo 2014 - Le premesse sono misteriose, le immagini sono accattivanti: Der Besuch der Alten Dame (La Visita della Vecchia Signora) - tratto da un dramma teatrale del 1955 dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt - si presenta allo spettatore con una grande carica che ti incuriosisce, e ti spinge a comprarne il biglietto. Lo show è ambientato nella cittadina immaginaria di Güllen (che letteralmente significa liquame), i protagonisti di questa strana storia sono Claire Zachanassian - bella e ricca signora interpretata da Pia Douwes - e Alfred Ill, noto e stimato negoziante, padre di una splendida famiglia, interpretato da Uwe Kröger. I cittadini di Gullen, uno sperduto e non meglio precisato paesino della Svizzera rurale, afflitti da una povertà assoluta e inspiegabile, attendono con impazienza il ritorno della vecchia miliardaria Claire Za-

chanassian, originaria proprio di Gullen, nella speranza che questa risollevi le sorti del misero borgo. La Vecchia Signora ritorna e promette di regalare alla città due miliardi, ma alla condizione di potersi comprare la giustizia: quella che le era stata negata in gioventù. Chiede infatti che venga riparato un torto subìto tanti anni addietro, inflittole da Alfred Ill, il fidanzato di allora, il quale, negando la paternità al bambino che lei portava in grembo, l'aveva costretta a fuggire dal paese per non subire la vergogna di un figlio illegittimo. Il rifiuto di questa singolare proposta, da parte dei cittadini, è immediato e sdegnoso, ma la Vecchia Signora non si scompone, sorride ed esclama: “Io aspetto”. Il musical debutta nell’estate del 2013 a Thun, per il Thunerseespiele. La musica è affidata a Moritz Schneider, che fa un lavoro certo-



sino: ogni nota è ragionata, ogni melodia ben costruita, tanto da farti chiedere se stai assistendo ad una delle migliori opere classiche oppure ad un moderno musical. Gli arrangiamenti di Michel Reed sono pieni di carattere ed esperienza (già arrangiatore di Die Drei Musketieren e Ich war noch niemals in New York), l’orchestra è sfruttata al meglio, i colori sono sempre ben chiari e gli impasti sonori fanno risaltare tutti i membri dell’orchestra. Le scenografie son maestose e curate nel più piccolo particolare, dalle scene nella foresta, all’imperiale ambientazione cittadina; maestosi gli effetti scenici, che

coordinati a mirabolanti effetti “luci e suoni” ti fan sentire parte della città. Ottimo il lavoro curato da Andreas Gergen, dunque. Lo spettacolo è ben costruito drammaturgicamente, la tensione scenica è sempre ben dosata. Interessante come gli autori han reso possibile il flashback con la comparsa della coppia dei giovani Kläri e Alfred (interpretati da Lisa Habermann e Riccardo Greco), ottime comparse sceniche e interessanti voci che vedremo sicuramente nei prossimi anni sui palcoscenici di area tedesca. Pia Douwes, indimenticabile voce di Elisabeth dal lontano 1992, è sem-



pre piena di energia, con una voce potente e chiara. Uwe Kröger, con i suoi quasi 50 anni, interpreta alla perfezione il ruolo di Ill anche se la sua voce talvolta è affaticata. Il Trio Infernale, impersonato da Andrè Bauer, Jeroen Phaff e Peter Kratochvill è un terzetto di bodyguard comiche e sull’orlo della parodia: nel primo atto sfoggiano la loro aggressività con una parte quasi solo parlata, ma nel secondo si scatenano con comicità politica, un pizzico di frivolezza e tanto divertimento. Commovente il duetto Amici fino alla morte tra il poliziotto della cittadina e Alfred (interpretati da Norbert Lamla nel ruolo del po-

liziotto e da Gernot Romic nel suo alter ego giovane): è uno dei momenti più interessanti, dove le vocalità dei personaggi intrecciate a quelle di loro stessi da giovani sono un collage dalle tinte contrastanti, decise e graffianti, e trasmettono il vero valore dell’amicizia. Questo spettacolo è una riflessione profonda della società moderna, oltre due ore di buona musica e di divertimento: ti lascia una forte domanda a cui ognuno, nel proprio Io, saprà rispondere. Una delle migliori produzioni dei Teatri Riuniti di Vienna: si replica fino al 29 giugno, la visione è consigliata.


foto | Andreas J. Etter


Artus - Excalibur Una nuova prima mondiale per Frank Wildhorn, stavolta alle prese con i Cavalieri della Tavola Rotonda di Matteo Firmi San Gallo, Svizzera, 15 marzo 2014 Una serata fredda e piovigginosa accoglie Artus – Excalibur, il nuovo musical del compositore americano Frank Wildhorn.

Lo spettacolo narra non soltanto della storia della celebre spada nella roccia e di Artù, che riuscì ad estrarla in virtù della sua purezza d’animo, ma anche della solida



unione con i cavalieri della tavola rotonda (alla ricerca della pace a Camelot) e dell’amore tra la bella Ginevra e il “puro“ Artù, messo in difficoltà dalla sorellastra Morgana . Lo spettacolo, della durata di due ore e trenta minuti - è molto ben costruito e la messa in scena è ideale per il piccolo ma caloroso teatro della cittadina svizzera. Francesca Zambello, nota regista che già aveva fatto parlare di sé per Rebecca, crea un allestimento compatto: pochissime scenografie, molte nuove tecnologie che sin dalla prima nota rendono ancor più viva la realtà di quell’epoca antica. Il cast si compone di tante, ottime,

stelle che lavorano come ingranaggi ben sincronizzati, rendendo le due ore di spettacolo assai fruibili. Thomas Borchert è un Merlino profondo con una capacità vocale sempre ai massimi livelli. Annemieke Van Dam, nel ruolo di Ginevra, ammalia con grinta lo spettatore. Passando dal ruolo principesco di Elisabeth (che ha portato in scena per molti anni terminandolo a Vienna il 30 gennaio) a quello combattivo di Ginevra, sfoggia un registro vocale perfetto sia nella vocalità contraltistica che nel stupendo registro che aveva incantato tutta Europa con Elisabeth. Patrick Stanke (che impersonifica



Artus) è protagonista forte e grintoso, ottimo spadaccino e valente cantante. La terribile fata Morgana è interpretata da Sabrina Weckerlin, giovane performer tedesca. Una delle perle di questo spettacolo: sempre elegante, mai fuori luogo, mantiene una vocalità forte e sostenuta. Alexsander Bellinkx, già conosciuto a San Gallo, dimostra ottima presenza sia come ballerino che come cantante (si noti il duetto con Artus Vater und Sohn - Padre e figlio). Mark Seibert si rivela sempre affidabile: ottiene buoni risultati grazie alla presenza scenica più che lodevole e si mette in luce come invidiabile spalla. Frank Wildhorn crea uno spettacolo molto intimo, alternando le numerose scene con duetti o trii alle scene d’assieme con grande equilibrio; tutto il cast dà il meglio

di sé già nel finale del primo atto (Heute Nacht fängt es an - Comincia stanotte). Personalmente penso che Artus – Excalibur sia uno dei migliori spettacoli di questo autore: ben costruito, con ottime melodie e leitmotiv ben caratterizzati. Koen Schoots, attuale direttore dei Vereignite Buhnen Wien e già in passato collaboratore di Wildhorn (vedasi il recente Rudolf, the last Kiss) completa a meraviglia le musiche rendendole limpide come i migliori capolavori della pittura di fine ottocento. L’orchestra del teatro di San Gallo? Una bella scoperta, con un suono decisamente ottimo e con un altrettanto ottimo bilanciamento. L’allestimento è un piccolo gioiello che farebbe invidia a molti teatri. Si replica fine a fine maggio.



La meteora Stephen Ward brilla sui cieli di Londra Grandi emozioni per il doc musical di Lloyd Webber nonostante il flop, e poi l’irresistibile Do I Hear A Waltz, l’adrenalinico The Commitments e il deludente From Here To Eternity di Franco Travaglio Cronaca di una vacanza inaspettata. Complice la chiusura anticipata di Stephen Ward (non me lo potevo perdere, e ne è valsa la pena) eccomi qui nel West End per un weekend fuori stagione tanto più gradito perché inatteso. Approfittando della ricca offerta teatrale londinese riesco a vedere 4 musical in due giorni, nonostante la domenica solitamente per i teatri della capitale inglese sia giorno di chiusura. Appena atterrato mi fiondo al Shaftesbury Theatre dove è in scena From Here To Eternity (Da qui all’eternità), che vanta le liriche del grande Tim Rice. La storia è quella del romanzo e del classico cinematografico, ambientato nell’isola di Oahu, Hawaii, durante la seconda guerra mondiale, in attesa di Pearl Harbor. La storia parla di coraggio, amori fedifraghi, soldati danzanti, prostitute innamorate e scazzottate. Mi trovo immerso in

un’atmosfera da cartoline hawaiane (di grande suggestione la scenografia di Soutra Gilmour) e il pensiero non può che andare a South Pacific, l’inarrivabile capolavoro di Rodgers e Hammerstein. Non ci troviamo però di fronte a uno spettacolo di questa qualità. Da qui all'eternità (o come è stato ribattezzato dalla perfidia di un critico “da qui a Novembre”...) in versione musical non sembra prendere mai una decisione precisa. La trama non si concentra su un solo plot e questo rende difficile l’immedesimazione, a livello di genere è eternamente indeciso tra musical classico (ma non ci sono numeri costruiti di in certo valore), alla Lloyd Webber (ma quasi nessuna melodia ti rimane), commedia con musiche (c'è tanto recitato ma accade poco) e melodramma (ma il libretto non è così appassionante). Anche a livello musicale non sceglie


mai uno stile preciso, si passa da ballad anni Ottanta a cori hawaiani d’epoca, a cori vagamente alla boublil-schonberg a blues ironici. In pratica un prodotto ibrido che si lascia vedere ma che sembra nato da cervelli scollegati. Inoltre la trama, non avendo il pathos melodrammatico di un Miss Saigon e nemmeno spunti di ironia o personaggi memorabili, avrebbe avuto bisogno di una colonna sonora a prova di bomba. Lo score di Stuart Bryson invece, a parte un paio di brani riusciti, non è degno di nota e la decisione di non far uscire il cd prima del debutto non aiuta affatto. Peccato, con un liricista come

Rice si poteva fare molto di più. Infatti lo show ha chiuso il 29 marzo dopo poco più di sei mesi di repliche. Durata ancora più breve per Stephen Ward, l'ultima sfortunata fatica di Andrew Lloyd Webber, che però ci ha lasciato tutt’altre emozioni. La sequela infinita di successi del Lord del musical contemporaneo è nota a tutti, ma la sua recente carriera, da Whistle Down The Wind in poi, non ha più conosciuto grandi blockbuster. Il suo vero problema è stato forse trovare una storia e dei personaggi che lo interessassero davvero. In cerca di stimoli si è


spinto fino a riesumare il Fantasma dell’Opera e a realizzarne un sequel piuttosto improbabile che si appresta a tentare la fortuna addirittura a Broadway. Prima di questa nuova sfida, Webber si è dedicato all’affair Profumo, uno degli scandali che hanno fatto più scalpore nella perbenista società britannica. Il pubblico italiano di oggi potrebbe anche sorriderne, abituato tutti i giorni a scandali anche più gravi, e ormai innocui per la carriera dei nostri politici, che anzi ne guadagnano in simpatia e notorietà. A Lloyd Webber invece questa storia intrigava, e vedendo lo spettacolo ne capiamo benissimo il perché.

Stephen Ward, osteopata delle star (tra i suoi clienti più celebri Ghandi, Winston Churchill e Ava Gardner) ritrattista, uomo di mondo e grande “facilitatore” di incontri e amicizie, pur essendo un figura storicamente esistita è di gran lunga il personaggio più affascinante della recente produzione lloydwebberiana (l’ultima grande protagonista di un certo appeal è stata Norma Desmond di Viale del Tramonto). Merito principale della magnetica interpretazione di Alexander Hanson, performer ma soprattutto Attore (visto recentemente con la parrucchetta di Pilate nel Jesus versione arena) che regala al personaggio



uno spessore, una verità e una teatralità da restare colpiti. Ma è anche grazie al libretto di Don Black e Christopher Hampton (già autori di Sunset Boulevard) che riesce a portare alla ribalta un nuovo genere di teatro musicale, il musical documentary. La scommessa di Stephen Ward è infatti dimostrare che un genere irreale, simbolico e antinaturalistico per eccellenza possa portare in scena una tesi storica, un’ipotesi investigativa. Utilizzando la sua straordinaria abilità nel maneggiare melodie, l’autore di Cats costruisce uno spettacolo sempre godibile, ma mai finalizzato all’applauso facile o a un’idea commerciale di teatro, bensì al racconto dettagliato di un enorme complotto, di una colossale macchinazione politico - poliziesco mediatico - giuridica ai danni di un novello Icaro reo di aver volato “troppo vicino al sole”. Ward in realtà aveva solo favorito la contemporanea relazione della soubrette Christine Keeler con l’agente segreto russo Eugene Ivanov e con il Ministro della Difesa John Profumo, che ne uscirà politicamente distrutto (siamo negli anni caldi della Guerra Fredda) tanto da rassegnare le dimissioni. Ma sarà proprio Ward a pagare il prezzo più alto: condannato (su prove e confessioni false e concordate) per sfruttamento della prostituzione, si suicidò per non subirne l’onta.

Malgrado l’impostazione documentaristica della narrazione, non c’è un momento dello spettacolo in cui l’attenzione dello spettatore cali: gli elementi sono amalgamati con maestria dal mestiere del regista Richard Eyre e dalla classe dello scenografo-costumista Rob Howell che costruisce un set da teatrino di burlesque con un ingegnoso sistema di tende concentriche che funzionano come un girevole nell’avvicendare gli ambienti senza soluzione di continuità. Lo spettatore è immerso nella vicenda senza sbavature né smagliature anche grazie a un cast eccelso, formato al 90% da solidi caratteristi attorialmente travolgenti (qui sta ancora il vero grande spread con il musical italiano). Accanto a Hanson spicca la Christine di Amy Griffiths (incredibilmente solo una cover, mentre la titolare Charlotte Spencer in questa replica era nell’ensemble). Bellissima, forse troppo angelica per il ruolo di una ragazza tanto disinibita e provocante, sfoggia una vocalità cristallina e un corpo da favola esibito in alcune scene di nudo, a dimostrare che per una volta Lloyd Webber non si rivolge a un pubblico di famiglie. Nel ruolo di Profumo si esalta il convincente Daniel Flynn, ma è Johanna Riding (curriculum infinito da My Fair Lady a Martin Guerre passando per Le Streghe di Eastwick) a valere il


prezzo del biglietto nel doppio ruolo della trascurata madre di Christine e della devota moglie di Profumo. Basta una sua piccola controscena, un’alzata di sopracciglia, una nota della travolgente Hopeless When It Comes To You per riconoscere il vero talento. Nel finale è ancora una volta Hanson a emozionare il pubblico con Too close to the flame, commiato dignitoso e straziante – nella sua disarmante semplicità – del protagonista. La canzone non sfigura tra i brani più memorabili di Lloyd Webber, ed è segnata dal drammatico suicidio di Ward che butta giù barbiturici

bevendo whisky. Seguono lunghi, intensi e inediti minuti di silenzio ad accompagnare la morte sacrificale del protagonista, condannato dall’ingiusto giudizio contemporaneo (“La giustizia britannica, invidiata in tutto il mondo”) e riabilitato da questo postumo e bizzarro tribunale teatrale. Ward tornerà nel museo delle cere in cui era stato relegato dall’oblio storico e da cui era partito il flashback iniziale, avendo scrollato da sé la polvere dei pregiudizi sommari con cui spesso si liquidano figure colpevoli di aver affrontato a mani nude il potere e l’ipocrisia.


Atmosfera più solare e rilassata in Do I Hear A Waltz, la pomeridiana domenicale che mi ha fatto conoscere un bellissimo teatro decentrato, il Park Theatre, e riscoprire un gioiello firmato da due giganti del teatro musicale, Richard Rodgers (Oklahoma!,The Sound Of Music,The King And I, etc.) e Stephen Sondheim (Sweeney Todd, Into The Woods, Follies, etc.). Ambientato a Venezia, la commedia musicale narra con toni pastello, un tocco di brillante leggerezza, una spruzzata di struggente malinconia e tanto spirito, la breve storia d’amore tra una turista americana in perenne ricerca dell’anima ge-

mella e un simpatico negoziante italiano sposato e con prole. Al centro schermaglie della coppia, come quelle degli altri personaggi sullo sfondo di una pittoresca pensioncina della prorompente e italianissima (almeno secondo i canoni del luogo comune italiota di oltreoceano, ancora più divertenti per gli italiani autentici) albergatrice Fioria, con contorno di scugnizzi fuori sede, cameriere catatoniche e per nulla anglofone (“non capisco”), gondole, ripicche e innocenti tresche adulterine. Mescolate il tutto con la plasticità melodica di Rodgers e il suo gusto per il pastiche, e l’arguzia di un giovane Sondheim: irresistibile


l'elenco dei sempre attualissimi disagi degli inevitabili viaggi aerei What Do We Do? We Fly! (“The kid I noticed the first was / The one who stood on my feet. / The kid I hated the worst was / The one who kicked my seat. / There was one in the left who bit,/There was one in the right who spit, / There was one in the back I hit. / But what did we do? We flew!”) come la guida all’acquisto in Italia con tattiche, strategie e l'immancabile mercanteggiare in Bargaining (“You wait until it's closing time, and then you ask the price. / You say: "How much is it?" / He says: "Inexpensive." / You: "What is inexpensive?" / He: "Only venti mille." / "That is twenty thousand, yes?" / "But for you I'll make it less." / "Can you make it uno mille?" / "No, I'll make it dieci mille." / "Due mille." / "Dieci mille." / "Quattro mille." / "Nove mille." / "Cinque." / "Otto." / "Sei." / "Sette." / "Sei!" / "Sei? / All right, sei." / "Let me think it over, I'll come back another day."). Spettacolo irresistibile, reso ancor più delizioso dalla dimensione intima della sala, costituita da uno spazio scenico senza sipario e circondato da due file di poltrone, situazione che ti immerge nell’azione tanto da poter sfiorare gli attori. Immancabile e anch’essa “da camera” la musica dal vivo affidata a pianoforte e batteria.


La conclusione col botto della due giorni è assicurata dalla visione (e soprattutto l’ascolto) di The Commitments, il successo del momento in città, allo storico Palace Theatre. Già il film di Alan Parker garantiva un’esplosione di energia, anche solo scorrendo l’elenco di hit della soul music presente nella colonna sonora. La trama, che lo stesso Roddy Doyle ha adattato dal suo romanzo, asseconda questo crescendo di decibel e feeling seguendo l’assemblaggio di una band soul da parte del giovane aspirante manager Jimmy sullo sfondo della Dublino fine anni ‘80, ben riprodotti dalle scenografie (ancora di Soutra Gilmour) che ricostruiscono l’esterno di un condominio di periferia con tanto di cornicioni, finestre e balconi da cui si apre l’appartamento del protagonista, e tutti gli spazi in cui, con montaggio cinematografico, si svolgono le scene, come la spassosa sequenza delle audizioni a domicilio, anche se la dimensione concerto la fa da padrona. Dalla versione teatrale ci si aspettava infatti un maggiore approfondimento dei personaggi, magari una trama più arricchita, invece Doyle e il regista Jamie Lloyd hanno scelto la direzione opposta. Omologati e livellati i caratteri, persino ripuliti nel look e riammodernati, anche la storia viene relegata



in secondo piano per non disturbare quel che interessa veramente il regista (e a quanto pare anche il pubblico). Pressoché scomparsa anche la storia d’amore tra Jimmy e una delle tre coriste, rimane la simpatia dell’attempato marpione-stallone-santone Joey, (qui sembra una sorta di Andrea Mingardi irlandese) trombettista delle star che si unisce alla band seguendo la religione del soul, e che seduce tutte e tre le giovani coriste lasciando a becco asciutto i ragazzi. Tutto il resto è un concertone spaccatimpani, con l’ugola rovente di Ian McIntosh (Deco). La platea gradisce, e molto, trasformando gli applausi in tifo da stadio durante l’immancabile bis danzereccio alla fine. E che dire di Londra? Un po’ di crisi (merchandising ridotti all’osso e alcune corte teniture), ma anche “fuori stagione” è sempre un’iniezione di grandi emozioni per tutti. La prossima volta ci aspetta l’attesissimo revival di Miss Saigon, il cui logo ha già iniziato a invadere la città.


foto | N. Klinger


Lo strano caso del Dr. Jekyll e dei suoi elastici A Kassel un Wildhorn tutto da ascoltare di Laura Confalonieri Kassel (D), 1° febbraio 2013 Da decenni in ambiente teatrale si (s)parla del Regietheater, quella strana malattia che colpisce i sovrintendenti, ma fa sanguinare i cuori degli spettatori e le tasche dei contribuenti (datosi che la maggior parte dei teatri colpiti dal morbo viveva e vive di soldi pubblici). Ma, se finora il virus aveva toccato prevalentemente i teatri d'opera di città che, seppur grandi per dimensione, erano ignorate dalla cartografia musicale per scarsa reputazione (e quindi, me(ga)lomanicamente, alla disperata ricerca di una cura che le catapultasse dal loro personale sensazionale provincialismo al sensazionalismo provinciale globale), da quando questi hanno iniziato ad ospitare musicals, il contagio si è esteso, fino a toccare lande musical-mente remote come Kassel. L'untore, recidivo, si chiama Patrick

Schlösser, noto (si spera) ai meno per avere, con sprezzo del ridicolo, trasformato in auto d'epoca delle comparse vestite di nero in quel di Klagenfurt in un’interpretazione tutta sua del webberiano Sunset Boulevard (vedi). I suoi complici stavolta sono Michael Langeneckert (colpevole anche delle coreografie) e Thomaspeter Goergen (drammaturgia). Si potrebbe argomentare che la scelta di un musical che ha per protagonista un medico ed il suo laboratorio è fin troppo ovvia perché la chiara intenzione di diffondere una malattia passi inosservata, ma chi si aspettasse di trovare all’opera uno scienziato stralunato fra alambicchi fumiganti e borbottanti che avvertano che sta per scoppiare un’epidemia, rimarrebbe deluso: il dottore è in smoking su un palcoscenico sgombro, se non per due cornicione di legno di diversa misura.


Daniel Roskamp, evidentemente, ama gli allestimenti semplici: quando il dottore vuole star solo, ad esempio, gli chiude intorno due pareti grigie, a mo' di piramide, lasciando, tuttavia, un pertugio luminoso per far capire che c'è, ma non riceve. Del dottore narra - con voce roca e nasale - la storia tal BayBJane, figura non prevista dagli autori Leslie Bricusse, Steve Cuden e Frank Wildhorn, ma, del resto, è improbabile che coloro frequentino le discoteche di Ibiza, dove la drag queen più piccola del mondo è una star di prima grandezza. Per buona misura, la strana apparizione porta, di volta in volta, mise

sempre più stravaganti, quali un costume da ape e, nel finale, uno da torta nuziale aliena. La voce di David Arnsperger, dottor Jekyll senza laboratorio, si rompe subito, proprio sulla parola deep della prima frase Deep in the darkness (niente tedesco [va beh, al massimo nei sopratitoli, che, tanto, non li legge nessuno], siamo inglesi!). Recupererà più tardi: il suo monologo nella scena della trasformazione è uno dei clou della serata. Il coro, vestito in colori pastello in puro stile Elisabetta II (se esistesse il reato di oltraggio al comune senso del colore, il costumista Werner Fritz sarebbe già all’erga-


stolo), per intanto lo annienta. John Utterson, il migliore amico del nostro dottore, arriva a confortarlo vestito di bianco (mica per niente fa Gabriel di primo nome, ma scommettiamo che nessuno se lo ricordava, prima di stasera?). Andreas Wolfram ce la mette tutta, ma ingola. Meglio andare, anche se in ritardo, alla festa di fidanzamento, dove gli invitati portano maschere di carnevale di cartone (la premiere di questo spettacolo ai confini del buon gusto è stata il primo di febbraio, ma, in Germania, il Carnevale comincia ufficialmente l'11 novembre, quindi...), Emma, la promessa, è già vestita da sposa con tanto di velo e

Abraham Singer - nomen et omen - sfoggia la sua bella voce da baritono nel ruolo di Simon Stride. Probabilmente perché ad un certo punto si ricorda che vedere la sposa in abito nuziale prima del matrimonio porta sfortuna, Jekyll la lascia sola prima che possa dichiarargli il suo amore in I'm complete. Gli altri erano già andati via prima. Peccato, perchè Julia Klotz ha una bellissima voce da soprano, corposa e sicura negli acuti. Forse richiamato da quella, almeno Jekyll torna in scena e canta con lei Take me as I am. Dopo il duetto, Jekyll se ne va con un mazzo di fiori, Emma si rimette


il velo e suo padre, Sir Danvers Carew (Bernhard Modes, altra bella voce da baritono), le dice di ripensarci, come se sapesse che il dottore è uscito con i fiori per non presentarsi a mani vuote a Whitechapel, dove lo aspetta una prostituta che gli canta Big Spender (scoop per chi, come me, fino ad oggi ha creduto che questo brano fosse un autentico Coleman & Fields, scritto d’occasione per un’altra prostituta due secoli più tardi: ci siamo sbagliati/e tutti/e! Lo cantavano già nella Londra vittoriana!). Svilente entrata in scena per Lucy Harris e per Susan RigvavaDumas che, ora più che in seguito, sicuramente non vorrebbe trovarsene nei panni, ed evidente imbarazzo nel recitar-cantando a denti stretti di questa balzana aggiunta anche da parte di Jekyll/Arnsperger. E, pur ricevendo più che meritatamente la prima ovazione a scena aperta della serata, chissà quanto ha sperato che davvero nessuno la (ri)conoscesse mentre ha dovuto cantare Nobody knows who I am e la seguente Bring on the men nel bel mezzo di un’orgia con uomini in reggicalze rosse e scarpe da tennis viola. La sua collega Nellie (Lona Culmer-Schellbach, mezzosoprano dall’accento e dalla voce blues), promossa dal regista a tenutaria del locale dove lavorano, e un paio d'altre cantano Girls of the night.


Sul finale di Someone like you l’orchestra sfugge al suo direttore Marco Zeiser Celesti, s’impenna e copre le voci di Jekyll e Lisa. Jekyll, tornato in laboratorio, decide di fare autosperimentazione: si inietta il siero che ha creato per separare il bene dal male e diventa un ballerino scoordinato. Prima che la trasformazione sia finita, con lui ci sono altri otto ballerini e ballerine in giacca e cravatta in scena, che per non passare inosservati hanno provato passi di ogni tipo, da quelli alla Riverdance a quelli tipo carica degli gnu del Re Leone. Intervallo. Nel secondo atto il coro canta ai lati della sala, alla fine del quartetto Emma fa un bell’acuto e Lucy arriva da Jekyll vestita in lamé d'oro per farsi curare. Racconta di essere stata aggredita e ferita da un uomo di nome Hyde.Visto che la scena del primo atto nella quale tutto ciò è successo è stata tagliata, che Lucy non presenta ferite evidenti e l’unica ad aver vistosamente sofferto è una spallina del suo abito dorato, bisogna crederle sulla parola. Jekyll si mette proprio d’impegno per curarle la spallina, ma, alla fine, vedendo che non ci riesce, la bacia e se ne va. In Once upon a dream Lucy sogna una vita migliore a Las Vegas, circondata da ballerine vestite di bianco con enormi ventagli piumati in tinta.


La cittĂ , intanto, comincia a parlare del misterioso omicida che fa strage di maggiorenti. Il quale omicida, tuttavia, fa esattamente l'opposto di quello che fa il coro, che -in tono alla tragica occasione - porta impermeabili neri sui costumi pastello, canta: quando, ad esempio, tutti giĂ piangono la scomparsa del vescovo, lui lo infilza col suo pastorale solo dopo; mentre tutti lamentano la scomparsa del generale Glossop, lui uccide un neonato fracassandogli la testa sul manubrio della carrozzina.

Alla fine, indipendentemente dalle vittime nominate, prende una clava e fa strage di chiunque gli capiti a tiro. Il coro batte i piedi per tenere il tempo. Emma entra nel laboratorio senza velo, ma sempre vestita di bianco. Canta Once upon a dream, mentre Jekyll, sullo sfondo, si contorce. Lucy, a metri di distanza, sente le di lui dita sulla sua spalla. Jekyll ritira fuori i due elastici che si mette in faccia per trasformarsi in Hyde, ma gliene parte uno che vola fuori dalla vista del pubblico. Forse


per distrarre il pubblico da questa panne, rientrano in scena gli otto ballerini e ballerine, e si agitano. Lucy ora porta un soprabito grigio sopra il vestito dorato. La drag queen entra in scena a fare le bolle di sapone. Lucy canta A new life e si toglie il soprabito su uno sfondo di luci colorate (Albert Geisel, responsabile di ciò, dovrebbe guardare meno pubblicità di automobili con sfondi di albe e tramonti). Ad un certo punto il suo vestito dorato comincia a sanguinare tanto

copiosamente che il suo microfono capta il rumore dei fiotti. Hyde la guarda morire tenendosi a distanza di sicurezza, mentre canta Sympathy, tenderness. Quando è sicuro che è dissanguata, la prende per i capelli e la trascina fuori scena, alla faccia di compassione e tenerezza. Poco dopo, Jekyll si presenta al suo matrimonio e il suo amico Utterson gli spara, senza aspettare che glielo chieda. Sipario. Ovazioni per tutti. The world has gone insane!



Stephen Ward Nonostante una delle partiture più raffinate di Webber, il flop era temuto... di Sara Del Sal Nemmeno lo stesso Andrew Lloyd Webber avrebbe mai pensato di scrivere un giorno un musical su un uomo realmente esistito e considerato colpevole dal governo britannico. Eppure proprio Webber ha affermato che se fosse riuscito a cambiare la percezione di quell’uomo agli occhi di anche solo pochi spettatori, il suo lavoro sarebbe andato a segno. Stephen Ward, l’ultimo lavoro di Lloyd Webber che ha appena chiusto i battenti all’Aldwych Theatre di Londra, è il nome di un osteopata famoso nella capitale britannica degli anni Sessanta, ormai dimenticato dai più, completamente ignoto a tutti coloro che sono nati dopo quegli anni, a meno che non siano andati a visitare il celebre museo delle cere di Madame Tussaud’s e lo abbiano visto, nella camera degli orrori, in mezzo a dei veri e propri criminali di guerra.

È da li che parte il musical omonimo, da quella camera degli orrori, con Stephen che afferma che non avrebbe mai immaginato di finire proprio in quella stanza. Lui, un uomo particolare, un moderno dandy, che una volta ha provato a sposarsi capendo immediatamente che non faceva per lui e scegliendo le mille sfumature di Londra per passare il suo tempo. Ben inserito tra politici e lord, si divertiva a conoscere belle ragazze e a presentarle agli uomini di potere, per il loro dovertimento. È stato in un locale che ha conosciuto Christine Keeler, una ragazza che ha pensato di presentare al ministro Profumo. Uno scandalo che ha fatto il giro del mondo, e che ha portato alle dimissioni del ministro, ma che ha anche spostato sguardi poco amichevoli sul dottor Ward. Serviva un capro espiatorio e Ward era perfetto. Bastava corrompere


alcune delle ragazze che aveva introdotto alle feste a base di sesso e perversione, una bella accusa per sfruttamento della prostituzione e il gioco era fatto. Non importa se Ward non avesse mai chiesto soldi o strumentalizzato le ragazze, e nemmeno che non avesse mai preso parte attivamente ai festini. La sera prima del verdetto, che lo avrebbe ovviamente dichiarato colpevole, l’elegante osteopata si imbottì di sonniferi, e dopo tre giorni di coma, lasciò questo mondo, da solo. Qualcuno afferma che in re-

altà sia stato un poliziotto a costringerlo a prendere le pastiglie, ma ai fini del musical poco importa. Stephen Ward se ne va da solo, come qualcuno che si è avvicinato troppo alla fiamma che arde nel mondo che frequentava. Decisamente insolito come musical, questo lavoro di Webber conta su uno straordinario Alexander Hanson che ha dato classe, carisma e sensualità al ruolo del titolo e su una giovane e fresca Charlotte Spencer che ha dovuto mettersi in gioco totalmente, rive-


landosi al pubblico senza veli, di schiena, per ben due volte. Se per Love Never Dies sono stati investiti capitali da far girare la testa, qui parecchie scene sono risolte con delle banali tende e proiezioni. Insomma, il flop era temuto, e purtroppo la risposta del pubblico non ha smentito le previsioni. Peccato, perché le due ore e mezza dello spettacolo volano, portando il pubblico in una Inghilterra bellissima, e corrotta, con le musiche di Webber che spaziano tra tutti i generi, spesso ricordando arie di altri suoi lavori.

Si può guardare Stephen Ward e giocare a indovinare in quale altro musical si sono sentite quelle note e ci si diverte il doppio. Brani come 1963, This Side of the Sky, I'm hopeless when it comes to you sono sicuramente interessanti, e tutto il musical avrebbe meritato una sorte migliore. Troppo politico per far sperare in allestimenti in altri paesi, c’è solo da sperare che abbia una chance ulteriore magari in tour per l’Inghilterra, per concedere una seconda possibilità a chi lo ha trovato ironico, sensuale, ben pensato e da ricordare.



Da qui all’eternità ma solo per poco Non convince la versione in musical di uno dei film bellici più famosi di tutti i tempi di Sara Del Sal Non sempre i grandi riescono nell’intento di generare capolavori e ne è una chiara dimostrazione il nuovo lavoro firmato da Tim Rice. From here to eternity brilla infatti per risultare uno dei musical meno riusciti dell’ultimo periodo. Le ragioni di un flop in qualche modo annunciato sono talmente tante che

non esiste la possibilità di fermarsi e chiedersi un perché. Trasposizione di un celebre film degli anni Cinquanta, lo show si apre con un numero ballato e cantato dai marines. Ma l’illusione finisce presto. La canzone troppo lunga diventa noiosa, e la coreografia si fa ripetitiva con letti, materassi...


Con il passare del tempo cambia molto poco, e il numero con le prostitute riesce ad essere illuminante. Si, perché è uno di quei numeri che sono sempre presenti nei musical di lingua tedesca, che in ogni occasione si rinnovano; ma da Big Spender di Sweet Charity a Rudolf... ce ne sono davvero tanti, e allora com’è possibile che siano riusciti a costruirne uno così banale e noioso

da non sembrare nemmeno sensuale? Per un musical ambientato tra soldati, con le loro speranze, i loro sogni e le solite ingiustizie, c’è comunque uno spreco inutile di sangue finto, roba da far sperare nell’arrivo del buon Krolock che potrebbe in qualche modo movimentare la situazione. Brava indubbiamente Rebecca Thornhill, la moglie tradita e a sua volta fedifraga


di rimando, che riesce comunque ad attirare l’attenzione, mentre la bella ma fredda Siubhan Harrison non lascia il segno né per il canto né per la recitazione. Tra gli uomini il più toccante è di certo il dolce Marc Antolin... che muore vittima di un crescendo di ingiustizie. Insomma, per essere una gita a Pearl Harbour poco prima dell’attacco, questo spettacolo vince solo

nel generare quella sensazione di afa che sicuramente aleggiava in quei luoghi. Privo di canzoni capaci di entrare in testa, non offre nessun appiglio per poter essere definito uno spettacolo da ricordare fatta eccezione per la sua inutilità. Quando lo si guarda, infatti, sembra che quel titolo possa essere piu che altro una minaccia... Perché la noia che riesce a sprigionare, va ben oltre l’eternità.



Les Misérables un mozzafiato cambio di cast Dopo le acclamate interpretazioni in South Pacific e Chess, Daniel Koek debutta finalmente nel West End come Jean Valjean di Sara Del Sal Oltre 27 anni e rivelarsi più giovani che mai. L'elisir di lunga vita, per un colosso del musical come Les Miserables, in questo caso è sicuramente derivante dal cast. Avere un trentenne come Daniel Koek nel ruolo di Jean Valjean significa avere una gran voce a disposizione, ma anche una prestanza fisica non indifferente, pronta a rendere al personaggio quella forza che indubbiamente gli è sempre stata connaturata e che lo rende ancor più vero. In questo nuovo cast la forza infatti sta nella verosimiglianza. Nessun nome importante, ma grandi artisti. Daniel Koek, al suo primo vero ingaggio nel West End, sa essere generosissimo e dà una chiara dimostrazione di quello che possa essere definito talento. Anche Antoon Zettelhorn, sbarcato in West End dopo essere stato uno strepitoso Rudolf in Elisabeth a

Vienna, con Enjolras lascia senza fiato. È perfetto. Insomma, non è un caso che trovare un biglietto sia più difficile che mai. Tutto sommato se il livello artistico è cosi alto, la soddisfazione del pubblico è assicurata. Unica scelta discutibile si rivela quella di Fantine, che con una voce cupa e con pochi colori, interpreta una I dreamed a dream urlata e sgraziata. Ci pensa un altro portento, fresca di Whatsonstage Award proprio come miglior Takeover in a role, a risollevare gli animi. Samantha Barks è in grado di dare vita a una On my own mozzafiato, che incolla alla sedia. Insomma, finché restano questi artisti, e Fantine ormai l’hanno cambiata, merita tornare sulle barricate per farsi travolgere da un’ondata di energia pura, che dà a delle canzoni ormai entrate nella storia una nuova vitalità e una forza dirompente che arriva a spettinare il pubblico in sala!


foto | Falk von Traubenberg


Questo Viale non tramonta mai Hollywood, Franconia. Nella cittadina tedesca di Würzburg, un acclamato ritorno del musical di Webber di Laura Confalonieri e Roberta Mascazzini Würzburg, 8 febbraio 2014 La città di Würzburg, si apprende mentre se ne visita la fastosa residenza dei principi arcivescovi affrescata dal Tiepolo per un compenso che oggi equivarrebbe a tre milioni di euro, era il centro del mondo, prima che la Baviera annettesse la Franconia. Una città ideale, quindi, per (far) rivivere le glorie passate. Il teatro cittadino sa bene che per i fan del musical di tutto il mondo non c’è di meglio che Sunset Boulevard per evocare con tanto pathos e con tanto sfarzo i tempi andati. Una parete tappezzata di vasetti di vetro a chiusura ermetica stracolmi di diapositive fuori dagli ingressi in sala fa avvertire che la produzione sarà “vecchia maniera”. Sandra Dehler mette in scena una versione stiliz-

zata dell’originale londinese, pur non risparmiando sui dettagli (nella villa di Norma Desmond, il monogramma “ND” è dappertutto, dalla ringhiera dello scalone d’onore ai cuscini rigorosamente neri sul divano grigio e nero) e gli “effetti speciali”, quali la scena della festa di Capodanno su due piani e le proiezioni - naturalmente e rigorosamente in bianco e nero - della fuga con inseguimento di Joe dagli studios in automobile, e il ritorno in pompa magna di Norma agli studios sulla sua Isotta Fraschini d’epoca. Le sequenze d’apertura dei due atti del dramma hanno come tema comune la piscina: nel primo atto Joe ci galleggia, in completo grigio, a faccia in giù e in primo piano, nel secondo atto vi è seduto ai bordi, in gessato bianco, a leggere il giornale. Barbara Schöller è una Norma Desmond diveggiante e vaneggiante al punto giusto: il suo Nur ein Blick


(With one look) è spiazzante, e si capisce perchè - alla fine di Als hätten wir uns nie Goodbye gesagt (As if we never said goodbye) - perfino l’indimenticata Hedy Lamarr si metta in fila con tecnici, comparse, sarte e truccatrici per stringerle la mano. La Betty Schäfer di Anja Gutgesell è una segretaria di produzione corrosiva più aspirante zitella che aspirante soggettista, ma ha una bella voce da soprano e in Viel zu sehr (Too much in love to care) piazza

tutti gli acuti (tranne l’ultimo, che, chissà perchè, è stato eliminato) senza difficoltà, a spese di Robert D. Marx, che, unico protagonista importato da produzioni altrui (innumerevoli e negligibili i suoi ruoli d’ensemble per Stage Entertainment e Vereigniten Bühnen Wien; probabilmente solo i veri aficionados di Tanz der Vampire lo ricorderanno nei merletti di Herbert anni fa a Stoccarda, a Vienna e a Berlino), ha un timbro e un volume davvero poco “impor-


tanti”, nemmeno sufficienti a fargli superare le secche del suo unico assolo - Sunset Boulevard, appunto. I costumi - specialmente quelli eleganti - di Kristopher Kempf, però, gli stanno benissimo. Daniel Fiolka, pur sotto il pesante trucco che lo fa somigliare ad un candidato alla produzione di The Addams Family (un incrocio fra lo zio Fester e Lurch, per capirci; la prima il 24 agosto a Merzig. Il regista Andreas Gergens ha già contattato

Uwe Kröger per un ruolo da protagonista - e NON sto scherzando! ndr.), è palesemente troppo giovane per il ruolo di Max von Mayerling e si sente subito da Kein Star wird jemals größer sein (The greatest star of all): gli mancano i bassi per dare al suo monologo lo spessore necessario, e agli acuti non arriva. Georg Festl, in compenso, è un Artie Green baritonaleggiante e Tobias Germeshausen un Cecil B. De Mille basseggiante.



Il regista e coreografo Ivan Alboresi non richiede molto al suo cast: i numeri di danza sono pochi e i passi sono semplici. Frank Obermair comanda a bacchetta l’orchestra e il coro (che sembra importato per due terzi da una produzione di Miss Saigon) del Mainfranken Theater - e il risultato è ad alta definizione. Ovazioni per tutti.



50 sfumature di grigio? Facciamo 49 e 1/2, va... Una parodia in musical non particolarmente riuscita tratta dalla saga erotico-letteraria di E.L. James di Roberta Mascazzini Capitol Theater, Düsseldorf 18 marzo 2014 La trilogia di libri erotici scritti dalla giornalista americana E.L.James ha venduto in questi anni milioni di copie in tutto il mondo. Impossibile non leggerli. Non sapere chi fosse Christian Grey, il protagonista maschile della serie, era un po’ come pretendere di schifare il calcio durante il periodo dei mondiali; e deve esser stato così anche per il nutrito gruppo di autori della musical parody, ben sei. Forse troppi per creare qualcosa di veramente buono. Come ormai è di moda, si gioca su melodie già esistenti, di sicuro (o quasi) impatto sul pubblico, per avere il successo a portata di mano. Ed in parte, a volte, funziona. A volte, appunto. Intanto, in questo caso, per motivi di trama, sono stati cambiati i testi. delle canzoni. Ci vogliono poi una sceneggiatura adeguata, bei dialoghi, belle coreografie.

Certo, costumi e scenografie fanno molto, ma dipendono invece in modo sostanziale dal budget che, per gli autori, non era alto; e il musical americano 50 Shades è un offBroadway, quindi non si può permettere i lussi di altri show. L’intera rappresentazione si svolge con una scenografia fissa: un fondale dove sono proiettate le luci o immagini / sagome, una pedana circolare che ruota su stessa - un divano su un lato e un letto sull’altro - ed infine una balconata con quattro musicisti sulla sinistra. Come si fa a mettere in scena la parodia di un libro con così poco? Semplice, se il libro ha una trama senza azione, non descrivendo altro che il cambiamento portato dal ricco e bel miliardario Christian Grey nella vita della fino ad allora timida studentessa di letteratura Anastasia Steele. Il miliardario condurrà la ragazza alla scoperta del


mondo dell’erotismo sado-maso; lei lo aiuterà a vincere le sue paure e cambiare gradualmente alcuni stili di vita. Il musical non mette in scena direttamente la storia di Anastasia e Christian, ma passa attraverso il classico trucco del teatro nel teatro: tre donne, Sabine, Jutta e Susanne, si riuniscono per alcune serate letterarie e decidono di leggere il libro del momento: Fifty Shades of Grey. Mentre son sedute sul divano ed una di loro inizia la lettura, la scena del club letterario si interseca col racconto della vita di Anastasia. Succede tutto con una rotazione della pedana: si passa dal

divano, al letto nella camera di un appartamento, che la studentessa condivide con la ricca compagna di corso Catherine. Tutta la rappresentazione è un continuo susseguirsi di fusioni dei due livelli di rappresentazione, quello delle tre lettrici, “casalinghe disperate”, insoddisfatte della loro vita sentimentale / erotica / matrimoniale, e quello di Ana, dei suoi amici Catherine e Josè, e di Christian. I due livelli arrivano anche ad interagire tra loro, con scambi di battute tra Ana e le tre lettrici, che si appassionano alla sua storia e, ad un certo punto, anziché leggerla, ne guardano la rappresentazione como-


damente sedute sul divano, come se stessero guardando un film. Vi chiederete, quindi, in cosa consista essenzialmente la parodia: si regge per lo più su battute a doppio senso e sull’aspetto ridicolo dei personaggi, decisamente tutto il contrario di quello che viene descritto nel romanzo. Anastasia Steele non è affatto una ragazza magra e slanciata che fa onore ai vestiti sexy, ma piuttosto la gemella della simpatica Tracey di Hairspray. Christian Grey, il miliardario di cui tutte si innamorano appena lo vedono, è un tipetto bassino e tarchiato con un po’ di pancetta, messa pure in evidenza

dai costumi quasi grotteschi. Inoltre, si muove buffamente e parla in modo artificiosamente freddo. Entrambi, dunque, non sembrano fatti per fare stragi di cuori. Anche gli altri personaggi sono al limite del grottesco, più che del comico: Josè, l’amico di Ana, di origine latino-americana, ha un marcatissimo accento spagnolo ed entra in scena mimando un toro, con le mani poste sopra testa a voler fingere le corna del bovino. La “dea interiore” - chiamiamola coscienza di Ana, vera persecuzione per i lettori della trilogia - è impersonata da un uomo con una parrucca bionda tutta riccioli ed un abito in lamé,


movenze stereotipate da drag queen, ma con tanto di barba di tre giorni. Catherine è rappresentata come un’assatanata di sesso, col classico vestito attillato con fantasia tigrata da donna che sa quello che vuole. Poi c’è l’ensemble dei tre ballerini e tre ballerine. Le ultime fungono anche da mobili nelle scene che si svolgono nell’abitazione del miliardario.Vestite in succintissimi costumini sado-maso, si mettono in posa da appendiabiti, tavolino (reggendo una lastra di vetro) e sedia. I ballerini servono, invece, solo nelle scene di ballo vero e proprio e per mimare, ogni tanto, dei momenti sexy con le tre donne del club letterario e non sono certo degli adoni. Il massimo del livello umoristico si raggiunge, forse nelle intenzioni del nutrito gruppo di autori, nella scena in cui Christian Grey indossa un costume attillato nero da body builder, con le bretelle e con i bordi di un color rosa vivace (tutt’altro che mascolino!)… e dal bordo del costume esce tutta la pancetta! Nello stesso numero entrano in scena, poco dopo, anche i tre ballerini vestiti da giganteschi falli rosa fucsia per fare pendant col costumino poco sexy da body builder. Le canzoni del musical sono, come già accennato, la rielaborazione di musiche già famose, come Let’s get loud di Jennifer Lopez, I will follow him o Eternal Flame di The Bangles.


Unico elemento da salvare è la voce di Beatrice Reece, attrice di origine britannica, nel ruolo di Anastasia. Una voce potente adatta ai toni alti e con il ritmo nel sangue. E poi c’è l’ensemble che, nonostante le coreografie elementari di Paul Kribbe, ha ravvivato un po’ uno spettacolo altrimenti monotono. Due sono le presenze italiane: Marta Di Giulio, a cui fanno anche pronunciare una serie di parolacce in italiano romanesco (decisamente fuori luogo) proveniente dal talent Amici e con esperienze anche nell’ensemble di Footloose, Dirty Dancing e Tarzan. L’altra è Giulia Vazzoler, proveniente dall’Accademia Nazionale di Danza, ormai da un paio di anni in Germania. A loro si aggiungano anche Enrico De Pieri, tedesco, nel doppio ruolo di resident director e di “Dea Interiore” ed Anna Montanaro, nota perfomer nel mondo del musical teutonico, in qualità di supervisore. Entrambi sono tedeschi, ma di evidenti origini italiane. Citiamo per dovere di cronaca, e solo per quello, Sabine Urig (Sabine), Ines Martinez (Jutta), Kira Primke (Susanne e Catherine) e André Haedicke (Christian Grey). Il creative team della produzione tedesca è composto da Tom Presting (scenografie), Mario Reichlin (costumi), Anna Bolk (adattamento liriche), Gerbung


Jahnke (regia ed adattamento), Jan Christof Scheibe (direzione musicale ed arrangiamenti). Ad essere onesti, bisogna sottolineare come gran parte del pubblico abbia riso molto e si sia divertito abbastanza. Qualcun altro invece ha lasciato la sala dopo il primo atto. Chi scrive ha invece trovato il musical una sfilata di banalità e battute scontate mal cucite. Lo show sembra esser scritto da un insieme di teenager più che di veri autori, ma è anche vero che l’umorismo americano e quello italiano sono anche distanti.


Se, però vorreste verificare di persona come sia lo show, già andato in scena nel 2012 ad Edimburgo e tutt’ora in scena a New York, Los Angeles ed in tour negli Stati Uniti, potete rimanere tranquillamente in Europa ed incrociarlo nelle seguente date: MAAG Halle, Zurigo 09.04.2014 – 04.05.2014 St. Pauli Theater, Amburgo 05.06.2014 – 26.07.2014 Admiralspalast, Berlino 10.09.2014 – 28.09.2014 Musical Theater, Brema 26.11.2014 – 07.12.2014


l’

inter


amici del

musical

rvista



Aggrappati alle liane, anche i sogni volano alto A tu per tu con Alessio Impedovo, uno dei tre italiani nel cast di Tarzan a Stoccarda di Roberta Mascazzini Alessio Impedovo, appena 22 anni, eppure già veterano di Stage Entertainment, con la partecipazione alle produzioni de La Bella e la Bestia al Brancaccio di Roma e con Dirty Dancing e Tarzan in Germania. Ciao Alessio. Grazie innanzitutto per aver accettato l’intervista. Come stai nella fredda Stoccarda? Ormai da diverso tempo stai lavorando con Stage Entertainment nel cast del musical Tarzan. Se da qualche anno lavori in Germania con la stessa società di produzione vuol dire che ti trovi bene... Sì, in realtà mi sono trasferito qui a Stoccarda già da qualche mese e onestamente pensavo di trovarla molto più fredda. Con la Stage Entertainment mi trovo abbastanza bene, è un ottima società di produzione e per il momento ho confermato la mia disponibilità anche per il prossimo anno, sempre nel musical Tarzan.

Il tuo ruolo è quello di ballerino dell’ensemble, ma anche di cover di Terk, ruolo detenuto da un altro connazionale, Emanuele Caserta, così come italiano è anche lo stesso Tarzan, interpretato da Gian Marco Schiaretti. Cos’hanno gli italiani di così speciale da ritrovarsi addirittura nello stesso musical all’estero? Manodopera a basso costo?... Scherzo! La selezione è molto dura, quindi evidentemente la tradizione italiana nell’interpretazione ha ancora il suo fascino. Tu avevi già lavorato per Stage Entertainment nel primo musical prodotto da questa società in Italia, ovvero La Bella e la Bestia. Il far parte di una produzione così importante deve esser stato una buona scuola e magari proprio lì hai saputo delle audizioni per Tarzan. Come fu la tua esperienza al Brancaccio? Mi ritengo molto fortunato ad


avere iniziato con una compagnia di questo livello, non è una cosa che capita a tutti. Debuttare poi nella mia città natale e stata senz’altro un esperienza entusiasmante. È stata la mia prima esperienza da professionista e con tanti altri artisti con più esperienza che non mi hanno fatto sentire una “matricola”. Ho lavorato molto bene con tutti loro e quando ho avuto l’opportunità di un provino all’estero sempre con la Stage, non ho esitato a presentarmi. Nel 2009 vincesti una borsa di studio speciale dell’Accademia MTS assegnata nell’ambito di Danza in Fiera a Firenze. Immagino sia stata una bella esperienza. Che cosa ti ha lasciato? Quali sono gli insegnamenti più preziosi che ti sono stati utili nella giungla del lavoro? In realtà quello fu un anno fantastico, ne vinsi ben cinque di borse di studio. Facevo parte di una piccola compagnia di musical e lì ho avuto l’opportunità di trasferirmi a Milano nell’accademia MTS, studiando con insegnanti di grande livello, che oltre alla materia di studio mi hanno trasmesso le principali doti per un artista: impegno, disciplina, costanza. L’esperienza a Milano durò “sfortunatamente” solo un anno, poiché il successivo fui preso per il musical La Bella e la Bestia.


Sei giovanissimo e la tua carriera lavorativa si è svolta praticamente tutta all’insegna di un grande colosso internazionale dell’entertainment. Hai lavorato per lo stesso gruppo in Italia ed in Germania. Mi pare lecito chiederti se, nonostante ciò, tu abbia riscontrato delle differenze nell’ambiente di lavoro, sia da parte dei colleghi che della produzione. No. Per quanto riguarda la produzione, in entrambi i paesi viene usato lo stesso metodo lavorativo. Per quanto riguarda i colleghi, la differenza sostanziale è che all’estero il cast è multietnico rispetto l’Italia. Sei stato fino ad ottobre in una città multikulti qual è Amburgo, ora ti sei trasferito a Stoccarda, meno internazionale, ma molto vivibile. È stato difficile trasferirsi dopo tanto tempo? Avere dei colleghi italiani ti ha reso il cambiamento meno pesante? In Italia siamo poco abituati all’idea che un musical rimanga mesi, o persino anni, nella stessa città... No, affatto! Venivo già da un’esperienza con Dirty Dancing ad Oberhausen, una piccola cittadina vicino Düsseldorf, quindi sono abituato a questo tipo di cambiamento. Certamente Amburgo, per un ragazzo della mia età, offre più occasioni di svago e divertimento. Con i colleghi italiani c’è più opportunità di mangiare pasta!!! (ride). Per quanto ri-


guarda il “culto del musical” in Italia, è vero, non è radicato come in Germania. Anche i più famosi spettacoli di produzione italiana, sono sempre stati itineranti. Nell’agosto del 2013 hai preso parte alla Musical Summer School a Memmingen (vicino a Monaco) in qualità di docente.Ti è piaciuto? Ripeteresti l’esperienza? Si, assolutamente.Vedere i ragazzi così attenti e con tanta voglia di fare, ha reso quel lavoro molto gratificante. Anche quest’anno mi hanno riconfermato come docente e mi piacerebbe ripetere questo tipo di esperienza anche in Italia.

A quale produzione Stage cui hai preso parte sei più legato e perché? La Bella e la Bestia, Dirty Dancing oppure Tarzan? La Bella e la Bestia è stato l’esordio. Indimenticabile!!! Sicuramente Tarzan, è una fantastica produzione, tra le tre la più completa. Danzare muovendosi a quattro zampe esula dalle consuete coreografie, simulare con il corpo le movenze delle scimmie è molto più impegnativo, inoltre farsi capire in una lingua che non è la tua non è facile. Interpretare il ruolo di Terk è stata una grande sfida per me. Ma un po’ di paura l’hai mai avuta a


volare sulle teste degli spettatori sulle liane? È stato difficile imparare ed immedesimarsi? Ora no! So come funziona e poi ci sono almeno due Hight specialists dietro le quinte che seguono ogni tuo movimento, se ti sei agganciato bene. Sono davvero molto attenti. È stato un duro lavoro imparare, la maggiore difficoltà è recuperare l’appiglio nascosto tra le liane della scenografia quando scompari dall’evoluzione di ritorno. Se la manchi rischi di rimanere a dondolare in scena! Non è carino anche se il pubblico non se ne accorge. Un’ultima domanda: Stoccarda è ab-

bastanza raggiungibile anche in auto dall’Italia e, magari, i nostri lettori vorrebbero vedere questo acrobatico musical. Quali sono attualmente i piani? Fino a quando resterete in scena nella capitale del Baden-Württemberg? La previsione attuale è fino a giugno 2015, ma contano di prolungare! È un musical, come tu hai potuto vedere, molto spettacolare e consiglierei a tutti di venirlo a vedere! Per chi volesse sapere di più sulla produzione tedesca del musical Tarzan, può leggere la recensione di Franco Travaglio pubblicata sul sito di Amici del Musical.


un po’ di

n


del

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un po’ di news Disponibili dal 22 aprile su Ticketone i biglietti di Dirty Dancing - The Classic Story On Stage. Dirty Dancing The Classic Story On Stage: un’importante produzione teatrale nata dalla volontà dei produttori del musical Sugar - A qualcuno piace caldo insieme a Bananas srl (produttori di Zelig), che insieme hanno dato vita alla Wizard Productions srl, società che ha acquisito, in esclusiva per l’Italia, i diritti della versione attualmente in scena in Inghilterra. Nell’adattamento italiano verranno tradotti solo i dialoghi, mentre le canzoni resteranno in lingua originale. Lo spettacolo sarà in scena al prestigioso Barclays Teatro Nazionale, unico teatro in Italia in grado di ospitare l’allestimento. Il debutto assoluto italiano è previsto per il 9 ottobre con repliche fino al 28 dicembre. Dirty Dancing The Classic Story On Stage è la fedele trasposizione teatrale dell’omonimo successo cinematografico con Patrick Swayze e Jennifer Grey, e racconta la storia d’amore, nata in un resort per vacanze, tra la giovane Baby e l’affascinante maestro di ballo Johnny. Una passione raccontata attraverso balli sensuali e indimenticabili coreografie, come nella scena finale sulle note di (I’ve Had) The Time Of My Life rimasta indelebile nella memoria di tutti. La canzone in questione, vincitrice di un Premio Oscar e di un Golden Globe, è solo uno dei celebri successi che compongono la colonna sonora dello spettacolo, tutti suonati dal vivo da un’orchestra di otto elementi. Dirty Dancing si prepara dunque per il suo debutto in Italia... Scarica il bando per le audizioni!



un po’ di news Venerdì 18 e sabato 19 aprile 2014 al Teatro Tor Bella Monaca di Roma si esibirà in concerto la neonata Broadway Musical Orchestra! Composta da più di 30 giovani musicisti professionisti, la Broadway Musical Orchestra è una promettente realtà che si sta affacciando sulla scena italiana. Diretta dal M° Marco Bosco, che ha personalmente curato gli arrangiamenti dello spettacolo, presenta un repertorio che comprende alcune tra le più belle pagine di musical e musiche per film note al grande pubblico a livello internazionale: Beauty and the Beast, The little Mermaid, The Phantom of the Opera, Cats, Les Miserables, Nuovo Cinema Paradiso, C’era una volta il West, La vita è bella. Le note di Ennio Morricone, Alan Menken, Andrew Lloyd Webber, Cole Porter e Kurt Weill risuoneranno a partire dalle ore 21, per regalarvi un'esperienza unica nel suo genere. Il concerto è destinato a un pubblico eterogeneo, dalle famiglie agli appassionati di musica, dagli amanti dei cartoni Disney ai cultori del grande cinema italiano. L’esecuzione non sarà puramente strumentale, ma arricchita da una selezione di video a tema e dalla splendide voci dei nostri amici cantanti, impegnati ormai da anni in grosse produzioni su tutto il territorio nazionale. Lo spettacolo sarà interamente sovratitolato per persone sorde a cura di Fiadda Roma Onlus. > pagina facebook



un po’ di news Arriva a Roma, dopo le repliche sui palcoscenici siciliani, la versione italiana di Chess, uno dei musical più amati in Inghilterra, con le musiche originali del duo che ha reso famoso gli ABBA: hit internazionali come One night in Bangkok o I know him so well, e uno score musicale fra i più elettrizzanti del repertorio del musical internazionale. Il Teatro Ambra alla Garbatella ospiterà un vero e proprio “spettacolo evento”: anche il foyer e lo spazio esterno al teatro racconteranno la magia del gioco di strategia per eccellenza, con una mostra fotografica e una scacchiera di 3x3 metri su cui sarà possibile giocare o semplicemente camminare per “conoscere da vicino” il Re, la Regina e la Torre, grazie alla collaborazione del Frascati Scacchi. Una prima romana che ha tutte le carte in regola per essere un progetto innovativo e fuori dagli schemi, con un cast di oltre 20 artisti, le musiche originali di Benny Andersson e Björn Ulvaeus, le liriche di Tim Rice e la traduzione esclusiva di due apprezzati liricisti del panorama nazionale, Franco Travaglio e Andrea Ascari. Regia di Giancarlo Nicoletti e la partecipazione di Stefania Fratepietro nel ruolo di Svetlana Sergievsky.

ROMA TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA Piazza Giovanni da Triora, 15 26 Aprile h 21.00 – 27 Aprile h 17.15 e h 21.00 infoline e prenotazioni 340.1063443 – 06.81173900



un po’ di news La Compagnia di Musical Aspettando Broadway porta in scena, in anteprima nazionale, al Teatro Parioli di Roma (5 giugno 2014, ore 21), la commedia musicale Riunione di Compagnia - Un geniale pretesto per fare musical, scritta e diretta da Vittorio Matteucci, con la direzione musicale di Brunella Platania e le coreografie di Marcello Sindici. Aspettando Broadway, Compagnia di Musical bolognese, diretta da Loretta Foresti, ha compiuto 4 anni a gennaio, ma è nel 2013 che le attività hanno subito un’impennata. Ne è testimone la stessa pagina facebook di Aspettando Broadway, che è recentemente salita a 1.600 “mi piace”, segno del successo che sta raccogliendo il Gruppo e del seguito degli eventi organizzati in giro per l'Italia. Vittorio Matteucci, direttore artistico della compagnia, per Riunione di Compagnia ha scritto un testo costruito ad hoc sui performer del gruppo, con cui sta lavorando insieme ai co-direttori Brunella Platania e Marcello Sindici, per dare vita ad una commedia musicale “metateatrale” che propone, in un viaggio tra i musical più famosi, la nascita di un nuovo spettacolo. L'estro creativo, l’istrionicità e la toscanità di Vittorio Matteucci hanno dato vita ad una scrittura scenica assolutamente spumeggiante e spassosa, dove la grande comicità si unisce, a tratti, ad emozione e commozione. Oltre allo staff di professionisti, il cast di Aspettando Broadway si compone di performer che sono entrati in altri spettacoli italiani, come Manuel Bianco (Canterville il Musical, Romeo e Giulietta, targato David Zard, Ladies), Dario Inserra e Stefano Colli (Canterville il Musical, Georgie e Messer Filippo), Matteo Borghi, regista di Ladies.



un po’ di news In occasione del trentesimo anniversario dall’uscita nelle sale americane del film originale, Live Theatre porta in scena il musical inedito Ghostbusters Live – The Eighties Rock Musical, uno spettacolo interamente recitato, cantato e suonato dal vivo. Un cast di oltre venti elementi tra attori musicisti e ballerini, armati di zaini protonici, trappole e rilevatori di energia psicocinetica, vi riporteranno nella New York infestata da presenze ectoplasmatiche, per raccontarvi con fedele precisione la storia degli acchiappafantasmi. Lo score dello spettacolo si avvale, oltre che della colonna sonora originale del film, di brani tratti dal repertorio rock-pop anni ’80: un viaggio nelle sonorità trascinanti ed eccessive di quegli anni, dai Journey, ELO, Smiths fino a Meat Loaf e Alice Cooper. Gli appassionati avranno la possibilità di vedere sul palco un’esatta riproduzione della centrale degli acchiappafantasmi comprensiva dell’impianto di stoccaggio, e di rivivere gli altri ambienti resi celebri dal film come l’hotel, la casa di Dana Barrett e la New York distrutta da Marshmallow Man. Una produzione Live Theatre (www.livetheatre.it) Direzione Artistica: Antonio Botti Direzione Musicale: Pietro Ubaldi Regia: Lorenzo Fusoni


un po’ di news Dopo i grandi successi di Broadway e Londra, sbarca anche in Italia in una versione completamente modernizzata e ricca di contaminazioni di ultima generazione, Pazzo di te il musical da Crazy for You con musiche di George Gershwin. Debutto previsto per autunno 2014, e tournÊe nazionale. In questa imperdibile versione, interpretata e diretta da Andrea Bianchi, con la supervisione di Marco Bellucci, i testi e la direzione artistica di Alessandro Stella, le coreografie di Roberto Calderini e di Sara Parmiani, non mancheranno costumi e scenografie mozzafiato e grandi effetti speciali! Prime Audizioni presso il Teatro Barattoni di Ostellato (FE): domenica 11 Maggio 2014 Per info, iscrizioni, modalità di partecipazione: teatro.barattoni@libero.it 0533.681847 340.7286548 331.5097902 oppure inviando un messaggio privato alla pagina facebook



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10|2014


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