Amici del Musical #15

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amici del

musical

15|2015 w e b z i n e


Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine issuu.com/amicidelmusical ideazione e coordinamento editoriale Francesco Moretti

in redazione Stefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio n. 15|2015 27 settembre 2015

in copertina: Oedo Kuipers (Wolfgang) e la piccola Sophie Wilfert (Amadè) nel musical Mozart! in scena a Vienna (foto VBW - Deen Van Meer 2015) Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com


Facts & Figures

dall’Italia Pinocchio Dirty Dancing Summer Musical Festival Lucky Stiff, Avenue Q, Nine, Evita

dall’estero Il viaggio dei viaggi: reportage da Londra Beautiful,The Railway Station, Memphis, Bend It Like Beckham, American Idiot,Tommy,The Three Little Pigs, Gypsy The Donkey Show Il Giardino Segreto L’Isola del Tesoro Mozart! Das Musical le interviste Manuel Frattini Liam Mower

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foto | Alessandro Pinna

Ritorno al Paese dei Balocchi


di Roberto Mazzone A volte ritornano... e “ogni volta è una grande emozione”, come si diceva in una famosa pubblicità di qualche tempo fa. L’Esposizione Universale di Milano è parsa a Saverio Marconi e alla Compagnia della Rancia l’occasione giusta per “rispolverare” quello che ormai si può considerare un classico tutto italiano: Pinocchio – Il grande musical, con le musiche dei Pooh e le liriche di Stefano D’Orazio e Valerio Negrini, in scena al Teatro della Luna di Assago (costruito appositamente per ospitare il debutto dello spettacolo nel 2003), fino al 18 ottobre e poi in tour fino a metà gennaio 2016. Manuel Frattini torna a indossare, a distanza di dodici anni dalla prima rappresentazione, i panni del celebre burattino a cui ognuno di noi ha lasciato un pezzo del proprio cuore, e guida, con la stessa energia e carica emotiva, un rinnovato cast di giovani performer. La regia di Saverio Marconi e le coreografie di Fabrizio Angelini restano il tratto distintivo di uno spettacolo che ha tutti i presupposti per non invecchiare mai. Si notano leggeri e positivi cambiamenti nel disegno luci di Valerio Tiberi, in collaborazione con Francesco Vignati – un uso più fre-

Pinocchio - il grande musical, Milano - Teatro della Luna

A dodici anni dalla “prima”, il musical sul burattino più famoso al mondo emoziona ancora grandi e piccini



quente delle tonalità pastello – e negli arrangiamenti – le musiche dei Pooh appaiano a tratti meno melodiche e più contemporanee (la supervisione musicale è curata da Marco Iacomelli). La maggior parte dei componenti questo nuovo cast si sono già fatti notare in Grease lo scorso marzo, ma tra loro, due risultano autentiche “rivelazioni”: Claudia Belli che, nel ruolo di Angela, dimostra una sicurezza e una aderenza vocale al ruolo straordinarie; e Luigi Fiorenti, inedito Grillo Parlante, secondo a nessuno quanto a determinazione e simpatia. Roberto Colombo è il primo Geppetto che si avvicina più alla realtà,

quella descritta da Collodi, così come quella del tempo presente; può essere un perfetto vicino di casa. L’impressione, però, è che, sul piano interpretativo, stia ancora cercando la direzione verso la quale sviluppare il proprio personaggio. Dopo le esperienze in Cenerentola e Grease (sarà di nuovo Sandy a partire dal 21 gennaio 2016, n.d.r.) Beatrice Baldaccini è una convincente – a tratti sbarazzina – Turchina. All’ex-Creatura di Frankenstein Junior, Fabrizio Corucci, ora di aspetto assai differente, rispetto alle stagioni precedenti, qui spetta il doppio ruolo di Mangiafuoco/Direttore del Circo. Straordinariamente completo nel primo ruolo, nel secondo atto, come


“cattivo” sembra, invece, perdere di spessore. Gioacchino Inzirillo è un Lucignolo che fa il suo ingresso abbastanza “in punta di piedi” nel primo atto, per poi sfoggiare tutta la sua grinta - unita a un pizzico di spavalde-

ria - una volta arrivati nel Paese dei Balocchi, oltre naturalmente a emozionare nell’interpretazione della canzone Un vero amico, insieme a Frattini. Certamente non meno degna di nota la coppia Gatto/Volpe, interpretata


da Gianluca Sticotti e Giulia Marangoni. Pur apprezzando il lato comico e sornione sul quale Sticotti sembra puntare nella costruzione del personaggio, la caratterizzazione risulta divertente ma a tratti forzata. Menzione speciale per Andrea

Rossi, che interpreta un Carabiniere che redarguisce Pinocchio in dialetto romagnolo. Uno spettacolo suggestivo, che diverte e commuove. Non sono questi, però, i motivi per cui lo si rivede volentieri: semplicemente, è un prodotto ben fatto.


intervista a cura di Roberto Mazzone

Con Manuel Frattini, dove tutto ebbe inizio


Abbiamo chiesto a Manuel Frattini di ripercorrere le tappe più significative di questo spettacolo, ormai entrato a buon diritto nella storia del teatro musicale italiano.

“Il workshop è stata un’esperienza straordinaria”, racconta Manuel. “Eravamo abituati alle solite cinque settimane di tempo prima del debutto, ma questo spettacolo richiedeva un percorso innovativo anche nella preparazione. E alla fine di questo step a Tolentino, con scenografie di cartapesta e costumi improvvisati all’ultimo momento, l’emozione più grande per me è stata veder nascere uno spettacolo veramente dal nulla. C’è stato un altro workshop, questa

volta con le scene definitive, che ci hanno mozzato il fiato. E non dimentichiamo che questo luogo (il Teatro della Luna, dove ci troviamo per l’intervista con Manuel, n.d.r.) nasceva in quel periodo, le poltrone dove siamo seduti in questo momento a fare questa chiacchierata erano ancora coperte dalla plastica! Nelle edizioni successive abbiamo dovuto adattare questa scena colossale alle esigenze “itineranti” tipicamente italiane: pur di portare Pinocchio dappertutto, abbiamo optato per un “alleggerimento” della scena, arrivando a totalizzare, a oggi, oltre 440 repliche. E poi sono arrivate le esperienze nuove, abbiamo “sconfinato” e la



prima ad accoglierci è stata la Corea, a Seoul (2009), in un teatro meraviglioso, dove peraltro fino a quel momento erano state ospitate solamente opere liriche; dunque eravamo un po’ preoccupati per il tipo di accoglienza che avremmo ricevuto e invece abbiamo avuto la sorpresa di un tifo da stadio! Arrivare a New York nel 2010 con i nostri modesti mezzi – in confronto a ciò cui il pubblico americano può assistere ogni giorno - è stata la “ciliegina”: Il nostro gusto italiano ha fatto in modo che ci portassimo a casa il “cuore” degli americani”.

In questi anni come è cambiata la vita di un performer coinvolto nell’allestimento di uno spettacolo? “Il momento che viviamo è più difficile per tutti. Scritturare una compagnia numerosa risulta economicamente impegnativo per qualsiasi produzione. Nel caso di Compagnia della Rancia, c’è il grande vantaggio di aver imparato nel tempo non solo a confezionare al meglio gli spettacoli, ma

proprio a pianificare i tempi di un allestimento. In questo modo il performer ha la possibilità di prepararsi e perfezionarsi… ma comunque si vorrebbe sempre avere una settimana in più rispetto alla data del debutto, anche avendo alle spalle sei mesi di allestimento!”

Come percepisci i tuoi nuovi colleghi nello spettacolo? “Mi piace tantissimo questa domanda! Questo non è un ri-allestimento, ma un allestimento vero e proprio che ha permesso a me personalmente di “rientrare” nello spettacolo e di vedere Saverio Marconi ricostruire i personaggi singolarmente su ogni nuovo performer. Le emozioni chiaramente non possono essere intense come la prima volta, ma ho avuto comunque la possibilità, attraverso i miei colleghi, di riscoprire lo spettacolo. È una cosa meravigliosa vedere coloro che, all’epoca, erano poco più che bambini e hanno visto Pinocchio da spettatori o in dvd, vivere la loro emozione”.


Stavolta i balli sono proibiti


di Roberto Mazzone Dopo due anteprime al Teatro Coccia di Novara – il 26 e 27 giugno – è tornato in scena, nel mese di luglio al Barclays Teatro Nazionale di Milano, complice l’EXPO, Dirty Dancing, in una versione visibilmente rinnovata rispetto all’edizione che ha debuttato nello stesso teatro l’autunno scorso. Federico Bellone questa volta ha preso in mano la situazione e i risultati sono evidenti. A lasciare una maggiore impronta di sensualità non sono tanto le nuove coreografie di Gillian Bruce, quanto l’energia dirty di tutto il cast. Roberto Comotti, invece, firma il rinnovato allestimento scenico: spariscono quasi del tutto le proiezioni video e l’ambientazione del resort americano in montagna risulta più realistica; tuttavia la visuale non risulta agevolata dai lati della platea, a causa di una vegetazione che invade

Dirty Dancing, Milano - Barclays Teatro Nazionale

Nuove scenografie e coreografie per questo musical anomalo dove i protagonisti non cantano mai


letteralmente il boccascena, e il passaggio da un ambiente all’altro, in qualche caso, può generare qualche “tempo morto”. Per il protagonista maschile, Johnny (Gabrio Gentilini), è arrivato finalmente il momento di vivere il celebre finale del film degli anni Ottanta, con il salto in platea, dove, tra gli sguardi in visibilio del pubblico, accoglie la sua “Baby” (Sara Santostasi) nella celebre presa “a volo d’angelo”. Il risultato questa volta non delude, sotto tutti i punti di vista: maggiore sicurezza, consapevolezza e grinta gli permettono non solo di modellare un personaggio, ma soprattutto di misurarsi con un ruolo. Per lui, questa volta, un ulteriore, breve, ma intenso, momento (“dirty”) di gloria: la scena in cui Johnny si alza dal letto dopo una scena d’amore con Baby, mostra il proprio “lato B” senza veli, coglie il pubblico – in particolare quello femminile – di sorpresa, ma il gradimento è assicurato! L’impressione già riscontrata nell’edizione precedente a proposito di Sara Santostasi viene confermata: è la Baby giusta, ma non riesce a “portare oltre” il suo personaggio, che rimane privo di – anche minime – sfumature. A Marco Stabile, nel ruolo di Billy,


sono affidati i momenti musicali e canori più emozionanti dello spettacolo: da In the Still of the Night, fino all’interpretazione del celebre tema finale (I’ve had) The Time of My Life, in coppia con la confortante voce ed esperienza della new entry Daniela Pobega, nel ruolo di Elisabeth. Altra new entry di questo riallestimento è Nicoletta Ramorino, affiancata a Renato Cortesi (Mr. Schumacher): insieme formano una coppia frizzante, che in poche e brevi scene si assicura scroscianti applausi da parte della platea. Completano il cast di giovani interpreti Federica Capra (Penny), Irene Urciuoli (Lisa), Andrea Tibaldi (Neil) e Giuseppe Verzicco (Bobby). Tra gli altri interpreti adulti figurano Mimmo Chianese (Kellerman), Simone Pieroni e Natalia Magni (dr. Houseman e signora) e Todd Hunter (Tito), presenze preziose per un cast prevalentemente giovane, ormai rodato, che, dopo il tour estivo e il successo raccolto all’Arena di Verona nel mese di agosto, può prepararsi ad affrontare il Gran Teatro di Roma (dal 13 novembre) camminando (e non solo!) sulle proprie gambe.


foto | BSMT

La calda estate bolognese

si accende di musical


di Alessandro Caria Il Summer Musical Festival è uno dei tanti festival dell’estate bolognese, certo il più originale, visto che non se ne conoscono di affini in tutta la penisola, dedicato al Musical e organizzato per il terzo anno dalla BSMT (Bernstein School of Musical Theater), che sotto la direzione di Shawna Farrell da oltre venti anni forma sotto le torri attori, cantanti e ballerini. Proprio questa rassegna permette a spettatori ed addetti ai lavori di conoscere ed apprezzare le capacità di questi giovani performer.

Bologna - Teatro Duse + Cortile del Piccolo Teatro del Baraccano

La BSMT fa di nuovo centro con tre allestimenti che convincono, come si dice, critica e pubblico


Abbiamo assistito a tre appuntamenti allestiti in vari luoghi, a partire dal debutto del 21 maggio con Lucky Stiff al Teatro Duse per la regia della stessa Farrell, commedia musicale Off Broadway di discreto successo ispirata al film del 1935 L’uomo che sbancò Montecarlo di Michael Butterworth – è uno dei primi lavori della coppia Lynn Ahrens e Stephen Flaherty, autori tra le altre cose di Ragtime – che riporta inevitabilmente alla mente il divertente film Weekend con il morto. Qual è la storia? Lo spettacolo parte con l’incalzante opening number Something funny going on (Qui succedono follie) dove tutto il cast introduce il pubblico agli avvenimenti strampalati e misteriosi che andremo a vedere e infatti, in una piacevole alternanza di humor nero, thriller, romanticismo e buffi colpi di scena, troviamo Harry (un bravo Roberto Serafini), giovane venditore di scarpe inglese che improvvisamente si ritrova ad ereditare un’ingente somma di denaro da un vecchio zio americano, Anthony, deceduto durante un’ultima vacanza fatale a Montecarlo. Harry non ha mai conosciuto vera-

mente lo zio e per ottenere l’eredità dovrà prima seguire delle precise istruzioni volute dal defunto, altrimenti i soldi finiranno tutti in beneficenza ad una casa per cani abbandonati di New York. Si ritrova quindi invischiato in numerosi, sempre più paradossali e pericolosi guai che lo porteranno prima a Montecarlo portando con se il cadavere dello zio, poi a incontrarsi e scontrarsi con la zitella Annabelle, la direttrice della casa per cani (ottima la prova di Ileana Pipitone che ci regala una deliziosa Times like this che diventa L’amico che fa bau nell’efficace traduzione di Franco Travaglio) e infine a districarsi tra i vari personaggi coinvolti con la misteriosa morte dello zio Anthony. Le canzoni sono gradevoli e alcuni numeri di buona presa come il sexy e rutilante Speaking French (Parler Français, dove si vede la mano esperta di Gillian Bruce nella vivace coreografia). Unico neo: in uno spettacolo che a tratti sfiora la pochade si avvertiva il bisogno di una scenografia che annullasse i tempi morti e che permettesse dei cambi scena più veloci e dinamici.

Lucky Stiff



Il secondo spettacolo che abbiamo visto, spostandoci nel Cortile del Piccolo Teatro del Baraccano, è stato quel “gioiellino” di Avenue Q (musiche di R. Lopez e J. Mark, liriche di J.Whitty) per la brillante regia di Mauro Simone (traduzioni di Michael Anzalone). Tutti gli appassionati conosceranno la particolarità di questo spettacolo che prevede in scena oltre ai performer in carne e ossa, dei pupazzi, veri motori dello spettacolo: vivono, amano, soffrono, gioiscono con e come gli attori che li animano sul palco. Molto bravi tutti i protagonisti cantanti-ballerini-attori-doppiatori-pupari: Giuseppe Brancato (il più versatile sul palcoscenico, abilmente capace di districarsi tra il sognatore Princeton e l’insicuro omosessuale Rod); l’abile Riccardo Grilli (nei panni dello scroccone Nicky e di Trekkie Peloso, ossessionato dal porno); Pamela Naranzoni, strepitosa ad alternare (spesso contemporaneamente, vedere per credere) le diversissime inflessioni della tenera Kate Pelosa e di Lucy la Baldracca; e i tre attori che interpretano personaggi in carne ed ossa, senza l’ausilio dei pupazzi: la simpaticissima Matilde Bassetti, che interpreta la giapponese Vigilia di Natale; Francesca Iembo, negli esilaranti panni della “stella precoce” Gary Coleman, il mitico Arnold, dell’omonima serie

televisiva; e infine Fabio Nania che tratteggia il carattere del comico fallito Brian e Luca Ciardone nell’irresistibile interpretazione di Mrs F. Avenue Q è uno di quei spettacoli non iper tecnologici, ma portatori sani di simpatia, intelligenza, humour e di artigianato teatrale, dove questo gruppo di straordinari ragazzi raccontano cantando, ballando e con tono dissacrante (grazie all’animazione dei pupazzi) e al tempo stesso garbato di tematiche importanti. Un musical imprevedibile, irriverente, politicamente scorretto perché mostra, senza retorica, il razzismo che c’è in ognuno di noi. I temi trattati, oltre a questo, sono una divertente omosessualità repressa, la ricerca della propria strada che per alcuni dura tutta la vita, l’amore perfetto che è soltanto nei sogni: tutto è all’insegna di un’ironia sofisticata. Il modo in cui lo spettacolo si racconta libera le espressioni e le licenze possibili, commuovendo, quando serve, con le note drammatiche degli attori e permettendo di trattare argomenti sensibili e addirittura osé (vedi la scena dove tutti fanno sesso), grazie all’innocenza dei pupazzi. In Avenue Q ognuno affronta la propria esistenza, ognuno con i propri problemi, ambizioni, dubbi, sensazioni. Alla fine scopriamo che il senso della vita non lo trovi alla sua fine, ma è la strada che ti ci porta.

Avenue Q



Sempre al Baraccano abbiamo visto un altro spettacolo diretto da Shawna Farrell, ossia una bella versione di Nine (musiche di Maury Yeston e liriche di Arthur Kopit), il musical pensato da Mario Fratti all’inizio degli anni ’80 e ispirato al celebre 8 e ½ di Federico Fellini (film capolavoro e suo testamento ante litteram) che, all’epoca, non concesse ai produttori americani l’utilizzo del titolo autentico del suo film. Ci sarebbe da discutere a lungo, e magari da divagare, sulla capacità della cultura americana, e del suo settoreche riguarda il musical, musical comedy, ad utilizzare qualunque tema, storia, suggestione culturale, romanzo o dramma per ricavarne quel prodotto ibrido e affascinante che è il Musical ma, nello specifico, non bisogna fare l’errore di incupirsi se non ritroviamo tutti i dettagli del capolavoro felliniano. Lo spettacolo (tradotto da Travaglio) racconta di Guido Contini, il regista ossessionato dalle donne, egocentrico, infantile, leggendario seduttore, finito sull’orlo di una crisi di nervi, ora alle prese con una sorta di coitus interruptus e incapace di andare avanti con le riprese di un nuovo film e che non sa più quali donne amare: la moglie, l’amante, la madre remissiva, la produttrice credente nel cinema come sogno, la diva stereotipata. Dove lo spettacolo può perdere colpi è in quel dipingere gli italiani con i soliti cliché: divoratori di spa-

ghetti, amanti latini e dunque mariti infedeli, leggermente infingardi e codardi, imbevuti di religione ma poco seri, mammoni, inaffidabili, un po’ magliari. Guido è interpretato dal bravo Alessandro Di Giulio, voce intonata, capacità di commozione e silenzi da attore di qualità. Il gruppo delle interpreti femminili è strepitoso e vanno citate tutte: l’intensa Selene Demaria (Luisa, la moglie di Guido) che canta My husband makes movies, la giocosamente severa Ileana Pipitone (la Madre), l’affascinante Giulia Bellanzoni (Sandra, amante e capriccio erotico del regista), straordinaria prospetto di scintillante talento che ci delizia con la sensuale A call from the Vatican, la statuaria e soave Federica Laganà (Claudia, l’attrice preferita), la fantastica e animalesca Saraghina di Marta Pillastrini che raccomanda a Guido ancora bambino (9 anni: di qui il titolo del musical), ma già in apprendistato sessual sentimentale, di “essere italiano” con le donne (Be Italian), per concludere con Jennifer Giovannini che fa un egregio lavoro nei panni di Madama della Spa, Giorgia Cino che disegna con piglio e ironia la “critichessa” noiosa Necroforus e Giulia Mattarucco, la Produttrice, che detiene il numero musicale showstopper, appunto quel Folies Bérgerès che viene sottolineato ed esaltato dalla coreografia studiata con la consueta classe creativa da Gillian Bruce.


Nine


foto | Rocco Casaluci

Dal balcone di Casa Rosada


di Enrico Comar Lo spettacolo è ben noto, le molteplici incisioni discografiche (dal primo concept album con Julie Covington e Colm Wilkinson alla storica interpretazione di Elaine Paige, al revival con Elena Roger e Philip Quast di alcuni anni fa) e il fortunato film di Alan Parker (proiettato in Piazza Maggiore proprio nei giorni immediatamente antecedenti lo spettacolo) hanno reso lo spettacolo familiare a tutti gli appassionati di musical, ma anche al pubblico più generico. Il marchio di fabbrica di Andrew Lloyd Webber (e del consueto coarrangiatore David Cullen) si sente in tutta la partitura, ma diventa particolarmente evidente negli ariosi e nei recitativi accompagnati (l’orecchio attento non può non cogliere, in molti passaggi, chiare assonanze con spettacoli successivi, da Sunset Blvd, fino al recente Love Never Dies). Musicalmente, ancora presenti alcuni elementi del periodo giovanile (quello di JSC), ma già emergono i tratti salienti dello stile più compiuto dell’autore (l’uso dei leitmotiv, così come certe caratteristiche sonorità orchestrali, i debiti verso l’opera verista e una diversa concezione teatrale) che raggiungerà l’apice pochi anni dopo, nel "decennio d’oro" di Cats e The Phantom of the Opera.

Evita, Bologna - Teatro Comunale

La celebre opera rock di Webber e Rice rivive in uno sfavillante allestimento della BSMT e del TCBO



Il testo di Tim Rice, rigoroso e ben strutturato, nella sua lineare schematicità, scorre senza intoppi né sorprese, usando opportunamente la giusta dose di ruffianeria, per coinvolgere lo spettatore. Testi musicali sempre intelligenti ed efficaci, senza essere pretenziosi (con una vena sottilmente caustica e ironica che mancherà ai successivi librettisti di Lloyd Webber). L’edizione presentata al Comunale, a conclusione del terzo Summer Musical Festival, si presenta sicuramente come una delle più interessanti, soprattutto sotto il profilo musicale, tra quelle apparse sin’ora in Italia. L’allestimento di Gianni Marras spicca per imponenza e semplicità,

utilizzando sapientemente le scenografie di Giada Abiendi, i costumi di Massimo Carlotto (con alcuni sfacciati e a tratti geniali "riciclaggi" di materiali di altre produzioni) e soprattutto le ottime luci di Daniele Naldi (espressive, eleganti e mai didascaliche) per ottenere uno spettacolo dal sapore classico, a tratti forse a rischio di accademismo (indubbiamente in alcuni momenti osare un po’ di più avrebbe potuto giovare) ma sempre al servizio del testo, in grado di reggere le oltre due ore di spettacolo senza cali di tensione, evitando la facile spettacolarità "baracconesca" fine a se stessa (sin troppo cara ad altri registi di musical) e tenendo sempre al centro l’azione


drammatica e i personaggi, senza tuttavia rinunciare ad alcune riuscite suggestioni visive (sebbene lontane dalle meraviglie cromatiche e sceniche del Ragtime dello scorso anno). Efficaci e ben inserite nell’azione le coreografie di Gillian Bruce, incisive, ma mai invadenti. Menzione speciale per l’ensemble di quasi novanta (90!) elementi, provenienti dalla BSMT, una massa corale e scenica che (per ovvie ragioni di budget) molto raramente capita di vedere in produzioni "ordinarie". Quanto ai solisti, Marco Trespioli si distingue subito non solo come l’elemento vocalmente migliore del cast, ma come una delle voci più significa-


tive del panorama odierno (perfetta sintesi tra tradizione belcantista e stile contemporaneo) sfacciatamente esibita nel breve ma significativo ruolo di Magaldi. Convincente, nella sua fugace apparizione in scena, Costanza Scalia come giovane amante di Peron. Filippo Strocchi è un Che d’eccezione, energico e incisivo: evita di scadere nel vuoto istrionismo (rischio molto concreto, in un ruolo del genere), rivelandosi anzi a volte sorprendentemente misurato e rigoroso nella costruzione del personaggio. Qualche gradino più in basso Andrea Spina, voce corretta ma non particolarmente accattivante, che

non fa emergere fino in fondo il dualismo tra il grigiore granitico del politico e le sottili sfumature emotive del Peron "uomo", non riuscendo a sfruttare tutte le potenzialità del personaggio. Infine Clara Maselli, attrice e cantante dalle interessanti prospettive, costruisce una Evita equilibrata e credibile, ma spesso non riesce a donarle quel carisma ambiguo e quella ricchezza di contrasti e sfumature che sono invece essenziali al personaggio. La sua voce, più a suo agio nei momenti melodici che nell’agilità e nei passaggi "violenti", mostra qualche durezza nella fascia acuta, ma nel complesso domina adeguatamente la



partitura. Il risultato, soprattutto nel primo atto, appare un po’ altalenante (poco convincente Buenos Aires, eccellente Don’t Cry for Me Argentina). Molto più a suo agio, sia scenicamente che vocalmente nella seconda parte (malgrado una parrucca dall’effetto alquanto discutibile), e soprattutto nell’ottimo finale. Sotto il profilo musicale, l’occasione (purtroppo molto rara) di ascoltare questa partitura affidata ad un’orchestra di tale livello (che, negli ultimi quattro anni, sembra acquisire progressivamente maggiore familiarità con questo repertorio), non fa che

confermare, anche ad un orecchio inesperto, quanto Webber necessiti di un grande (e abile) ensemble strumentale per esprimersi al meglio. Stefano Squarzina punta su sonorità sontuose e magniloquenti, a tratti un po’ troppo monolitiche, che forse non sfruttano fino in fondo le possibilità espressive dell’orchestrazione, con un risultato comunque più che soddisfacente sotto il profilo puramente musicale, mentre la direzione delle voci e la supervisione musicale sono affidate alle consuete, abilissime mani di Shawna Farrell.


Il viaggio dei viaggi


di Franco Travaglio

Estate, tempo di viaggi.

Il viaggio dei viaggi si gode ovviamente raggiungendo il West End di Londra, che oltre a farti respirare l’aria della splendida capitale del Regno Unito, ti permette di spaziare in ogni tempo e luogo con la fantasia e la magia del teatro musicale.

Londra - estate 2015

Otto spettacoli in sette giorni, una cosa che può accadere solo se ti trovi nel West End...


Si inizia con un’escursione nelle canzoni e nella vita della cantautrice Carole King: Beautiful è un musical intrigante, che l’esperto librettista Douglas McGrath (autore con Woody Allen della sceneggiatura di Pallottole su Broadway), il regista Marc Bruni e il coreografo Josh Prince cesellano con spirito e brio sul suo nutrito songbook, vincendo la sfida di ricavare uno spettacolo avvincente e godibile da una vita priva di grandi spunti teatrali. Carole, nata Klein nel 1942, scriveva per il piacere di mettere in canzone emozioni e amori, tanto che iniziò ad interpretare le sue canzoni solo tardi nella sua carriera. Per questo dovette scontrarsi contro lo scetticismo della

madre, ma presto arriverà il successo e l’amore: si unirà, artisticamente e in matrimonio, col paroliere Gerry Goffin. Un’altra coppia, in questo caso lei autrice di testi e lui compositore, si compone in quel periodo: Barry Mann e Cynthia Weil. Assistiamo


quindi alla loro amicizia, alle crisi e poi alla separazione dei primi due, in un lungo flashback che parte in un istante di riflessione nell’apice artistico del concerto della King alla Carnegie Hall del 1971. Cast versatile a partire da Joanna

Woodward, sostituta del ruolo protagonista, bravissima nel rendere la crescita e le sfumature di tutte le fasi del suo percorso umano e artistico. Al suo fianco il simpatico Gerry di Alan Morissey. Completano il quartetto Lorna Want e Ian McIntosh e un ensemble di caratteristi e performer come sempre di altissimo livello, impegnati in brani spensierati e orecchiabili, non conosciutissimi in Italia, a eccezione di (You make me feel) like a Natural Woman, e Loco-Motion, e in momenti più riflessivi, drammaticamente più efficaci quando offrono uno spaccato dei sentimenti non sempre solari di un’artista che lo show ci insegna ad amare e invoglia ad conoscere meglio.


Tutti in carrozza per The Railway Children, un’esperienza teatrale di prosa un po’ diversa, in primis nella cornice. Ci allontaniamo dal West End e veniamo accolti in una truttura costruita sulle rotaie della King Cross Station, che ci trasporta in una stazione di provincia negli anni ’30 del secolo scorso: tutto l’arredo è a tema, e il coinvolgimento è una componente fondamentale di questa vera e propria “esperienza teatrale” diretta da Damian Cruden.

Se la trama, tratta da un romanzo di Edith Nesbit, in sé è abbastanza debole (un Piccole Donne minore con tre ragazzini – peraltro interpretati da attori adulti – che si trovano improvvisamente in povertà in seguito all’ingiusta incarcerazione del padre, e trasformano la suddetta stazione nella loro stanza dei giochi, mettendo in atto malefatte e eroismi, accogliendo un profugo e infine incontrando l’uomo che scagionerà il padre) pur ammantata di buoni sentimenti, (dal valore della famiglia all’importanza dell’accoglienza) lo spettacolo trionfa quando una vera locomotiva a vapore entra sbuffando in sala e i bimbi in platea sono chiamati a sventolare insieme ai protagonisti le loro bandierine (ovviamente il pezzo di merchandinsing più richiesto) per salvare il treno da un sicuro deragliamento. Un’operazione commercial-culturale da prendere d’esempio.



Chiuderà tra qualche settimana l’edizione londinese di Memphis, il musical dedicato alla scalata al successo del dj Dewey Phillips, interpretato dai “mostruosi” Matt Cardle (vincitore di X Factor UK) e Beverley Knight (che vedremo presto nella ripresa di Cats nel ruolo di Grisabella). Spettacolo pieno di adrenalina, presenta una strana struttura da jukebox anomalo, visto che le canzoni sono raramente inserite nella trama, ma molto spesso sono esibizioni o brani lanciati in radio. Huey-Dewey s’impone sulla ribalta radiofonica “rubando” il microfono in un’emittente, che prima lo vuole cacciare ma poi è costretta ad assumerlo tanto è il cla-

more che suscita la sua intuizione di far ascoltare musica black. Accolto con sospetto dalla comunità di co-


lore che affolla il locale Delray’s e soprattutto dal gestore, che vede di cattivo occhio le avance che il futuro

dj riserva per la bella sorella Felicia, sfidando i pregiudizi razziali, una difficile situazione economica (vive in un modesto appartamento con la madre, che poi stupirà tutti sfoderando anch’essa una potente voce con venature soul) e atti di minacce e violenza, riuscirà a coronare il proprio sogno d’amore con la ragazza e lanciarla nel mercato discografico, raggiungendo poi il successo anche in tv (anche se lo show non ci racconta la sua tragica morte all’età di 42 anni). Interpretazioni da urlo per un evento teatrale importato direttamente da Broadway, non di grande impatto spettacolare ma amatissimo dai fan della black-music.


Debutto assoluto invece per Bend It Like Beckham, tratto dal film noto in Italia come Sognando Beckham, con al centro Jess, una ragazzina che deve lottare contro le rigide tradizioni della famiglia di origini indiane per realizzare il sogno di giocare al pallone, trovando infine l’amicizia e l’amore. Diretto dalla stessa regista della pellicola Gurinder Chadha con energia, humor, sentimento e una buonissima colonna sonora, Bend It Like Beckham è uno dei pochi musical originali visti di recente che mi ha fatto uscire dal teatro con molte melodie da canticchiare e la voglia di acquistare il cd (è uscito da poco, lo potete acquistare sulla nostra “Bottega del musical”). La colonna so-

nora, firmata da Howard Goodall (compositore di Love Story) e Charles Hart (liricista di Phantom of The Opera e Aspects Of Love) presenta infatti brani toccanti, caratterizzati da semplicità non banale e da versatilità di stili e duttile espressività drammaturgica, sospesi come sono tra sonorità irlandesi, profumi bollywood, teen-musical, scene d’insieme tipicamente theatrical (come il toccante finale d’atto Just A Game/Fly). Particolarmente commovente la scena in cui il padre decide di assecondare i sogni di Jess, ricordando come in gioventù avesse dovuto rinunciare alle proprie aspirazioni perché i pregiudizi e le barriere sociali erano insuperabili.


Con questo messaggio di speranza in una società più aperta, in un futuro di riscatto in cui le differenze di genere, razza, orientamento sessuale (al-

l’amico gay Tony è affidata la titletrack Bend It) lo spettacolo vince e arriva con genuina immediatezza al cuore dello spettatore.


Due celebri concept-album per altrettante produzioni “off”: American Idiot dei Green Day e Tommy degli Who. Due generazioni a confronto e due spazi alternativi: All’Arts Theatre il primo (si trova in pieno West-End ma una programmazione e una struttura “da cantina” lo rendono molto underground), e a Greenwich nell’omonimo teatro il secondo. American Idiot è un duro “murale” che martella i timpani con la veemenza adrenalinica di una band dal vivo di teen-ager, con al centro un

gruppo di giovani sbandati dal post11 settembre, senza meta, sballottati tra droghe, violenza, guerra e amore allucinato. Se li leggiamo come i figli dei ragazzi di Hair e poi di Rent scopriamo come i “giovani d’oggi” siano orfani non solo di ideologie e punti di riferimento da dissacrare, ma anche di uno scopo che li spinga a vivere il quotidiano (il “no day but today” di Rent) e a dare un senso a esistenze e rapporti, che invece di unirli li vedono sempre più soli e slegati gli uni gli altri.


Tommy si presenta invece in una bulimica veste registica, low budget e non del tutto risolta. Se alcune idee per i cambi scena sono molto efficaci e dotate di una certa qual efficacia naif (geniale la corda con appeso un abat-jour che delimita gli interni con pochi movimenti dell’ensemble), altre scelte (come il balletto stile Fosse nella scena del cugino Kevin) non raccon-

tano in maniera altrettanto coerente la parabola verso la liberazione del ragazzino sordo-muto-cieco che diventa campione di flipper. Di grande pregio la colonna sonora (da Pinball Wizard a I’m Free per passare da Acid Queen), definita la prima rock-opera della storia, ma a mio avviso ancora troppo legata al concept rock e poco teatrale nella progressione drammaturgica.


Piccola digressione nel musical per bambini con I tre Porcellini (The Three Little Pigs) degli specialisti George Stiles ed Anthony Drewe che dopo Honk (Il brutto anatroccolo) affrontano un’altra fiaba “minore” che riescono a elevare a “lungometraggio” teatrale con una buona dose di riferimenti alla contemporaneità e tanta ironia. I porcellini qui sono due fratelli e una sorella un po’ cresciuti, una col pallino dell’ecologia, uno culturista senza cervello, uno sovrappeso e secchione, che vivono ancora con la mammina, che nell’opening cerca invece di spingerli a trovare la propria strada.


Strada che li porterĂ sulle tracce del Lupo Cattivo suo malgrado (A Bit Misunderstood come canta Simon Webbe, ex-membro della boyband Blue) che riuscirĂ ad abbattere le casette dei primi due. I fratelli si rifugeranno dal terzo che preparerĂ la trappola per il lupo costretto a calarsi dal camino: lieto fine garantito col trionfo della famigliola riunita. Tante canzoncine divertenti e orecchiabili, molta simpatia e un buon ritmo convincono appieno il pubblico delle famiglie che affolla il Palace nella replica mattutina (le scene sono sovrapposte al set di The Commitments) di questa interessante fiaba musicale.


Gran finale: lasciamoci ’intrattenere’ da un grande classico, Gypsy di Jule Styne e Stephen Sondheim, la storia della celebre spogliarellista Gypsy Rose Lee, ma soprattutto di sua madre e “agente” Rose. Anche perché in questa edizione la star Imelda Staunton (la Dolores Umbridge dei film di Harry Potter) ruba letteralmente la scena a tutti. Nei suoi assoli è travolgente, riesce a infondere un’incredibile espressività drammatica in ogni nota, in ogni parola, in ogni gesto: al pubblico non resta che tributarle una standing ovation che mai avevamo sentito così roboante nel West End. Il regista Jonathan Kent rinuncia allo sfarzo per concentrarsi sulla psicologia dei personaggi, e quando si ha un’attrice di questi livelli e di questo carisma, e un libretto e una colonna sonora così potenti e teatrali, è quasi una scelta obbligata. Di altissimo livello comunque tutta la compagnia, a partire da Lara Pulver, che si trasforma con grande bravura dalla goffa e insicura June nella sensuale Gypsy.

Il viaggio nel West End si concude, come spesso accade, con un bagaglio di emozioni, un po’ di nostalgia, e tanta voglia di tornare. E anche la speranza di rubare qualcosa per emozionarsi anche in Italia sulla scia della grande tradizione del teatro musicale anglosassone.



Liam Mower

il primo Billy non si scorda mai


di Sara Del Sal Per qualcuno la vita è come una favola, e nel suo caso la favola è moderna ed incredibile. Liam Mower è stato il primo tra i primi, debuttando nel ruolo di Billy Elliot nell’omonimo musical alla sua opening night nel lontano 2005. Un Olivier Award a casa, come gli altri giovanissimi che condividevano con lui il ruolo alternandosi di performance in performance, ma anche qualcosa di più: il nome, indissolubilmente legato allo spettacolo. A teatro, si sa, i bambini crescono, e così anche lui ha dovuto abbandonare quel ruolo per darsi ad altro. Nemmeno lui, però, avrebbe mai immaginato che la sua vita sarebbe stata ancora legata a Billy. "Non avrei mai pensato di ritrovarmi a lavorare, come sto facendo con la compagnia di Matthew Bourne, il coreografo dello Swan Lake in cui il Billy del film, ormai adulto, fa il suo debutto. Ammetto che quando mi sono ritrovato nel cast di quello spettacolo non ci credevo. Le analogie erano cosi tante, ed era cosi emozionante sentirmi ancora una volta parte della storia di Billy, anche se io non interpretavo il cigno." Liam Mower, in Italia per The car men, sempre di Bourne, racconta che "l’esperienza che sto facendo ora, con questi spettacoli è molto importante

A Ravenna quest’estate per lo spettacolo di Bourne The Car Men, il primo interprete di Billy Elliot in teatro racconta la sua storia fortemente legata al personaggio


Jonathan Ollivier

26 aprile 1977 – 9 agosto 2015 Un doveroso, ma anche affettuoso, saluto a Jonathan Ollivier. Cigno bianco e nero in Swan Lake di Matthew Bourne, ha saputo conquistare pubblici di tutte le nazionalità. Lo scorso luglio in Italia, in The Car Man, a causa di un infortunio alla schiena, ha spesso danzato in un ruolo minore. Attesissimo al Sadler’s Wells di Londra, ha fatto registrare il tutto esaurito nelle repliche in cui danzava da protagonista. Lo spettacolo chiudeva il 9 agosto con una po-

meridiana in cui avrebbe danzato il ruolo minore e l’ultima, trionfale replica esauritissima alla sera in cui ritornava da protagonista. Erano le 11 di mattina, quel 9 agosto, quando con la sua moto cercava di raggiungere il teatro, venendo spazzato via da un’automobile. Carisma e forza. Passione e un’altissima dose di testosterone. Con lui la danza era forza e sensualita, capace di generare emozioni forti. Ci mancherà.


anche perchè c’è un grande lavoro attoriale dentro al ruolo del ballerino... e io mi sento sempre in sfida quando sono sul palco." Manca però, in questa sua esperienza, il canto. "Eh, quello è l’unico mio rammarico. Non sto cantando ormai da due anni e penso che dovrò iniziare a riprendere delle lezioni se mi volessi presentare ai provini di qualche musical. Mi manca il fatto di esprimermi anche con la voce, e spero che ci sia presto una nuova occasione." Intanto il giovane Mower riesce a sprigionare mille emozioni al pubblico che lo vede danzare, dando corpo anche a personaggi complicati e molto sfaccettati, delle vere e proprie sfide che vince con grande dol-

cezza. Ma, per lui, gli incontri con Billy non sono finiti. "Quando mi hanno chiamato per interpretare il Billy adulto nello spettacolo per le riprese live streaming sono stato felicissimo. È stato davvero emozionante risalire su quel palco e ritrovare non solo il nuovo cast, ma anche molti dei ragazzi che sono stati Billy con me o dopo di me." Sorridente e disponibile, Mower è felice di essere riuscito a restare nel mondo dello spettacolo: “Posso girare il mondo con questa compagnia, e adoro ogni posto nuovo. Qui in Italia, poi, ci sono dei posti bellissimi." Ora è di nuovo in Inghilterra, dove sarà nel cast della Sleeping Beauty pronto al debutto. Insomma, per lui davvero lo script si è avverato!


The Donkey Show


di Sara Del Sal Un appuntamento bizzarro che non si autodefinisce musical, ma che ne ha tutte le caratteristiche. Siamo a Cambridge, Massachussets. A pochi passi da uno dei campus più famosi del mondo, quella Harvard che sforna ogni anno i futuri business men più in vista d’America, c’è uno spazio che sta a metà tra un teatro e una discoteca. Si chiama Oberon, e il nome è già di per sé evocativo di un mondo shakesperiano. Era il lontano 19 agosto 1999, quando, nell’off Broadway apriva uno spettacolo totalmente “off” ma divertentissimo; poi un tour anche europeo tra Inghilterra, Scozia, Spagna e Francia e infine l’Oberon di Cambridge, dove va in scena ogni week end, tra migliaia di persone che affollano l’evento divenuto ormai iconico. Si chiama The Donkey Show, ed è una rivisitazione molto moderna e in chiave disco music di A midsummer night’s dream. Che sia qualcosa di particolare lo si evince fin dall’ingresso: in coda per entrare (in America la si fa calmi e tranquilli), ecco dei personaggi assurdi che popolano la strada. Uno in rollerblade, una con una pelliccia vistosissima e una maschera, e gangsters. Una volta entrati ecco dei glitteratissimi cubisti muscolosi che non si lasciano solo guardare, ma che

The Donkey Show, Cambridge (MA)

Una rivisitazione moderna, psichedelica, dissacrante del classico Sogno di una notte di mezza estate


si divertono a scherzare col pubblico che non sa bene come comportarsi, perché, se ci si va per la prima volta non si può avere idea di quello che sta per accadere. Una manciata di tavolini in un piano rialzato, e un dj quasi sul soffitto, che propone una playlist di quelle che sono totalmente irresistibili. Così pian piano, davanti al palco, la gente balla, dimenticando quasi di essere entrata per vedere qualcosa. Proprio in quell’istante tutto ha inizio. Cogliendo di sorpresa tutti, ecco i bizzarri personaggi affollare la sala. Tutto accade attorno al pubblico, o in mezzo ad esso. Ecco Titania, molto poco vestita, e gli altri personaggi a vivere il capolavoro shakesperiano

come non lo abbiamo mai visto. Uno show che mescola le canzoni della disco music anni ’70/’80 e alcuni pezzi recitati, legando tutto con passi di danza. Il pubblico si gira, si sposta, aiuta o fa spazio ai protagonisti che si rincorrono o che si incontrano sfruttando l’intero spazio, richiamando costantemente l’attenzione da una parte all’altra, riuscendo facilmente a cogliere di sorpresa gli spettatori. Finalone sul palco, in un trionfo di glitter che rivela che al Donkey Show nulla è davvero ciò che sembra e che gli stessi attori non sono altro che meno della metà dei personaggi: con parrucche, cambio di voce e spesso anche di sesso, si sono moltiplicati. Uno dei tanti giochi del teatro.


Una forma di teatro nuova, giovane, fresca, che dimostra come offrire anche ai giovani un’alternativa valida a un sabato sera in discoteca. Chissà se in Italia...


Ombre e fantasmi nel giardino segreto


di Laura Confalonieri Röttingen è un paesino di 1.711 anime a circa 35 chilometri a sud di Würzburg, in aperta campagna francona al confine con il Baden-Württemberg, dominato dalla fortezza di Brattenstein, citata per la prima volta nelle cronache del 1230, e oggi ospitante un museo del vino nella sua parte ovest.

Da 32 anni ogni estate il festival musicale della Franconia, che schiera i nomi più noti della scena musicale germanofona, richiama oltre 15.000 spettatori nel cortile della fortezza.

Quest’estate è stato il turno di Ethan Freeman, Carin Filipčić, Ann Mandrella, Aris Sas, Kathleen Bauer e Dennis Kozeluh di ricevere gli ospiti ne Il giardino segreto, il musical di Lucy Simon e Marsha Norman, tratto dal romanzo di Frances Hodgson Burnett (già autrice del più famoso Il piccolo Lord), il primo a Broadway scritto e prodotto solo da donne e rappresentato quest’anno per la prima volta all’aperto in Germania.

Der geheime Garten, Röttingen (D)

Un cast importante e interessanti soluzioni sceniche per la versione tedesca del musical di Simon e Norman


la storia


Il Giardino Segreto racconta la triste storia di Mary Lennox, che, rimasta orfana a causa di un’epidemia di colera, viene rimpatriata dall’India e affidata alle cure dello zio Archibald Craven, che vive a Misselthwaite Manor, in Yorkshire. Archibald non si è mai ripreso dalla morte della moglie Lily (sorella della madre di Mary, Rose), morta dando alla luce il figlio Colin, col quale da allora vive come un recluso, insieme al fratello Neville (che è medico e non gli ha mai perdonato di aver preso il suo posto nel cuore di Lily), alla governante Mrs Medlock, alla cameriera Martha, suo fratello Dickon e al giardiniere Ben Weatherstaff (Klaus W.T. Herdel, che parla in dialetto stretto). A Mary non piace la sua nuova famiglia: suo zio Archibald non vuole vederla, suo zio Neville vuole mandarla al più presto in un collegio e la governante le ha imposto di rimanere nelle sue stanze e non creare problemi. Solo la cameriera Martha e Dickon la trattano con gentilezza. Misselthwaite Manor, inoltre, è un posto sinistro al limitare della brughiera. Di notte vi si sentono voci e lamenti. Archibald sente la voce di Lily; Mary sente delle voci che non sa ancora identificare. Un giorno, passeggiando per la proprietà, scopre una porta coperta da rampicanti.Viene a sapere che porta al giardino che la sua defunta zia curava di persona. Da quando è morta,

però, è vietato a tutti di entrarvi. Quando, girando per la casa, scopre anche l’esistenza del cuginetto Colin, costretto a letto da una non meglio specificata malattia, capisce che una delle voci che sentiva era la sua. Non tarda neanche a scoprire che l’unica malattia di Colin sono le iniezioni che suo zio Neville gli fa ogni giorno, nella speranza che muoia presto e che l’eredità passi a lui. Quando Neville scopre che Mary va a trovare il cuginetto ogni giorno e lo invoglia ad uscire, approffittando del fatto che Archibald è in viaggio a Parigi, decide di affrettare i tempi e incarica Mrs Medlock di far portare Mary in collegio. Mary, nel frattempo, però, è riuscita a trovare la chiave del giardino e lo sta facendo rinascere con l’aiuto di Dickon. Di nascosto ci ha portato anche Colin, che, pian piano, si è perfino rimesso a camminare. Quando Mrs Medlock le riferisce di prepararsi a partire per il collegio, scrive, disperata, una lettera allo zio Archibald, supplicandolo di tornare. Archibald, cui in sogno è apparsa Lily, che gli ha chiesto di tornare nel giardino, rientra in tempo per impedire che Mary parta - e non crede ai suoi occhi quando vede il giardino rifiorito e suo figlio Colin di nuovo in salute. Caccia il fratello Neville da Misselthwaite Manor e promette di non ripartire mai più. Resterà per sempre con la sua nuova famiglia ad occuparsi del giardino.


Le leggi tedesche a tutela dei minori non permettono ai bambini di lavorare più di tre ore al giorno (e solo fino alle 22 al massimo), quindi, per impersonare i due bambini, la direzione artistica di Röttingen ha dovuto ingaggiare due adolescenti. Anche se l’ingenuità infantile in questo modo va inevitabilmente perduta, rimangono l’intonazione sicura e l’interpretazione solida della sedicenne viennese Nataya Sam: la sua Mary Lennox è indipendente e testarda, con una forte presenza scenica. Il quattordicenne Niklas Röckert è un Colin smunto e malaticcio, come richiede la parte. Il giardino segreto è un florilegio di melodie squisite e mescola delicati

passaggi lirici a numeri d’insieme drammatici e musica folk anglosassone. La partitura originale, che brilla per opulenza sinfonica, a Röttingen viene eseguita da una band di soli sei elementi, ed è solo grazie alla maestria di arrangiatore di Walter Lochmann (direttore musicale del festival, oltre che compositore e, a suo tempo, co-fondatore delle Vereinigte Bühnen Wien) che la differenza non si sente. Rinunciando a sostituire gli strumenti mancanti con tastiere elettroniche e sfruttando al meglio l’uso di chitarre elettriche e percussioni, ha arricchito il pezzo in dinamica e tensione. L’unico brano a soffrirne un po’ è Lilys Augen (Lily’s Eyes), derubato della sua fluidità.


Anche il regista Sascha Oliver Bauer taglia e aggiunge qua e là per cucire la storia a misura dei suoi interpreti, concentrandosi soprattutto sul ritorno alla vita di Archibald, Mary e Colin. Non si interessa, al contrario, del rapporto di Mary coi suoi defunti genitori, né di rappresentare le altre metafore contenute nel libro. Purtroppo ogni tanto esagera ugualmente; ad esempio quando mette Lily’s Eyes, classico showstopper, alla fine del primo atto e contemporaneamente fa trovare a Mary la porta del giardino segreto, l’unico momento che dovrebbe lasciare andare il pubblico in pausa in trepidante attesa del secondo atto. In questo modo brucia due numeri

ad effetto in un colpo solo. Un’occasione sprecata. A Bauer e ai suoi collaboratori va tuttavia riconosciuto il merito di non perdersi nel kitsch vittoriano di cui solitamente soffrono gli allestimenti di questo lavoro: i veloci cambi di scena avvengono per mezzo di una piattaforma girevole, i costumi di Agnes Hamvas sono di taglio moderno, e la scenografia di Helmut Mühlbacher evita una riproduzione realistica del giardino, che sarebbe potuta sfociare in una superficiale mostra floreale. D’altronde che bisogno c’è di mettere piante e vasi sul palcoscenico, quando la serata si svolge sullo sfondo di una fortezza medievale


in gran parte coperta di edera? Ma è soprattutto nel secondo atto, al calare dell’oscurità, che l’atmosfera medievale dell’ambiente entra di peso sulla messinscena: i fantasmi di Misselthwaite Manor, che la coreografa Kathleen Bauer (che interpreta anche Lily, metà druidessa e metà fantasma del focolare - o, meglio, del giardino, con una bella voce da soprano lirico) manda spesso e volentieri in scena armati di lampade fanno un effetto inquietante, così come il rituale evocativo di Mary, Dickon, Martha e Lily in giardino. Ethan Freeman è un Archibald Craven commuovente e trascinante. Dennis Kozeluh tratteggia un Neville perfido e manipolatore.

Il ruolo che ha subito la trasformazione più radicale, tuttavia, è quello di Mrs Medlock, che in questa produzione funge da narratrice e prima voce del coro. Scelta che non sempre


ha un senso logico, ma permette di affidare questo ruolo minore ad una protagonista del calibro di Ann Mandrella, che mette tutti in riga con severità e cipiglio che ricordano

tanto la signorina Rottenmeier. Anche Carin Filipčić non ha il physique du rôle di Martha, ma per il suo assolo Halt durch (Hold On, bel numero, ma prevedibile) è l’inteprete ideale. Aris Sas (per chi ne avesse perso le tracce a Vienna dopo Tanz der Vampire: sì, è ancora vivo, ma si è dato ai rock musicals) è un Dickon sempre ottimista e sempre in movimento, con i jeans sempre inzaccherati e strappati: parla con gli animali e con i fiori, scala le finestre e gli alberi, e aiuta Mary Lennox a smettere di essere musona e a far rifiorire il giardino segreto. Meritata standing ovation per tutti. L’anno prossimo si dà Sunset Blvd.


L’isola del tesoro che non c’è


di Laura Confalonieri La premiata ditta spotlight musicals, specializzata in biografie di santi, beati, papesse e imperatori, quest’anno ha cambiato genere e, dopo la prima mondiale a Brno nel maggio scorso, ha portato per la prima volta in Germania L’isola del tesoro. Poiché nel libro manca una storia d’amore e gli autori (il compositore Dennis Martin e i parolieri Wolfgang Adenberg e Christoph Jilo) pensano che un musical moderno non possa farne a meno, hanno, sul modello di Finding Neverland, intrecciato la saga piratesca con la storia personale del suo autore, Robert Louis Stevenson. Edimburgo, 1870: Robert Louis Stevenson (Friedrich Rau) vuole diventare scrittore, ma suo padre (Norbert Lamla) progetta di farlo diventare avvocato. Louis, dopo l’ennesimo litigio, lascia furibondo la Scozia e va in Francia, dove, in una comune di bohémien, incontra l’americana Fanny Osbourne (Anna Thorén) e se ne innamora. Fanny ha lasciato il marito scioperato negli Stati Uniti e vuole dedicarsi alla pittura. Louis e il figlio di Fanny, Lloyd (Claudius Ruppel), si scoprono accomunati dalla passione per le storie di pirati, e Louis comincia a scrivere per

Die Schatzinsel - Das Musical, Fulda (D)

Non convince questo nuovo musical tedesco che intreccia romanzo e realtà ispirandosi all’Isola del Tesoro


lui L’isola del tesoro, sulla base di una storia che suo padre gli raccontava da bambino. Col tempo, gravi problemi di salute costringono Robert a tornare a casa. Fanny torna col figlio a San Francisco. Quando viene a saperlo, Robert, nonostante la malattia, si imbarca per l’America. Si ritroveranno e andranno a vivere insieme a Upolu, la principale delle isole Samoa, dove Robert morirà a soli 44 anni per un’emorragia cerebrale. Giacchè l’intreccio del romanzo di Stevenson si svolge parallelamente alla vita del suo autore, i personaggi storici assumono di volta in volta il ruolo dei protagonisti del libro. Così Lloyd diventa Jim Hawkins, il padre di

Louis diventa il capitano Smollett e Louis il dottor Livesey e Ben Gunn. I passaggi dalla finzione alla realtà e viceversa avvengono molto platealmente, spesso all’interno di un singolo brano. Il più divertente è Ich bin das Kommando, dove Norbert Lamla (bella voce da baritono) si trasforma da capitano Smollet a Stevenson padre. Il più inquietante è Herr der Insel, quando la trasformazione di Friedrich Rau (vocalmente ecclettico, passa senza difficoltà dal sentimentale al rock) in un Ben Gunn che ricorda Gollum fa venire la pelle d’oca. Nel complesso, tuttavia, i personaggi rimangono piuttosto piatti. La più bistrattata in questo senso è Fanny Osbourne. Una donna che nel


XIX secolo lascia l’America e il marito sfaticato e parte col suo bambino per andare in Europa a perfezionarsi come pittrice, meriterebbe di meglio che essere tratteggiata solo come una figura romantica che non sa far altro che intonare ballate (ma Anna Thorén le canta tutte egregiamente). Nonostante la verde età, Claudius Ruppel assolve al suo doppio ruolo di Lloyd / Jim Hawkins con voce ferma e notevole presenza scenica. Un tonitruante Andreas Lichtenberger mantiene il giusto equilibrio fra pirata e figura paterna nei panni di Long John Silver. Frank Logemann è un Billy Bones più che convincente. Dennis Martin ha composto alcune

melodie nuove e orecchiabili, ma ne ha anche prese altre in prestito dai suoi lavori precedenti (soprattutto da Die Päpstin), e non sa fare a meno di citare Pirati dei Caraibi (nella ciurma ce n’è persino uno che somiglia a Jack Sparrow). I suoi pirati, tuttavia, sembrano non conoscere altro tempo che i 6/8. La nota più stonata dello spettacolo è sicuramente il brano Bristol City, più adatto ad un saloon del Far West che a un nebbioso porto inglese. L’orchestrazione di Frank Hollmann è molto d’effetto, anche se si sente che l’orchestra è stata rinforzata da tastiere. La spotlight, purtroppo, non impiega musicisti; solo basi.


La scenografia di Jaroslav Milfait è semplice: una grande impalcatura girevole di legno e diversi teli, sui quali vengono proiettati i video di Peter Hlusek, i quali, assieme alle luci ben manovrate da David Kachlír e ai variopinti costumi di Andrea Kucerová e Andrea Mudrack fanno dimenticare i limiti di spazio del teatrino di corte di Fulda. Il regista Stanislav Slovak si affida totalmente agli effetti visivi e agli ottimi intepreti, visto che si accontenta di lasciarli entrare e uscire di scena

e/o lasciarli in piedi a recitare ai bordi del palcoscenico. Non nota neanche errori marchiani, come quando si vede Billy Bones cacciare gli avventori della taverna della madre di Jim mentre la voce fuori campo di Robert Louis Stevenson racconta che il pirata vi passava le serate a guardare nel vuoto bevendo rum. Più tardi il narratore ci racconta che Jim Hawkins, nascosto in un barile di mele, sente che una persona vi si siede davanti; Long John Silver, però, siede ben lontano dal barile.


L’idea di mettere anche membri dell’equipaggio femminili a bordo dell’Hispaniola (dove però fanno solo le pulizie) è certamente solo dovuta al fatto che per questa scena c’era bisogno di tante comparse. Chi crederebbe altrimenti che nel diciottesimo secolo il capitano di una nave avrebbe assunto donne marinaio? Poco creative le coreografie di Michal Matej. Le risse, ad esempio, si svolgono tutte così: A alza il pugno per colpire B, B (parecchio lontano da A) cade tramortito.

I balletti potrebbero essere facilmente eseguiti da un gruppo di ballerini jazz dilettanti: passo a sinistra, movimento del braccio; passo a destra, movimento del braccio. Comunque, se in futuro verrà messa in scena anche in altri teatri, magari con una regia più attenta, una miglior coreografia e musica dal vivo, L’isola del tesoro potrà esser senz’altro considerata un arricchimento per il repertorio musicale tedesco.


foto | VBW - Deen Van Meer 2015

Benritrovato, Mozart!


di Matteo Firmi In una serata calda di fine estate va in scena la prima preview di Mozart! Das Musical, lo spettacolo scritto nel 1999 dall’affiatata coppia Michael Kunze - Silvester Levay. La curiosità è tanta all’interno del Raimund Theater (che aveva già ospitato l’ultimo allestimento di Mozart! nel 2005), e si sente vibrare nell’aria. Lo spettacolo, che avrà la premiere il 24 settembre, si presenta con un cast che lascia solo ben sperare: Oedo Kuiper (Wolfgang Mozart), Ana Milva Gomes (Baronessa von Waldstätten),Thomas Borchert (Leopold Mozart), Mark Seibert (Colloredo), Barbara Obermeier (Nannerl Mozart), Franziska Schuster (Constanze Weber). Dopo una breve presentazione a cura del sovrintendente dei Teatri Riuniti Viennesi, buio in sala, Mozart si presenta. L’allestimento è chiaro e limpido: pochissimi oggetti di scena tutti indispensabili - e una continua video proiezione che accompagna gli spettatori in tutto il racconto. Il Team creativo è formato da Harry Kupfer per la regia e Dennis Callahan per le coreografie, mentre i costumi sono curati da Yan Tax e ben si adattano a questo nuovo allestimento nella loro semplicità. Questo Mozart “2.0” si presenta con

Mozart! Das musical,Vienna - Raimund Theater, 12 settembre 2015

Un nuovo, spettacolare allestimento, con un cast “all star” per l’ambizioso musical di Kunze & Levay


un forte lavoro di drammaturgia e musica alle spalle, anche se è ancora evidente la fase di rodaggio nel primo atto, mentre il secondo funziona perfettamente. La parte musicale descrive un Mozart molto moderno nelle scene corali; la penna di Levay / Kunze lo descrive invece fragile, indeciso e pauroso nei momenti di “a solo”. Oedo Kuipers, il Mozart “adulto” (ricordiamo che la particolarità di questo musical è rappresentare il “genio” mozartiano nelle vesti di un fanciullo, mentre la parte ribelle e anticonformista cresce nelle fattezze di un giovane adulto, n.d.r.) si presenta in sordina, ma dalla fine del primo atto

comincia a giocare le sue carte, finendo in un crescendo grandioso. Ana Milva Gomes, nel ruolo della baronessa Von Waldstätten, solo dal primo passo in palcoscenico attira l’attenzione su di sé: la sua Gold von der sternen (Oro dalle stelle), grande showstopper dello spettacolo, è di una intensità rara, la sua voce abbraccia il pubblico nota dopo nota. Thomas Borchert, oramai voce storica del musical germanofono, è un Leopold Mozart severo, forte. Mark Seibert, nel primo atto, non convince presentando un Colloredo forte e al limite dell’aggressività. Franziska Schuster è una brava Constanze, appassionata e innamorata del


suo Wolfgang; la voce è semplice e chiara, la sua presenza scenica è sempre ben decisa. Che dobbiamo aspettarci da questo Mozart? Sicuramente due ore e mezzo legati alla poltrona, dove mondanità, genio e sregolatezza s’intrecciano in un’esperienza teatrale indimenticabile. Perché venire a vederlo? Per il cast, prima di tutto, che personalmente è ottimo per questo spettacolo. Per l’allestimento, una vera e propria “macchina del tempo” che riesce a far dimenticare il Mozart “cinematografico” che tutti conoscono. Per la musica, una garanzia. Si replica fino a marzo 2016.


letto / visto / ascoltato Funny Girl Nick Hornby Guanda, 2014

Si chiama Funny Girl l’ultimo romanzo di Nick Hornby. Un romanzo che mette insieme l’essenza dei suoi lavori precedenti e che apre una finestra intelligente sulla televisione, sulle sitcom e sugli attori e produttori. Ancora una volta leggendolo sembra di vedere le scene narrate, ma perchè consigliare questo libro? Perchè fa capire come negli anni ’50 e successivi le cose fossero molto simili a quelle che vediamo oggi, ma anche perchè ci porta in platea alla prima Londinese di Hair. Un fotogramma di una serata che ha visto l’arrivo di un musical sicuramente provocatorio. Da leggere. > qui la scheda su amazon.it

letto da Sara Del Sal


a caccia di biglietti Due notizie in poche ore hanno messo in fibrillazione il numeroso popolo di appassionati di musical. Due eventi che faranno il tutto esaurito in pochi minuti: è già caccia al biglietto per l’attesissimo debutto londinese di Glenn Close nei panni di Norma Desmond, nel musical Sunset Boulevard che l’ha consacrata stella di prima grandezza di Broadway ormai vent’anni fa. Dal 1° aprile al 7 maggio 2016 sarà di nuovo protagonista nella versione semiscenica che l’English National Opera allestirà nella capitale britannica, per la gioia di migliaia e migliaia di fan da tutto il mondo. Biglietti per tutti in vendita dal 29 settembre, qui.

Ma non è tutto: un altro, importantissimo anniverario si avvicina a gambe levate, e riguarda Les Miserables, che il 9 ottobre 2015 festeggerà ben trent’anni di permanenza ininterrotta sui palcoscenici londinesi. In programma una grande serata di gala per beneficenza, i cui proventi andranno a Save the Children, che prevede lotterie e aste per aggiudicarsi gli ambitissimi biglietti. Nel cast della serata, in un speciale gran finale, i performer che hanno reso Les Miz un vero culto: Colm Wilkinson, Roger Allam, Frances Ruffelle, Alfie Boe, John Owen-Jones e Gerónimo Rauch. Biglietti e info qui.


la stagione 2015/16


in un’unica occhiata


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Grande successo anche nella capitale francesce per i vampiri di Roman Polanski


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