Amici del Musical #16

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amici del

musical

Sister Act Newsies Cabaret Vacanze Romane Il Marchese del Grillo Kinky Boots Franco Travaglio Koen Schoots

16|2015 w e b z i n e


Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine issuu.com/amicidelmusical ideazione e coordinamento editoriale Francesco Moretti

in redazione Stefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio n. 16|2015 20 dicembre 2015 in copertina: Newsies, Milano - Teatro Barclay Nazionale Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com


Facts & Figures

dall’Italia Sister Act Newsies Vacanze Romane Cabaret Il Marchese del Grillo Polvere di Stelle The Blues Legend Mamma Mia! La verità dall’estero Kinky Boots In the Heights We Are Musical Rocky Sunset Boulevard

backstage Franco Travaglio Koen Schoots Lisa Antoni Ana Milva Gomes

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foto | Musacchio & Ianniello

Una strepitosa... Messa in scena!


di Mimma De Felicis

Dalle Sacre Scritture di Broadway, Nostro Signore dei Musical Saverio Marconi (ri)spolvera Sister Act: ed è un GRAN rispolvero: sempre siano lodate la sua regia, le sue intuizioni, la sua storica passione e l’Esperienza che infonde ad ogni sua… mai come in questo caso, Messa in scena! Dopo un allestimento minuzioso, che già dalla prova generale e dalle due anteprime senigalliesi lo decretano un prodotto di squisita fattura, garan-

zia di travolgente coinvolgimento e standing ovations, la conferma delle trionfali previews romane! La sinossi ricalca la storia del filmculto che ha consacrato Whoopi Goldberg nel ruolo della Suora più famosa della cinematografia holliwoodiana: l’aspirante cantante di night club Deloris Van Cartier (sì, come il “gioiellificio”!), assiste al regolamento-di-conti-con-morto ad opera del suo amante, il boss della

Sister Act, Roma - Teatro Brancaccio, 15 dicembre 2015

Travolgente, divertente, colorato, glitterato: a caccia dell’aggettivo giusto per il nuovo Sister Act


malavita di Philadelphia Curtis Jackson e viene quindi nascosta sotto il velo e la nuova identità di Suor Maria Claretta, nella Chiesa Convento Regina degli Angeli. Alleluja a Cheri e Bill Steinkellner, per i testi e a Douglas Carter Beane per i dialoghi aggiunti, Osanna in excelsis alle musiche di Alan-8-premi-Oscar-Menken e decisamente Gloria nell’alto delle più celestiali traduzioni a Franco Travaglio che per la versione italiana supera se stesso con brillanti soluzioni linguistiche e perfette rese. Parole d’ordine di questo allestimento sono ritmo, energia e Talento: davvero una selezione di rare gemme per un “gioiellificio” preziosissimo! Lo spettacolo coinvolge da subito il pubblico con entrate in scena travolgenti, caratterizzazioni esilaranti, interazione fulminea tra ogni singolo protagonista, tempi da Oscar… pardòn, da Dio! Magistralmente diretti, TUTTI i performers conquistano immediatamente il cuore dello spettatore, divertendolo e coinvolgendolo. Sincronia e dinamismo perfetti non scendono mai di tono per entrambi gli atti dello show: le luci di Valerio Tiberi delineano le giuste ombre nel Convento e nella chiesa e scintillano letteralmente in tutti i momenti stroboscopicamente anni ’70 dello show, tridimensionalizzato dalle maestose scenografie dell’architetto scenico per antonomasia, Lele Moreschi. Carla Accoramboni ha creato per le “signore in nero” costumi brachettianamente sorprendenti. Il suo Mon-


signor O’Hara è un’esplosione talare di glitter e l’oro dei momenti gospel è semplicemente trionfale. Il coro delle Suore BALLA coreografato da Rita Pivano, ed è irresistibile! Hand-jives indiavolati e turbinosi pivots che vien voglia di alzarsi in piedi e improvvisare un santo flashmob in platea! Gli artisti in scena sono delle autentiche ECCELLENZE: è una sana gara a chi ha l’ugola più potente. Non si fa in tempo a rimanere basiti dalla straordinaria estensione vocale della protagonista, che subito la MadreSuperiora “rivaleggia” in bravura ed è un continuo susseguirsi di esibizioni dalla stupefacente quanto melodiosa potenza: la Novizia, il Poliziotto, il Gangster e tutti gli altri “comprimari”, dotatissimi interpreti che si alternano in esibizioni superlative strappando ovazioni e ripetuti applausi a scena aperta. Belìa Martin è una coloratissima Deloris Van Cartier: non c’è una sfumatura del suo personaggio che non sia del tono PERFETTO in ogni scena. La sua voce riempie il teatro, la sua simpatia travolge la platea, la sua presenza scenica è azzeccatissima. La Madre Superiora ha i tempi recitativi del mostro... sacro Francesca Taverni: la giusta ironia, il rigore sdrammatizzato dalla comicità modulata per un personaggio “serio” e poi LA voce, la garanzia di un’Artista che si conferma una delle migliori interpreti assolute dei palcoscenici italiani. Felice Casciano è il villain per ec-



cellenza: ha caratterizzato in passato con versatilità ruoli “secondari” rendendo indimenticabili, il Dentista Orin Crivello, Il Gatto, l’Ispettore Kemp… e ora un cattivissimo Curtis Jackson che balla e CANTA con suadente bravura. Questa edizione di Sister Act è saltata agli onori delle sacre cronache per la presenza di una guest star particolare. Dai riverberi del successo televisivo di The Voice, e da un vero convento, Suor Maria Roberta, la Novizia-cheaspetta-la-chiamata è la VERA Suor Cristina. Adeguatissima nella recitazione misurata e “timida”, coordinata nelle rutilanti coreografie, si conferma sorprendentemente vincente quando canta. Una menzione speciale

alla Performer, che veste il velo della Novizia quando gli impegni e i doveri conventuali impediscono alla vera Sorella di andare in scena: Veronica Appeddu è uno scricciolo il cui talento nel canto è inversamente proporzionale alla sua minuta fisicità. È melodiosa, estesa, magnificamente immensa. E lei, che può, alla fine dello spettacolo, li indossa i peccaminosi kinky boots rossi che Deloris le regala simbolicamente prima di andare via dal Convento. Marco Trespioli è il poliziotto Eddie Umidino. Se il suo aspetto forse troppo giovane può lasciare inizialmente perplessi; la crescita del personaggio nel corso della storia, con la gustosa esibizione-trasformista



nel club confermano l’interprete una giusta scelta per il ruolo. Applausi meritatissimi per gli sgherri del Boss: Silvano Torrieri (Joey), Vincenzo Leone (De Niro) e Renato Crudo (TJ). Il loro siparietto musicale Signora in nero, è un gustoso intermezzo disco-soul e ogni loro “sgangherato” intervento, irresistibile. Due consorelle, impreziosiscono con la loro comicità e ironia, il carnet del convento: Suor Maria Lazzara cui conferisce irresistibile verve Claudia Campolongo e Suor Maria Patrizia, la cui debordante simpatia è congenita, in Manuela Tasciotti. In prestito dal giornalismo televisivo, ospite del palcoscenico-convento, Pino Strabioli si diverte palesemente

nella parte di Monsignor O’Hara, che sembra glitterata apposta per lui. Completano il cast, che è davvero una benedizione musical-e, Brian Boccuni, Giancarlo Capito, Giulia Dascoli, Jessica Francesca Lorusso, David Marzi, Marzia Molinelli, Valentina Naselli, Elena Nieri, Rosa Odierna, Marco Pasquini, Helen Tesfazghi. Si esce da teatro musicalmente appagati, adrenalinici ed elettrizzati, canticchiando già a memoria le canzoni dello show. È un’esperienza misticamente divertente, un giubileo di terreno spasso, un’imperdibile benedizione e un appuntamento di fine stagione che assolutamente non si può mancare!


Un musical

da edizione straordinaria


di Mimma De Felicis L’Italia ha la sua edizione straordinaria: ha debuttato a Milano, Newsies... e detto il titolo, scatta la prima “difficoltà”. Perché il pubblico italiano, a parte uno spicchio di appassionatinerd-amici-del-musical, è quello che se non va in visibilio a vedere (sempre, comunque, allegramente) Grease, per ogni altro musical gli devi (ancora) spiegare... Ghost?... quello del film; Sister Act... quello delle suore; Rent... non pervenuto. Newsies ha un titolo già mediamente difficile da pronunciare... che richiama le news, e anche se è tratto da un film Disney, la pellicola in Italia non è stata distribuita e pochi hanno visto questo gioiellino cinematografico con un cast stellare del calibro di Christian Bale e Robert Duvall, diretti da Kenny-HighSchoolMusical-Ortega. I Newsies sono “gli Strilloni”, i newspaperboys che alla fine dell’800 vendevano i quotidiani sui marciapiedi di New York, e che nel 1899 hanno coraggiosamente creato un loro sindacato e scioperato per protestare contro l’aumento dei giornali voluto dai due editori William Randolph Hearst del The Journal e Joseph Pulitzer (sì, quello del Premio!) del The World. Ragazzini, spesso orfani, contro mostri dell’editoria. Giustizia, cameratismo, entusiasmo, coraggio, grinta ed

Newsies, Milano - Teatro Nazionale Barclays

Lo sconosciuto film Disney sbarca a teatro in un frenetico allestimento firmato Federico Bellone


energia, che alla fine trionfano nella migliore tradizione Disney, contro i “cattivi” della carta stampata. Una favola a lieto fine, ma una favola difficile, che parla di sindacati, scioperi, crisi. Le premesse/promesse per la sensazionalità ci sono tutte e il coraggiosissimo regista Federico Bellone cerca di mantenerle fino alla fine dello spettacolo; che è un’autentica novità, confezionato con grande rispetto del pubblico, ottimi intenti, straordinario talento e momenti davvero spettacolari. Lo show è stato insignito all’estero con i Tony, Drama Desk e Outer Critics Circle per la migliore colonna sonora, ad opera di Sua Garanzia Musicale Disney, Alan Menken, e per le migliori coreografie, di Christopher Gattelli. Anche se inaspettatamente ad High Times, Hard Times è stato assegnato il Razzie Award per la peggior canzone originale, le funzionali e sempre intuitivamente geniali traduzioni di Franco Travaglio danno lustro a questa versione italiana. Se avete visto l’originale, scordatevi gli stessi numeri di ballo (quello straordinario in cui gli strilloni danzano “scivolando” sui giornali, per esempio), ma state tranquilli: le funamboliche coreografie ricreate da Gillian Bruce, mantengono la stessa verve, potenza ed energia. Tutti gli Strilloni compongono un numeroso e potente corpo di ballo… molto corpo, MOLTO BALLO e molto disneyano nel suo ossequioso richiamo agli spazzacamini di Mary Poppins, che



acrobaticamente riempie il palcoscenico in olimpioniche diagonali, salti, voli e capriole. Numerosi e meritati gli applausi a... coreografia aperta! Il “Capo degli Strilloni” è l’orfano Jack Kelly, cui conferisce grinta, voce ed entusiasmo il perfetto Flavio Gismondi. Tenerezza, “diverso” e buoni sentimenti in perfetto stile Disney, impersonati dallo straordinario An-

drea Fazio, l’amico-Strillone-zoppo Gruccia. Squadra e famiglia, perfettamente incarnati dai due fratelli, il maggiore David/Roberto Tarsi e l’arguto bambino Les Baum, impersonato alternativamente da Patrick Saponaro, Nicola Soave e Daniele Sormani. La protagonista femminile, bel carattere da eroina dei cartoon, è Katherine Plumber, il


ruolo in rosa che da una svolta alla storia: un’attrice bravissima, una sorprendente ballerina, una cantante in crescita, Giulia Fabbri. Jack Kelly ha un’amica “grande”, una vice-mamma un po’ consigliera un po’ fiammeggiante fatina buona che gestisce il suo “rifugio”, il teatro burlesque della città: la coloratissima Edda Esposito, cui da corpo e voce la

vulcanica Simona Patitucci. Datele tre minuti di scena e lei lascia un deflagrante riverbero di carisma per tutto lo spettacolo. Fatela cantare, e viene giù il teatro. Joseph Pulizer è una paurosa presenza, poco più che un cameo, che ha le corde vocali tenute musicalmente a riposo in questa occasione, dell’Attore (maiuscola voluta!) Simone Leonardi.


Tempi recitativi perfetti: a lui basta alzare un sopracciglio e tenere in pugno tutto il pubblico, fino all’ultima fila della galleria. Una menzione doverosa e a tutti i caratteri dei Newsies: Giovanni Abbracciavento, Samuele Cavallo, Riccardo Sinisi, Mattia Pettinari, Francesco Caramia, Davide Flenauri, Lorenzo Eccher, Phil Mennel, Pierluigi

Lima, Federico Colonnelli, Taddeo Pellegrini,Vittorio Schiavone, Giacomo Marcheschi, Nicola Trazzi, Fabio Gentile, e la compagine femminile composta da Martina Cenere, Chiara Vecchi ed Eleonora Facchini. Hella Mombrini e Silvia Silvestri hanno fatto scenografici miracoli per allestire una luminosa New York che catapulta lo spettatore sui marcia-


piedi di Brooklyn, nei locali caratteristici della Grande Mela di fine ‘800, dal Dormitorio degli Strilloni, alla birreria, al locale di Edda, fino agli uffici dell’Editoria, nei grattacieli di Manhattan, incastrando perfettamente ogni spazio alle vertiginose coreografie e ai rocamboleschi meetings dei numerosissimi Strilloni. Che sono vestiti deliziosamente da Marco Bie-

sta: un trionfo di gilets, bretelle e coppole come l’immaginario un po’ Oliver impone… Lo spettacolo è in scena a Milano fino alla fine dell’anno e merita una doverosa visita al Barclays teatro Nazionale,con l’auspicio che un’edizione così ispiri divulgazione nazionale, “ristampe” e “strilli” anche in altri angoli della nostra Penisola.


BACKSTAGE

di Diana Duri

“Lo spettacolo vero? è tutto il processo...” a tu per tu con Franco Travaglio, traduttore e adattatore dei più importanti musical degli ultimi anni


Franco Travaglio è di certo uno dei nomi noti nel teatro italiano. Si occupa da anni di tradurre le liriche delle canzoni dei musical che arrivano in Italia, ha lavorato per grandi produzioni per Stage Entertainment e per la Compagnia della Rancia. Lo incontriamo infatti al debutto del nuovissimo Newsies, il musical ispirato all’omonimo film Disney del 1992 – quasi sconosciuto in Italia - e ispirato allo sciopero degli strilloni di New York nel 1899. Non vi è al momento forse altro musical più fresco e ricco di energia di questo Newsies che vanta un cast giovane e straordinario in tutti e tre gli aspetti della performance e che azzarda l’orchestra dal vivo.

Di quanti musical hai già curato le liriche, per teatro e cinema? Tra teatro e cinema Newsies è il mio ventesimo adattamento, e nella maggior parte dei casi ho anche adattato i dialoghi oltre alle liriche.

Come è il processo di creazione delle traduzioni delle liriche? Di solito si fa una traduzione di lavoro che serve per la preproduzione, a volte per decidere se realizzare o meno la produzione. È una traduzione ancora molto letterale, con le canzoni non in metrica, che serve per capire quanto potrà costare l’allestimento e che tipo di cast sarà necessario. Il secondo step è l’adattamento vero

e proprio; io preferisco affrontarlo scena per scena, adattando dialoghi e canzoni nella medesima fase, perché il musical è un unicum, non deve essere analizzato a compartimenti stagni, e proprio i passaggi tra recitato e cantato devono essere curati maggiormente. Quando mi capita di occuparmi solo delle canzoni, come nel caso di Newsies, lavoro da solo ma mi interfaccio spesso con chi adatta i dialoghi per tutte quelle scelte di linguaggio e di stile generale, di costruzione dei personaggi, e di raccordo tra parlato e numero musicale. Molto spesso però queste scelte sono già frutto dell’adattamento registico, e avendo sempre lavorato con grandissimi registi ho sempre discusso a monte questo passaggio. Durante il terzo step ci si confronta con tutto il team creativo; il supervisore musicale ad esempio mi darà delle dritte riguardo le difficoltà che l’abbinamento di una determinata parola creeranno all’interprete, la coreografa mi chiederà degli input visivi particolari per suggerire determinati movimenti, il regista mi chiederà delle modifiche nel caso il mio adattamento non collimi con la sua idea, etc. Ovviamente a lungo andare lavorando con lo stesso team si crea il feeling giusto e non è quasi più necessario parlarsi, già nel secondo step cercherai di prevedere le richieste, e non ci sarà quasi più bisogno del terzo.


Il quarto step coincide con l’inizio delle prove e le modifiche riguarderanno le richieste degli interpreti e i problemi che saltano all’occhio solo vedendo in scena il copione. Infine un quinto step verrà intrapreso nel caso di anteprime, e soprattutto nei musical comici. Le battute verranno cambiate finché non faranno ridere pienamente il pubblico e altri piccoli cambiamenti verranno realizzati in funzione della risposta del pubblico. Solo dopo, lo spettacolo potrà debuttare e il copione essere “salvato” e ritenuto definitivo per quella messa in scena.

È di certo stimolante e complesso tradurre la musica di Menken. Puoi scendere un po’ più nel dettaglio? In Alan Menken convivono due anime compositive, due mondi musicali: la grande melodia europea, che sfoggia con ottimi risultati ad esempio ne La Bella e la Bestia, ma anche in alcuni grandi cori di Newsies; e i ritmi americani, più sincopati, con fraseggi più spezzettati. Il primo stile è più sem-

plice da adattare nella nostra lingua e a volte suona persino meglio abbinato alle dolci sonorità dell’italiano, il secondo crea molti problemi a una lingua con poche tronche e pochissimi monosillabi. Ma in entrambi i casi è davvero gratificante sentire il risultato quando parole e musica si sposano nell’interpretazione dei nostri bravissimi interpreti.

La cosa più complessa nei cartoon Disney poi sono anche i recitar cantando, tipico nel musical theatre. E Menken ne è pieno: Beauty and the Beast, Hercules, La Sirenetta, Mulan... Hai ragione, Menken è molto bravo anche a creare i numeri drammatici, teatrali, che nell’opera diventerebbero recitativi ma che il compositore di musical deve comunque rendere godibili e divertenti, come tutti gli altri momenti dello spettacolo. Specialità di casa Menken sono poi gli opening number, i grandi numeri di apertura corali e grandiosi (Belle, Little Shop Of Horrors) su cui anche i più celebri compositori spesso fanno cilecca.


Anche il fatto che le coreografie richiedano molta fisicità e che gli strilloni debbano “saltare moltissimo”, deve essere considerato nelle liriche. Come lavori in accordo col direttore musicale? Il cast di Newsies è talmente forte che non abbiamo avuto nessun tipo di problema legato alla cantabilità delle liriche, nemmeno durante le coreografie più difficili. Con il supervisore musicale Simone Manfredini poi lavoro da così tanto tempo che come accennavo prima non c’è più nemmeno bisogno di interfacciarmi.

Quale è il piacere più grande nell’adattare i testi da un’altra lingua? Durante la fase creativa vivi un momento esaltante quando ti viene l’intuizione che aggiusta un verso, che restituisce un gioco verbale, una rima, e le intenzioni dell’autore originale vengono rispettate - attraverso la tua reinterpretazione artistica - assumendo una nuova forma. Io proprio non capisco i puristi del musical, quelli che si ostinano a predicare i musical in lingua originale,

perché secondo me non vedono un fatto semplicissimo: il traduttore / adattatore è solo un artista in più che aggiunge il suo contributo artistico a quello del regista, della coreografa, degli interpreti, che non sono mai quelli di Broadway o del West End, quindi la ricerca dell’originale a tutti i costi è pura utopia. Sarebbe come dire che il vero Shakespeare è solo quello che fu messo in scena quando il Bardo era vivo. Ogni artista che prende in mano l’opera altrui da un lato tradirà un pezzettino dell’originale, ma dall’altro aggiungerà il proprio talento, la propria creatività e lo renderà vivo, nuovo, irripetibile. Diversamente l’arte sarebbe un museo incartapecorito di cloni e replicanti. Nella fase di allestimento, invece, il grande piacere è la crescita dello spettacolo dalla prima lettura al montaggio delle scene, dal primo incontro con l’orchestra, alle prove generali, le anteprime e poi il debutto. È un peccato che il pubblico veda solo il risultato finale, lo spettacolo vero è il processo completo.


Vacanze romane con poca magia


di Alessandro Caria Vacanze romane torna al Sistina a dodici anni dal debutto. Spettacolo da molti considerato il testamento di Pietro Garinei (e con lui, di Sandro Giovannini) riguardo il suo modo di fare Teatro e del suo amore per la città di Roma. Al copione italiano ha lavorato Jaja Fiastri, che introdusse alcune novità rispetto all’originale di Paul Blake. L’americano Joe si trasforma appunto nel romanissimo Gianni, reporter del Messaggero. A maggior ragione, lo spericolato tour in Vespa che il giovanotto offre a Sua Altezza Reale per le vie di Roma diventa espressione della verace vocazione quirite al binomio cicerone & galantuomo. E il fotografo d’assalto che ruba immagini ai vip con espedienti e tecnologie da agente segreto, a chi altri assomiglia se non al re dei paparazzi, Rino Barillari? Il supporto di musiche nuove e bellissime composte per l'occasione dal Maestro Trovajoli - ancora oggi il pubblico le ricorda e canticchia - davano unità stilistica alla successione dei motivi di Cole Porter, ai quali la commedia fa comunque riferimento. Vale la pena chiedersi, in tempi di teatro magro, il perché del successo che ebbe questo musical grande e patinato di Pietro Garinei, degno del marchio G&G.

Vacanze Romane, Roma - Il Sistina, 21 ottobre 2015

Alcune scelte registiche e scenografiche tolgono gran parte del fascino di questo ultimo musical di Garinei


La gente, anche la più teatralizzata, si stacca oggi dallo schermo televisivo solo per ridere o sognare. Occorre prenderne atto. O almeno, quelli che accettano di andare a teatro per riconoscersi nei grandi temi dell’uomo, a pensarci su, sono in numero minore rispetto agli altri. Vacanze romane si rivolge ai primi, al grande pubblico che chiede di volare e dimenticare segni e sensi negativi, depressioni, consapevolezze. A quelli che vogliono testardamente credere che esistano l’amore, il disinteresse, la nobiltà d’animo, l’allegria delle piccole cose, i poveri ma belli. Ecco allora la favola anni Cinquanta resa eterna dal cinema: prodotto giusto al momento giusto, oggi come dodici anni fa. Ma oggi qualcosa non va come deve andare. Oggi abbiamo difficoltà a ritrovare la magia di Roma, quel romanticismo


nell'allestimento che Pietro Garinei aveva saputo conferire con classe e maestria. Per svecchiare lo spettacolo troviamo delle proiezioni (dello scenografo Gianni Quaranta) che non lasciano margine alla sorpresa, una volta che hai capito il “gioco” scenico sai già quello che troverai nella scena successiva, ossia una ennesima foto o filmato di Roma. Un esempio lampante? Prima era: «Ti porto a fare un giro per la città», «E come andiamo?», «Vacanze romane... In Vespa!» e magicamente, in un attimo,


usciva la Vespa da una botola del palcoscenico, per poi assistere ad un incantesimo registico/scenografico (il numero riceveva ben cinque applausi a scena aperta in poco più di sei minuti), questo quando al Sistina si andava con un’infantile curiosità e si restava sempre sbalorditi e con la gioia negli occhi nel ritrovare l’incanto e la magia di quelle scatole a sorpresa che sapeva creare il genio assoluto di Giulio Coltellacci prima e di Uberto Bertacca poi. Rovine e piazze, fontane e palazzi si concentravano a tre dimensioni in palcoscenico: tutta Roma in pochi metri

quadrati. C’erano la Bocca della Verità, Piazza di Spagna, Fontana di Trevi... Oggi è: «Ti porto a fare un giro per la città», «E come andiamo?», «Vacanze romane... Otello, portami la Vespa». Sì, proprio così: «Otello, portami la Vespa». E Otello entra da un ingresso della platea (ormai far recitare gli attori tra il pubblico è diventato un marchio di fabbrica del Sistina così come le proiezioni) portando la Vespa a Gianni Velani, impiegando 20 secondi (in teatro un’eternità!) che fa cadere ritmo e magia. E poi via alle scontate proiezioni delle bellezze di Roma. Ecco come distruggere la poe-


sia di uno spettacolo. Il tutto è sommato a coreografie (di Bill Goodson) che a tratti sembravano una sbiadita fotocopia di quelle toniche e originali di Gino Landi. La regia di Luigi Russo? Il Musical, la commedia musicale non si improvvisa, ha regole precise, tempi e ritmi da conoscere. Per smontare i classici e riproporli in maniera diversa e originale bisogna essere dei geni, a cominciare dall’umiltà. Luigi Russo fa recitare tutti sopra le righe a partire dall’intonata ma fuori età Serena Autieri, al simpatico ma stonato Paolo Conticini, alla travolgente

Laura Di Mauro e all’eccessivo Fabrizio Giannini. Ma Luigi Russo ha soprattutto il torto di non aver capito una piccola e semplice cosa: Vacanze romane non era da svecchiare. Vacanze romane è una novela ante litteram. Evasione sincera, educata, elegante. Perbene. Pietro Garinei, con il solito understatement, non gradiva apparire come “regista”: «La regia l’ha già fatta, nel film, il grande Wyler. Io mi sono limitato a una “realizzazione teatrale”». Appartiene anche lui, come Joe-Gianni, al tempo bello dei gentlemen. Chapeau, Dottor Garinei.


foto | Giulia Marangoni

Di nuovo Cabaret qui siete sempre benvenuti


di Alessandro Caria «La politica? Cosa c’entra con noi la politica?». Questa è (purtroppo) la line di uno script di musical che se resta ancora attuale non è una cosa positiva. È sintomo di un malessere, di un disagio che questo terzo Cabaret - il più europeo dei musical americani, scritto da Kander, Masteroff ed Ebb - messo in scena dalla Rancia mostra in maniera cruda ed emblematica. Questa edizione è assai diversa dalle prime due: la prima molto legata alla versione cinematografica, con una brava Maria Laura Baccarini e un ottimo Gennaro Cannavacciuolo, e la seconda molto glamour con l’istrionico Ginepro e l’inopportuna Michelle Hunziker. Questo Cabaret è uno spettacolo “scomodo”, a cominciare dall’intelligente regia di Saverio Marconi, asciutta e dai tempi dilatati (cosa nuova per lui che ci ha abituato per anni a ritmi serrati e brillanti), che dà una chiave di lettura dura, violenta, un pugno nello stomaco per lo spettatore di una storia che continua ad evolversi, a trasformarsi e a riproporsi, ad avere successo da più di cinquant'anni. È per via della situazione storica in cui è ambientata? La minaccia del nazismo, vista da noi che l'abbiamo superata, o storicizzata, o addirittura il contrario, cioè l'ambigua

Cabaret, Roma - Teatro Brancaccio, 7 ottobre 2015

Saverio Marconi riprende per la terza volta un grande classico del teatro musicale, rileggendolo a fondo


fascinazione di violenza, di trasgressione che il nazismo propone (vedi i successi con rischio emulazione di serie tv come Romanzo criminale e Gomorra)? O sarà questa figura gaiamente inconsistente di Sally Bowles che “promette tutto ciò che non può mantenere” (attualissima, vero?) ed è quindi un facile specchio per qualunque pubblico onesto? O sarà proprio il “Cabaret”, visto come una specie di poli-bordello ad affascinarci, invitan-


doci a girare le spalle a ciò che accade intorno? Grosso punto di forza dello spettacolo le felici e aguzze invenzioni coreografiche della mai convenzionale Gillian Bruce, con uso sapiente di oggetti (guanti, tamburelli e, su tutti, citiamo Mein Herr con i performer che danzano con delle corde a sottolineare l’instabilità, la precarietà dell’esistenza umana), insieme all’eccellente lavoro di Gabriele Moreschi, che si è dilettato


con gli elementi della scenotecnica (corde, nodi, ganci, cantinelle e sipari) a creare una scenografia con poco e dove non manca assolutamente nulla, che si compone e scompone fino alla “macabra” scatola di legno del finale e in questo mai scontato gioco del teatro nel teatro è coadiuvato dalle impeccabili luci di Valerio Tiberi. Tra i protagonisti ricordiamo Giampiero Ingrassia, un Emcee dal sorriso falso e smagliante, ambiguo e diabolico: è il simbolo di quella sorta di ipnosi, di disperazione e di follia che ha reso incoscienti migliaia di persone. Giulia Ottonello si conferma performer di alta qualità conferendo al personaggio di Sally Bowles fragilità e aggressività, sempre sospesa tra infantile entusiasmo per il bisogno di “arrivare” e paura di solitudine. Nota particolare per il commovente Herr Schultz di Michele Renzullo, così fragile nella sua distanza dalla Storia e così innocente nella sua inesausta voglia d’amore, perché non c’è partita nel braccio di ferro fra antisemitismo e amore.



foto | Antonio Agostini

la Roma sbruffona del Marchese del Grillo


di Alessandro Caria Ci sono dei film che, non si sa perché, entrano nell’immaginario collettivo a prescindere dalla qualità della sceneggiatura, della fotografia, della recitazione. Film che non necessariamente devono vincere un festival o un concorso. In ognuna di queste opere, se ben si guarda, c’è qualcosa di straordinario. Una battuta, una caratterizzazione, un’atmosfera. Sono i film cult. Quelli che vengono promossi da comunità di fanatici che li vedono, li rivedono, mandano a memoria, venerano. È il caso de Il Marchese del Grillo del compianto Mario Monicelli. Ed era ovvio che per la commedia musicale congeniata da Massimo Romeo Piparo (coautore e regista dello spettacolo) e con mattatore Enrico Montesano, veterano e beniamino del Sistina, le attese erano alte. La confezione dello spettacolo è importante (scene gradevoli di Teresa Caruso e costumi di circostanza di Cecilia Betona), ma per fare una grande commedia musicale non basta un girevole e un corpo di ballo che fa un salto a destra e uno a sinistra con una giravolta. Ed è alquanto inopportuno scomodare in sede di presentazione un kolossal (in tutti i sensi) come Rugantino. Per fare di un film così amato una

Il Marchese del Grillo, Roma - Il Sistina, 9 dicembre 2015

Enrico Montesano torna al Sistina nella versione teatrale del film di Mario Monicelli, diretto da Massimo Piparo



bella musical comedy occorre dare una “anima” allo spettacolo, prima di tutto nell’adattare una sceneggiatura cinematografica alle esigenze di uno script teatral-musicale. Qui viene il primo problema. Dov’era l’adattamento? Perché non affidarsi a persone esperte e competenti? Una su tutti la Signora Jaja Fiastri che con Vacanze Romane fece un ottimo lavoro, giusto per citarne uno. E poi questa “anima” deve essere comunicata attraverso la musica. Banale dirlo? Ma la musica dov’era? Per lunghi tratti abbiamo assistito semplicemente al film recitato in palcoscenico con improvvisati interventi musicali (a cura del Maestro Friello, che per amor di verità ha avuto poco tempo per scriverle) che quasi mai rispondono alla necessità di far “esplodere” un emozione in canto o danza, né tantomeno di far avanzare la storia. La regia di Piparo e i movimenti coreografici di Roberto Croce sono piuttosto monotoni, mai un cambio di ritmo, mai un po’ di ironia. Onofrio del Grillo, personaggio realmente esistito ma ingigantito dalla fantasia popolare, fu il trionfo delle maschere di Alberto Sordi, il parossismo di un’italianità arrogante, gaudente e sorniona. Ma se Enrico Montesano si trova estremamente a suo agio nei panni del nobile romano amante della buona tavola, delle belle donne e soprattutto nel ruolo di infaticabile mago della burla (in stato di grazia quando si cala nel ruolo di Ga-

sperino il carbonaro), proprio come l’Albertone nazionale, e il pubblico ride divertito alle famose battute che ricorda dal film, i problemi arrivano quando bisogna virare verso il registro del cinismo, della cattiveria. E quel finale buonista proprio non l’abbiamo mandato giù: il Marchese del Grillo non cerca riscatto, non è Rugantino, è troppo avvezzo al proprio potere e ai suoi privilegi per affrontare la ghigliottina. Peccato che l’appassionata ode alla Città Eterna che Montesano fa alla fine e che strappa il sincero apprezzamento del pubblico, non sia stata inserita in un altro momento dello spettacolo: sarebbe stata più funzionale.


Polvere di stelle tra teatro e memoria


di Roberto Mazzone Ha debuttato sabato 21 e domenica 22 novembre al Teatro Politeama Pratese Polvere di stelle, il nuovo spettacolo musicale di Sandro Querci. La scena si apre con un regista che su un palco teatrale - diventato attrezzeria, o meglio ancora, “magazzino di memorie non troppo lontane” - sta dando indicazioni tecniche per un allestimento a dir poco tecnologico. Subito dopo, una bambina, attraverso la suggestiva immagine delle bolle di sapone, evoca ricordi “impolverati”, ma semplici da richiamare alla memoria. Ed ecco, sul palco si fa strada la compagnia Ricciòli-Bijoux, quella tipica da rivista e avanspettacolo, provvista di capocomico (Sandro Querci), la vedette di punta (Alberta Izzo) e musicisti: siamo catapultati nel 1943, durante le prove della rivista Anche il cielo. Una bomba esplosa vicino al teatro genera un black out, gli attori si ingegnano, munendosi di candele, creando così un’atmosfera da commedia dell’arte. Non manca proprio nessuno: c’è la coppia di caratteristi (Piero Di Blasio e Gabriele De Guglielmo), il coreografo segnato da una vita di rinunce affettive (Fabrizio Angelini, che, in veste di attore, si esibisce in un toccante, breve monologo, ma

Polvere di Stelle, Prato - Politeama Pratese, 21 novembre 2015

Teatro nel teatro, in uno scenario di guerra, tra spunti di vita vissuta e tanta musica d’epoca



anche in un numero di tap molto apprezzato sulle coreografie di Riccardo Borsini), tre soubrette (Silvia Querci, Serena Carradori e Arianna Ciampoli), ognuna con una personalità differente e complessa. E ci sono anche gli spettatori nei palchi che “dicono la loro” durante i numeri troppo succinti. Tra risate, drammi, canzoni, passerelle, moti d’orgoglio, cedimenti e colpi di scena si rivelerà un epilogo inaspettato. Il titolo Polvere di stelle non tragga d’inganno: la commedia musicale s’ispira al celebre film del 1972 con protagonista Alberto Sordi solo per quanto riguarda il soggetto (compagnia di rivista durante il secondo

conflitto mondiale): tutto il resto è completamente inedito. Sandro Querci prende spunto da episodi di vita vissuta - tenendo fede ai fatti e agli aneddoti narrati da suo nonno Alberto, che nella stagione teatrale 1938/1939 aveva lavorato proprio con Alberto Sordi, allora debuttante, in una compagnia di rivista e dallo smisurato archivio di famiglia che comprende 1814 tra copioni trascritti e manoscritti (molti dei quali con i tagli e i timbri della censura dell’epoca), 329 incisioni tra bobine, vinili ed audiocassette, foto e video, tutto digitalizzato. Il materiale storico della vicenda (sullo sfondo, i bombardamenti a Firenze durante la Seconda guerra


mondiale) si amalgama adeguatamente all’atmosfera da “luci del varietà”, tutta lustrini e paillettes, dell’allestimento, aspetto che si percepisce soprattutto nel secondo atto, quando il ritmo complessivo dello spettacolo subisce un’impennata. Tra i momenti musicali più significativi ricordiamo l’intensa interpretazione di Sandro Querci, nei panni del capocomico Mario, del brano Amapola, dedicato alla vedette della compagnia, sua moglie, costretta nel secondo tempo a un atto di coraggio per salvare la vita ai propri compagni di lavoro; una emozionante e divertente interpretazione del Tango delle capinere, da parte di Fabrizio Angelini nei panni di Alvaro; e poi ancora celebri brani di quel periodo come Ma le gambe, Parlami d’Amore Mariù, Ti parlerò d’amor, Sentimental, Ma l’amore no. Uno spettacolo ben confezionato che trasmette in modo abbastanza diretto un convincente messaggio di indipendenza dell’arte da qualsivoglia forma di potere o prevaricazione.



The blues legend quasi un concert-show


di Roberto Mazzone Il Barclays Teatro Nazionale ha aperto la stagione 2015/2016 con lo spettacolo The Blues Legend, scritto e diretto da Chiara Noschese. Il riferimento al film The Blues Brothers, di John Landis (1980) è più che evidente, ma, a onor del vero, è abbastanza difficile pensare di aver assistito a un musical, quanto a un concert-show davvero ben confezionato e pieno di vitalità artistica. Una band dal vivo, diretta con maestria da Valeriano Chiaravalle, accompagna il pubblico in un viaggio tra le hit più conosciute della musica rhythm’n’blues, nel periodo che va dagli anni ‘60 ai ‘70, da Sweet Home Chicago a Soul Man, da Think a Gimme Some Lovin’, senza dimenticare Everybody Needs Somebody (To Love...). I protagonisti sono dodici performer italiani (sei uomini e sei donne) che tentano di vivere – e di raccontare – le proprie esistenze quotidiane, inserite in un contesto metropolitano, ma a-temporale. Finiscono inevitabilmente per creare due schieramenti opposti; gli uomini, dediti all’eterno – ma poco costante - inseguimento dei propri sogni come obiettivo di realizzazione personale; le donne, invece, più pragmatiche e protettive nei confronti di quei compagni di vita che, spesso, le hanno solamente deluse.

The Blues Legend, Milano - Teatro Nazionale

Un rocambolesco viaggio ben confezionato e pieno di vitalità nello spettacolo all blues di Chiara Noschese


A tenerli tutti insieme, oltre alla forza della musica, sul palco c’è la vulcanica Loretta Grace, che però in questo spettacolo (dopo la parentesi di Ghost) sembra tornata a un approccio al personaggio che, a livello di stile, la avvicina nuovamente alla fortunata esperienza del musical Sister Act. Gli altri protagonisti meritano tutti menzione: Fabrizio Checcacci, Simone Colombari, Floriana Monici, Cristina Benedetti, Heron Borelli, Samuele Cavallo, Loredana Fadda, Silvia Di Stefano, Lorenzo Tognocchi, Martina Biscetti. E c’è anche il moncalierese Mario Acampa, attore e presentatore tv, alla sua prima esperienza nel teatro musicale: il suo personaggio riscuote dalle prime battute

la simpatia del pubblico e il suo percorso non potrà che migliorare. Proprio la potenziale “umanità” dei personaggi, che, all’inizio dello show, si presentano al pubblico – generando un evidente “scompenso” nel ritmo globale della rappresentazione – risulta il limite maggiore del testo di Chiara Noschese, che ci presenta una quotidianità, quasi descrittiva, senza realmente raccontarla. Il libretto procede faticosamente di pari passo con la musica, regina incontrastata dello show. Anche le coreografie di Eleonora Lombardo, pur scatenando l’energia degli interpreti sul palco, non sempre riescono a comunicare ciò che si vorrebbe trasmettere con la musica.


I costumi firmati da Emporio Armani, l’ottimo lavoro del light designer Maurizio Fabretti - che lascia senza fiato - un’interessante intuizione per quanto riguarda la scenografia e il finale, comunque esplosivo, sulle note di Shake a Tail Feather, sono alcuni punti forti di uno show dove la musica è padrona. In tour nei più importanti teatri italiani fino al 6 gennaio 2016.


Mamma mia, here I go again!


di Sara Del Sal Torna in Italia Mamma Mia! nella versione originale attualmente in international tour ed è shock. A Milano molti si chiedono se sia lo stesso che hanno già visto in italiano, e qualcuno pensa di averlo già visto anni fa; in tanti, al Rossetti di Trieste, tornano a rivederlo dopo sei anni. Insomma, la confusione regna sovrana, quando invece basterebbe entrare a teatro per capire subito che molte cose sono cambiate: la differenza la fa il cast. Sophie è una giovane Niahm Perry, con una voce forse più adatta a Janet del Rocky Horror, ma non male nella recitazione, e il suo Sky è un Justin Thomas fisicatissimo, con quelle voci “metalliche” che piacciono agli inglesi ma danno poca soddisfazione. Il resto del cast è di livello, ma a sovrastare tutti c’è lei, Sara Poyzer, una di quelle che non passano inosservate. La sua Money Money Money è una cartolina di benvenuto bella chiara. Non si scherza. La sua grinta e la sua potenza fanno di quella canzone un numero dirompente. Donna con lei prende letteralmente vita, ed è uno spasso: simpatica, con cuore, anima e tanta voce. Lo spettacolo è sempre godibile, tutti sono precisi nei movimenti, nella recitazione e nel canto.

Mamma mia!, Milano - Teatro degli Arcimboldi / Trieste - Politeama Rossetti

Successo annunciato per il ritorno in Italia, dopo sei anni, del tour internazionale con le hit degli ABBA



Gli amici di Sky sono incredibili e piacevolissimi, oltre che molto molto fisicati; la cura del dettaglio è ancora maggiore rispetto ad anni fa. Sophie si deve sposare, ha tre probabili papà e non sa capire quale sia quello vero. Donna si ritrova di fronte ai tre uomini che ha amato in una lontana estate, ormai cresciuti, e rimane convinta che il suo cuore sia ancora in grado di battere per quel Sam che l’aveva lasciata per tornare in America a sposare un’altra donna. La scena in cui madre e figlia si preparano per il gran giorno è sempre molto toccante e supera di gran lunga quella del film, ma poi arriva Sam. Per chi conosce lo spettacolo quello è il momento di The winner takes it all, il punto in cui si prende la misura delle doti vocali dell’artista sul palco. Nessuno certo può dimenticare lo strazio di Meryl Streep che

la interpreta/prova a cantare, ma a teatro solitamente è un ottimo momento. Sara Poyzer, che è stata Donna in svariate occasioni prima di intraprendere il tour, e che lo è stata anche in West End, compie il miracolo. Lei non interrompe la scena. Lei blocca Sam con quel I don't wanna talk che diventa un monito, non un attacco della canzone. Tanto recitata da lasciare a bocca aperta e in un crescendo continuo, con quella voce, potentissima, che scalpita, lasciando intravederne le potenzialità, ma senza aprire fino al finalone, in cui lo stesso pubblico riesce a respirare godendosi quello a cui sta assistendo. Chi non lo ha mai visto non potrà che restarne incantato, ma chi lo ha visto capirà subito che quell’artista è la ciliegina sulla torta di un successo annunciato, che li riporterà ancora a teatro. Brividi veri.


E' dedicato a Parigi, la capitale barbaramente colpita dai recenti attentati, ma che dobbiamo continuare a pensare come città piena di vita, di creatività, di allegria, e perché no set di grandissimi musical, perché la cultura, l'arte e la gioia di vivere non devono soccombere di fronte alla guerra, la violenza e il fanatismo. È questo lo spirito con cui vi presentiamo l'imperdibile ed esclusivo regalo di Natale firmato Amici del Musical. Da Notre Dame de Paris a Gigi, da Phantom of the Opera a Un Americano a Parigi, dal recente Amelie all'indimenticabile Moulin Rouge, c'è tutta la Ville Lumiere nelle foto più belle dei grandi titoli del teatro musicale ambientati nella capitale francese, che vi accompagneranno per tutto il Nuovo Anno. Auguri di Buone Feste a tutti gli Amici del Musical!!!! la Redazione


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Tutto per un paio di stivali rossi


di Sara Del Sal La festa è all’Adelphi Theatre, ormai da qualche tempo. Kinky Boots è il musical capace di animare una giornata particolare come lo scorso 14 novembre: il mondo con un occhio sui fatti di Parigi e a Londra una lunga coda per accapparrarsi i biglietti a prezzo scontato per il musical del momento. Harvey Fierstein, Jerry Mitchell e Cindy Lauper hanno portato a teatro un titolo cinematografico di non molto tempo fa ispirato a una storia vera e lo hanno fatto con intelligenza, simpatia e una grinta dirompente. Dopo il debutto a Broadway, lo spettacolo ha attraversato l’oceano per tornare nella terra in cui tutto ebbe inizio. Charlie Price, cresciuto tra i mille segreti dell’azienda di famiglia che produce solide scarpe da uomo decide di andare a Londra con la fidanzata, per lavorare nel marketing piuttosto che seguire le orme del padre. Ma se lui è cresciuto con il motto: the most beautiful thing in the world is a shoe, c’è un ragazzo di colore che, poco distante, di nascosto, vive il suo sogno, di indossare delle splendide scarpette rosse col tacco. Alla morte del padre, Charlie non sa davvero cosa fare e scopre che il mercato per le scarpe che suo padre

Kinky Boots, Londra - Adelphi Theatre

Ispirato ad una storia vera, lo spettacolo di Cindy Lauper sbanca anche a Londra, ed è gran successo


ha prodotto tutta la vita ormai si sta assottigliando, quando una notte, a Londra, vede dei balordi alle prese con una donna. Cerca di aiutarla, ma quando si risveglia dal colpo che gli viene sferrato si ritrova di fronte a Lola, una drag queen pronta a salire sul palco, e pronta a lamentarsi di avere rotto il tacco nella colluttazione. Charlie le offre il suo aiuto ed è proprio quando torna in fabbrica, pronto a licenziare tutti, che una sua dipendente gli fa capire come avrebbe

bisogno di un mercato di nicchia a cui rivolgersi, diverso da quello che aveva sempre avuto. Charlie ritorna da Lola e decidono di fare stivali insieme, per presentarli a Milano alla fiera delle scarpe. L’ingresso di Lola in azienda non è visto proprio favorevolmente all’inizio, ma un incontro di pugilato contro colui che la prende sempre in giro riesce a bilanciare le cose, e Lola può così anche spronarlo a riconsiderare la sua idea su Charlie, che continua a non essere benvoluto dai


dipendenti. Dalla giovane che si innamora di Charlie, all’arrivista spietata che è la sua fidanzata, lo spettacolo si compone di una storia godibile e piacevole, che viene insaporita dagli Angels, le amiche di Lola che sfileranno con le loro creazioni a Milano e che fa ridere, fa ridere tantissimo. Tutto sta nell’avere le persone giuste sul palco... e il cast londinese in questo è strepitoso. Non bastano i superlativi assoluti per definirli. Charlie Price è un Killian Donnelly con una voce tanta da godere, Matt

Henry è una Lola incredibile, irresistibile e di molto superiore a quella del film nella recitazione e con una voce che per noi Italiani potrebbe ricordare quella di Bob Simon ai tempi in cui era il miglior Frank’n’Furter del mondo. Ma non sono solo loro due. Tutti, dal primo all’ultimo nome in cartellone sono degni di nota. Un cast da urlo, insomma, che ha fatto ballare con una standing ovation una sala piena di gente anche in una delle giornate più tristi della storia recente.


Quando il latino incontra il rap


di Sara Del Sal In the Heights arriva a Londra e le recensioni sono subito stellari. Peccato che all’interno del teatro non ci sia il tutto esaurito a tutte le repliche. Complice forse il fatto che si debba andare a King’s Cross all’omonimo teatro per vederlo, e forse anche il fatto che a Londra i latinoamericani sono in percentuale ben inferiori a quelli di New York e quindi questa storia di immigrati che si sono costruiti le loro certezze in un piccolo quartiere decentrato della metropoli e che ci vivono seguendo le loro tradizioni forse non fa troppa presa su un pubblico diverso. Eppure lo spettacolo andrebbe comunque visto. Un po’ per l’innovazione musicale, che fonde le sonorità latinoamericane a quelle rap, facendolo diventare un musical sui generis, in grado di interpretare fino in fondo le sonorità delle persone che racconta, e indubbiamente per il cast che è davvero sorprendente. La storia del giovane Usnavi (un bravissimo Sam Mackey), cui è stato dato un nome strano solo perché chi doveva registrarlo non ha capito che stavano parlando della U.S. Navy, è quella di un giovane orfano cresciuto da una donna cui vuole bene come una madre. Sbarca il lunario con un piccolo negozio che vende cibo e be-

In the heights, Londra - King’s Cross Theatre

Sonorità latinoamericane, storie di immigrati e periferie urbane: recensioni stellari, ma il musical non sfonda


vande nel rione ed è innamorato di Vanessa, la ragazza che lavora nel salone da parrucchiera dall’altra parte della strada. Vanessa è una bellissima ragazza (Jade Ewen era una delle Sugarbabes) che sogna di allontanarsi dal piccolo quartiere e di andare a vivere in una zona più “in” anche se in realtà alla fine raggiungibile in pochi minuti. C’è il proprietario di una società di taxi, Kevin (uno straordinario David Bedella) con una moglie che lo ha sempre seguito nelle sue mosse imprenditoriali (Josie Benson, che in un’unica canzone riesce a lasciare sbalorditi tutti) e che ha una figlia che va all’università, ma che non ha passato il primo anno perché non riu-

sciva a studiare e lavorare per mantenersi agli studi. La ragazza, tornata a casa per le vacanze estive, deve comunicare ai genitori la sua situazione ma in quelle calde giornate, a cavallo del 4 luglio, trova anche l’amore in un ragazzo (Joe Aaron Reid) che aiuta il padre. Peccato che per Kevin quella storia d’amore sia sbagliata e umili il giovane solo per il suo ceto sociale inferiore. Una menzione speciale va alla parrucchiera chiacchierona e impicciona, interpretata da una incredibilmente sanguigna Victoria Hamilton-Barritt che riesce, con i suoi tempi comici sempre perfetti, a colpire il pubblico. Insomma, si dovrebbe nominarli uno


per uno, gli artisti impegnati in questa produzione che si guarda in un modo strano, essendo il palco situato in mezzo alle due tribune, come se si stesse davvero in una delle finestre che guardano sulla piazza in cui si muovono i protagonisti. Una piazza che viene rallegrata dalla vincita della lotteria. La signora che ha accudito Usnavi ha il biglietto vincente e nonostante il tanto atteso cambiamento per lei resti un sogno... Riesce a portare un grande sollievo nella vita di tutti, perché come avviene nelle grandi famiglie, quella vincita verrà divisa, regalando un po’ di sollievo alla comunità. Può non entrare nel cuore come altri, ma è da vedere, ed è divertimento garantito.


Cinquant’anni di musical a Vienna, da Hello Dolly al prossimo Don Camillo & Peppone: una panoramica per il grande concerto celebrativo

di Matteo Firmi


Vienna, 23.10.2015 - La serata è attesa da tanto, il Raimund Theater ha un compito importante: accogliere la festa dei 50 anni dei Vereinigte Bühnen Wien - VBW, i Teatri Riuniti di Vienna. Cinquant’anni di Musical in una città che negli anni ha visto passare tutta la cultura musicale di ieri e oggi, da quel lontano 1965 quando, con molti timori e paure, si decise di dare una svolta al teatro accogliendo gli spettacoli d’oltreoceano. Il Theater an der Wien per secoli è stato la casa della musica classica, molte operette hanno avuto la prima assoluta lì e molti autori vi hanno avuto i loro primi successi (ricordiamo la famiglia Strauss, Wagner, Lehar e molti altri), e diventava ora la casa di queste “nuove produzioni”: una delle prime è la celebre Hello, Dolly! oppure l’altrettanto famosa My fair lady. I viennesi si spaccano sulla scelta di Rolf Kutschera e Robert Jungbluth (i sovraintendenti dell’epoca) e definiscono kitsch e di poco gusto questi nuovi spettacoli paragonandoli alle classiche operette che per anni hanno allietato le serate viennesi. I due però decidono testardamente di continuare investendo forze, denari e tantissimo coraggio. Ma è fra il 2004 e 2012, durante la sovrintendenza di Kathrin Zechner, che le VBW diventano una vera e propria fucina di musical “made in Vienna”: quasi un decennio dopo i fasti di Elisabeth (che ad oggi festeggia la bellezza di 23 anni di continua produzione in tutto il mondo, tappe trie-

stine incluse) e Mozart!, vedono la luce dei riflettori Barbarella, Rebecca, Rudolf - Affaire Mayerling, Die Habsburgischen, Die Weberischen e Ich war noch niemals in New York. Regista e coautore di quest’ultimo è Christian Struppeck, che di Kathrin Zechner prenderà il posto, quando questa lascerà nel febbraio 2012. Il nuovo sovrintendente regala alla città Der Besuch der alten Dame; il suo prossimo progetto: Schikaneder (titolo non ancora definitivo), che sta scrivendo con Stephen Schwartz. Prima, però, nell’aprile 2016, ci sarà la prima mondiale assoluta di Don Camillo & Peppone (musica di Dario Farina, testi di Kunze) in coproduzione con il teatro di San Gallo. La prima in Austria sarà in autunno al Ronacher. Vienna ha saputo sfruttare tutto quel che aveva lasciato la vecchia cultura classica e rimodernarsi in un prodotto fresco, giovane; ma cosa sarebbe il musical senza le voci? Oppure senza l’orchestra, senza tutta la forza lavoro che cura ogni dettaglio e addirittura senza il pubblico? We Are Musical è la risposta a tutto questo. Il musical è una macchina perfetta, ma appena uno dei suoi componenti non funziona, tutto crolla. Ricordiamocelo quando andiamo a vederli, è una cosa che troppo spesso diamo per scontata. Il coraggio e la dedizione verso il lavoro di queste persone ci hanno permesso di dire “Auguri,Teatri Riuniti Viennesi!”, e ancora 100 di questi anni!


Cinquant’anni...

e cominciare a mostrarli?


di Laura Confalonieri In Austria Peter Weck è una leggenda: noto attore teatrale, nel 1981 fu nominato sovrintendente del Theater an der Wien dall’assessore viennese alla cultura Helmut Zilk. Entrò ufficialmente in carica due anni dopo, rientrando dalla Svizzera a Vienna. Il suo intento era destinare il suo teatro solo ai musical. Alla ricerca di quello che avrebbe inaugurato la sua reggenza, Weck aveva visto Cats a Londra nel 1981 e se n’era assicurato subito i diritti di rappresentazione per Vienna. Il 24 settembre 1983 Cats ebbe la sua prima germanofona (e la sua terza mondiale, dopo Londra e New York) nel Theater an der Wien, con Steve Barton nel ruolo di Munkustrap, Angelika Milster nel ruolo di Grizabella e una debuttante Ute Lemper, fresca di diploma, in quello di Bombalurina. Nel 1987 Weck assunse la direzione anche del Raimund Theater e del Ronacher (i tre teatri erano appena stati fusi a formare il gruppo Vereinigte Bühnen Wien). Quello stesso anno Weck portò Cats a Berlino Est e nel 1988 fu il primo a portare lo spettacolo a Mosca, nel contempo facendo debuttare a Vienna le prime in lingua tedesca di Les Misérables (Raimund Theater) e Il Fantasma dell’Opera (Theater an der Wien).

We Are Musical,Vienna - Raimund Theatre, 24 ottobre 2015

Nonostante il cast stellare e l’occasione d’oro, il grande concerto viennese ha mostrato più di qualche crepa...


Da regista mise in scena il musical Freudiana (Theater an der Wien), il primo composto espressamente per le Vereinigte Bühnen Wien. L’ultima produzione che il sovrintendente Weck regalò alla città fu la prima mondiale di Elisabeth nel 1992 (Theater an der Wien). Le onorificenze che ha ricevuto prima e dopo di allora non si contano, dalla croce austriaca di prima classe alla medaglia d’oro della città di Vienna, dall’International Musical Award Germany al premio Deutsche Musical Theater alla carriera due mesi fa. Il suo giudizio sull’odierno livello della scena musicale: “In parte vengono assegnati ruoli da protagonista a gente che io non avrei neanche fatto ballare in terza fila.”

Sabato sera c’era anche lui fra il pubblico del concerto di gala col quale le Vereinigte Bühnen Wien hanno festeggiato i loro primi 50 anni. Peccato che i giornali viennesi non abbiano pubblicato recensioni né interviste sull’evento: sarebbe stato interessante leggere il parere dell’ex sovrintendente sulla giostra di vecchi successi e nuovi mostri, dove pressoché tutti i solisti si sono prodotti in un’imbarazzante gara a chi avesse più sprezzo del ridicolo. Da qualche tempo sembra andar di moda aprire le serate di gala con Magic to do, dal musical Pippin, che nessuno finora aveva mai sentito nominare, che ha sostituito tanto improvvisamente quanto


inesplicabilmente On Broadway, tratto da Smokey Joe's Café, musical di cui tutti ignoravano parimenti l’esistenza. Durante il numero tutti i ballerini apprendisti maghi fanno il gesto di levarsi un cappello (a cilindro?) invisibile. Quattro, in effetti, ne portano uno, ma (per solidarietà?) fanno anche loro solo finta di levarselo. Dopo un riassunto di If I were a rich man (però bravo Reinhard Brussmann), Drew Sarich suona il tamburello, balla con Andreas Bieber e nel finale lo fa sedere sulle sue ginocchia (How to succeed in business without really trying, appunto) e, su uno sfondo di mulini a vento al tramonto, Thomas Borchert, Reinhard Brussmann, Drew Sarich e Andreas Bie-

ber cantano The impossible dream, evocando lo spirito di Josef Meinrad (il primo Don Chisciotte viennese, anno 1968). Entra Dagmar Koller, ai tempi nominata all’unanimità first lady del musical: baciamano di Thomas Borchert e proiezione delle immagini delle tappe più significative della sua carriera. Ann Mandrella da Besançon canta Irma La Douce sullo sfondo di Paris la nuit con la Tour Eiffel illuminata. Lisa Antoni, dal letto di una biblioteca illuminata da due lampade e una candela, canta, coadiuvata da due cameriere (di cui una in minigonna) dai microfoni gracchianti, I could have danced all night e, dopo l’acuto finale, crolla addormentata.


Altrove una schiera di camerieri saluta Maya Dolly Hakvoort chiamandola “altes Haus” (tracciando il segno di un tetto per buona misura), e lei fa la gambetta prima di uscire di scena. Dagmar Koller, che per sfuggire a tutto questo si è rifugiata in un bosco attendendovi la notte (si capisce che è notte perchè le luci sono blu), canta/recita Send in the clowns. Il miglior numero di tutta la serata; sicuramente quello eseguito con maggior classe. Il direttore d'orchestra Koen Schoots elogia i suoi musicisti e dedica ai suoi predecessori Too Darn Hot da Kiss me, Kate. Thomas Borchert si accompagna al

pianoforte nel brano Wie nennt man das Gefühl?, ricordando Udo Jürgens e il suo musical Helden, Helden. Recentemente scomparso, Jürgens era austriaco ed un’icona della musica leggera germanofona. Commozione e ovazione, a questo punto, sono scontati. Thomas Borchert annuncia Marika Lichter e intona Happy birthday to you. Quando tutto il teatro fa il coro, lei si commuove. Poi veste i panni della contessa del Naschmarkt (un boa di struzzo color smeraldo su un vestito trasparente grigio, e un cappellone grigio con le piume bianche) e inneggia all’alta società del 1926. La prima interprete di questo ruolo


si chiamava anche lei Marika (Rökk). Entra in scena Uwe Kröger e, dopo aver cambiato un verso di Willkommen, bienvenue, welcome a scopo di marchetta (au Cabaret der VBW), annuncia, fra gridolini da concerto di Justin Bieber, Oedo Kuipers, scoperto accidentalmente da alcuni olandesi alla ricerca di Giuseppe dal meraviglioso mantello in Technicolor®. Colui si produce in Corner of the sky (che i viennesi progettino un revival di Pippin?), mentre sullo sfondo vola l’aquila americana. Ana Milva Gomes, Marika Lichter, Maya Hakvoort (unica in rosso), Pia Douwes e Ann Mandrella cantano All that jazz dall’alto di sgabelli da bar. Solo le ultime due,

ad un certo punto, trovano il coraggio di scenderne ed accennare qualche passo di danza. La proiezione di un filmato in cui parla Andrew Lloyd Webber precede Buenos Aires. Pia Douwes la canta con un palazzo rosa alle spalle. Drew Sarich chiude il primo atto con Superstar: il suo Giuda è un rocker urlante con due enormi ali bianche, in canotta bianca, completo rosso, cappello nero e scarpe da tennis (bianche), circondato da angeli in bikini e lustrini. L’ouverture di Cats apre il secondo atto. Le proiezioni mostrano ballerini in scaldamuscoli e tute aderenti a colori fosforescenti. Fra di loro c’è Steve Barton.


Pia Douwes termina Memory con difficoltà; Lisa Antoni è una Christine sorprendente in The Phantom of the Opera. Thomas Borchert non sfigura. Reinhard Brussmann e Drew Sarich si dividono le strofe di Who am I?: il primo canta in tedesco, il secondo in inglese. Brussmann è stato il primo Valjean austriaco; Drew Sarich uno dei tanti ad interpretare quel ruolo di passaggio. La differenza si sente. Pia Douwes sogna (sottotono) una vita da Fantine e tutta la compagnia canta Do you hear the people sing?. La barricata, che è stata sullo sfondo fin dall’inizio, si tinge di rosso. Andreas Bieber, Marika Lichter e Ann Mandrella cantano Be our guest con una torta gigante che da blu diventa

rosa come sfondo. In Summer Nights Bieber tenta di imitare John Travolta, con effetti, se possibile, ancora più imbarazzanti. Però la Chevrolet rossa cromata sullo sfondo è bella. Drew Sarich (in gonna a pieghe) e Mark Seibert decidono di aprire le camicie per la gioia delle fans durante Hair. All’inizio del numero Drew Sarich aveva messo il suo cappello al direttore d'orchestra. Thomas Borchert gigioneggia in This is the moment. Mentre Ana Milva Gomes canta Sister Act, i rosoni colorati della chiesa girano come una roulette. L'ex sovrintende Kathrin Zechner fa sapere via video che VBW ha sempre


dimostrato molto coraggio nella scelta di nuovi spettacoli, non cercando mai il successo facile. A fronte di questa dichiarazione, chi ha redatto la scaletta del concerto non poteva scegliere momento più inopportuno per infilarci Ich war noch niemals in New York: produrre in Austria uno spettacolo che raccoglie i più noti successi di Udo Jürgens significa andare a colpo sicuro. Molto meno fortunati sono stati certamente Rudolf - Affaire Mayerling e Der Besuch der alten Dame: i protagonisti del primo, Drew Sarich e Lisa Antoni, commuovono con So viel mehr; i protagonisti del secondo, Uwe Kröger e Pia Douwes, eseguono Liebe endet nie su sgabelli da bar sullo

sfondo di una fabbrica, del muso feroce di una pantera nera dagli occhi gialli e di un cielo violaceo. Per Totale Finsternis Thomas Borchert viene portato in scena su un trono gotico di legno a mo’ di tazzina girevole. Lisa Antoni deve entrare da sola. All’inizio del duetto i microfoni “sparano”. Alla fine della scena lei gli si siede in braccio e lui fa ridere il pubblico alzando e abbassando in fretta le sopracciglia prima di morderla sul collo. Il trono viene girato per nascondere la scena del morso. La porta fuori scena in braccio al buio. Mark Seibert esegue Ich bin dein Spiegel da Freudiana. Insieme a Uwe Kröger massacra il genere musical con Der letzte Tanz.


Maya Hakvoort mette tanta foga in Rebecca da incendiare la villa prima ancora di finire il brano. Oedo Kuipers, novello Mozart, anzichè chiedersi come costruirsi una tecnica vocale, si chiede come sbarazzarsi della sua ombra (Wie wird


man seinen Schatten los?). Pia Douwes e Maya Hakvoort gareggiano in Ich gehör nur mir. Vince Maya per una scollatura. Gran finale: One, su sfondo di nuvole e montagne. Chissà perché, ovazioni.


BACKSTAGE

di Enrico Comar

“...e il prossimo anno, Don Camillo e Peppone” Un ruolo di primo piano nelle Vereinigte Bühnen Wien, tanti importanti progetti per il futuro: parla il direttore d’orchestra Koen Schoots


Innanzitutto, raccontaci a grandi linee chi è Koen Schoost... e qual è stato il tuo percorso formativo. Sono nato e cresciuto in Olanda. Nella mia famiglia la musica è sempre stata qualcosa di presente e importante. È stato mio padre ad incoraggiarmi ad intraprendee la carriera musicale. Da ragazzo studiavo pianoforte, suonavo l’organo in chiesa, poi, dopo il diploma ho frequentto il conservatorio di Maastricht, studiando inizialmente organo e clavicembalo. La svolta avvenne quando fui invitato ad assistere alle prove di Elektra di Richard Strauss. Quell’esperienza cambiò la mia vita, al punto che decisi di dedicarmi al canto e alla direzione d'orchestra. Dopo gli studi iniziai a lavorare come vocal coach e aiuto direttore, prima a Linz, poi a Klagenfurt, dove ebbi l’opportunità di dirigere My Fair Lady, scoprendo così una certa inclinazione per il musical.

Come hai conosciuto i VBW? Da spettatore, innanzitutto. Nel 1988 venni a Vienna per assistere alla prima edizione austriaca del Fantasma dell’Opera (dove, oltretutto, il ruolo della protagonista era interpretato dalla mia futura moglie Coleen, che tuttavia conobbi di persona solo 18 anni più tardi). In seguito arrivò la proposta di lavorare con loro. All’epoca lavoravo come direttore e arrangiatore free lance a Berlino, e non avevo nessuna intenzione di cambiare. Ma quando mi venne offerta l’opportunità di di-

ventare direttore stabile per i VBW, semplicemente non potei rifiutare! È una gioia assoluta poter lavorare con un gruppo di professionisti di questo livello, abili nel destreggiarsi in così tanti stili musicali diversi. In questi anni ho avuto l’opportunità di conoscere e lavorare con artisti del calibro di Andrew Lloyd Webber, Tim Rice, Alan Menken, Frank Wildhorn, Trevor Nunn e molti altri; e ovviamente Levay e Kunze. I VBW hanno non solo la più grande orchestra di musical di tutta l’area austro-tedesca, ma anche una delle formazioni di più alta qualità d’Europa per quanto riguarda questo repertorio; questo ha spesso destato l’interesse degli autori, che sono colpiti dalla qualità delle nostre esecuzione delle loro creazioni. Menken venne appositamente a Vienna per ascoltarci dopo aver saputo che eravamo la più grande orchestra che abbia mai eseguito Sister Act; lo stesso dicasi di Lloyd Webber, che assistette al nostro Love Never Dies in concerto, per ascoltare il suo score eseguito da un’orchestra di 41 elementi. Stephen Schwartz sta attualmente scrivendo per noi Schikaneder, che aprirà a settembre 2016, con un’orchestra di 31 elementi eTrevor Nunn alla regia.

Vienna è una delle capitali del musical europeo, ma la città possiede anche una precedente e ancora molto viva tradizione di teatro musicale. Questa eredità storica, influenza in qualche modo il teatro musicale viennese contemporaneo?



E quali sono gli elementi più caratteristici del musical viennese? Oggi Vienna ha una relazione abbastanza complicata con il musical moderno. A dispetto del pubblico, c’è una parte di critica viennese che sembra aver fatto il proprio sport lo scrivere negativamente sui musical. Il ché è divertente, considerando che il musical è la naturale evoluzione dell’operetta viennese (oltretutto, non è un caso che molti grandi autori di musical siano ebrei, come la maggior parte degli austriaci emigrati in America negli anni più bui del secolo scorso), tanto apprezzata e stimata da quella stessa critica. Il musical viennese ha sviluppato alcuni tratti abbastanza tipici. Si tratta generalmente di spettacoli in grande stile, scenicamente e musicalmente, con melodie sontuose e spesso con un caratteristico “lato oscuro”. Si pensi ad esempio a Elisabeth, Rebecca, Rudolf, fino a Mozart! o Tanz der Vampire, tutti spettacoli carichi di oscurità, spesso ad argomento storico, che sono stati alla fine quelli di maggior successo i città, a scapito di prodotti più leggeri come Wake Up o Barbarella. Credo che il pubblico viennese voglia tradizionalmente più dramma e più storia rispetto al pubblico inglese o tedesco. Inoltre, musicalmente, sembra che la fusione tra elementi rock e sinfonici, sia un tratto apprezzato più qui che altrove.

Com’è cambiato il mondo del musical dai primi anni '90 ad oggi?

Beh, il teatro musicale è una forma d’arte viva ed in continua evoluzione. I cambiamenti stilistici sono stati continui, durante tutto il Novecento, e sicuramente il genere continuerà ad evolversi negli anni a venire. Pensiamo all’esplosione degli spettacoli kolossal negli anni '80, o all’avvento dei juke-box musical come Mamma Mia!, sino ai lavori innovativi di Sondheim o di Jason Robert Brown. Recentemente, con Hamilton, abbiamo potuto assistere ad uno spettacolo rap e hip-hop in costumi d’epoca... Poi ci sono i classici che continuano ad avere successo, come i grandi drammi in stile operistico o i musical rock, che sono sicuramente quelli che io, personalmente, prediligo (West Side Story, Sweeney Todd e Jesus Christ Superstar restano sempre tra i miei favoriti)

Progetti attuali e futuri con i VBW? Oltre al già citato Schikaneder, a marzo debutterà il nuovo allestimento di Evita, curato da Vincent Paterson, con un cast di altissimo livello. Poi stiamo lavorando a Don Camillo e Peppone, con le musiche di Dario Farina, di cui curerò personalmente l'orchestrazione, e al quale tengo particolarmente, essendo cresciuto leggendo i libri di Guareschi. Un progetto più piccolo, ma che mi sta a cuore, è in arrivo per Pasqua: Handel's Messiah Rocks, A Joyful Noise. Una versione moderna e rock del grande oratorio di Georg Friedrich Händel.


BACKSTAGE

di Enrico Comar

“Finalmente faccio una commedia!”

Lisa Antoni, protagonista in Rudolf e nel recente Artus-Excalibur, racconta un po’ di sé e della sua carriera


Sin da ragazza andavo a teatro regolarmente, accompagnata da mia madre e mia sorella. Ho visto molti spettacoli, sia di prosa che musical, e ho sempre amato la particolare atmosfera del teatro; sin da bambina ho seguito lezioni di danza. In seguito, da ragazza, ho partecipato a corsi di teatro per ragazzi durante i week-end e d’estate, ed è lì che ho conosciuto davvero il musical. Cantare, poi, è stata una mia passione sin da ragazzina, quando ascoltavo Il flauto magico di Mozart, cantando le arie della Regina della Notte. Qualche anno dopo si è aggiunto l’interesse alla recitazione, e così il musical mi ha catturato! Ho cominciato a comprare numerosi cd e a cantare da sola mentre li ascoltavo. Anche se continuo ad amare la prosa e l’opera, nel musical c’è quella combinazione di recitazione, canto e danza, che mi ha totalmente conquistata.

Le mie prime esperienze su un palcoscenico di Vienna sono state con la Kinder-Musical-Company, quando ero ancora una ragazzina, con uno spettacolo all’Akzenttheater, che ricordo ancora con grande gioia: l’emozione e la magia di indossare i costumi ed interpretare dei ruoli accanto ad altri ragazzi con una comune passione per il teatro era qualcosa di straordinariamente stimolante. Molti di quei ragazzi sono oggi miei colleghi ora, quindi puoi capire quanto seriamente abbiamo preso quel nostro hobby!

La mia prima volta sul palco di uno dei grandi teatri di Vienna è stata al Raimund, dove ho interpretato il ruolo di Mary Vetsera in Rudolf. È stata un'emozione incredibile, perché interpretare un ruolo da protagonista in questo teatro è sempre stato uno dei miei sogni. Rudolf è stata un’esperienza splendida. Ho anche avuto l’occasione di imparare il pattinaggio! C’era una scena di pattinaggio sul ghiaccio, per la quale, prima di entrare in scena, dovevamo fare un po’ di riscaldamento. Il lungo vestito e il cappotto del mio personaggio ogni tanto finivano sotto i pattini, al punto che un paio di volte mi sono dovuta sedere sul palco per cercare di liberarmi. Per fortuna non è mai successo nulla di grave, e siamo sempre riusciti a continuare la scena senza difficoltà.

Fino a gennaio continuerò ad interpretare il ruolo di Ginevra in ArtusExcalibur al teatro di St. Gallen, in Svizzera dove, proprio in questi giorni stiamo provando West Side Story, che debutterà il 12 dicembre e in cui interpreterò il ruolo di Maria! Dato che si tratta di un numero limitato di serate al mese, sarò in grado di incastrarle con un altro spettacolo a cui parteciperò, in Germania: How to Succeed in Business Without Really Trying, alla Staatsoper di Hannover, nel ruolo di Rosemary... e devo dire che è molto divertente interpretare finalmente una commedia!


BACKSTAGE

di Matteo Firmi

“Faccio ogni giorno ciò che amo”

Incontriamo Ana Milva Gomes, protagonista a Vienna in Mozart!, e ormai perfomer affermata nel musical d’oltralpe


Vienna - 4 dicembre 2015. È olandese, ma sono oramai cinque anni che lei è un punto di riferimento del musical viennese: in questo periodo è impegnata in Mozart! das Musical, ma l’abbiamo ammirata in Mamma Mia!, Sister Act e Legally Blond... lei è Ana Milva Gomes.

Cosa significa il musical per te? Il musical è l’unica forma d’arte in cui coesistono canto, danza e recitazione, tre discipline che amo. Il musical dona maggiore profondità alle storie ed è molto creativo. Sono una performer, e sono molto fortunata a poter salire sul palco e fare ogni giorno ciò che amo.

Hai portato in scena diversi grandi musical, qual è il tuo preferito? Bè, è una domanda molto difficile... è come chiedere quale tra i tuoi figli preferisci! (ride) Non so dire quale sia il mio preferito, perché cerco sempre di mettere il cuore e l’anima in ogni spettacolo, ma c’è un ruolo che per me è molto speciale: Aida. Aida è stato il mio primo musical e l’ho portato in scena per quasi cinque anni, e mi ha insegnato moltissimo e ha avuto un incredibile impatto su di me, sia come perfomer, sia come persona. Questo musical mi riporta alla mente tantissimi ricordi splendidi e tristi, quindi avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

Qual è la lezione più importante che hai imparato nel corso dei tuoi studi? Ho frequentato il Lucia Marthas Institute for Performing Arts ad Amsterdam. È un corso di studi molto intenso, dalla durata di quattro anni, e sono riuscita a completarlo in tre. La nostra scuola ha un programma che permette agli studenti di svolgere lavori sotto supervisione, i cosiddetti internship, che vanno dall’accogliere il pubblico alla porta durante un evento importante, ballare in tv, andare in tour come corista per altri artisti... al trovarsi in una grande arena accanto alle più grandi star del mondo. Quindi oltre alle lezioni di danza classica, jazz, tip tap, lezioni di canto e di recitazione... abbiamo l’opportunità di fare esperienza concreta su diversi palchi. Questo, secondo me, è molto importante. Bisogna imparare a intrattenere il pubblico, e non è una capacità che si sviluppa in classe. Quando ti trovi a fare un’audizione per uno spettacolo... devi credere in te stesso e saperti vendere.

Hai viaggiato molto per tutta Europa: c'è un posto in cui ti senti completamente “a casa”? Sì, ho viaggiato tanto. Sono nata e cresciuta a L’Aja, ho studiato ad Amsterdam e mi sono trasferita a Essen, in Germania, subito dopo la scuola. Manco dall’Olanda da così tanto tempo che non la considero più casa mia. Ho vissuto in Germania per tan-



tissimo tempo, ma non mi sono mai fermata in una città tanto a lungo da poterla chiamare casa. Adoro Amburgo, ci ho vissuto per quattro anni. E adesso vivo a Vienna da 5 anni. Penso che, quando fai un lavoro come questo, devi sempre tenere presente che potresti trasferirti altrove l’anno successivo... Io sono stata molto fortunata a poter restare a Vienna tanto a lungo, a portare in scena questi incredibili spettacoli, ma onestamente neanche io so dove sarò l’anno prossimo. L’unica costante nella mia vita è il mio compagno: stiamo insieme da quasi dieci anni... e per me “casa” è dove c’è lui. Anche lui viaggia moltissimo... ma la nostra base è Amburgo.

Come ti prepari per un nuovo progetto? Quali sono i passaggi della preparazione per uno spettacolo? La mia preparazione dipende completamente dallo spettacolo stesso. Di solito cerco di trovare più informazioni possibile, faccio delle ricerche e familiarizzo con la musica, ma a volte non faccio niente fino all’inizio delle prove. So per esperienza che le cose cambiano continuamente... quindi anche quando ti consegnano un copione in anticipo, devi aspettarti tagli o aggiunte. Con Mamma Mia! ho iniziato a guar-

dare video su YouTube, ma mi sono fermata dopo il quinto minuto. C’è tantissimo materiale, tantissime produzioni in tutto il mondo... e io penso che copiare non sia mai una buona idea. Se inizi a guardare troppe cose, sei meno capace di aprirti e trovare qualcosa di nuovo da solo. Ogni spettacolo ha registi diversi e diversi modi di lavorare, quindi io mi affido a loro per avere le prime informazioni, e poi lentamente trovo la mia strada da sola.

Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere questa professione ? Se vuoi davvero diventare un performer, devi sapere che anche quando lavori sodo e dai tutto te stesso per il tuo lavoro... servono perseveranza, dedizione e, molto spesso, fortuna. Ti sentirai dire molti “no”, ma non puoi arrenderti e mettere in dubbio il tuo talento. Credo che questa sia la cosa più difficile dello show business. Devi essere il primo a credere in te stesso! Fino a marzo 2016, possiamo vedere Ana Milva nel ruolo della baronessa von Waldstätten, e poi toccherà a noi cercare la sua voce nei teatri europei . (si ringrazia per la consulenza linguistica Elisa Pardini)


Anche il pubblico sale sul ring


di Roberta Mascazzini Il musical di Flaherty, Meehan e Ahrens ispirato al noto boxeur impersonato da Sylvester Stallone negli Anni ‘80 è in scena in Germania dal 2012, un record se si pensa alla sua brevissima avventura a Broadway; ma il pubblico teutonico deve amare particolarmente i musicals che non hanno particolar fortuna altrove, considerando che anche Starlight Express fa un inspiegabile pieno da ben 27 anni, mentre nel Paese di origine del suo compositore non ha avuto un così ampio riscontro. L’aggettivo che descrive meglio Rocky - das Musical è spettacolare, tale è il dispiego di macchine sceniche, costumi in paillettes e trovate kitsch: basti dire che lo spostamento da Amburgo a Stoccarda ha richiesto ben 32 tir e il team tecnico ha dovuto lavorare su tre turni giorno e notte per garantire che tutto fosse pronto per la première dell’11 novembre. Sostanzialmente si sono tenute le scenografie di Amburgo, con i pesantissimi moduli dell’appartamento di Rocky, del negozio e della palestra che scorrono mossi da quattro potenti motori, attivati via wi-fi (ecco uno dei motivi per cui bisogna spegnere i cellulari a teatro). C’è il ring a grandezza naturale che in realtà è multifunzionale: non solo

Rocky, Stoccarda - Palladium Theater, 29 novembre 2015

un film cult, una messinscena tonitruante: questo show non si farà ricordare per la musica, ma per il resto sì


funge da arena di combattimento, ma girato con altre angolazioni, anche da videowall e da soffitto per l’appartamento. Ci sono tre enormi statue – Miss Liberty, Uncle Sam (icona USA) e Apollo che attraversano la sala per esser portate in scena durante il momento più kitsch di tutto lo show, la nuova canzone Living in America, un tripudio di stelle e strisce della bandiera americana in versione luccicante.

C’è l’alta scalinata coi tantissimi gradini che Rocky sale di corsa mentre si allena per le strade di Philadelphia, ci sono i pesantissimi sacchi per l’allenamento dei pugili e i quarti di bue (finti) ancora più enormi: se si dice che negli USA tutto abbia grandi dimensioni, il detto può valere anche per i props di questo spettacolo. Il musical, tuttavia, nonostante questi sforzi a livello scenografico, manca di musiche che lascino il segno – tranne


The eye of the tiger – e risulta piuttosto noioso nei dialoghi, seppure le battute siano in realtà ben scritte. Il problema è che lo spettatore ha la sensazione che il testo (o il regista Alex Timbers) preveda pause troppo lunghe, per lo più per rendere l’idea del carattere ingenuo, quasi stupido del protagonista e ciò vada a discapito del ritmo. Per correre ai ripari si è inserita una nuova scena, con una nuova canzone,

nel primo atto, quello più noioso: proprio la spettacolare entrata in scena dal fondo della sala di Apollo Reed, vestito in costume a stelle e strisce, accompagnato da tre girls altrettanto americanamente vestite e dalle enormi statue di Miss Liberty e Uncle Sam. Il tutto in un tripudio di pailettes, e luci blu, bianche e rosse, nemmeno si trattasse della megaconvention di uno dei due maggiori partiti statunitensi.


Il secondo tempo scorre via più velocemente tra proiezioni video di Philadelphia, i concitati allenamenti e finalmente la sfida. Il finale, come già ad Amburgo, prevede che le prime file, quelle del “golden circle” siano smontate, per far posto al ring che viene calato dall’alto, trasformando la sala in una vera arena. Gli spettatori, sfrattati dalle loro poltrone, vengono fatti accomodare sul palco, dietro al ring, dove son state velocemente (ri)montate le file di sedie. Un’emozione sicuramente unica quella di trovarsi a far parte della rappresentazione stessa: purtroppo, questi “fortunati” si perdono così parte della scenografia: la loro posizione sul palco non permette loro di

vedere il megaschermo che sovrasta il ring e sul quale vengono proiettate le immagini in diretta del combattimento e dei giornalisti-commentatori. In sala si trovano infatti anche due cameramen, presenti anche in una scena precedente, nella quale Rocky e Apollo vengono intervistati dalla tv e le loro immagini sono proiettate in diretta. Anche la pur spettacolare sfida sul ring è un po’ troppo lunga, con le riprese sostanzialmente tutte uguali. Ma è proprio la stranezza di questo musical: un potentissimo dispiego di mezzi, si esce da teatro consapevoli di essersi divertiti, ma si resta con l’amaro in bocca per i momenti un po’ noiosi o lunghi, diluiti.


Si rimane certo colpiti dall’opulenza, dal kitsch, dalla modernità e dall’uso ampio, ma, una volta tanto, sapiente, dei video e delle luci, per le quali bisogna senz’altro elogiare rispettivamente Pablo N. Molina e Christopher Akerlind. Nikolas Heiber interpreta bene il personaggio di Rocky, ma senza rimanere particolarmente impresso. Il suo timbro di voce ricorda quello del primo protagonista, Drew Sarich, però più bravo a livello vocale. Adriane è interpretata da Lucy Scherer, che qualche fan italiano ricorderà per Tanz der Vampire, e, come Nicholas, fa il suo dovere, ma passa pressoché inosservata. Rimane molto più impresso per la grinta e per la

bellissima voce, Gino Emnes, nel ruolo dello sfidante Apollo Creed. Molto bravo e divertente, invece, Alexander Brugnara, nel ruolo di Paulie, il fratello di Adrian. Ricordiamo anche Rosalie De Jong (Gloria), e il gruppo dei nostri connazionali: Hannes Staffler (walk-in Rocky), Antonio Orler (Spider Rico, ensemble, cover Rocky), Andrea Scibilia (fight captain, ensemble) e Emanuele Caserta (boxer, ensemble). Chiude il folto gruppo degli italiani a Stoccarda (altri sono nel cast di Tarzan) la stage manager Maria Chiozza, il cui impegno, come quello di tutti coloro che si muovono dietro le quinte, fa in modo che ogni sera lo spettacolo sia perfetto.


letto / visto / ascoltato

La verità

di Daniele Finzi Pasca Trieste, Politeama Rossetti

Daniele Finzi Pasca. Questo nome è da tenere in considerazione, qualora ci si trovi di fronte a una sua creazione. Sua. Non quelle che fa in collaborazione con il Cirque Eloize o con il Cirque Du Soleil dove deve attenersi ai loro progetti. Quando lavora a un progetto suo, come è La Verità, riesce a trasformarlo in un musical atipico. Atipico perché sul palco non ci sono i performer classici, ma acrobati o clown che si trasformano in attori, cantanti e ballerini. È questa sua intuizione a rendere uno spettacolo, che verrebbe catalogato come Circo, in qualcosa di diverso. La verità parte da un fondale dipinto per il Met da Salvador Dalì. Tanto prezioso quanto evocativo, creato per Tristano e Isotta e poi finito in un baule, e successivamente ritrovato e in mano a una fondazione d'arte che desidera valorizzarlo. Ecco quindi uno spettacolo che nasce con l’idea di raccogliere fondi per gli artisti, almeno così dicono i due clown narratori, che spiegano di avere pensato a un’asta: il Dalì per il loro futuro.

visto da Sara Del Sal


Quanta magia, quanta poesia in tutto quello che si vede sul palco, dove il singolo numero acrobatico è sempre affiancato da musica, canto o parole. Non hanno voci particolarmente intonate, ma sono buffi e stanno perfettamente nei personaggi che portano in scena gli artisti che riempiono il palco di energia, che arriva al pubblico in un modo inusuale. La musica è suonata dal vivo e la canzone che canticchiano entra pian piano in testa, per la sua assurdità ma anche per la sua semplicità. Un viaggio nelle emozioni che finisce con un can can cantato e ballato in abiti tipici da uomini e donne. Una festa finale, perché la verità, si sa, può essere quella a cui si vuole credere.


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Sunset Blvd

di Andrew Lloyd Webber, Charles Hart Bielefeld (D)

Nell'ignota Bielefeld va in scena l’ennesima produzione tedesca di Sunset Boulevard, con messa in scena di Thomas Winter non spettacolare, ma curiosa. La villa della dèa Norma Desmond ha un salone che pare l’interno di una chiesa gotica, col rosone in stile Notre Dame, colonne come il Duomo di Milano e un organo a canne altissime. Max, a questo punto, sembra il sacerdote del culto desmondiano, abbandonato dai fedeli (= fans) in favore di una nuova religione (= il sonoro). La fuga di Joe con l’auto è una sequenza a fumetti proiettata. Il giovane scrittore, infine, non cade in piscina, ma Norma lo fa LETTERALMENTE “secco”, poichè Joe muore all’asciutto nel salone. Qualche problema col suono: dal ritorno di voce nei dialoghi ai microfoni che venivano chiusi, forse per solidarietà con una diva del muto. Come in altre produzioni, Joe Gills (Veit Schäfermeister) e Max von Mayerling (Tom Zahner) erano di dubbie qualità vocali. Brava Betty Schäfer (Ulrike Figgener), non male Norma Desmond (Brigitte Oelke), soprattutto nella sua grintosa recitazione. Ci si aspettava qualcosa di più nell’interpretazione vocale. Dernière, 16 gennaio 2016.

visto da Roberta Mascazzini



letto / visto / ascoltato The heat is back on Behind the scenes of Cameron Mackintosh’ new production Universal

In principio fu The Heat Is On, e fu prima dell’avvento dei dvd, quando gli home-video viaggiavano su vhs: la vecchia cara videocassetta. Ma le emozioni erano già impagabili. Il documentario mostrava tutte le fasi della creazione di Miss Saigon, il grande musical che i papà di Les Misérables avevano scritto ispirandosi alla Ma-

dama Butterfly pucciniana. Dalle prime riunioni tra Alain Boublil e Claude-Michel Schönberg col produttore Cameron Macintosh alle audizioni di una giovanissima Lea Salonga, per arrivare alle prove massacranti, alle anteprime, e giungere trionfalmente al debutto londinese, di cui veniva mostrato persino il dietro le quinte di un frenetico cambio costume di tutto l’ensemble durante lo show-stopper The American Dream cantato dal primo Engineer Jonathan Pryce. Nel 2014 Miss Saigon è tornato a Londra in uno strepitoso revival, giusto in tempo per celebrare degnamente i 25 anni dalla prima assoluta, e non poteva certo mancare una riedizione del documentario. Invece di limitarsi a ripubblicarlo (nel frattempo era già uscito in dvd), come suo solito Cameron ha voluto fare le cose in grande e ha realizzato visto da Franco Travaglio


letto / visto / ascoltato The Heat Is Back On, che non cita quasi mai l’originale ma presenta nuovi imperdibili filmati del nuovo cast, con tanto di arrivo della bravissima nuova Kim Eva Noblezada all’aeroporto di Londra, i primi incontri del cast, per non parlare dell’Italiana, più comunemente nota come sitzprobe: quella prova da brivido in cui gli interpreti eseguono per la prima volta la partitura, non più accompagnati solo dal pianista ma da tutta l’orchestra. Scopriamo alcune curiosità divertenti, tra cui il fatto che l’Engineer attuale, Jon Jon Briones, oltre ad aver sostenuto il ruolo in molte edizioni internazionali, faceva parte dell’ensemble del debutto londinese. Molte le interviste e i contenuti speciali, con il team creativo, gli interpreti, gli autori. Questa testimonianza visiva, consigliatissima a tutti gli appassionati e (aspiranti) addetti ai lavori, rende ancora più epico e sensazionale il grande musical, vero e proprio erede della tradizione operistica del Teatro musicale, con la “t” maiuscola.


letto / visto / ascoltato A musical affair Il Divo Sony Music

Uno è un tenore americano, uno svizzero, uno è un cantante pop francese e uno è un baritono spagnolo: eppure questo quartetto multinazionale ha un nome italianissimo, e non si capisce perché pure singolare. Il loro tour A musical affair, un tronitruante show di tre ore con Lea Salonga come guest star, ha fatto il giro del mondo, e questo cd ne raccoglie i brani principali. Con inediti, arditi e sorprendenti - i puristi diranno: nel bene e nel male impasti vocali, i quattro cantanti (non me ne vogliano,Vito Corleone ne Il Padrino li avrebbe definiti cantanti all’olio d’oliva) spaziano in una rosa di brani che abbraccia il meglio dei musical internazionali, spaziando da Cats, The Lion King, The Phantom of the Opera, Carousel, West Side Story, e duettando in multilingue con star del calibro di Kristin Chenoweth, Heather Headley, MIchael Ball e l’intramontabile Barbra Streisand. Prima di storcere il naso, ascoltateli almeno su spotify. Molti performer inorridiranno, certo, qualcuno sorriderà, eppure questi quattro incarnano alla perfezione quel modello di canto patinato e “alla maniera italiana” che evidentemente in America e nel resto del mondo tira tanto.

ascoltato da Francesco Moretti


letto / visto / ascoltato The impossible dream Richard & Adam Sony Music

Sono stati tra i finalisti di Britain’s Got Talent del 2013, e questo è il loro album di debutto: sono Richard e Adam Johnson, due fratelli gallesi che si sono fatti conoscere nello show televisivo proprio con la title track. I l primo impatto può lasciare disorientati, il loro modo di cantare liricheggiante raramente si sposa bene con il repertorio scelto, un bilanciato fritto misto che ha dentro un po’ di musical (The Impossible Dream, Bring Him Home, Somewhere), un po’ di pop internazionale (The Power of Love, The Winner Takes It All), qualche super classico strappa lacrime (Hallelujah, Amazing Grace, Ave Maria, Unchained Melody) e persino Caruso, brano con il quale ogni duo che canta come nel mondo pensano che cantino gli italiani deve cimentarsi. Eppure il tutto funziona, le strumentazioni e le sonorità scelte per le interpretazioni gettano nuova luce su brani straconosciuti, e i due ragazzotti si fanno ascoltare anche con piacere.

ascoltato da Francesco Moretti


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Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador, data

Grande successo anche nella capitale francesce per i vampiri di Roman Polanski


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