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Hot-Spot. Centri di primo soccorso ed accoglienza o centri di detenzione? /Rifugiati e migranti

HOT-SPOT. CENTRI DI PRIMO SOCCORSO ED ACCOGLIENZA O CENTRI DI DETENZIONE?

di Fulvio Vassallo Paleologo

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La recente risposta del Commissario Europeo all’immigrazione Avramopoulos ad una interrogazione di Barbara Spinelli sulle presunte violenze verificatesi all’interno del Centro di primo soccorso ed accoglienza (CPSA) di Pozzallo, nel mese di aprile, durante le procedure di identificazione di alcuni gruppi familiari, lascia aperti molti interrogativi, anche alla luce della persistente chiusura della struttura, nella quale vengono negati ingressi di associazioni, già autorizzate dal Ministero dell’interno, proprio perché si starebbero svolgendo “procedure di identificazione” di persone trattenute al suo interno. Non sembra del resto maggiormente accessibile il CPSA di Contrada Imbriacola a Lampedusa nel quale da tempo si registrano trattenimenti prolungati di minori e potenziali richiedenti asilo in assenza di un qualsiasi provvedimento dell’autorità giudiziaria. Casi che sono stati recentemente sanzionati da una condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Il primo settembre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la detenzione “illegale” di tre migranti tunisini avvenuta nel settembre del 2011 nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa e poi su due navi traghetto a Palermo. Per la Corte di Strasburgo la loro detenzione da parte delle autorità italiane è stata «irregolare», «ha leso la loro dignità» e ha violato diversi articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ( 3, 5 e 13). La detenzione amministrativa realizzata all’interno di un centro di primo soccorso ed accoglienza era «priva di base legale», i motivi della reclusione erano rimasti «sconosciuti» ai tre ricorrenti che «non hanno nemmeno potuto contestarli» rivolgendosi a un giudice italiano. La Corte ha infine stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive di stranieri perché ha rimpatriato in Tunisia i tre migranti senza aver prima fatto un’analisi sulla situazione specifica di ciascuno di loro, violando così l’articolo 4 del protocollo 4 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che dice: «Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate». La sentenza della Corte, sebbene ancora appellabile dal governo italiano, fa leva su una cospicua mole di precedenti giurisprudenziali che sono evidentemente sono ignoti al Commissario Europeo Avramopoulos ed alla Commissione, ai quali, subito dopo la diffusione di un video che documentava la detenzione amministrativa all’interno del Cpsa di Pozzallo, era stato indirizzato un esposto.

Il Commissario Avramopoulos e la Commissione Europea, senza neppure accertare i fatti, non hanno evidentemente considerato che i diversi motivi degli esposti presentati, che, oltre a riferire delle violenze già documentate in video e testimonianze diffuse in rete, lamentavano il prolungato trattenimento amministrativo, con totale privazione della libertà personale, dei migranti, alcuni dei quali visibilmente minori, appena sbarcati, in una condizione di grande promiscuità, in quelli che, al massimo per 48-72 ore, dovrebbero essere soltanto centri di primo soccorso ed accoglienza, e non Centri di identificazione ed espulsione (CIE), come quelli previsti e disciplinati dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione.

Si tratta di questioni cruciali, sia per l’indirizzo, riconfermato dall’Unione Europea nei suoi numerosi vertici, di aprire degli Hot Spot nelle regioni di frontiera, se ne prevedevano ben cinque in Sicilia, dove identificare i migranti subito dopo lo sbarco, anche con il prelievo delle impronte digitali, che per le recenti dichiarazioni dei leader europei che annunciano l’intenzione di rafforzare le procedure di identificazione, al fine di distinguere e separare i cd. migranti economici, per i quali attivare immediatamente le procedure di respingimento, dandone avviso alle relative rappresentanze consolari, ed i profughi o potenziali richiedenti asilo, quasi come se l’Italia avesse già adottato una lista di “paesi terzi sicuri”, verso i quali allontanare senza formalità i migranti “irregolari” appena dopo lo sbarco. Una forzatura politica priva di basi legali.

In una riunione del governo italiano, nel mese di maggio, si era approvato uno schema di decreto legislativo che prevedeva il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo, in un numero di casi maggiore di quanto non si verifichi oggi, il prossimo 30 settembre quel provvedimento entrerà in vigore e si dovrà verificare come potrà applicarsi se nello stesso tempo si dovranno aprire ben cinque hot spot soltanto in Sicilia. Di fatto cinque centri di detenzione per persone appena sbarcate, mentre altra detenzione nei CIE sembra riservata a chi fa domanda di asilo senza avere i documenti o rifiuta di farsi identificare. Le regole di trattenimento in centri chiusi delle persone appena sbarcate rimangono affidate alla più totale discrezionalità delle forze di polizia, a fronte della evidente impossibilità di adottare misure di accoglienza/detenzione a decine di migliaia di persone alle quali non si riesce a garantire neppure un tetto ed una accoglienza dignitosa, come dimostra lo scandalo della tendopoli al Pala Nebiolo di Messina, neppure nel caso di donne, minori non accompagnati e vittime di tortura, oltre un terzo di tutti i migranti che vengono sbarcati nei porti italiani.

Di fronte a questa ulteriore involuzione del sistema italiano di prima accoglienza, ed alla sua trasformazione progressiva in un sistema di detenzione temporanea, una responsabilità sempre più grande incomberà sulle associazioni e su tutti coloro che, operando anche all’interno di strutture e servizi pubblici, saranno coinvolti nelle attività di prima accoglienza. In tutte le città portuali di arrivo e nei centri dove saranno istituiti HOT SPOTS occorrerà vigilanza e capacità di pronto intervento, attraverso reti indipendenti di operatori sociali, esperti legali, giornalisti e medici.

Ancora il 17 luglio scorso giungevano a Lampedusa numerose cittadine nigeriane, potenziali vittime di tratta, alle quali è stato notificato un provvedimento di respingimento differito adottato dalla Questura di Agrigento e che, dopo alcuni giorni di trattenimento nel CPSA di Contrada Inbriacola, sono state trasferite nel CIE di Ponte Galeria, a Roma, ai fini del rimpatrio. Soltanto un forte impegno della società civile ha bloccato il rimpatrio immediato, ottenendo la liberazione delle prime quattro ragazze, mentre si stanno preparando i ricorsi per ottenere la liberazione di quelle altre per le quali la Commissione territoriale di Roma ha respinto la richiesta di protezione internazionale. Nel loro caso, oltre al trattenimento arbitrario a Lampedusa si è aggiunto l’internamento in un centro di identificazione ed espulsione. E poi il 17 settembre è arrivata, per venti di loro, la deportazione in Nigeria, malgrado fossero arrivate le prime sospensive da parte del giudice di Roma. Un caso sul quale riflettere per comprendere quale potrebbe essere in futuro la valenza espulsiva, senza alcuna possibilità di un ricorso effettivo o di fare valere una richiesta di asilo, dei nuovi Hot Spot che il governo italiano, su spinta delle autorità europee, dovrebbe attivare entro l’anno.

Quanto avviene ancora oggi nei centri di prima accoglienza e soccorso, quando il trattenimento amministrativo si protrae oltre le 96 ore, magari allo scopo di ottenere il prelievo delle impronte digitali, corrisponde ad una eclatante violazione dell’art. 13 della Costituzione italiana e delle norme che regolano in Italia il trattenimento amministrativo. Anche le deportazioni effettuate dopo l’internamento nei centri di detenzione ed espulsione nei confronti di soggetti vulnerabili come le giovani donne nigeriane conferma oltre ad una serie di gravi irregolarità, il più totale dispregio della dignità umana e dei diritti delle donne.

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