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Obama chiude Guantanamo. Ma per ora c’è poco da applaudire /Nord America

OBAMA CHIUDE GUANTANAMO. MA PER ORA C’È POCO DA APPLAUDIRE

di Bruno Schivo

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Il 22 luglio scorso l’addetto stampa della Casa Bianca ha dichiarato che l’amministrazione era ormai alle battute finali dell’elaborazione di un piano, da sottoporre al Congresso, per chiudere la prigione di Guantanamo Bay. Una bella notizia dunque. Non proprio.

A parte il fatto che la chiusura di Guantanamo era già stata annunciata da Barack Obama al momento del suo primo insediamento, ma a distanza di anni non se ne è fatto nulla. Ci sono altri motivi che preoccupano seriamente. Il piano prevede infatti la ricollocazione in detenzione a tempo indeterminato presso strutture militari o carceri di massima sicurezza sul territorio USA di quei prigionieri che gli Stati Uniti si rifiutano di rilasciare o di perseguire, il cui numero finale risulta al momento sconosciuto. Secondo l’assistente del Presidente per la sicurezza e l’antiterrorismo, questo numero sarebbe stato ridotto fino ad un “minimo irriducibile”, ma comunque non azzerato.

Come è noto la struttura di Guantanamo fu aperta nell’ambito della cosiddetta “guerra al terrore” scatenata dal Presidente Bush dopo l’attentato dell’11 settembre, che ha portato ad un generale indebolimento della situazione dei diritti umani a livello globale. Per il Dipartimento di Giustizia Guantanamo Bay, sull’isola di Cuba, non si trova in territorio statunitense ed è quindi fuori dalla giurisdizione delle corti americane, anche per l’eventuale accoglimento di richieste di habeas corpus. I primi detenuti, provenienti dall’Afghanistan vi furono portati l’11 gennaio 2002.

Quando, circa sei anni e mezzo fa, il Presidente Barack Obama ordinò alla sua amministrazione di chiudere Guantanamo nel più breve tempo possibile e comunque, al più tardi, entro il 22 gennaio 2010, Amnesty, in un comunicato precisò chiaramente la sua posizione al riguardo: “Amnesty International ha sostenuto per anni che la chiusura di Guantanamo non deve avere come conseguenza il trasferimento delle violazioni dei diritti umani altrove. L’assoluta illegalità delle detenzioni a Guantanamo non deve essere ricreata né altrove né sotto altro nome”.

Il governo degli Stati Uniti non sembra perseguire questo obiettivo con il presente piano che, come quando fu concepita l’apertura di questa struttura, si basa non tanto sui principi dei diritti umani, ma sulla linea errata della “legge di guerra” e sul concetto limitativo dell’interesse nazionale. Pertanto la chiusura di Guantanamo in modo “sicuro e responsabile”, da quanto emerge, non avverrà (sempre ammesso che avvenga) perché gli USA intendono rispettare i loro obblighi in tema di diritti umani.

Se il Presidente Obama è interessato a lasciare un’eredità sul piano dei diritti umani, deve una volta per tutte abbandonare questo paradigma di guerra, a cui il suo predecessore diede il nome di “guerra globale contro il terrore” e che l’attuale amministrazione ha di fatto adottato in tutto, tranne proprio nel nome. Come parte integrante della chiusura di Guantanamo, egli dovrebbe assicurare il ritorno degli Stati Uniti al sistema ordinario di giustizia penale con i processi nelle corti civili, assicurando il rilascio certo e legittimo, anche all’interno degli USA, se necessario, di tutti i prigionieri di Guantanamo che non intende perseguire.

Pare invece che nel piano in fase di elaborazione le commissioni militari resteranno in vigore. Queste commissioni sono in contrasto con gli standard internazionali di un processo equo. Nel suo briefing del 22 luglio l’addetto stampa della Casa Bianca ha affermato che “noi dobbiamo essere capaci di continuare a portare a termine i processi di quei detenuti che possono essere accusati secondo il sistema che prevede le commissioni militari”. Sei detenuti stanno al momento affrontando un processo, che, in caso di condanna, prevede anche la pena capitale, dinanzi ad una corte militare. Un’eventuale condanna a morte comminata da un tribunale che non rispetta gli standard internazionali per un processo equo, sarebbe una violazione della proibizione assoluta, prevista dalle norme internazionali, di privare arbitrariamente qualcuno della vita.

Amnesty International chiede con forza che i processi abbiano luogo davanti a corti civili e non militari e si oppone al fatto che dei civili possano essere processati da queste ultime. Mentre il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite non ha ancora stabilito che processare civili dinanzi a corti militari è proibito in ogni caso, ha però stabilito, sulla base del diritto ad un processo equo, come previsto dall’art.14 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ratificato dagli USA nel 1992), che il processo di civili (ovvero di chiunque non faccia parte di forze armate dello stato) da parte di tribunali speciali o militari, debba essere strettamente limitato a casi eccezionali e temporanei, per i quali il governo deve evidenziare che il ricorso a tali misure è “necessario e giustificato da motivazioni serie ed oggettive”, e che “in relazione alla specifica tipologia di individui e di crimini, i normali tribunali civili non siano in grado di portare avanti il procedimento”. Il governo americano non può sostenere alcuna di queste ragioni, ma soltanto questioni di politica interna. Le commissioni militari non rappresentano una necessità legittimamente dimostrabile, ma soltanto il frutto di una scelta politica. Devono quindi essere abbandonate.

Dopo l’ordine di chiusura emanato dal Presidente Obama nel 2009, Amnesty affermò che “l’ordine lascia aperta la possibilità che i detenuti possano restare ancora a Guantanamo, senza accusa, per un anno ancora. Questo sarebbe inaccettabile”.

In realtà di anni ne sono passati altri sei e ormai quasi 14 anni dall’apertura di Guantanamo. Ogni giorno in cui la detenzione a tempo indeterminato continua è un altro giorno di profonda ingiustizia, per i prigionieri, le loro famiglie e per il sistema dei diritti umani. Di questi giorni ne sono ormai passati più di 5000. Per chi è detenuto senza accusa e senza un’idea su quando potrà essere processato o rilasciato è un’eternità. ma lo sarebbe anche se fossero la metà, un quarto o un cinquantesimo.

il piano dell’amministrazione oltre tutto dovrà essere presentato al Congresso, dove non mancheranno le opposizioni. Troppo a lungo tensioni e disaccordo tra le diverse istituzioni sono state usate per giustificare ciò che non può essere giustificato. Per le leggi internazionali tutti gli organi di governo sono vincolati ad assicurare che il paese rispetti gli obblighi in materia di rispetto dei diritti umani.

Questi obblighi non prevedono soltanto che la risoluzione della detenzione avvenga nel rispetto dei diritti umani, ma anche che, durante la detenzione, siano rispettati gli standard internazionali e sia garantita la possibilità di ottenere un giusto risarcimento per le eventuali violazioni subite. Come Amnesty International ha già evidenziato anche quest’anno, almeno 29 dei 116 prigionieri ancora presenti a Guantanamo, sono stati detenuti in custodia segreta da parte della CIA prima di essere trasferiti nella base navale sull’isola di Cuba. Alcuni di loro sono stati vittime di sparizioni forzate, di tecniche di interrogatorio e di condizioni di detenzioni in contrasto con la proibizione della tortura e di trattamenti crudeli,disumani e degradanti.

Un caso emblematico è ad esempio quello di Mustafa Ahmed al-Hawsawi, di nazionalità saudita , sottoposto a tre anni e mezzo di sparizione forzata, prima di essere portato a Guantanamo nel 2006. Attualmente deve comparire dinanzi ad una commissione militare con accuse che prevedono la pena di morte. Il 7 luglio scorso la Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani ha richiamato gli USA ad esaminare il suo caso, per quanto riguarda le condizioni di detenzione e i trattamenti medici, investigando anche sulle violazioni dei diritti umani perpetrate contro di lui. I suoi avvocati hanno riferito che è stato tenuto in isolamento senza ricevere le cure mediche necessarie per i suoi cronici problemi di salute, alcuni dei quali conseguenza delle torture e dei maltrattamenti subiti durante il periodo di detenzione in mano alla CIA. Secondo il rapporto di una commissione istituita dal Senato, i suoi gravi problemi di salute risalgono al 2006, quando si trovava in un centro di detenzione segreta della CIA, presumibilmente in Lituania. Guantanamo infatti è soltanto uno dei “buchi neri”, siti segreti gestiti appunto dalla CIA in diversi paesi del mondo, Europa compresa. Da quando è uscito il rapporto, nel dicembre dello scorso anno, nulla è cambiato in modo significativo. E nel frattempo gli USA continuano a muovere critiche in materia di diritti umani ad altri paesi.

La notizia del nuovo piano per chiudere Guantanamo si inserisce nel cambiamento generale di linea di Obama, verso un maggiore rispetto dei diritti umani e degli standard internazionali, ma il momento di applaudire sembra ancora lontano.

Amnesty International - Protect the human - Close Guantánamo

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