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Storie di difensori dei Diritti Umani in Europa /Europa e Asia Centrale

STORIE DI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI IN EUROPA

di Giuseppe Provenza

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La marcia verso la democrazia ed il rispetto dei diritti umani è, purtroppo, una strada ancora lunga da percorrere in buona parte del mondo. Sono tanti i paesi in cui le libertà fondamentali sono poco rispettate, oppure totalmente calpestate. Malgrado ciò, in molti di quei paesi sono sorte Organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani in cui operano donne ed uomini coraggiosi che affrontano quotidianamente i regimi totalitari in nome della libertà, del diritto, della giustizia, subendo violenze, vessazioni, privazioni della libertà e perfino la perdita della vita. Vogliamo qui rendere omaggio ad alcuni di questi coraggiosi, che operano o hanno operato in Europa, raccontandone, sia pure in breve, le vicende sempre drammatiche e talvolta tragiche.

Fra i paesi europei, un triste primato di persecuzioni e perfino di uccisioni di difensori dei diritti umani, spetta alla Federazione Russa, ricordando che fra i difensori dei diritti umani e fra i giornalisti indipendenti, certamente decine e probabilmente centinaia sono quelli che sono rimasti uccisi da un regime intollerante nei confronti del dissenso. Due nomi spiccano fra tutti, sono quelli di due donne barbaramente uccise: Anna Politkovskaia e Natalia Estemirova.

Anna Politkovskaia

Anna Politkovskaia era una giornalista che aveva criticato senza timori il governo russo durante il conflitto ceceno del 1999, accusandolo di violazioni dei diritti umani, come tortura, violenze e sparizioni. Per tale suo giornalismo libero aveva subito gravi minacce in Russia, mentre riceveva riconoscimenti a livello internazionale, fra cui il premio per il giornalismo in difesa dei diritti umani di Amnesty International (Global Award for Human Rights Journalism – 2001).

Anche negli anni successivi, il suo giornalismo di denuncia nei confronti del regime russo non ebbe flessioni, malgrado continuasse a subire vessazioni e perfino l’arresto, fino a giungere alla conclusione tragica della sua vita con l’uccisione, avvenuta nell’ottobre del 2006.

Ma la vicenda non finì con la sua morte, infatti negli anni successivi al suo omicidio, alcuni presunti colpevoli, giudicati in due processi, furono assolti o perché ritenuti estranei alla vicenda o perché non erano state raccolte prove sufficienti.

Finalmente nel giugno del 2014, otto anni dopo l’omicidio, in seguito ad un nuovo processo, il terzo, si è giunti alla condanna di cinque accusati, due all’ergastolo e tre a pene minori. Un sesto accusato è stato condannato in un processo separato. Sono in corso i processi d’appello.

Queste condanne sono da considerarsi soltanto un parziale successo della giustizia, visto che non è stato possibile risalire ai mandanti dell’assassinio, in relazione anche all’atteggiamento degli imputati, che si sono sempre dichiarati innocenti.

Natalia Estemirova

Natalia Estemirova era un’attivista per i diritti umani che aveva affiancato Anna Politkovskaia nella sua attività di denuncia delle violazioni dei diritti umani compiute durante il secondo conflitto ceceno, quello del 1999, e in relazione a ciò aveva subito ripetutamente vessazioni e gravi minacce che l’avevano anche costretta, per un breve periodo, a fuggire all’estero.

Tornata coraggiosamente in Cecenia, nel luglio del 2009 fu rapita all’uscita dalla sua abitazione. Qualche giorno dopo fu rinvenuto il suo cadavere. Le avevano sparato.

Purtroppo dopo oltre sei anni dall’omicidio nessuna luce è stata fatta e l’inchiesta è ancora al punto di partenza, malgrado non siano mai venute meno le pressioni sulle autorità da parte delle maggiori ONG per i Diritti Umani, in primo luogo Amnesty International, perché i colpevoli vengano individuati e sottoposti ad un giusto processo.

Fra i tanti difensori dei diritti umani che operano in Russia, particolare clamore internazionale hanno suscitato Yevgeniy Vitishko e Dmitrii Kraiukhin.

Yevgeniy Vitishko

Yevgeniy Vitishko è un ambientalista che, per almeno dieci anni, ha condotto campagne per la protezione della natura che l’hanno portato a scontrarsi con gli interessi di grosse compagnie, in particolare del settore petrolifero. Ma ciò che probabilmente gli ha causato i più gravi guai con la giustizia è stato l’aver pesantemente criticato i giochi olimpici invernali di Sochi, del 2014, facendo riferimento sia ai danni all’ambiente, sia alla corruzione nella realizzazione delle relative opere.

Per effetto di questa sua lunga battaglia in difesa della salute pubblica, nel febbraio del 2014 fu arrestato e condannato, una prima volta a 15 giorni di carcere e successivamente a tre anni con accuse pretestuose di teppismo, di aver spruzzato con lo spray uno slogan su un muro e di aver bestemmiato in pubblico.

Le sue vicissitudini non erano però finite. La sua detenzione si è rivelata, infatti, uno strumento per vessarlo e tormentarlo. Gli sono state mosse a più riprese contestazioni tanto ridicole ed irrilevanti da far apparire con chiarezza l’intento di rendergli dura la vita perfino in carcere.

Tuttavia il sostegno e la solidarietà delle ONG per i diritti umani del mondo libero, a cominciare da Amnesty International, ha, anche nel caso Vitishko, giocato un ruolo determinante. Va segnalato, in particolare, che Amnesty International, Sezione Italiana, ha raccolto, fra marzo ed aprile 2015, numerose firme su una petizione con cui si chiedeva alle autorità della Federazione Russa il rilascio di Vitishko, adottato dalla Organizzazione quale prigioniero di coscienza, suscitando, sembra, l’intervento dello stesso presidente Putin. L’effetto delle pressioni pervenute da ogni parte dell’Europa libera si è presto fatto sentire. Nel novembre del 2015, quando Vitishko aveva scontato circa la metà della pena, il Tribunale competente ne ha ordinato la scarcerazione.

Dmitrii Kraiukhin

Dmitrii Kraiukhin è un giornalista che ha dedicato la propria attività professionale alla denuncia degli atti di intolleranza razziale.

Già da anni questa sua attività giornalistica gli aveva procurato ripetutamente serie minacce da parte di aderenti a formazioni politiche neo-naziste, tanto che nel 2004 Amnesty International aveva rivolto un appello urgente (EUR 46/042/2004) alla Procura della sua regione, Orel, affinché avviasse un’inchiesta in merito ed assicurasse a Kraiukhin adeguata protezione.

Il culmine degli attacchi nei suoi confronti si raggiunse il 1° agosto del 2008, quando venne dato fuoco al suo appartamento mentre i suoi familiari erano in casa, bloccando la porta d’ingresso per impedirne la fuga. Per fortuna i suoi familiari riuscirono a chiamare i vigili del fuoco in tempo per salvarsi.

A distanza di anni, malgrado gli appelli rivolti alle autorità da Amnesty International, non si è ancora giunti alla individuazione, da parte della Procura, dei colpevoli dell’incendio e di tutte le altre intimidazioni nei riguardi di Kraiukhin.

Negli ultimi anni un altro paese, come la Federazione Russa a cavallo fra Europa e Russia, ha intrapreso una strada che la allontana sempre più dal rispetto dei diritti umani, la Turchia, dove solo pochi giorni fa è rimasto ucciso l’avvocato curdo Tahir Elçi, e dove da anni opera, e viene sistematicamente vessata, l’avvocata Eren Keskin.

Tahir Elçi

Tahir Elçi era un avvocato curdo ben noto per il suo impegno nella difesa dei diritti umani dentro e fuori dei tribunali. Fu lui, infatti, a contribuire a far nascere la sezione turca di Amnesty International.

Da almeno un quarto di secolo Tahir Elçi si dedicava alla difesa di vittime di detenzioni arbitrarie e torture, rischiando, spesso, la sua stessa incolumità.

Nell’ottobre scorso le minacce nei suoi confronti raggiunsero il culmine dopo aver affermato che il PKK non è un’organizzazione terroristica, ma un movimento politico armato, criticando in questo modo il governo turco e la sua intransigenza nei confronti della popolazione curda, notoriamente protesa alla conquista dell’unità nazionale (essendo divisa fra Turchia, Iraq e Siria) in un paese indipendente.

In seguito a queste sue affermazioni era stato oggetto di una pesante campagna intimidatoria attraverso i social media anche con minacce di morte ed aveva persino subito l’arresto per “propaganda per un’organizzazione terroristica”.

Il 28 novembre la campagna persecutoria nei suoi confronti ha toccato il culmine con il suo assassinio avvenuto al termine di una sua conferenza stampa nella città dove viveva e svolgeva la sua attività di avvocato, Diyarbakır, importante centro a maggioranza curda del sud-est della Turchia.

Eren Keskin

Eren Keskin è un’avvocata che da trent’anni si dedica alla difesa dei diritti umani in Turchia, essendo anche importante esponente dell’IHD, una delle maggiori organizzazioni per la difesa dei diritti umani del suo paese. In particolare la sua attività è stata dedicata alla difesa delle donne rimaste vittime di stupri e violenze e alla difesa dei curdi.

Questa sua ammirevole dedizione alla difesa dei diritti umani le ha procurato, negli anni, numerose vessazioni, fino alla vera e propria persecuzione politica da parte dell’autorità turca, essendo stata condannata a pene detentive, poi commutate in pene pecuniarie o sospese, per “reati d’opinione”, ossia per aver espresso il proprio pensiero riguardo agli atteggiamenti dell’esercito turco nei confronti dei curdi e, in particolare, delle donne curde, spesso vittime di stupri.

Quel che è più grave, se possibile, è che lo stesso ordine degli avvocati della Turchia l’abbia anche sospesa dall’attività professionale in seguito alle condanne subite per semplici motivi d’opinione. In merito si attende che diventi esecutiva la condanna penale e l’esito del ricorso di Eren Keskin.

Sulla vicenda si è anche pronunciata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha accusato la Turchia di aver violato l’articolo 10 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, che sancisce il diritto alla libertà d’espressione.

Altri paesi europei “vantano” il poco pregevole primato nel numero dei difensori dei diritti umani perseguitati, paesi come la Bielorussia, o rientranti politicamente nell’area Europea, in relazione alla loro provenienza dalla disciolta Unione Sovietica, come l’Uzbekistan ed il Kirghizistan, ma, per motivi di spazio, vogliamo qui limitarci a citare due rilevanti casi riguardanti un paese che, sia pur piccolo, riveste una particolare importanza economica essendo un produttore di petrolio e di gas che gli assicurano una indebita tolleranza internazionale nei riguardi delle rilevanti violazioni dei diritti umani di cui il suo regime politico si rende responsabile, l’Azerbaijan. Fra i tanti, troppi, difensori dei diritti umani vittime del duro regime azero, riteniamo particolarmente degni di menzione i casi dei coniugi Leyla e Arif Yunus e di Khadija Ismayilova.

Leyla e Arif Yunus

Leyla Yunus è presidente della ONG “Istituto per la Pace e la Democrazia” fin dalla sua fondazione nel 1995. Il marito, Arif, è attivista della stessa organizzazione.

L’Istituto per la Pace e la Democrazia ha come scopo fondamentale la lotta contro ogni forma di violazione dei diritti umani: persecuzioni politiche, violenza sulle donne, sgomberi illegali, corruzione. Si è inoltre prodigato per la soluzione pacifica del conflitto fra Azerbaijan ed Armenia per il Nagorno-Karabakh, la regione contesa fra i due paesi. È proprio quest’ultima attività che ha fornito alle autorità azere lo spunto per formulare l’accusa più grave, quella di tradimento nei confronti dei coniugi Yunus, a cui si aggiungono quelle per evasione fiscale e frode.

In relazione a queste accuse Leyla ed Arif Yunus furono arrestati rispettivamente il 30 luglio 2014 ed il 5 agosto dello stesso anno e il 13 agosto del 2015 sono stati rispettivamente condannati a otto anni e mezzo e a sette anni di carcere.

Alla gravità della detenzione di due attivisti dei diritti umani con accuse del tutto prive di fondamento ed inventate soltanto per impedire la formulazione di qualsiasi critica al governo, si aggiunge lo stato di salute di entrambi i coniugi. Leyla soffre di diabete ed Arif di pressione alta ed entrambi avrebbero bisogno di cure specialistiche non possibili in carcere.

Proprio in relazione alle loro precarie condizioni di salute, entrambi i coniugi a fine 2015 sono stati rilasciati in libertà provvisoria

Khadija Ismayilova

Khadija Ismayilova è una giornalista di Radio Free Europe che ha, negli ultimi anni, ripetutamente denunciato le violazioni dei diritti umani in Azerbaijan e la corruzione della famiglia del presidente azero Ilham Aliyev.

Ciò le ha procurato svariate minacce scritte. Fra le altre, particolarmente rilevante fu quella ricevuta nel 2012, quando sconosciuti installarono una telecamera nascosta nel suo appartamento e le inviarono immagini di suoi rapporti sessuali con la minaccia di renderle pubbliche se non avesse abbandonato la sua attività giornalistica. Lei si rifiutò e rese pubblico il ricatto.

Successivamente fu avviato nei suoi confronti un procedimento penale con l’accusa di diffamazione.

Nel dicembre del 2014 Khadija Ismayilova fu arrestata con l’accusa di aver istigato al suicidio il suo ex collega e compagno. L’accusa cadde durante il processo in seguito alle dichiarazioni a discolpa pronunciate dalla presunta vittima.

In seguito a quest’ultimo episodio Amnesty International, promosse un’azione urgente (EUR 55/023/2014), considerando Khadija Ismayilova prigioniero di coscienza, vittima di accuse motivate politicamente, al fine di mettere a tacere il suo giornalismo di denuncia.

Il 1° settembre 2015 Khadija Ismayilova è stata condannata a sette anni e mezzo di carcere per evasione fiscale, appropriazione indebita, abuso di potere ed attività economica illegale, accuse comunemente utilizzate dal regime azero nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei dissidenti in genere.

Malgrado le evidenti e ben note violazioni dei diritti umani da parte dell’Azerbaijan, quest’ultimo paese continua ad aver assegnate importanti manifestazioni europee.

Ha ospitato nel giugno 2015 i primi Giochi Europei, nel 2016 ospiterà il suo primo gran premio di formula 1, nel 2020 ospiterà i campionati europei di calcio.

Come è possibile tutto ciò? La spiegazione sta nell’importanza che hanno ormai assunto per l’Europa il petrolio ed il metano dell’Azerbaijan, in concorrenza con quello proveniente dalla Russia, a dimostrazione che, per molti, in posizioni di potere, rivestono più importanza le valutazioni economiche piuttosto che il rispetto per i diritti umani, e quindi la dignità dell’uomo.

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