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Dalla sicurezza delle persone in mare alla “sicurezza interna dell’Unione Europea” /Migranti

DALLA SICUREZZA DELLE PERSONE IN MARE ALLA “SICUREZZA INTERNA DELL’UNIONE EUROPEA”

L’ESTERNALIZZAZIONE DEI CONTROLLI DI FRONTIERA UCCIDE

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di Fulvio Vassallo Paleologo

Il 14 settembre 2016 veniva approvato in via definitiva il Regolamento europeo riguardante la Polizia di frontiera e la Guardia Costiera europea. Il Regolamento “istituisce una guardia di frontiera e costiera europea per garantire una gestione europea integrata delle frontiere esterne, allo scopo di gestire efficacemente l’attraversamento delle frontiere esterne. Ciò implica affrontare le sfide migratorie e le potenziali minacce future a tali frontiere, contribuendo così a lottare contro la criminalità grave di dimensione transfrontaliera, al fine di garantire un livello elevato di sicurezza interna nell’Unione, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e salvaguardando al contempo la libera circolazione delle persone al suo interno”.

Tutto l’impianto della nuova normativa appare orientata al contrasto dell’immigrazione irregolare attraverso accordi con le autorità dei paesi di origine o di transito, anche in vista di una possibile collaborazione nelle attività di soccorso in mare e di riammissione o di respingimento verso i porti di partenza. Obiettivo centrale è la sicurezza all’interno delle frontiere europee minacciata dall’attraversamento delle frontiere esterne da parte dei migranti irregolari.

Molti articoli del nuovo testo normativo, che tra poche settimane diventerà vincolante in tutti i paesi UE che non abbiano espresso specifiche riserve, sono destinati all’esecuzione delle operazioni di rimpatrio. Ma si prevedono anche obblighi di soccorso in mare. E accordi di cooperazione di polizia con i paesi terzi nei quali verranno inviati funzionari di collegamento.

L’art. 4 del nuovo Regolamento richiama espressamente gli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti per l’Agenzia europea Frontex dal Regolamento 656 del 2014. La gestione europea integrata delle frontiere consiste dei seguenti elementi: a) controllo di frontiera, comprese, se del caso, misure volte ad agevolare l’attraversamento legittimo delle frontiere e misure connesse alla prevenzione e all’individuazione della criminalità transfrontaliera, come il traffico di migranti, la tratta di esseri umani e il terrorismo, e misure relative all’orientamento in favore delle persone che necessitano di protezione internazionale o intendono presentare domanda in tal senso; b) operazioni di ricerca e soccorso per le persone in pericolo in mare, avviate e svolte a norma del regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio e del diritto internazionale, che hanno luogo e sono avviate in situazioni che possono verificarsi nel corso di operazioni di sorveglianza delle frontiere in mare; c) analisi dei rischi per la sicurezza interna e analisi delle minacce che possono pregiudicare il funzionamento o la sicurezza delle frontiere esterne; d) cooperazione tra gli Stati membri sostenuta e coordinata dall’Agenzia; e) cooperazione inter-agenzia tra le autorità nazionali di ciascuno Stato membro responsabili del controllo di frontiera o di altri compiti svolti alle frontiere e tra le istituzioni, gli organi,gli organismi e i servizi dell’Unione competenti, compreso lo scambio regolare di informazioni tramite gli strumenti di scambio di informazioni esistenti, ad esempio il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (“EUROSUR”) istituito dal regolamento (UE)n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio; f) cooperazione con i paesi terzi nei settori contemplati dal presente regolamento, con particolare attenzione ai paesi del vicinato e ai paesi terzi che sono stati individuati tramite un’analisi dei rischi come paesi di origine e/o di transito dell’immigrazione illegale; g) misure tecniche e operative nello spazio Schengen che sono connesse al controllo di frontiera e destinate ad affrontare meglio l’immigrazione illegale e a combattere la criminalità transfrontaliera; h) rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggetti a decisioni di rimpatrio adottate da uno Stato membro; i) uso di tecnologie avanzate, compresi sistemi d’informazione su larga scala; j) un meccanismo di controllo della qualità, in particolare il meccanismo di valutazione Schengen ed eventuali meccanismi nazionali, per garantire l’applicazione della normativa dell’Unione nel settore della gestione delle frontiere; k) meccanismi di solidarietà, in particolare gli strumenti di finanziamento dell’Unione.

La formulazione degli obblighi di salvataggio appare tuttavia alquanto generica, e rimette in sostanza agli stati membri il compito di decidere quando intervenire, con la dichiarazione di un evento SAR (per fare scattare attività di ricerca e salvataggio) (Attività SAR – Search and Rescue) che non rientrano tra i compiti principali della nuova Guardia Costiera europea. Il nuovo regolamento riconduce così in modo molto esplicito ai singoli stati, e quindi ai rapporti bilaterali con i paesi terzi, l’adempimento primario degli obblighi di ricerca e salvataggio. Il ruolo dei mezzi di Frontex, che sarà trasformata nella nuova Polizia delle frontiere e Guardia Costiera Europea rimane sullo sfondo.

Il nuovo Regolamento prevede con un atto vincolante, perché adottato con procedura legislativa, una collaborazione più intensa tra le autorità di polizia dei diversi paesi UE in vista di un maggiore controllo delle frontiere esterne, che sarebbe necessario per garantire il regime di libera circolazione dettato dal Regolamento Schengen per le frontiere esterne. Lo stesso Regolamento costituisce un fondamento legislativo essenziale per le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera che sino a questo momento erano rimaste frutto di accordi di polizia privi di una base legale. Si tratta in sostanza di una espansione delle attività dell’Agenzia Frontex, che viene dotata di una base legale più ampia, e di una sua maggiore autonomia nello stabilire rapporti diretti con le autorità di polizia dei paesi terzi, anche in vista di possibili operazioni di rimpatrio o di respingimento. Se sono previsti accordi con i paesi terzi per semplificare le operazioni di respingimento e di riammissione, non sembra esservi alcun richiamo alla necessità di concordare con questi stessi paesi, come oggi l’Egitto, e domani la Libia, una qualsiasi attività coordinata nelle attività di ricerca e salvataggio al limite tra le acque territoriali e le acque internazionali (tra le 12 e le 24 miglia dalla costa). Al di là delle solenni dichiarazioni di principio e del richiamo al diritto internazionale ed ai diritti umani gli accordi con paesi terzi che non rispettano quei principi, ed in genere i diritti umani, svuotano di effettività le norme di salvaguardia che il Consiglio ed il Parlamento Europeo hanno inserito dopo un faticoso dibattito interno.

In merito alle attività di ricerca e salvataggio si prevede soltanto quanto già imposto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare in base alle quali una volta che venga dichiarato dalle autorità nazionali un evento SAR tutti i mezzi civili e militari che si trovano nella zona possono essere chiamate ad intervenire dalle stesse autorità nazionali per soccorrere i naufraghi. Come peraltro si è già verificato in questi ultimi due anni sulle rotte del Mediterraneo centrale. Manca qualunque spiraglio per una qualsiasi missione di soccorso che abbia soltanto carattere umanitario. La prospettiva dominante è il controllo delle frontiere esterne come elemento che dovrebbe dare sicurezza all’interno dell’Unione Europea. Dunque il richiamo ai diritti fondamentali rischia di restare esclusivamente sulla carta.

In base all’art. 34 del nuovo Regolamento, titolato alla “Protezione dei diritti fondamentali e strategia in materia di diritti fondamentali”, la guardia di frontiera e costiera europea “garantisce la tutela dei diritti fondamentali nell’esecuzione dei suoi compiti a norma del presente regolamento in conformità del pertinente diritto dell’Unione, in particolare la Carta, il diritto internazionale pertinente, compresi la Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiati e il suo protocollo del 1967, così come degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non respingimento. A tal fine, l’Agenzia elabora, sviluppa ulteriormente e attua una strategia in materia di diritti fondamentali, che preveda un meccanismo efficace per monitorare il rispetto dei diritti fondamentali in tutte le proprie attività.”

Nell’esecuzione dei suoi compiti, la guardia di frontiera e costiera europea provvede affinché nessuno sia sbarcato, obbligato a entrare o condotto in un paese, o altrimenti consegnato o riconsegnato alle autorità dello stesso, in violazione del principio di non respingimento, o in un paese nel quale sussista un rischio di espulsione o di rimpatrio verso un altro paese in violazione di detto principio.

“Nell’esecuzione dei suoi compiti, la guardia di frontiera e costiera europea tiene conto delle particolari esigenze dei minori, dei minori non accompagnati, delle persone con disabilità, delle vittime della tratta di esseri umani, delle persone bisognose di assistenza medica, delle persone bisognose di protezione internazionale, delle persone in pericolo in mare e di chiunque si trovi in una situazione di particolare vulnerabilità.”

“La guardia e di frontiera e costiera europea presta particolare attenzione ai diritti dei minori in modo da garantire che in tutte le sue attività sia rispettato il loro interesse superiore.”

Gli accordi bilaterali o multilaterali con i paesi terzi al fine di esternalizzare i controlli di frontiera. Che fine farà l’Operazione Eunavfor Med (Operazione Sophia)?

Il nuovo Regolamento sulla Polizia e Guardia Costiera Europea non richiama espressamente l’Operazione Eunavfor Med oggi denominata Operazione Sophia, né menziona espressamente un legame tra questa nuova Guardia Costiera europea, che di fatto è un potenziamento dell’Agenzia Frontex, della quale mantiene a personalità giuridica, con l’operazione di contrasto dell’immigrazione illegale EUNAVFOR MED (Operazione Sophia). Una omissione che lascia in ombra, e privi di base legale, gli accordi che i vertici di questa operazione hanno concluso con le autorità libiche che fanno riferimento al Governo di unità nazionale, con sede a Tripoli, ed alle forze navali che questo controlla.

Nel mese di agosto di quest’anno, si è diffusa la notizia ufficiale della conclusione di un Memoriale di intesa (MOU) tra EUNAVFOR MED ed i vertici della Guardia Costiera libica. Si tratta di un corpo militare che risponde soltanto ai comandi del governo Serraj, insediato a Tripoli dalle Nazioni Unite, un governo che il parlamento di Tobruk ed il generale Haftar (sostenuto dagli egiziani) non hanno ancora riconosciuto. Il programma vedrà attivamente coinvolti numerosi altri organismi quali EUBAM Libia (EU Border Assistance Mission in Libya), l’agenzia europea Frontex e le Nazioni Unite.

Di fronte della situazione di conflitto armato che si sta aggravando giorno dopo giorno attorno ai porti ed ai terminali petroliferi, rimane da chiedersi oggi quale sarà la portata effettiva della collaborazione che la cd. Guardia Costiera libica potrà garantire alle diverse navi europee impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio. Rimane invece certo il destino delle persone che dopo essere state “soccorse” dai mezzi libici in acque territoriali, o in zona contigua, entro le 24 miglia dalla costa, saranno riportate a terra e internate nei tanti centri di trattenimento che esistono da anni in Libia. Luoghi nei quali si verificano abusi di ogni sorta, come documentato da testimonianze univoche ed inoppugnabili di tanti migranti che sono riusciti a fuggire, e hanno comunque raggiunto l’Italia. Dai contenuti pubblicati di questo ennesimo Memoriale d’intesa emerge come, con i finanziamenti dell’Unione Europea, si passerà presto all’addestramento delle Guardie di frontiera e della Guardia costiera “libica”, e quindi ad intese operative. La collaborazione tra i libici ed i mezzi navali coinvolti nella missione europea EUNAVFOR MED (Operazione Sophia), iniziata in realtà da tempo, ha prodotto anche qualche “incidente”.

I media hanno dato notizia che il 17 agosto scorso un battello veloce della Guardia Costiera libica avrebbe aperto il fuoco sulla nave umanitaria Bourbon Argos di Medici Senza Frontiere mentre svolgeva attività SAR (Ricerca e salvataggio) nella stessa zona, oggetto di tanti salvataggi in passato. Salvataggi che oggi sono in forte diminuzione a causa del rallentamento delle partenze dalla costa libica, effetto della situazione di conflitto armato che rende sempre più difficili e pericolosi gli spostamenti dei migranti che attraversano la Libia per imbarcarsi verso la Sicilia. Nel Comunicato della Guardia Costiera libica si fa riferimento al ritiro degli uomini armati dalla nave umanitaria, occupata per 50 minuti, solo dopo avere avuto notizia che la stessa nave “avrebbe fatto parte dell’Operazione Sophia”. Sull’”incidente”, ammesso anche dai libici e riportato dal Guardian, è subito calata la censura internazionale. Come è avvenuto anche qualche giorno più tardi, dopo il sequestro di due operatori umanitari tedeschi che si trovavano su un gommone di servizio alla nave umanitaria Sea Eye al largo di Zawia, rimessi in libertà dopo 48 ore, come se si fosse trattato di un “incidente” per difetto di comunicazione tra l’imbarcazione tedesca ed i mezzi della Guardia costiera libica.

Gli accordi tra l’Unione Europea, tramite i rappresentanti militari dell’Operazione Eunavfor Med con una parte della Guardia Costiera libica, oltre alla situazione di grave insicurezza che si vive sul territorio libico, hanno comportato la riapertura della rotta egiziana, non certo nelle misure epocali annunciate dagli esperti di Frontex o dei servizi di informazione, ma comunque in misura significativa e tale da rendere sempre più frequenti incidenti e veri e propri naufragi, come si è verificato ancora il 21 settembre scorso. Al largo della costa di Rashid (Rosetta), una città portuale egiziana, un barcone che da giorni stava caricando migranti provenienti da imbarcazioni più piccole, ha fatto naufragio e sarebbero disperse centinaia di persone, oltre ad una cinquantina di cadaveri già recuperati.

Un naufragio tutto da chiarire, se è vero come risulta dalle prime testimonianze, che la guardia costiera egiziana è intervenuta davanti alla costa di Rashid (Rosetta) con gravissimo ritardo e che i primi soccorsi sono stati apportati da pescherecci ed altri mezzi commerciali.

Una circostanza che deve fare riflettere a lungo sulla opportunità di evocare accordi di cooperazione pratica di polizia con paesi che non rispettano gli obblighi primari di salvataggio, neppure al limite delle loro acque territoriali.

Il naufragio sarebbe avvenuto a sole 12 miglia dalla costa della città portuale di Rosetta (Rashid). Una tragedia che era ampiamente annunciata, per il numero sempre più consistente di imbarcazioni in partenza dall’Egitto verso l’Italia, una delle rotte più lunghe e pericolose del mondo, ma che nessuno ha saputo impedire, mentre tanti si sono limitati a riferire notizie sommarie sulle prime vittime recuperate, sminuendo la gravità dei fatti e nascondendo del tutto le responsabilità politiche e militari. Operazione mediatica che si è completata come al solito con l’arresto dei presunti scafisti e l’internamento dei migranti “illegali” soccorsi in mare, ma rigettati subito in un centro di detenzione egiziano.

Questo naufragio ha purtroppo numerosi precedenti, che sono stati presto rimossi dall’attenzione dell’opinione pubblica, al punto che le notizie sui soccorsi operati a sud dell’isola di Creta o dei ribaltamenti di imbarcazioni su quella stessa rotta sulla quale si è verificata la tragedia di ieri, sono stati sistematicamente omessi. Non si è mai avuto notizia sull’esito di un’ azione di ricerca e salvataggio affidata alla nostra Guardia Costiera il 4 giugno scorso, dopo un allarme lanciato da una imbarcazioni che si trovava ancora nella zona SAR egiziana. Una missione impossibile, a fronte dei mezzi di cui dispone la nostra Guardia Costiera. Dalla Grecia e da Malta non risultano attività di ricerca e soccorso al limite della zona SAR egiziana. Un buco nero nel quale le persone continuano a scomparire.

Tutte queste circostanze dovrebbero fare riflettere l’opinione pubblica ed i decisori politici europei, non meno che i vertici militari e di polizia, sul fondamento giuridico e morale di accordi bilaterali con paesi che, sia in mare che a terra, non garantiscono i diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita, e che non adempiono neppure gli obblighi di ricerca e soccorso in mare stabiliti dalle Convenzioni internazionali, come la Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione UNCLOS del 1984 che anche l’Egitto ha ratificato e che dunque dovrebbe rispettare dotandosi di mezzi e assetti aero-navali di intervento, in accordo con i paesi responsabili delle zone SAR confinanti, come prevedono le stesse Convenzioni.

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