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IL REATO DI TORTURA, CONTRO OGNI IMPUNITÀ /Tortura

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Buone notizie!

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IL REATO DI TORTURA, CONTRO OGNI IMPUNITÀ

di Vincenzo Ceruso

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Lo scorso luglio, il segretario della Lega, Matteo Salvini, esultava dopo la sospensione al Senato del provvedimento che prevedeva l’introduzione del reato di tortura: “La Lega è appena riuscita a bloccare Renzi e il Pd, che avrebbero voluto complicare la vita a poliziotti, carabinieri e uomini in divisa. Noi stiamo con chi ci difende!” (1)

Senza entrare nei dettagli del tortuoso iter parlamentare, ciò che è stato impedito, ancora una volta, è stata l’approvazione di una norma che avrebbe posto l’Italia in linea con i principali paesi civili e con le convenzioni internazionali.

Nel 1989 l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU contro la tortura, ma da allora non ha mai saputo dare una definizione del reato stesso, né sanzionare adeguatamente i numerosi atti di brutalità che si sono susseguiti in oltre un quarto di secolo, sul territorio nazionale e oltre, da parte di pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.

All’articolo 1 della Convenzione abbiamo la definizione di tortura: «Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate».

Per secoli, la tortura è stata utilizzata per ottenere informazioni, prove o per infliggere sanzioni al “colpevole”. In tempi più recenti “è utilizzata soprattutto come mezzo per reprimere il dissenso politico e ideologico” (2). L’idea propagandata da una parte del nostro ceto politico sarebbe che con l’introduzione del reato di tortura si voglia “complicare la vita a poliziotti, carabinieri e uomini in divisa”, secondo le parole prima citate del leader leghista. Non è difficile comprendere che il fatto di delimitare il perimetro in cui può essere esercitata la forza, sia anche una garanzia per una corretta azione da parte degli stessi pubblici ufficiali. La Convenzione europea sui diritti umani (CEDU) del 1950 e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, hanno distinto la tortura da altre forme di violenza. All’art. 3 della Convenzione europea si legge: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». L’art. 3 fa parte, insieme all’art. 2 (diritto alla vita), all’art. 4.1 (divieto di schiavitù e di servitù) e all’art 7 (principio di irretroattività della legge penale), del cosiddetto «nocciolo duro» della CEDU, cioè di quell’insieme di articoli che “non sono passibili di alcuna deroga o limitazione da parte degli Stati membri”. (3)

Una lettura, anche rapida, della giurisprudenza europea su questo tema, basterebbe a far comprendere quanto siano irrazionali gli emendamenti al disegno di legge che sono stati proposti nel corso del dibattito parlamentare, in particolare quello per cui si può parlare di tortura solo nel caso di reiterazione della violenza, e che è stato all’origine della decisione di sospendere il cammino del disegno di legge in Senato. Infatti, secondo l’emendamento inserito in fase di discussione e sostenuto dal ministro dell’Interno Alfano, si sarebbe dovuto stabilire “che il reato di tortura fosse tale solo nel caso in cui ci fossero ripetute azioni che portano a lesioni o sofferenze”. (4)

Si tratta di un criterio che non è mai emerso, nei numerosi casi in cui la Corte di Strasburgo è stata chiamata ad esprimersi sul divieto di tortura. Semmai, nelle motivazioni delle sentenze della CEDU è possibile leggere il “carattere evolutivo” del significato odierno di tortura, in base al principio per cui atti che un tempo venivano tollerati o giustificati, vengono oggi qualificati come inumani o degradanti, se non come tortura vera e propria: “Il senso profondo di questa giurisprudenza sta proprio nella constatazione che il tasso di sviluppo del senso di civiltà giuridica espresso nell’ordinamento europeo consenta oggi un livello di protezione della dignità umana molto più elevato che non in passato”. (5)

Purtroppo, l’arretratezza del dibattito italiano, insieme al susseguirsi di gravi episodi di violenza su cittadini inermi, da parte di esponenti delle forze dell’ordine, suscita molti dubbi sull’effettiva protezione della dignità umana nel nostro paese. Spesso, gli autori delle violenze possono contare su una sostanziale impunità, proprio per la mancanza di un reato specifico sulla tortura, unitamente ad una errata concezione della solidarietà tra membri di uno stesso corpo dello Stato. Si legga, per tutti, quanto scrive la Cassazione in merito ai famigerati fatti della caserma di Bolzaneto, le violenze inflitte a uomini e donne di diverse nazionalità nei giorni del G8 di Genova, nel 2001, e per i quali l’Italia è già stata condannata in sede europea. A proposito di uno dei funzionari coinvolti nelle vicende di quella tragica notte, hanno scritto i magistrati: ella “si spostò all’interno della struttura, così da avere una chiara visione dell’aspetto atterrito e sanguinante degli arrestati, del modo in cui venivano apostrofati e trattati dai loro seviziatori; e comunque, anche dal proprio ufficio aveva certamente udito le urla di dolore delle vittime, nonché i canti e i suoni inneggianti al fascismo che provenivano ora dall’esterno della caserma, ora dal corridoio”; su tali presupposti la Corte ha fondato la convinzione che, non solo la funzionaria non avesse impedito le violenze, ma “con la propria consapevole inerzia avesse anzi rafforzato nei suoi sottoposti la certezza dell’impunità”. (6)

Colmare un vuoto normativo con l’introduzione del reato di tortura, serve a porre un argine contro quel senso d’impunità che, a volte, muove i comportamenti di uomini e donne che dovrebbero proteggere le leggi dello Stato e che dovrebbero tutelare, insieme la stessa dignità dell’uomo.

(1) - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/19/reato-tortura-il-senato-sospendelesame-della-legge-il-centrodestra-esulta-zanda-verificare-la-maggioranza/2919292/

(2) - A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Bari, 2005, p. 174.

(3) - C. Russo – P. Quaini, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Giuffrè, Milano, 2006, p. 84.

(4) - http://www.ilpost.it/2016/07/20/ddl-reato-tortura/

(5) - F. Bilancia, Anche l’Europa condanna la violenza di Stato, in A. Gianelli – M. P. Paternò (a cura di), Tortura di Stato. Le ferite della democrazia, Carocci, Roma, 2004, p. 171.

(6) - Corte Suprema di Cassazione, Quinta sezione penale, R. G. N. 33919/2012, p. 57.

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