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L’educazione alla pace: prospettive metodologiche /EDU

L’EDUCAZIONE ALLA PACE: PROSPETTIVE METODOLOGICHE

di Aristide Donadio

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Premessa: l’educazione al cambiamento

Educare alla pace è certamente una locuzione formidabile, intrisa di significati e di potenzialità, ma anche di rischi deleteri di confusione, sia sul piano strettamente semantico che su quello certamente più minato e meno esplorato della metodologia.

Col tempo ci si è resi conto, grazie soprattutto all’apporto di educatori contemporaneamente impegnati sia sul fronte educativo che su quello pacifista come Maria Montessori e Paulo Freire, che, se in una prima fase storica l’enfasi e il primato risiedevano senza ombra di dubbio sulla seconda parte della locuzione, in tempi storicamente più recenti ci si è resi conto di come l’idea stessa di educazione, nella sua accezione più profonda, ampia e olistica, potesse già sussumere in sé l’idea della costruzione della pace, dell’inserimento progressivo ma inesorabile dell’asse esistitivo-esistenziale all’interno di una dimensione nonviolenta.

Educazione alla pace ed educazione ai diritti umani sono spesso stati vissuti e posti come strumenti pedagogici diversi, se non persino alternativi, ma il progressivo affinamento del concetto stesso di diritto, svincolato dagli orizzonti giuspositivistici,

unito all’evoluzione dei Trattati internazionali e degli studi di settore, hanno progressivamente avvicinato i due campi, rendendoli persino sovrapponibili, per certi versi. Un esempio fra tutti è rappresentato dal Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani. Del resto la contaminazione di studi interessati alla tematica della pace e a quella sui diritti umani è talmente vasta da non lasciar posto a riserve specialistiche di studi di settore, come si poteva già ricavare dal magnifico carteggio Freud-Einstein: uno psicologo ed un fisico, entrambi pacifisti, a confronto su come scongiurare altre guerre all’umanità.

Per sviluppare un’efficace azione educativa, il punto chiave da cui partire è quello dell’integrità psico-fisica: quel diritto al pieno sviluppo della personalità ed alla sua piena espressione sancito ormai in molti Trattati, primo fra tutti la già citata Dichiarazione Universale, da cui discende il principio di indivisibilità ed interdipendenza dei diritti umani, spalancando porte e finestre alla dimensione unitaria della conoscenza, del rapporto io-altro e del sociale in generale, politicizzando (nell’accezione più ampia e nobile del termine) l’azione educativa.

E’ proprio nel solco di questa “politicizzazione” che bisogna ridare nuovo slancio e priorità al movimento educativo, nelle sue diverse forme e manifestazioni (istituzionali e non) nel senso voluto dal preambolo della Dichiarazione. E’ necessario intervenire ancora di più e più incisivamente non più “solo” a valle delle distorsioni e contraddizioni sociali e culturali, con interventi socio-economici e di controllo e repressione delle espressioni distruttive del disagio individuale e collettivo, ma anche a monte, prevenendole attraverso la promozione della consapevolezza del senso e della portata dei diritti e della nonviolenza con le loro implicazioni, ma soprattutto preparando il terreno per lo sviluppo di tale consapevolezza, proprio consentendo il pieno sviluppo della personalità umana.

Inutile nascondersi il peso della sfida che siamo tenuti a sostenere: si tratta di assumersi nuove responsabilità, di affinare nuova consapevolezza e nuove competenze anzitutto negli educatori, di sviluppare relazioni, reti, sinergie, calando l’azione educativa nello specifico tessuto sociale in cui ci si trovi ad operare.

Non è più sufficiente, quindi, essere meri trasmettittori di conoscenze o informazioni, dovendo anche possedere gli strumenti conoscitivi, analitici e metodologici utili allo sviluppo di un’efficace azione educativa.

Contestualizzazione dell’azione educativa

Ma quali sono i “nemici” da combattere, quali le problematiche con cui misurarci, gli ostacoli che si frapporrebbero all’opera educativa di prevenzione e promozione, alla sua azione di coscientizzazione e responsabilizzazione?

E’ necessario un lavoro di contestualizzazione ed una valutazione della dimensione socio-politica in cui ci si deve muovere, per ben calibrare l’azione e aumentarne l’efficacia.

Le contraddizioni insite nella realtà socio-economica occidentale ed internazionale in genere (sperequazioni, oligarchie, democrazie formali e non sostanziali) si traducono in torsioni, sofferenze negli ambiti microsociali e individuali, sviluppando le premesse per ogni tipo di violazioni di diritti e ogni tipo di violenze. Sono frequenti gli impatti deleteri di degradi e precarietà culturali, sociali ed economiche che invalidano in tutto o in parte anche il miglior piano formativo, rendendolo marginale rispetto ad altre priorità di tipo anzitutto esistitivo.

L’idealtipo occidentale, e quindi gli aggregati sociali su cui dobbiamo operare, appare caratterizzato in misura sempre maggiore da un “Io lieve” (contrassegnato da disimpegno, disorientamento, sfiducia verso scienza e progresso, chiusura in sé), che è conseguenza (ma anche concausa) della progressiva strutturazione di ciò che viene definito “egocentrismo cognitivo”, vale a dire l’incapacità di decentrarsi dal proprio Sé, dal proprio vissuto, dai propri schemi e paradigmi culturali, dai propri punti di vista, che impedisce di cogliere vissuti altrui e l’“alterità” in generale.

Va da sé che un – Io lieve – porta con sé altre caratteristiche perniciose, come narcisismo (individuale e di gruppo), edonismo e attaccamento all’attimo presente, col conseguente disancoramento dal proprio passato, dalla Storia, donde assenza di progettualità e futuro. Altro limite significativo d’una cultura sempre più individualistica e immolata al profitto è ciò che Fromm definisce – necrofilia – : l’attaccamento morboso a tutto ciò che è materiale, fine a se stesso, come il feticismo della merce, l’idolatria del denaro, l’alienazione nel consumismo, il tutto nel quadro di quella normalità patologica di cui ci parla lo stesso Fromm.

Tre nemici: Egocentrismo cognitivo, Io lieve, Necrofilia.

Per contrapporsi efficacemente ai limiti sopra menzionati della cultura dominante bisogna individuarne bene l’origine, la fonte.

Tralasciando fattori e questioni macro-sociali e politico-economiche, concentriamoci sugli aspetti che riguardano maggiormente lo sforzo educativo: la dimensione micro-sociale e l’impianto educativo; è proprio qui che emergono le maggiori carenze, nelle programmazioni pedagogiche ed andragogiche sviluppate dalle agenzie di socializzazione ed educative (istituzionalizzate o meno), quindi nell’idea di soggettività e di cittadinanza che sottendono e che di fatto determinano.

Credo che si possano cogliere almeno tre tendenze negative fondamentali di ciò che risulta essere un’errata impostazione formativa sviluppata verso cittadini e futuri cittadini da parte delle istituzioni sociali.

Al primo posto collocherei ciò che appare ancora oggi purtroppo assai evidente: nei luoghi formativi quasi nulla viene fatto per consentire agli individui di rapportarsi col proprio vissuto emotivo-affettivo. Il mancato confronto col proprio mondo interiore, col proprio inconscio, non può che favorire vissuti schizoidi, tendenze paranoiche e la rimozione delle parti negative di sé proiettate poi sull’altro (possibilmente diverso, percepito “debole”, “inferiore”), con conseguenti forme di alienazione e passivizzazione/deresponsabilizzazione. Si proietta sul diverso perché se proiettassimo i nostri vissuti negativi su chi ci somiglia troppo, inevitabilmente ciò si ritorcerebbe contro di noi, in termini di sensi di colpa e conseguenti disturbi psico-somatici: è il diverso il contenitore negativo per eccellenza, in grado di tenere lontano da noi le nostre stesse miserie, in quanto è colui che meno può richiamarci la nostra co-specificità, l’appartenenza alla stessa specie; il diverso rappresenta il capro espiatorio che, come negli antichi riti ebrei, poteva, col suo sacrificio, propiziare il perdono dei propri peccati. Il diverso, dall’universo lgbt alle persone di colore, dagli immigrati ai ROM, dal ragazzino introverso con gli occhiali vittima ideale del bullismo al “folle” perché fuori dagli schemi convenzionali, rappresenta il non-me, e quindi può diventare il mio vaso di Pandora.

Il secondo aspetto riguarda l’inadeguata e insufficiente educazione, da parte dei sistemi formativi istituzionali, al “conflitto sociocognitivo”, vale a dire la mancanza di capacità e/o volontà di consentire una piena comunicazione, il confronto con punti di vista diversi dal proprio. Non vengono incoraggiati “pensiero divergente” e intelligenza emotiva, non viene promossa la capacità critica, creativa e quindi anche potenzialmente trasgressiva.

Infine sottolineerei la mancata trasmissione della dimensione olistica della conoscenza e del rapporto io-altro, del – fatto – sociale e della società nel suo complesso.

Non è facile, a questo punto, proporre un elenco che sia esaustivo degli effetti nocivi sul piano individuale e relazionale di tali deficienze, ma vorrei proporne almeno tre raggruppamenti.

Una doppia cesura: intraindividuale (conscio/ inconscio) e interindividuale (Io/Altro); intolleranza: una rigidità caratteriale, contrassegnata dal rifiuto, più o meno consapevole, verso quanto risulti diverso dal proprio vissuto e dalle proprie conoscenze; l’assenza o l’insufficienza di empatia e condotte pro-sociali e la conseguente deresponsabilizzazione progressiva verso l’Altro.

ERRATA IMPOSTAZIONE PEDAGOGICA

a). assenza di confronto col proprio vìssuto emotivo

b). assenza di educazione al conflitto socio-cognitivo

c). mancata trasmissione della dimensione olistica della realtà e del sapere

EGOCENTRISMO COGNITIVO

EFFETTI

a). doppia cesura: intraindividuale (conscio/ inconscio) ed interindividuale (io/altro)

b). intolleranza (rigidità caratteriale – rifiuto di ciò che è diverso dal proprio vissuto)

c). assenza di empatia e di atteggiamenti e condotte pro-sociali (difficoltà comunicative intra/ interindividuali)

Il ruolo dell’educazione

Lo sforzo educativo, le sue funzioni, la sua stessa ragion d’essere, dovrebbero potersi dispiegare in questo scenario.

A questo scopo propongo degli spunti utili, in chiave estremamente sintetica, a problematizzare e caratterizzare l’operato educativo.

Elias, sociologo, ci parla del concetto di “politicizzazione della psiche”, per informarci che, diversamente da quanto potrebbe sembrare ad un approccio superficiale, l’individuo non è affatto isolato, smentendo quindi il mito dell’individuo-monade e della ineluttabilità della competizione individualistica tipico dell’etica protestante che contrassegna le società capitalistiche, ma intimamente ed estremamente interrelato con l’Altro-da-sé, per la condivisione anche inconscia di simboli, linguaggi, miti, riti, donde l’affermazione, solo apparentemente paradossale, di Elias “l’individuo è gruppo”. Da Lévinas apprendiamo come la nostra soggettività si costruisca attraverso “lo spossessamento del proprio sé, iniziando a temere per l’altro”, a sentirci responsabili per lui.

Partiamo dunque dalla funzione che l’educazione (avendo come destinatari privilegiati scuole, università e carceri) dovrebbe avere: anzitutto formativa con approccio e valenza principalmente informali, ma anche formale/“informativa” (attraverso iniziative pubbliche: tavole rotonde, media, campagne).

Partendo dalle premesse fatte dovrebbe ora risultare più semplice focalizzare due principi cui ispirarsi.

Considerando l’unitarietà della dimensione individuale e sociale, va anzitutto promossa la piena espressione e integrazione della personalità, in raccordo col proprio inconscio e vissuto emotivo-affettivo e intessuta di relazionalità, essendo la cooperazione il nostro destino naturale.

Il secondo principio deve poter riguardare la costruzione della soggettività come progressiva responsabilizzazione verso l’altro, rinunciando all’invischiamento in una dimensione narcisistica del proprio essere. In tal modo si prevengono quelle che Fromm considera le due fonti principali della condotta distruttiva: la propria deresponsabilizzazione e la deumanizzazione dell’altro.

E’ necessario insistere sulla indispensabilità della qualità della relazione nella costruzione della propria identità individuale e di gruppo, nella propria costruzione di significatività; insistere sul ruolo della responsabilità individuale e collettiva verso l’altro e le altre collettività,: l’alterità non deve risultare buonismo di parentesi disimpegnate, ma fondamento della stessa programmazione didattico-pedagogica, della stessa strutturazione della comunità educante e del suo impegno formativo, in tutte le forme implicite ed esplicite di educazione, in tutti i messaggi formali e informali che pervengono alle varie tipologie di individui.

Qualche considerazione, allora, sulle finalità.

L’educazione deve quindi poter condurre al superamento dell’egocentrismo cognitivo e dell’Io lieve (sviluppando confronto e capacità espressiva e comunicativa) e all’assimilazione della dimensione unitaria della realtà, attraverso l’informazione e la formazione orientata all’educazione emotivo-affettiva, allo sviluppo delle capacità introspettive, di ascolto, empatiche e all’induzione di atteggiamenti e condotte pro-sociali. L’obiettivo è non solo quello di ridurre fortemente i rischi che possano svilupparsi potenziali violatori di diritti e condotte distruttive, ma anche quello di promuovere l’attivismo e l’interesse verso i diritti e la loro tutela, atteggiamenti e attitudini nonviolente.

E’ necessario tener presente che un individuo che non ha potuto incontrare sé stesso, avere adeguate occasioni di formazione è di fatto un individuo scisso da sé, separato dal proprio inconscio, realtà di sofferenza di chi non ha potuto godere del diritto al pieno sviluppo e alla piena espressione della propria personalità, quindi solo consequenzialmente, questa persona può risultare, anche, un potenziale violatore di diritti o un oppressore, per effetto della proiezione delle proprie negatività/paure/frustrazioni/insicurezze/ inadeguatezze sull’altro. Un individuo incompiuto e incompleto, “monco”, é di conseguenza incapace di gestire in modo adeguato e responsabile i propri ruoli e i rapporti con gli altri (familiari compresi), non può essere in grado di gestire in modo costruttivo il conflitto.

Si rivela allora indispensabile ricollegare le persone al proprio inconscio, alla proprie emozioni, educando alle emozioni, sviluppando intelligenza emotiva, anche attraverso l’uso di metodologie (come la musicoterapia, drammatizzazioni, psicodrammi, sociodrammi, il Teatro dell’Oppresso di Boal, il living theatre) con la collaborazione di esperti e l’apertura fattiva al territorio, giacché non può risultare sufficiente informare/formare attraverso lezioni mirate, tavole rotonde, dibattiti e iniziative coinvolgenti: è necessario il passaggio alla fase più propositiva, di maggiore impegno e coinvolgimento. Non va ignorata la dimensione e la responsabilità socio-politica dell’educazione: partendo dalla consapevolezza della soggettività che s’intende promuovere, è consequenziale la proposta, implicita o esplicita, di una cittadinanza attiva, partecipativa, cooperativa e solidale, rispettosa dell’ambiente e dei bisogni fondamentali altrui; una cittadinanza ecologica, volta alla realizzazione e al rispetto reciproci nella dimensione relazionale Io/Altro.

Per indurre al superamento dell’egocentrismo e delle scissioni suddette, le sedi formative devono essere in grado di predisporre metodologie e tecniche che forniscano utili spunti e provocazioni, vere e proprie palestre socio-affettive che offrano possibilità concrete di cogliere vissuti propri e altrui, delle esperienzeponte, alfabetizzando sul piano affettivo, inducendo capacità di cogliere e individuare fenomeni psicologici e socio-culturali, decostruendoli ed intervenendo in modo critico su di essi.

Grande rilievo va dato alla qualità della comunicazione, a partire dalle strutture: aule circolari, banchi disposti a cerchio, priorità alla comunicazione faccia a faccia e alla possibilità di gestire i feedback; anche il gioco e le attività ludo-didattiche devono avere centralità strategica.

Formazione ed educazione, promuovendo l’impianto metodologico informale, devono poter incidere, direttamente o indirettamente, in tutte le sedi istituzionali, formali ed informali, per ridare priorità ai diritti umani ed allo sviluppo della pace, nelle accezioni ampie suddette, all’interno dei programmi educativi, culturali, sociali, politici ed economici; per contribuire a ripensare in modo equo l’ordine mondiale e la distribuzione delle risorse e delle opportunità di sviluppo, scongiurando le diverse forme di violenza individuate da Galtung: diretta, strutturale e culturale.

Il ruolo dell’educazione che prende corpo è quindi estremamente ambizioso, riassumendo in sé diversi aspetti e compiti, ed è per questo che emerge con urgenza la necessità di ripensarne la collocazione e la strutturazione istituzionale, anzitutto in campo metodologico.

PRIORITÀ

a). educazione al conflitto socio-cognitivo;

b). educazione affettiva e comunicazione efficace;

c). sviluppo del pensiero creativo/divergente e critico/analitico;

d). educazione all’analisi critica dei fenomeni psicologici e socio-culturali;

METODOLOGIE

a). educazione informale;

b). metodologie partecipative (drammatizzazioni, socio-drammi);

c). approcci ludici e ludo-didattici;

d). didattica cooperativa.

Un linguaggio universale

Uno sciamano compie dei riti, esegue movimenti antichi, studiati, lascia fluire attraverso sé simboli archetipici, richieste ancestrali, linguaggi misteriosi. Una bambina disegna il suo corpo con dei colori millenari e danza movimenti sapienti e spontanei che nessuno le ha mai insegnato. Un guaritore sussurra cifre e codici estraendo demoni dal corpo del malato. Un sogno rivela metafore illuminanti unendo l’orrido al fantastico. Un artista getta i colori e le linee del suo inconscio su una tela che poi mostrerà orgoglioso ad ignari acquirenti. Una pazza urla le voci dell’indicibile e della paura ai passanti che cercano con l’ordine apparente di un’apparente razionalità di nascondersi a sé stessi…

Esiste un mantra caleidoscopico dell’universo che attende di essere scoperto e liberato, un’energia immensa e formidabile. Sinestesie insospettabili appena sotto la nostra pelle chiedono che il fuoco dell’intercultura e dell’educazione possa forgiarle e adoperarle come lingua universale.

Una lingua universale, ecco cosa manca, ancora: un linguaggio ed un’educazione che consentano ad un discorso interrotto di riprendere, che diano alle singole persone la possibilità di toccarsi, di incontrarsi con sé stesse, di guardarsi dentro; alle culture di potersi ritrovare dinanzi ad uno specchio per cogliersi e liberarsi dalle miserie, colmando quei salti logici che hanno bloccato la costruzione del senso e della significatività.

Ecco la grande missione, la difficile sfida che ha davanti a sé l’educazione informale: ricollegare le persone con se stesse e con l’Altro da sé, recuperando quel serbatoio rimosso di emozioni e significatività, amando il gioco e la creatività come opportunità espressive, come leve che facciano saltare un ordine fittizio giustapposto all’armonia dell’autentico, frantumando la pietra del sepolcro.

Noi occidentali, malati di razionalismo e tecnologia, abbiamo dimenticato il potere della magia creatrice, temiamo l’incontro col nostro inconscio o abbiamo la presunzione di potervi dialogare col linguaggio della nostra razionalità, mentre culture alternative-primitive parlano il linguaggio archetipico dimenticando poi di tradurlo e di riportarlo alla dimensione consapevole della quotidianità.

L’educazione informale è il laboratorio perenne all’aperto in grado di coniugare i doni delle diverse culture ponendole al riparo dai propri vizi, giacché ognuna può essere guaritrice dell’altra: un osservatorio privilegiato e disincantato che possa decostruire per trovare nuove sintesi allo scopo di restituire le persone e le culture alla propria interezza, alla sanità.

L’educazione informale si muove con l’accortezza dell’archeologo che deve ricostruire il senso dietro la distruzione, con l’umiltà di chi è pronto a farsi trasformare dalle proprie stesse scoperte, dalla profondità degli incontri che costruisce, dall’intensità delle esperienze che rimescolano le carte, scompaginando l’ordine precostituito.

Un percorso difficile, da farsi con l’ausilio di esperti e col rispetto dei tempi e delle sofferenze altrui, ma, sicuramente, un percorso insostituibile.

Bibliografia di riferimento

1). O. F. Bollnow, “Le tonalità emotive”, Milano, Vita e Pensiero, 2009;

2). E. Fromm, “Anatomia della distruttività umana”, Milano, Oscar Mondadori, 1995;

3). U. Morelli, “Conflitto”, Roma, Meltemi, 2006;

4). F. Dogana, “L’Io lieve”, in “Psicologia Contemporanea” n. 173, Firenze, Giunti, 2002;

5). S. Bonino, “L’egocentrismo e la guerra”, in “Psicol. Cont.” n.169, Firenze, Giunti, 2002;

6). F. Dalal, “Prendere il gruppo sul serio”, R. Cortina, Milano, 2002;

7). S. Malka, “Leggere Levinàs”, Brescia, Queriniana, 1986;

8). J. Derrida, “Sull’ospitalità”, Milano, Baldini & Castoldi, 2000;

9). A. Donadio (a cura di), “Educazione informale”, Roma, Amnesty International, disponibile on line sul sito www.amnesty.it e su internet alla voce educazione informale;

10). sul carteggio Freud-Einstein: cfr. A. Donadio, “La lunga storia del rapporto fra la psicologia e i diritti umani”, Rivista on line “Voci” del Centro Studi “P. Benenson”, anno 1 n. 3, Palermo, Amnesty International, luglio 2015;

11). A. Donadio, “Danzare tra le fauci del drago. Il potere del teatro per la trasformazione nonviolenta dei conflitti”, Quaderni Satyagraha n. 24, Pisa, Centro Gandhi, 2013.

Stop Bullying Training, Portogallo / Ph.: Amnesty International Portugal

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