Mensile di politic a, cultura e informazione ANNO XLVII - n. 6 Giugno 2013
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Giancarlo Vittucci Righini
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Grazie ad appena uno 0,50% in più, pari a meno di 150.000 voti, in base alla legge detta “porcellum” la lista delle sinistre (PD + SEL di Vendola) ha ottenuto il 55% dei seggi alla Camera dei Deputati. Invece al Senato dove si votava con un sistema diverso, il numero dei seggi di PD e SEL superava di poche unità quello del centrodestra. I disperati tentativi di Bersani di giungere ad un accordo con il Movimento 5 Stelle di Grillo e compagni è miseramente fallito, così come è fallito il duplice tentativo di eleggere presidente della
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repubblica prima Marini e poi Prodi a causa di troppi franchi tiratori nelle liste del PD. A questo punto grazie anche all’appoggio determinante del solito Berlusconi, Napolitano è stato forzato ad accettare la rielezione, cosa mai avvenuta in precedenza. Il Capo dello Stato che, come abbiamo già riconosciuto altre volte, pur avendo un’origine comunista, ha continuato a tenere un comportamento non fazioso bensì responsabile, dopo aver conferito con i capi dei vari partiti, ha affidato l’incarico al vicepresidente dimissionario del PD Enrico Letta, un politico ancora giovane proveniente dalla sinistra democristiana, il quale in un batter d’occhio è riuscito a costituire un governo con esponenti provenienti dal PD, dal PDL e da Intesa per l’Italia, che ha ottenuto una solida maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Si temeva in particolare l’ostruzionismo dell’ala più estrema del PD, costituita dai veterocomunisti di marca bersaniana e dai cattocomuisti alla Bindi, che si sono dovuti rassegnare di fronte al pericolo di una scissione ed a quello altrettanto insidioso di uno scioglimento delle Camere. Tuttavia l’appoggio di costoro è da ritenere provvisorio e condizionato, tanto è vero che nessuno dei big del PD, da D’Alema a Renzi, da Marini a Prodi alla Bindi fa parte del governo; anzi quest’ultima che è nota per essere “più bella che intelligente” secondo la definizione di Sgarbi, ha auspicato “Un governo di scopo del Presidente, ma con bassa caratura politica delle figure che ne fan-
no parte” (La Stampa - 25 aprile). Il centrodestra ha ottenuto un importante riconoscimento con la nomina a Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Interni di Angelino Alfano, segretario del PDL e bracciodestro di Berlusconi (al suo posto o addirittura a quello di Letta avrebbe potuto esserci il trombato Fini se si fosse comportato con maggiore coerenza e lealtà); altri ministeri importanti alla radicale abortista Bonino (Esteri) a Mauro ex PDL ora Intesa per l’Italia (Difesa), al Prefetto Cancellieri (Giustizia), al tecnico Saccomanni (Economia), al PDL Quagliariello (Riforme), alla PD nata in Congo Kienge (Integrazione), alla PD Carrozza (Istruzione). Il compito del neopresidente del Consiglio è tutt’altro che facile; dovrà contemperare le esigenze della sinistra: aiuti alle categorie più colpite dalla crisi (esodati, disoccupati, ecc.), e del centrodestra (riduzione della pressione fiscale, soppressione dell’Imu sulla prima casa, sostegno alle aziende che assumono nuovi dipendenti, ecc.). Dovrà anche guardarsi dalle insidie provenienti dalle ali più estremiste dei due maggiori partiti PD e PDL che attualmente lo sostengono e che non vedono l’ora di trovarsi nuovamente l’una contro l’altra. Dai sondaggi risulta che ove si tornasse a votare il centro-destra si ritroverebbe ad essere di gran lunga il primo partito, mentre le sinistre sconterebbero il malumore del loro elettorato e si frammenterebbero. Quanto al Movimento 5 Stelle riteniamo che abbia
Tassa riscossa TORINO - C.M.P.
ALLEANZA MONARCHICA
PANORAMA POLITICO econdo quando avevamo auspicato fin dal nostro numero di febbraio e ripetuto in seguito, si è arrivati finalmente ad un governo di larghe intese costituito da PD, PDL e Intesa per l’Italia. Chi non se ne voleva dare per inteso, vale a dire Pierluigi Bersani, ha visto crollare tutte le proprie speranze di diventare Presidente del Consiglio in quanto segretario e leader del PD, partito di maggioranza (molto) relativa.
TAXE PERÇUE
ASSEMBLEA NAZIONALE raggiunto il suo apice in occasione delle elezioni politiche, e che come avevamo previsto il suo riflusso sia già iniziato perché i suoi dirigenti hanno dimostrato abbondantemente di meritare la definizione di “dilettanti allo sbaraglio” che non sanno quello che vogliono ma lo vogliono subito. Infine una breve riflessione: i mal di pancia dei capi del PD ed il disorientamento degli elettori di sinistra sono giustificati dalla politica fin qui seguita. Da venti anni attaccano con violenza e con ogni mezzo l’On. Berlusconi accusandolo di rappresentare il male assoluto, di connivenza con la criminalità organizzata, di mastodontica evasione fiscale, di amoralità e chi più ne ha più ne metta; asserivano che i suoi eletti ed elettori erano “impresentabili” che mai e poi mai si sarebbero abbassati ad un accordo con loro e poi alla fine in pochi giorni hanno dovuto rimangiarsi tutto. Resta il fatto che ancora una volta il Cavaliere - che sembrava ormai destinato ad una fine ingloriosa preconizzata dalla quasi totalità dei mass-media, compresi quelli sedicenti indipendenti italiani e stranieri, e propiziata da una serie di disavventure giudiziarie - è riuscito a risalire la china ed ottenere un risultato elettorale valido, oltre che imprevedibile, a giocare con abilità le sue carte, sconfiggendo i suoi più feroci avversari che facendosi forti del loro numero si preparavano ad insediarsi alla Presidenza del Consiglio ed a quella della repubblica per dagli la mazzata finale. ■
L’Assemblea Nazionale dell’Alleanza Monarchica è convocata Sabato 29 giugno alle ore 10, in Via Ravaschieri 19 a Chiavari - GE (cell. 339/96.897.350), per deliberare sul seguente Ordine del giorno: 1) Conferma e ratifica dell’autorizzazione al Movimento politico “Italia Reale” dell’uso del simbolo “Stella e Corona”, con conseguente concessione dei diritti dell’“Alleanza Monarchica” sul simbolo stesso; 2) Confluenza dell’“Alleanza Monarchica” nel Movimento politico “Italia Reale”, modi e termini; 3) Varie ed eventuali. Il Presidente Nazionale Avv. Roberto Vittucci Righini
GOVERNO NAPOLITANO-LETTA a pag. 2
I REGALI DELLA D.C. a pag. 3
RE GUGLIELMO ALESSANDRO a pag. 7
CRISI COREANA a pag. 7
ITALIA REALE - 6/2013
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Roberto de Mattei
G.V.R.
IL FALLIMENTO OBBLIGATO PANORAMA DEL GOVERNO NAPOLITANO-LETTA INTERNAZIONALE uò darsi che, se si vuole evitare ad ogni costo il ritorno alle urne, il nuovo esecutivo sia, come ha dichiarato il Presidente Napolitano, “l’unico governo possibile”. Ma, d’altra parte, il fallimento di questo governo, malgrado il vasto consenso parlamentare e mediatico che lo sostiene, appare più che possibile, certo. La prima ragione di questo fallimento obbligato è politica.
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Il governo NapolitanoLetta si ispira alla stessa filosofia del governo Napolitano-Monti che lo ha preceduto e non può che conoscere analoga débacle. Il primo si presentava come un governo di tecnici, sostenuto dai voti dei due principali partiti di opposizione; il secondo è un governo non tecnico, ma tecnocratico, in cui i due partiti, obbligandosi ad uno spurio compromesso, entrano a far parte della medesima compagine governativa e seguono la stessa agenda, dettata dalla Banca Centrale Europea e dai custodi dell’utopia europeista, come Angela Merkel. La democrazia rappresentativa è fondata sul rapporto dialettico tra il governo, espressione della maggioranza dei cittadini e l’opposizione, che rappresenta coloro che nel governo non si riconoscono. La tradizione rappresentativa occidentale non nasce tuttavia con le democrazie moderne, ma è un prodotto tipico del Medioevo, e ha le sue radici nei rapporti politici e sociali del sistema feudale e corporativo, distrutto dalla Rivoluzione francese. La democrazia del XIX e del XX secolo è invece evoluta in senso anti-rappresentativo, per divenire una democrazia totalitaria, che fa tabula rasa non solo dei principi che trascendono la politica, ma delle stesse categorie di maggioranza e di opposizione che dovrebbero costituire l’essenza del regime parlamentare. Lo stato italiano, fin dalla sua nascita, nel 1861, conobbe la degenerazio-
ne del sistema parlamentare, contro cui sorse il fascismo, un regime la cui vocazione totalitaria fu frenata dalle presenze istituzionali della Chiesa e della Monarchia. Dopo la caduta del fascismo, si formò tra il 1943 e il 1944 un governo di “unità antifascista”, fondato sull’elevazione a concetto metafisico di un fatto storico, la Resistenza. Negli anni ’60 il Concilio Vaticano II fu inteso da molti come l’inizio di quella purificazione che avrebbe dovuto preludere all’incontro fra cattolici e comunisti. Proprio in nome della Resistenza e dell’ “unità nazionale” nacque il progetto gramsciano-berlingueriano di compromesso storico, abortito nel 1978 per il rapimento e la morte di Aldo Moro. Il mito dell’“unità nazionale” continuò però ad aleggiare, mentre i successivi tentativi della sinistra comunista e postcomunista di conquistare il potere si infransero contro nuovi ostacoli, a cominciare dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994. Da allora il vero problema della sinistra italiana non è stato tanto di arrivare al governo, ma di riuscire a mantenere il potere. La sinistra non è riuscita ad abbattere Berlusconi né per via politica né per via giudiziaria, ma è dovuta ricorrere ai poteri forti extra e sopranazionali, intervenuti in nome di una crisi economica da essi stessi artificialmente alimentata, prima che la situazione precipitasse realmente, proprio a causa della disastrosa politica finanziaria del governo Monti. Nelle elezioni del febbraio 2013, Berlusconi è ritornato in campo e il novanta per cent o degli italiani si è espres-
so contro il salvatore della patria Mario Monti, la cui “Scelta civica” ha ottenuto alla Camera solo il 10,5% dei voti. La situazione di ingovernabilità che è seguita avrebbe dovuto portare alle elezioni anticipate e non certo alla rielezione di un governo di “larghe intese” che oggi ingloba quelle stesse forze politiche che avevano sostenuto Mario Monti. Il governo NapolitanoLetta è una riedizione del precedente, spogliata di qualche clamoroso errore come l’imposizione dell’IMU. Enrico Letta segue attentamente le indicazioni del suo padrino Giorgio Napolitano e su tutti vigilano con attenzione i poteri forti europei. Il cambiamento di parola d’ordine, da “austerità” a “sviluppo”, segue le indicazioni ricevute da Bruxelles e da Francoforte. Che sia così, lo conferma la scelta come premier dello stesso Letta, proveniente dall’ala tecnocratica della sinistra democristiana e la consegna del ministero chiave dell’Economia e delle Finanze a Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia, e uomo di fiducia della BCE. La terza “icona” dell’esecutivo, dopo Letta e Saccomanni, è Emma Bonino, che garantisce con la sua presenza al Ministero degli Esteri, la amoralità, più ancora che l’immoralità del nuovo governo. La Bonino non proporrà i matrimoni omosessuali, lasciando che a farlo provvedano i gruppi parlamentari, ma sarà il volto ufficiale dell’Italia all’Estero: quell’Italia laica e libertaria, che dal 1978 ad oggi ha ucciso quasi sei milioni di bimbi, un decimo della sua popo-
lazione, e che si è data come missione la dissacrazione di tutti i principi e le istituzioni tradizionali su cui, nel corso dei secoli, si è costruita la nostra Nazione. E che le tre “icone”, Letta, Saccomanno, Bonino, abbiano più di qualcosa in comune ce lo conferma un comunicato stampa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), che f or m ul a “a l pr e mier Enrico Letta e ai ministri degli Esteri Emma Bonino e dell’economia Fabrizio Saccomanni, tutti e tre membri del Consiglio direttivo dello IAI l’augurio di buon lavoro dell’Istituto, con l’auspicio di riuscire a interpretare le istanze di cambiamento italiane ed europee e a rafforzare la credibilità dell’Italia nell’UE e il processo di integrazione”. Lo IAI, fondato nel 1965, sul modello dei think tank anglosassoni, dall’eurocrate comunista Altiero Spinelli, è la filiazione italiana di istituzioni mondialiste come il “Council on Foreign Relations” americano.Tra i suoi esponenti di punta fu l’ex governatore della Banca d’Italia Guido Carli, firmatario italiano, nel 1992, del Trattato di Maastricht, come Ministro degli Esteri nel settimo governo Andreotti. Il salvataggio dell’euro e dell’Unione Europea resta un obiettivo primario del nuovo governo tecnocratico Napolitano-Letta, che per sopravvivere ha bisogno del mito totalitario dell’unità nazionale. A chi si illude sul possibile buon esito di questa ricetta bisogna ricordare che il bene comune di una nazione è sempre, prima di tutto, morale e che le nazioni, come gli uomini hanno un’anima che le sostiene. L’Italia per rinascere sul piano economico e polico, non ha bisogno di ridurre il suo debito, ma innanzitutto di ritrovare la propria identità spirituale e morale. Non altra “emergenza” al di fuori di questa. ■
Europa La Germania sotto la guida di Angela Merkel non soltanto gode di una buona situazione economica che le consente di influenzare le politiche degli altri Stati europei a cominciare dall’Italia ma sta mietendo ulteriori successi nel settore dell’export. Attualmente la politica tedesca è quella di incrementare i rapporti con le nazioni extraeuropee dalla Cina al Kazakistan, mentre in Europa aumentano i problemi ed i conflitti di interesse su deficit, debito pubblico e salvataggi. Al fine di ottenere maggiori vantaggi la Germania si defila ogni volta che la situazione internazionale si complica. Così ha fatto evitando di intervenire in Libia nel 2011 ed intensificando i rapporti con la Cina ed il Kazakistan, senza preoccuparsi della loro costante violazione dei diritti umani. Rimanendo sempre in tema di questioni economiche c’è da rilevare la crisi delle sinistre, in particolare socialiste e socialdemocratiche che a seguito dei pesanti problemi provocati dal crollo dei mercati del 2008 si erano illuse di essere le artefici di un nuovo patto tra Stati e mercati. Tuttavia la nazionalizzazione dei debiti del settore privato ha provocato la crisi del modello sociale europeo. I politici progressisti ritenevano che gli elettori avrebbero dovuto premiare i loro programmi poiché avevano sempre sostenuto la regolamentazione dei mercati, ma in effetti essi avevano favorito in modo eccessivo l’espansione del credito senza preoccuparsi delle necessarie garanzie, per cui la loro risposta al crollo è stata insufficiente.
Troppo propense a seguire teorie astratte che fanno a pugni con la realtà e che alla lunga si rivelano controproducenti portando a conseguenze devastanti, le sinistre europee si illudono che una politica di eccessiva austerità possa arrecare loro dei vantaggi, senza comprendere che uno Stato più invasivo finanziato da un debito più grande non costituisce la risposta giusta per uscire dalla crisi. È invece necessario che l’Europa sostenga un adeguato modello sociale attraverso il rafforzamento della capacità concorrenziale anche in ambito extraeuropeo, sviluppando mercati flessibili che procurino lavoro ai giovani e consentendo che i servizi pubblici siano erogati da società private qualora queste si rivelino più efficienti e meno costose. In Russia l’ex Armata Rossa sta attraversando una grave crisi, poiché le sue attrezzature tecnologiche risalgono a molti anni or sono e sono ampiamente superate da quelle degli eserciti occidentali. Le medesima situazione si verifica nel settore nucleare ed in quello collegato dei missili strategici. La situazione si è ulteriormente aggravata perché a causa del declino della natalità e della facilità per ottenere l’esenzione dal servizio militare le reclute sono, sempre più spesso, meno motivate ed istruite. Intanto nei Balcani si accentua la penetrazione dell’Iran, attraverso aiuti non solo di carattere finanziario ad organizzazioni islamiche estremiste o addirittura terroristiche, da Cipro alla Grecia, dalla Bosnia alla Macedonia ed alla Romania. America
Così in Francia il presidente Hollande che ha vinto le elezioni grazie al rifiuto degli elettori nei confronti di Sarkozy e Carlà, ha dimostrato assoluta incapacità applicando un’assurda aliquota d’imposta del 75% sui maggiori contribuenti.
La politica inaugurata dal “pacifista” Barack Obama di colpire ovunque i “nemici di guerra” attraverso omicidi mirati facendo ricorso ai droni si dimostra efficace anche se ha suscitato critiche da parte di esponenti politici come il
ITALIA REALE - 6/2013
repubblicano Rand Pual esponente dei Tea party il quale ha accusato la Casa Bianca di “diritto incostituzionale di uccidere cittadini americani sulla base di semplici sospetti”. In Venezuela è stato eletto presidente Nicolas Maduro, comunista, designato a succedergli dallo stesso caudillo Hugo Chavez poco prima di morire. La vittoria di Maduro, nonostante l’appoggio totalitario dei mass media e delle organizzazioni governative, sindacati compresi, è stata di stretta misura e c’è da ritenere che solo grazie alle intimidazioni ed ai brogli sia riuscito a prevalere sul candidato dell’opposizione Henrique Capriles.
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opportunità per competere sul libero mercato. In Birmania (Myanmar) prosegue la persecuzione della minoranza musulmana da parte dei buddisti. L’anno scorso a seguito delle violenze subite oltre 100.000 persone di fede islamica sono state costrette a lasciare le loro case. Prosegue inoltre senza sosta il conflitto tra le truppe governative e i ribelli indipendentisti del Kachin. La leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi eletta recentemente in Parlamento è stata accusata di aver avallato un rapporto politico che non aveva stigmatizzato le violenze della polizia su dei minatori in sciopero. ■
Asia
GIUSTIZIA?
In Siria la situazione si sta aggravando.
Nel mentre sono sempre in atto i provvedimenti di giudici che lasciano a piede libero persone che hanno ucciso o compiuto gravi reati anche di sangue, un uomo nato nel 1919 e pertanto di 94 anni è finito per la seconda volta, anche se solo temporaneamente, in carcere a seguito di condanna a 6 mesi di reclusione per minacce che avrebbe pronunciato contro una coppia di fidanzati che si scambiava effusioni su un mezzo pubblico. Il “pericoloso criminale” che era incensurato, che è stato eroe di guerra e che è malato, dal carcere del Pollino è tornato presso la comunità vicino a Cosenza che lo ospita. ■
Israele sempre più preoccupata dai massicci aiuti in armi e volontari provenienti dall’Iran e dalle organizzazioni armate sciite, ha iniziato una serie di bombardamenti su comandi e basi strategiche del regime di Assad. Così facendo però rinforza la posizione dei ribelli tra i quali sono infiltrati abbondantemente terroristi di Al Qaeda ed estremisti salafiti; inoltre vi è la possibilità di un allargamento del conflitto perchè il governo siriano potrebbe trovarsi costretto a colpire a sua volta Israele. Il capo del governo giapponese Shinzo Abe ha intrapreso una politica di ferma opposizione di fronte alle provocazioni della Cina rossa la quale mira ad impadronirsi delle isole SamkakuDiaoyu ed ha rievocato in parlamento la difesa delle Falkland da parte dell’Inghilterra. In Corea del Sud la nuova presidente Park GeunHye ispirandosi all’esempio della Lady di ferro Margaret Thatcher sta realizzando una politica economica che consiste nell’offrire a tutti pari
Park Geun Hye Presidente Corea del Sud
Domenico Giglio
LUIGI CARLO FARINI RICORDATO DALLE POSTE ITALIANE NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA e Poste italiane hanno emesso un francobollo commemorativo del bicentenario della nascita a Russi in provincia di Ravenna, di Luigi Carlo Farini, importante figura del nostro Risorgimento che ebbe un fondamentale ruolo nel periodo 18591860, dopo l’armistizio di Villafranca, per assicurare l’adesione dei Ducati e dell’Emilia Romagna al Regno Sabaudo, evitando il possibile ritorno dei Sovrani spodestati. Quanti però degli altri protagonisti sono ancora oggi dimenticati da B ett in o R i ca s ol i , i l “Barone di ferro”, primo successore di Cavour, a Gabrio Casati, la cui legge ha disciplinato per quasi un secolo la pubblica istruzione, ai La Marmora, a Cialdini, a Minghetti, a Luigi Settembrini, a Giovanni Lanza, il Presidente del Consiglio che riunì Roma all’Italia, ad Agostino Depretis, ai cinque fratelli Cairoli di cui ben quattro morirono per il rag g iung i ment o de l l’Unità e l’unico superstite fu Presidente del C ons i g l i o duran te i l regno di Umberto I e si prese una coltellata nella coscia dal Passanante, episodio che oggi si cerca di ridimensionare parlando di un temperino.
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Questi personaggi, o l t re a q u a n t o com p i u t o, s a re b b e ro d a ricordare perché furono tutti di una specchiata moralità pubblica e privata e quindi un esempio da additare specie oggi a chi vuol fare politica seria ed onesta, e di questa moralità Farini è stato l u m i n o s o e s e m p i o. Quando morì a Quarto il primo agosto 1866 era in condizioni di povertà tali (malgrado fosse anche stato insignito da Re Vittorio Emanuele II del “Collare dell’Annunziata”, primo borghese a ricevere tale altissimo riconoscimento) che la Camera dei Deputati votò una pensione per la vedova. Farini proveniva da una famiglia di patrioti, uno zio Domenico Antonio, nome che Farini dette ad uno dei suoi figli, e che
fu pure figura di spicco nell’Italia Umbertina, prima come Presidente della Camera e poi del Senato del Regno, fu assassinato la sera del 31 dicembre 1834 con una coltellata alle spalle per le sue idee liberali. Farini si laureò in medicina, alternando la sua attività medico scientifica con l’impegno politico, prima nel breve esperimento di governo costituzionale dello Stato Pontificio, con Pellegrino Rossi, come Direttore della Sanità e poi, dopo l’esilio in Toscana, approdando in Piemonte accolto con sincera amicizia da Massimo d’Azeglio (l’altro grande dimenticato dalle Poste che ne hanno messo l’effigie senza il nome nel francobollo commemorativo della Provincia di Milano) ed avendo ottenuto la cittadinanza piemontese il 9 febbraio 1850 fu nominato da d’A zeglio nel Consiglio Superiore della Sanità e successivamente nel 1851 Ministro della Pubblica Istruzione. A quest’intensa attività politica si unì anche l’attività pubblicistica con un fondamentale studio sulle condizioni dello Stato Pontificio che fu letto anche in Inghilterra da Gladstone, e con numerosi articoli sulla
Roberto Vittucci Righini
I REGALI CHE CI HA LASCIATO LA D.C. l Governo presieduto dal democristiano Mariano Rumor, il 29 dicembre 1973 fece entrare in vigore un Decreto che prevedeva la possibilità per i dipendenti pubblici di andare in pensione con 19 anni 6 mesi e 1 giorno per gli uomini, 14 anni 6 mesi e 1 giorno per le donne con prole e 24 anni 6 mesi e 1 giorno per i dipendenti degli enti locali.
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In base ai dati dell’Inps e dell’Inpdap all’1 gennaio 2011 le persone che hanno cominciato ad usufruire del Decreto quando avevano meno di 50 anni, sono state poco più di 531 mila, per un costo complessivo di 9 miliardi e mezzo l’anno.
107 mila pensioni sono erogate dall’Inps e 425 mila dall’Inpdap, le prime con un costo annuo poco superiore a 2 miliardi di euro e le seconde, con un costo di 7,4 miliardi l’anno, comprendono anche le pensioni d’invalidità, ma la maggior parte riguarda pensionamenti anticipati. La Confartigianato ha calcolato che i “baby” pensionati italiani pubblici e privati hanno ricevuto la pensione in media per 16 anni in più rispetto al pensionato medio, con un costo nel 20 10 superiore a 148,6 miliardi di euro. In base ad un calcolo medio si tratta di persone che percepiscono la pensione per quasi 41
35 anni di età e tenuto conto che l’età media è salita a 85,1 anni, godono per più di 50 anni la pensione riscuotendo il triplo di quanto versato in contributi.
On. Mariano Rumor. Il Governo da lui presieduto incrementò il disavanzo pubblico. anni; sempre in base alla Confartigianato quasi 17 mila di queste pensioni riguardano persone, in gran parte ex dipendenti pubblici, che hanno abbandonato il lavoro a
I 9 miliardi e mezzo l’anno che lo Stato spende per i pensionati “baby” (tra il 4 e il 5% delle spese pensionistiche) sono all’incirca il doppio di quanto, secondo la Confindustria, costano all’Italia ogni anno i 180 mila eletti nelle varie assemblee politiche, più semplicemente quanto giustamente denominati la “casta”. I dati di cui sopra sono stati tratti dal quotidiano “La Stampa”. ■
stampa inglese dalla Press al Morning Post. D i ve n u t o u o m o d i fiducia di Cavour ed anche suo consigliere dopo l’esperienza nei Ducati, fu da Cavour nominato Ministro dell’Interno nel 1860. Morto nel 1861 Cavour a cui fu vicino anche negli ultimi giorni, nel dicembre 1862 fu designato dal Re a form a re i l M i n i s t e ro, dopo quello di Rattazzi, incarico che lasciò dopo pochi mesi, essendosi aggravate le sue condizioni di salute. In una Romagna estremista e rivoluzionaria Farini rappresentò l’ala moderata e monarchica, quella che ha saputo costruire l’Unità e lo Stato e come tale va ricordato, come del resto ha ben fatto il vecchio liberale Antonio Patuelli nel bollettino illustrativo delle Poste. ■
STRISCIA LA NOTIZIA Una volta, e forse ancora oggi, veniva detto che per risolvere taluni problemi di giustizia nel Sud d’Italia fosse più facile e conveniente rivolgersi alla mafia anziché alla Magistratura. Può essere che qualcuno lo facesse anche se poi, ne siamo certi, avrebbe finito col farne le spese in proprio con il conseguente onere di doversi sdebitare con i mafiosi. Oggi, però, esiste un metodo più semplice e sicuro, contattare la Re dazione della tra smissione televisiva “Striscia la notizia” nella speranza che in caso di latitante giustizia, il caso segnalato formi oggetto di un servizio che lo porti a pubblica conoscenza. Seguendo tale programma a volte si può infatti osservare come alla segnalazione di fatti di rilevanza penale che non hanno visto l’interessamento delle Forze dell’Ordine o della Magistratura, dopo le tramissioni di “Striscia la notizia” si ottengono gli sperati interventi. ■
ITALIA REALE - 6/2013
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Franco Ceccarelli
PROFILI DI MONARCHICI ALFREDO MISURI a storia del mondo monarchico nel periodo repubblicano, è ricca di personaggi, di maggiore o minore spessore, che in molti casi hanno dedicato l’intera vita a sostegno di una Causa che, ancora oggi, trova moltissimi proseliti in Italia, nonostante gli sforzi dei mezzi di informazione per far apparire la presenza monarchica poco più di un fenomeno circoscritto.
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È giusto, soprattutto a favore dei giovani e dei giovanissimi, ricordare quegli esponenti del nostro mondo che si sono distinti, in periodi non semplici per i monarchici, per riaffermare la validità della nostra alternativa istituzionale. Uno di questi personaggi è Alfredo Misuri che, negli anni della transizione dal regime monarchico a quello attualmente vigente, svolse ruoli non secondari nel nostro mondo. Misuri era nato a Perugia il 17 maggio 1886, da una famiglia di proprietari terrieri di una certa agiatezza che gli aveva fatto compiere studi regolari. Nel 1913, presso la Regia Università di Perugia, conseguiva la laurea in Scienze naturali. In possesso di indubbio talento, già nel 1915 - nemmeno trentenne - gli veniva attribuita la libera docenza in Zoologia presso la Regia Università di Palermo,Ateneo presso il quale, appena laureato, era già stato aiuto presso la cattedra di Zoologia e anatomia comparata. Si trasferiva quindi presso la Regia Università di Messina ma già nel dicembre 1915 veniva arruolato come Tenente commissario, svolgendo il lavoro presso l’Ospedale della Croce Rossa Italiana di Montepulciano. Terminato il conflitto, e rientrato a Perugia, iniziò la propria carriera politica candidandosi alle elezioni comunali della sua Città, venendo eletto, a fronte di un’importante affermazione del Partito Socialista, con l’opposizione moderata. Nel gennaio del 1921 Misuri fu tra i fondatori del Fascio di Perugia, impegnandosi attivamente per l’affermazione di
quello che, come tanti altri Italiani preoccupati dall’evoluzione della situazione politica e sociale alla fine del primo conflitto mondiale, vedeva nel neonato movimento fascista un’opportunità per la stabilizzazione della situazione politica e per il raggiungimento di almeno una parte degli obiettivi che il Paese si era prefisso con l’entrata in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa nel 1915, in larga parte disattesi dalla realtà dei fatti. Nelle elezioni politiche del 1921 fu candidato per il Blocco Nazionale nel collegio di Perugia, venendo eletto al Parlamento con oltre 100.000 voti. Sin dall’inizio però, il giovane Prof. Misuri, liberale e fortemente, dichiaratamente monarchico, non poté non entrare in conflitto con quella parte del movimento fascista - in maggioranza di provenienza milanese - che rivendicava le proprie origini “sansepolcriste”,infarcite di un repubblicanesimo virulento, che non comprendeva l’evoluzione moderata del Partito. Fu per tale motivo che il neo deputato espresse, sempre, la propria vivissima avversione a tali tendenze repubblicane. Lo scontro avvenne durante la riunione dei neo eletti parlamentari fascisti che si svolse al teatro Lirico di Milano nel giugno del 1921. Fu qui che le due anime del movimento fascista, quella monarchica e quella repubblicana, si confrontarono formalmente. La moderazione culturale ed il sano conservatorismo di Misuri, rifiutava ogni ipotesi rivoluzionaria, nonché ogni ipotesi di discutere l’istituto monarchico, grazie al quale era stata possibile l’unificazione nazionale. Tali tesi, invece, erano portate avanti da alcune frange fasciste. Del resto è bene ricordare che, almeno formalmente, la lotta politica si svolgeva ancora - fatti salvi gli episodi di violenza perpetrati dalle frange più estreme sia del fascismo che della parte più massimalista della sinistra - nell’ambito della vigente democrazia, ed
è quindi ragionevole pensare, come faceva Misuri, che la parte più moderata del PNF potesse riprendere una strada, politicamente parlando, che sfociasse in una soluzione costituzionale: un movimento, cioè, basato su di un forte legame con la Corona, visto come una diga contro il comunismo. Stante però l’attivismo proprio delle cellule più estremiste del fascismo, che determinarono sempre più accesi contrasti all’interno del Movimento, nel marzo del 1922 Misuri rassegnava le proprie dimissioni dal Partito in cui tanto aveva sperato, aderendo al gruppo Nazionalista. Qui occorre aprire una parentesi. Infatti bisogna ricordare che alla “Marcia su Roma” presero parte non solo le camicie nere fasciste ma, sia pur minoritari, anche nuclei delle Camicie azzurre, che rappresentavano le forze nazionaliste di Luigi Federzoni. Formazioni rigidamente legittimiste, fedeli, quindi, alla Corona, nate, nelle intenzioni, per riaffermare primariamente gli interessi nazionali che ritenevano, come tanti, essere stati “traditi” dagli eventi successivi al termine del conflitto mondiale. Nell’ambito delle attività di tale formazione Misuri venne incaricato, tra l’altro, di organizzare la partecipazione degli “azzurri” alla Marcia. Conclusa tale esperienza, affidato dal Re l’incarico di formare un governo di coalizione a Mussolini, Misuri decideva il proprio rientro nel PNF, sia per quel che sembrava un pieno inserimento del Movimento nei binari costituzionali, sia per l’avvenu-
ta fusione con il Movimento Nazionalista. Si trattò però di un fugace “ritorno di fiamma”,dal momento che ormai i rapporti di Misuri con le emergenti nuove forze del fascismo umbro, continuavano ad essere, nella migliore delle ipotesi, più che freddi. Dopo pochi mesi si verificava un nuovo distacco allorché, a seguito di un tentativo di emarginazione “politica” organizzato dai ras fascisti umbri, l’onorevole Misuri si avvicinò alla compagine liberale guidata dall’on. Amendola. Nel maggio del 1923 Misuri venne espulso dal PNF. Egli continuava però a frequentare il Parlamento, avendo mantenuto la carica di Deputato e, pochi giorni dopo la sua espulsione, in un intervento nell’aula di Montecitorio, ribadiva “la funzione storica della … Monarchia”,auspicando, al contempo, la necessità che il confronto politico tornasse nell’ambito di una piena legalità. Erano i mesi in cui l’attivismo delle squadre fasciste stava creando problemi allo stesso governo Mussolini e non pochi erano coloro che, pur attratti dal fascismo, iniziavano ad essere realmente preoccupati di una possibile evoluzione “rivoluzionaria” del Movimento, ove questo avesse “recuperato” le caratteristiche politiche iniziali, profondamente radicali e socialiste. Il discorso fu applaudito, in particolare dai Nazionalisti, ma segnò anche, al contempo, la definitiva rottura dei rapporti del giovane Deputato con il fascismo. Infatti la sera stessa del discorso, uscendo dalla Camera, Misuri venne aggredito e pesantemente pestato da una squadraccia fascista. Fu l’inizio di una vera a propria fronda, dal momento che Misuri, comprendendo come ormai fosse impossibile un accordo, esaminò la possibilità di farsi parte attiva quale riferimento di tutti coloro che, come lui, si sentivano traditi, per
varie motivazioni, nella loro iniziale adesione al fascismo. In tale contesto il 31 gennaio 1924 veniva fondata l’associazione “Patria e Libertà”, con un settimanale, “Campane a stormo”, che ne divenne l’organo ufficiale. Il programma del nuovo movimento si basava su 12 punti di azione che dovevano essere portati avanti nell’ambito di uno Stato “monarchico - costituzionale” di indirizzo liberale. Purtroppo il tentativo non andò a buon fine. Troppo differenti erano le anime dissidenti ed i motivi che le avevano spinte ad allontanarsi dal fascismo di governo. Già alla fine dello stesso anno, era chiaro che il nuovo Movimento non era riuscito a decollare. Assente alle elezioni politiche di aprile, per l’impossibilità di raggiungere un qualunque accordo con altri soggetti che non fossero già inseriti nel “listone” fascista, il Movimento si era astenuto. Ormai l’evoluzione verso un regime autoritario del fascismo era evidente ed il discorso alla Camera del 3 gennaio 1925 sanciva la nascita della dittatura. A quel punto anche per i dissidenti ed i “frondisti” del regime, iniziarono i problemi. Nel 1926 Misuri venne privato dell’abilitazione alla libera docenza, con il pretesto di non aver insegnato per cinque anni consecutivi. Il relativo ricorso, per aver svolto le funzioni di deputato, venne respinto! Nel 1927 venne addirittura arrestato, in quanto ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato e condannato a cinque anni di confino. Un monarchico al confino, la dice lunga su quanto dovrebbe ancora essere “scavata” questa parte della nostra storia. Trascorse due anni ad Ustica ed alcuni mesi a Ponza. Alla fine del 1929 poté tornare a Perugia ottenendo uno sconto di pena. Continuò però ad essere sempre controllato con assiduità dall’OVRA. Durante gli anni della guerra, vi è traccia di tentativi di Misuri per un contatto con Mussolini ma, sostanzialmente, si mantenne sempre in disparte. Dopo il giugno del 1944, invece, eccolo riapparire sulla scena politica allorché fu tra i promotori della nascita dell’Unione
Monarchica Italiana, in vista dell’ormai prossima tenzone elettorale per la scelta istituzionale. Addirittura tra l’ottobre del 1944 ed il febbraio del 1945, allorché si dimise, ne assunse anche la Presidenza. Durante la sua presidenza tentò di dotare la nuova Associazione di un periodico che la rappresentasse, che avrebbe voluto chiamare “Monarchia” ma la sua scelta non venne condivisa per quel che riguardava il nome, venendo scelto “Il Fondamento”. Le dimissioni vennero, principalmente, per gli attacchi al suo passato di squadrista. Purtroppo dopo le dimissioni di Misuri l’UMI non riuscì a darsi un nuovo presidente fino, addirittura, alla primavera successiva e ciò non aiutò certamente i monarchici nell’organizzazione della battaglia referendaria. Le elezioni per la Costituente lo videro, comunque, candidato con il Blocco della Libertà nel collegio di Roma, piazzato solo al decimo posto con 1570 preferenze. Tra i fondatori del PNM, volle però presentarsi agli elettori con una lista monarchica propria, il “Fronte degli Italiani”, con risultati nulli. Si chiudeva così, male, un’intera vita di impegno politico, vissuta sempre, comunque, nell’ambito della fedeltà alla Corona. Il 18 luglio 1951, a 65 anni moriva a Roma. Bibliografia Dizionario Biografico Treccani, Vol. 75, anno 2011 Falcone Lucifero, L’ultimo Re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946, a cura di A. Lucifero - F. Perfetti, Milano 2002 Renzo De Felice, Mussolini il fascista, La conquista del potere 1921-25, Torino 1966 L. Zani, L’A ssociazione costituzionale Patria e libertà (1923-1925), in Storia contemporanea, V (1974), 3, pp. 393-429 P. Lombardi, Per le patrie libertà. La dissidenza fascista tra mussolinismo e Aventino (1923-25), Milano 1990 A. Ungari, In nome del Re, Firenze 2004 Enc. biografica e bibliografica «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922. ■
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Guido Gandolfi - Francesco Bonadeo
LE PRIME UNIVERSITÀ MEDIEVALI a nascita delle prime Università medievali rispose alla esigenza di una società in via di trasformazione che nella sua dinamica evolutiva necessitava del supporto tecnico e professionale di una nuova figura di intellettuale caratterizzato da riferimenti culturali fortemente innovativi e prospettive di ascesa sociale nella realtà comunale.
L
Fin dalla fine del X secolo, come rivelato da Verger, fu attiva a Salerno una scuola medica mentre all’inizio del XII secolo, esclusivamente in Italia, erano attive scuole laiche a carattere privato anche se poco conosciute; nozioni di notariato e di diritto pratico furono le proposte di studio a Roma, Ravenna e Pavia che si andarono ad aggiungere all’insegnamento delle arti liberali. La Chiesa, invece, in tutti gli altri centri, esercitava un controllo totale sulle scuole che erano strutturate sui principi dell’epoca carolingia. Tali scuole facevano riferimento ad un monastero, una cattedrale, una collegiata (1). In Europa occidentale tra il 1100 e il 1200, a parere di Haskins, pervennero le opere di Aristotele, Euclide, Tolomeo, la nuova aritmetica, i testi di geometria solida e piana e del diritto romano attraverso l’Italia e la Sicilia, ma in modo particolare per merito di studiosi arabi della Spagna; la nascita delle università coincise con una grande rinascita culturale che gli storici hanno denominato “rinascimento del dodicesimo secolo” (2). “La più antica Università europea sembra essere quella di Bologna, la cui esistenza è provata da un documento risalente al 1088. Questo documento parla di un’Università già attiva, per cui la nascita vera e propria dell’ateneo è certamente anteriore…” (3) - afferma Collino - il quale aggiunge che la decisione di far risalire la fondazione dello studio all’anno 1088 risponde all’esigenza della solenne celebrazione dell’ottavo centenario nell’anno 1888 avvenuta sotto il patronato di Giosuè Carducci.
A Bologna a metà del secolo XI, non vi è presenza di scuole, in particolare si riscontra la totale assenza di scuole ecclesiastiche. Il Cencetti riferisce come “la sola che in qualche modo può salvarsi è quella odofrediana sul magistero in artibus d’Irnerio, che, come osserva il Besta, non c’è ragione di contestare” (4). Un elemento di certezza è rappresentato dal fatto che Bologna, grazie all’insegnamento del diritto, aveva acquisito un grande prestigio fin dal terzo decennio del secolo XII (5). La fondazione di nuove istituzioni universitarie sul territorio italiano fu la conseguenza di fenomeni di “secessione” studentesca che staccandosi da Bologna si stabilirono in altra sede: così venne istituito lo studio di Vicenza nel 1204 e successivamente Arezzo nel 1215 e Vercelli nel 1228; la secessione più importante fu quella che portò allo studio di Padova nel 1222 effettuata non soltanto da studenti ma anche da una certa quantità di maestri i quali, nonostante il giuramento richiesto a loro dal comune, decisero di trasferirsi (6). In riferimento alla nascita dell’Università di Parigi, non appare possibile individuare né il momento preciso in cui vi sia stata la trasformazione da scuola collegata con la cattedrale di Notre-Dame in istituzione universitaria né formulare un’ipotesi di datazione dello Studium vero e proprio. Haskins ci dice che “il primo documento della storia universitaria è del 1200, il famoso Decreto di Filippo Augusto … Nel Decreto non è fatto comunque accenno a una nuova creazione, ma è l’atto con cui il re riconosce un corpo di studenti e di maestri che già esiste…” (7). A Bologna la materia di insegnamento fu il diritto, a Parigi la teologia. Nell’ambito dei programmi di insegnamento i testi di riferimento per il diritto furono il Corpus juris canonici e il Corpus juris civilis (8). L’università di Napoli, rispetto a tutte le altre del territorio italiano, si caratterizzò per due ordini di motivi di cui il primo è legato alla sua nascita, il secondo ai suoi
ordinamenti. La sua fondazione fu da ascrivere alla precisa volontà del dotto Imperatore Federico II e non si realizzò secondo modalità spontanee, né tantomeno per finalità di studio da parte della popolazione studentesca né da parte dei precettori. Di Stasio sottolinea che l’Imperatore “decide di fondarla nel 1224, come ci è attestato in quattro lettere di Pier delle Vigne su questo argomento” (9). Il Sovrano emanò particolari ordinamenti in favore degli studenti in
termini di qualità di vita: codificazioni del prezzo delle pigioni, presenza dei migliori professori nei vari rami di insegnamento, divieto di studio per i sudditi presso scuole che non fossero situate nella città di Napoli. La contrarietà di Federico II nei confronti delle corporazioni non consentì l’istituzione di una università di studenti e quindi il loro diritto a nominare un rettore. Non vi fù riconoscimento da parte delle altre università del dottorato che veniva erogato dall’università di Napoli (10). A Bologna, afferma Verger, gli studenti, suddivisi in base alla loro nazionalità, formarono due università, ultramontana e citramontana senza la presenza dei maestri; il funzionamento dell’università e la scelta dei professori con un monitoraggio continuo sull’effettivo valore del loro insegnamento, fu garantito dagli studenti; a Parigi, al contrario, essendo stata l’università fondata dai professori, la corporazione studentesca ebbe una posizione del tutto subalterna (11).
Alla luce di queste considerazioni si può affermare che a Bologna venne a configurarsi una “Universitas scholarium” creata in modo spontaneo dagli studenti, a Parigi si sviluppò una “Universitas magistrorum” creata spontaneamente dai professori mentre a Napoli si concretizzò una università di fondazione in quanto dovette la sua costituzione ad un Imperatore. Per quanto concerne l’organizzazione, come scri-
ve Bellomo, gli studenti erano tenuti a pagare un onorario annuale, detto “collecta” al professore, il quale doveva garantire l’impegno a tenere le lezioni. Tra gli studenti si formarono i “consortia” nei decenni centrali del XII secolo, fra il professore e gli allievi le “comitive” che agivano in base a regole e finalità che erano patrimonio delle corporazione d’arte e mestieri e che caratterizzavano la “familia”. Problemi di tipo abitativo e di tutela giuridica penale e civile, coinvolsero in particolare gli studenti forestieri favorendo disuguaglianze fra studenti locali e studenti stranieri. Si istituirono nuove organizzazioni studentesche composte da appartenenti alle varie comitive in base alla regione in cui erano nate: le “nationes” (12). Lo Studium di Bologna, sostiene Cencetti, nell’arco temporale di un secolo e mezzo di operatività fu in grado di costruire il primo modello istituzionale a cui faranno riferimento gli altri “Studia generalia” medievali (13).
Al termine del ciclo di studi, scrive Le Goff, il giurista bolognese veniva sottoposto all’esame propriamente detto ovvero l’ “examen” o “examen privatum”, seguito successivamente dall’esame pubblico chiamato “conventus”,“conventus publicus”, “doctoratus”: quest’ultimo si configurava come una vera e propria cerimonia di investitura. Lo studente parigino,dopo aver affrontato due prove preliminari, sosteneva un primo esame chiamato “determinatio”in seguito al quale conseguiva il titolo di baccelliere e, solo in un secondo tempo, dopo aver sostenuto l’esame propriamente detto, acquisiva il diritto alla licenza e al dot-
torato (14). Il concetto di Studium generale fu fortemente correlato a quello di “ius ubique docenti” ovvero il diritto di fare insegnamento in tutte le università; per ottenere questo diritto non era necessario sostenere un esame. La “licentia docendi”, ci rivela Stelling-Michaud, affondò le sue radici inizialmente “nel monopolio ottenuto dallo scolasticus (e che passerà poi al cancelliere del vescovo) di conferire la licenza d’insegnamento nei limiti territoriali dell’autorità ecclesiastica da cui ripeteva il suo potere” (15). La nascita delle prime Università fu una delle espressioni dei fermenti che si svilupparono nella società medievale caratterizzata da un contesto socio-politico in via di una dinamica trasformazione. L’istituzione universitaria seppe dare nuovi riferimenti culturali da proporre agli studenti e nuove prospettive professionali a coloro che, al termine degli studi andarono a formare una nuova classe intellettuale al servizio della società comunale.
Il monopolio del sapere precedentemente esercitato dalla Chiesa fu diversificato e arricchito da nuove materie di insegnamento e da una struttura organizzativa che, nel caso dello Studium bolognese, si identificò come Universitas scholarium a carattere laico. La società comunale, pur di fronte a situazioni di conflittualità che da una parte si vennero a creare fra la popolazione e massa studentesca e dall’altra fra i notabili comunali e lo Studium a fini di controllo della istituzione universitaria, ebbe il merito di comprendere l’importanza della formazione di una nuova classe di intellettuali sia italiani che stranieri e di favorire la circolazione delle elites. NOTE: 1) Verger J.: Le università del medioevo. Il Mulino, Bologna, 1982, pp. 39-40. 2) Haskins C.H.: L’origine delle università, in “Le origini dell’Unviersità”, a cura di Arnaldi G., Società editrice Il Mulino, Bologna, 1974, pg. 35. 3) Collino M.: Studenti e goliardia, appunti per una storia in “Saecularia sexta album”. ELEDE, Rosta (Torino), 2005, pg. 89. 4) Cencetti G.: Studium fuit Bononie, in Le origini delle Università, a cura di Girolamo Arnaldi, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1974, pg. 111. 5) Cencetti G.: Studium fuit Bononie, cit., pg. 111. 6) Verger J.: Le università del Medioevo, cit., pg. 74. 7) Haskins C.H.: La rinascita del XII secolo, Il Mulino, Bologna, 1972, cap. XII Le origini delle università, pp. 319-320. 8) Verger J.: Le Università del Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1982, pg. 95. 9) Di Stasio G.: Università Anno mille, Edizioni Del Delfino. Napoli dicembre 1975, pg. 98. 10) Di Stasio G.: Università Anno mille, cit., pp. 98-99. 11) Verger J.: Le università del Medioevo, cit., pp. 84-85. 12) Bellomo M.: Il Medio Evo e l’origine dell’Università, in L’Università e la sua storia, a cura di Livia Stracca, ERI edizioni Rai, pp. 16-17. 13) Cencetti G.: Studium fuit Bonomie, in Le origini delle Università, a cura di Girolamo Arnaldi, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1974, pg. 104. 14) Le Goff J.: Gli intellettuali nel medioevo. Oscar Mondadori, Oscar storia Mondadori,2009,pp.75-76. 15) Stelling-Michaud S.: La storia delle università nel medioevo e nel Rinascimento, in Le origini dell’università, a cura di Girolamo Arnaldi, Società editrice Il Mulino, Bologna, 1974, pg. 158. ■
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Cristina Siccardi (Corrispondenza romana)
C.S. (Corrispondenza romana)
LE REGINE MARIA CRISTINA ED ELENA DI SAVOIA
ROLANDO RIVI
ue anniversari sono caduti di recente: il bicentenario della nascita della venerabile Regina Maria Cristina di Savoia (Cagliari, 14 novembre 1812 - Napoli, 31 gennaio 1836) ed il 60° della morte della Regina Elena di Savoia (Cettigne, 8 gennaio 1873 - Monpellier, 28 novembre 1952), due modelli che evidenziano il ruolo essenziale della figura femminile. Il femminismo ebbe i suoi albori nella Rivoluzione Francese, quando fu presentato all’A ssemblea Rivoluzionaria, il Cahier de Doléances des femmes, ovvero una prima richiesta formale di riconoscimento dei diritti delle donne. Inoltre Olympe de Gouges pubblicò Le prince philosophe, romanzo che rivendicava i diritti di parità con gli uomini; ma la sua azione fu interrotta quando iniziò a criticare Robespierre e nel 1793 fu ghigliottinata. Quelle idee saranno riprese in Inghilterra ed
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interesse storiografico indubitabile, ma le loro testimonianze di vita familiare e di vita pubblica sono un valido motivo di riflessione per recuperare la smarrita identità femminile.
omani un prete di meno”, questa la motivazione che venne data dal commissario politico della formazione partigiana garibaldina che uccise nel 1945 il seminarista Rolando Rivi di 14 anni.
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La Regina delle due Sicilie era figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia e di Maria Teresa d’Asburgo d’Austria; fu educata dalla madre e dal padre confessore, l’olivetano Giovan Battista Terzi. Sorse in lei il desiderio di diventare monaca di clausura; ma il suo direttore spirituale la dissuase, perché Carlo Alberto l’aveva destinata come sposa al Re di Napoli, Ferdinando II, e Maria Cristina obbedì per compiere la volontà di Dio. La religiosità della Sovrana, che meditava sempre il De imitatione Christi, fu ben presto conosciuta a corte e da tutto il popolo che veniva continuamen-
Ci furono molte vittime fra il Clero italiano durante la Seconda guerra mondiale e la guerra civile. Vittime dei nazisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), accompagnato al supplizio dal Vescovo che lo aveva ordinato sacerdote, il futuro Cardinale Luigi Traglia (18951977), oppure come tanti sacerdoti e parroci assassinati dai partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile, come don Umberto Pessina (1902-1946).
Regina Elena
concetto di santità, è Jelena Petrović Njegoš, sesta figlia di Re Nicola I del Montenegro e di Milena Vukotić.
Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie estese in tutto l’Occidente producendo una figurazione dei connotati femminili, così da generare uno squilibrio, divenuto oggi schizofrenico. La donna, “per diritto”, non è più il baricentro della famiglia ed ecco che quest’ultima si frantuma miseramente. Tutto questo per affermare che modelli femminili come le Sovrane Maria Cristina ed Elena non solo rientrano in un
te beneficato dalla sua esemplare carità. Morì di parto e nel porgere il piccolo Francesco al marito affermò: “Tu ne risponderai a Dio e al popolo … e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui”. Venne tumulata nella Basilica di Santa Chiara e nel 1937 Pio XI dichiarò eroiche le sue virtù. Madre e Regina esemplare. morta anch’ella in
NUOVO BEATO VITTIMA DEL COMUNISMO
Sposò Vittorio Emanuele III il 24 ottobre 1896 a Roma, in Santa Maria degli Angeli. La presenza di Elena accanto al Sovrano si mantenne sempre discreta e fu dedita ai bisogni del popolo che fece suo in tutto e per tutto. Ogni giorno il corriere recapitava a Villa Savoia una grande borsa di cuoio, chiamata “la bolgetta” (termine sardo-savoiardo), carica di lettere: richieste umili e a volte disperate di chi ricorreva alla Regina della Carità. Immenso fu l’aiuto che ella prestò ai terremotati di Messina nel 1908; inoltre si prodigò, con le sue conoscenze mediche, che le valsero la laurea honoris causa, a favore di encefalitici, tubercolotici, poliomielitici, malati di cancro e di Parkinson.
li (Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Belgio, Bulgaria, e Jugoslavia) al fine di evitare la seconda guerra mondiale. Esiliata, con il consorte, ad Alessandria d’Egitto, dopo la vedovanza, si scoprì malata di cancro e si trasferì in Francia a Montpellier. Bruciata dal dolore per la tragica perdita della carissima figlia Mafalda (morta nel lager di Buchenwald il 28 agosto 1944) e rinnegata dalla terra a cui aveva dato tutta se stessa, Elena muore povera e sola. L’intera città si fermò per assistere e partecipare al suo funerale, al quale presero parte ben 50 mila francesi. ■
Scrisse il Vescovo di Reggio Emilia, Beniamino Socche (1890-1965), nel suo diario:“ … la salma di don Pessina era ancora per terra; la baciai, mi inginocchiai e domandai aiuto … Parlai al funerale … presi la Sacra Scrittura e lessi le maledizioni di Dio per coloro che toccano i consacrati del Signore. … Il giorno dopo era la festa del Corpus Domini; alla processione in città partecipò una moltitudine e tenni il mio discorso, quello che fece cessare tutti gli assassinii. Io - dissi - farò noto a tutti i Vescovi del mondo il regime di terrore che il comunismo ha creato in Italia”. In Emilia Romagna e soprattutto nel “Triangolo della morte” (Bologna, Modena, Reggio Emilia) perirono barbaramente 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle ven-
Il 15 aprile 1937 Pio XI le conferì la “Rosa d’oro della Cristianità”. Nel 1939 scrisse una lettera, toccante ed inascoltata, alle sei Sovrane delle Nazioni ancora neutra-
Beato Rolando Rivi
dette dei “rossi”. Fra le vittime anche Rolando Rivi, colpevole di indossare la talare. Il Papa, il 27 marzo scorso, ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti 63 nuovi Beati e 7 nuovi Venerabili: molti sono martiri della guerra civile spagnola, dei regimi comunisti dell’Europa Orientale e del nazismo. Fra di loro c’è anche il giovane seminarista, del quale libri di storia e mass media hanno debitamente taciuto … per non sporcare l’ “eroica” memoria della Resistenza rossa. Rolando Maria Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, borgo rurale del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), in una famiglia profondamente cattolica. Brillante e vivace, di lui si diceva:“o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo”. Con la prima Comunione e la Cresima divenne maturo e responsabile. Rolando, ogni mattina, si alzava presto per servire la Santa Messa e ricevere la Comunione. All’inizio di ottobre del 1942, terminate le scuole elementari, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia). Si distinse subito per la sua profonda fede. Amante della musica, entrò a far parte della corale e suonava l’armonium e l’organo. Quando stava per terminare la seconda media, i tedeschi occuparono il Seminario e i frequentanti furono mandati alle loro dimore. Rolando continuò a sentirsi seminarista: la
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Chiesa e la casa parrocchiale furono i suoi luoghi prediletti. Sue occupazioni quotidiane, oltre allo studio, la Santa Messa, il Tabernacolo, il Santo Rosario. I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; tuttavia egli rispose: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”.
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Questa pubblica appartenenza a Cristo gli fu fatale. Un giorno, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, il martire Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivarono i partigiani, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase tre giorni loro prigioniero, subendo offese e vio-
lenze; poi lo condannarono a morte. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena); gli fecero scavare la sua fossa, fu fatto inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, uno al cuore e uno alla fronte. Poi, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era venerdì 13 aprile 1945. ■
Emanuele Gagliardi (Corrispondenza romana)
CRISI COREANA VERSO LA GUERRA TERMONUCLEARE er il regime comunista di Pyongyang “La situazione nella penisola coreana sta gradualmente andando nella direzione di una guerra termo-nucleare”.
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Un dispaccio dell’agenzia di stampa ufficiale “Kcna” (9 aprile 2013) cita i toni da “guerra fredda” di un comunicato della Commissione nord- coreana per la Pace Asia-Pacifico. La prospettiva di un conflitto di tale portata è stata evocata più volte dalla Corea Nord negli ultimi mesi: il 7 marzo scorso, i presunti pericoli incombenti sulla regione venivano imputati ai “guerrafondai negli Stati Uniti” e ai loro “fantocci della Corea del Sud” . La nota contiene pure un’intimazione agli stranieri presenti nel Sud, che la Corea del Nord “non vuole cadano vittime in caso di scoppio delle ostilità”, ad “adottare misure per trovare rifugio e prepararsi a un’evacuazione di massa”. Analogo sollecito è stato rivolto il 5 aprile alle ambasciate dei Paesi terzi, alle “organizzazioni sopranazionali”, “compagnie” e semplici “turisti”. In realtà, a detta di diversi esperti di armi atomiche, la Corea del Nord sarebbe ben lungi dal disporre di testate tanto avanzate e distruttive. Vero scopo della campagna propagandistica basata su annunci-shock sarebbe, oltre alla diffusione del panico e all’incremento delle pressioni sugli ambienti politici
Kim Jong Un, giovane dittatore ereditario della Corea del Nord. occidentali, lo sconvolgimento dei mercati finanziari. La Borsa di Seul, comunque, non sembra aver sofferto ripercussioni: il 9 aprile, giorno in cui è giunto l’invito a lasciare il Nord, ha chiuso in leggero rialzo e non sembrano ipotizzabili contraccolpi a posteriori. Ad avvalorare le minacce del regime, sempre il 9 aprile, nessun lavoratore nordcoreano si è presentato a Kaesong, il complesso produttivo situato a una decina di chilometri dal confine tra i due Paesi gestito congiuntamente con la Corea del Sud. Così si concretizza la minaccia di Pyongyang che aveva annunciato l’intenzione di richiamare i propri 53.000 connazionali impegnati nella zona industriale congiunta. La conferma viene dal ministero di Seul per la Riunificazione, che ha dato conto delle segnalazioni in tal senso provenienti da numerose delle 123 compagnie sudcoreane operanti nella struttura, dove sono state sospese tutte le attività, decretandone la chiusura di fatto. Al contrario dei giorni precedenti, non sono nemmeno entrati in funzione i consueti servizi di pullman-navetta per condurre operai e impiegati
del Nord ai rispettivi posti di lavoro. Nulla del genere era accaduto dal 2004, quando fu avviato il progetto che per la Corea del Nord è sempre equivalso ad una sorta di cassaforte, da cui ricavare annualmente una media di 2 miliardi di dollari in valuta pregiata, tra proventi diretti e imposte, oltre a non dover sostenere esborsi per i salari del personale. La presidente sudcoreana Park Geun-hye definisce “molto spiacevole” la mossa. “Se, sotto gli occhi spalancati della comunità internazionale, la Corea del Nord viola in questa maniera le norme internazionali e le sue stesse promesse - commenta Park - non ci sarà più nessuno, né Paese né società, che vorrà investire in territorio nordcoreano”. Un altro grido di allarme proviene da Yu ChaengGeun, numero due dell’associazione che rappresenta le aziende del Sud coinvolte nelle attività di Kaesong, a detta del quale le operazioni dovranno essere ripristinate quanto prima, se si vogliono evitare ripercussioni negative permanenti. “Tutte le nostre imprese ormai sono arrivate al limite”,ammonisce Yu.“Se le cose andranno avanti così, ognuno di noi dovrà affrontare la bancarotta”. Nel complesso congiunto rimangono al momento 475 dipendenti sudcoreani, 77 dei quali hanno manifestato l’intenzione di rientrare in patria seguendo l’esempio degli oltre trecento colleghi che li hanno preceduti nei giorni scorsi. ■
F.C.
RE GUGLIELMO ALESSANDRO o scorso 30 aprile i Paesi Bassi hanno “inaugurato” il Regno del loro nuovo Sovrano, Guglielmo Alessandro. L’intera Nazione si era preparata all’evento, organizzando grandi festeggiamenti in onore del nuovo Re, il primo uomo, dal 1890, dopo tre Regine, a salire al Trono olandese. Gli era vicina la consorte Regina Maxima, che in questi anni ha saputo conquistare la stima e l’affetto della Nazione. L’incoronazione olandese è avvenuta quasi contestualmente alla nuova “intronizzazione” del Capo dello Stato italiano, e tutti abbiamo vissuto, con sgomento, da Italiani, gli eventi che lo hanno “costretto” a quasi 88 anni, a continuare a ricoprire un ruolo - cui già psicologicamente aveva posto uno stop - pur di garantire un governo al Paese, per insipienza di una classe politica dalle enormi responsabilità morali.
L
Il contrasto è stridente: in Olanda, in assoluta tranquillità e totale armonia politica e costituzionale, succede ad una Sovrana 75enne un uomo, giovane e vigoroso, di 45 anni, preparato sin dalla nascita ad uno dei mestieri più difficili e faticosi del mondo. La Regina Beatrice, la Madre, lascia il Trono, rispettata e con la riconoscenza di una Nazione, per il ruolo svolto saggiamente e con totale dedizione per oltre trent’anni. Altro stile, da qualunque punto lo si guardi, rispetto alla nostra povera Italia. È vero che il ruolo di un Re, oggi, è solo simbolico - e così deve essere - ma il Sovrano, pur sempre, rappresenta lo Stato, moralmente e fisicamente. Anche in Italia per il Capo dello Stato è così, ma sono sotto gli occhi di tutti le differenze che esistono incontrovertibilmente. Dopo queste amare riflessioni nostrane, torniamo a cose più liete, ripercorrendo i festeggiamenti che per giorni si sono succeduti in Olanda e nei territori dipendenti delle Antille. Già il 29 aprile, giorno precedente l’ascesa al Trono, gli ospiti della Famiglia Reale, provenienti da tutto il mondo, hanno preso parte ad un pranzo di
gala che si è svolto nell’appena rinnovato Rijksmuseum di Amsterdam. Il successivo giorno 30 la Regina Beatrice ha tenuto il discorso di congedo nel Palazzo Reale, al termine del quale, con l’intera Famiglia, si è affacciata, con a fianco il nuovo Re, al balcone centrale per salutare la folla raccolta nella piazza Dam. Il nuovo Re ha però effettivamente assunto il ruolo nel primo pomeriggio, quando, giunto nella Cattedrale di Kerk, ha giurato sulla Costituzione, davanti ai membri del Parlamento riuniti in assemblea plenaria. In serata un corteo di natanti è sfilato lungo i canali di Amsterdam con, sull’imbarcazione centrale, i due nuovi Sovrani, dopo di che, su invito del Primo Ministro, un ricevimento ed un ballo hanno concluso l’intensissima giornata. All’evento hanno preso parte, tra gli altri, l’erede al Trono del Giappone, Principe Naruhito, con la moglie Masako, i Principi Filippo e Letizia di Spagna, Federico e Mary di Danimarca, Haakon Magnus e Mette Marit di Norvegia, Victoria e Daniel di Svezia, Filippo e Mathilde del Belgio, il Principe di Galles, Carlo, con la Consorte Camilla, Duchessa di Cornovaglia. Da evidenziare che Guglielmo Alessandro non è stato “incoronato”, ma il suo regno è stato “inaugurato”, così come prevede la tradizione olandese, dove è il Popolo a conferire la Corona al Sovrano. Nel suo discorso di abdicazione, la Regina Beatrice ha affermato: “abdico perché penso che le mani di una nuova generazione possano ora reggere questo nostro Paese”. Accanto al nuovo Re, comunque, era sistemato un supporto con sopra una Corona, lo Scettro, un
Globo e una copia della Costituzione, appositamente rilegata per l’occasione. Erano inoltre a fianco del Sovrano le tre figlie, Principesse Amalia, Alessia e Ariane. Molto ferma è stata la Sovrana, rispondendo a coloro che avevano chiesto se fossero stati graditi dei doni per la nuova Coppia, affermando cortesemente che “ …data l’attuale situazione economica, non considerava appropriato per la Nazione un dono, concetto condiviso dalle Altezze Reali. Le quali dal canto loro, considerano più importante dei doni l’entusiastica partecipazione alle varie celebrazioni”. Durante le cerimonie, la Famiglia Reale ha usato la tradizionale Gouden Koets (la carrozza d’oro), utilizzata fin dal 1898 per gli eventi più importanti legati alla Casa reale, che venne offerta alla appena incoronata Regina Guglielmina nel 1898, grazie ad una colletta popolare per la quale gente di ogni estrazione sociale offrì 25 centesimi (dell’epoca). La Regina ebbe dubbi sulla opportunità di accettarla, ma avendo rinunciato ad ogni altro regalo, alla fine, la ricevette il 7 settembre di quell’anno. Il mezzo venne utilizzato in una cerimonia ufficiale nel 1901, il 7 febbraio, data in cui la giovane Regina convolò a nozze con il Principe Enrico di Mecklenburg-Schwerin. Nel 1909 fu utilizzata per il battesimo della Principessa Giuliana, unica figlia della Coppia Reale; il 7 gennaio 1937 accompagnò i neo sposi Giuliana e Bernardo di Lippe-Biesterfeld e nel 1938 fu usata per il battesimo della primogenita della Coppia, Principessa Beatrice. La Seconda Guerra Mondiale risparmiò, fortunosamente, la carrozza, così che nel 1966 fu usata per il matrimonio di Beatrice d’Olanda con il Principe Claus von Amsberg. ed il 2 febbraio 2002 per le nozze di Guglielmo Alessandro con Maxima Zorreguitea. Ovviamente, ad ogni inaugurazione del Parlamento, con il discorso della Corona, il Sovrano regnante ha usato la “carrozza d’oro”, a testimoniare l’importanza dell’evento, per una Nazione democratica quale è il Regno d’Olanda. ■
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Padre Andrea Davide Cardin
MONTEVERGINE E CASA SAVOIA rendendo spunto dall’anniversario della morte di Umberto II, ultimo Re d’Italia, morto in una clinica di Londra il 18 marzo 1983 e sepolto nell’Abbazia benedettina di Hautecombe, vorrei parlare dei rapporti di Montevergine con Casa Savoia. Le relazioni tra il Monastero di Montevergine e Casa Savoia sono molto antiche, risalgono al XIV secolo ed ebbero inizio con Margherita di Savoia, figlia del Duca Amedeo VIII che dona alla Madonna di Montevergine un dipinto su tavola come ex-voto per lo scampato pericolo nella burrasca mentre si recava a Napoli per divenire la sposa di Giovanni II d’Angiò e approda a Sorrento incolume dopo aver invocato la Madonna. Dell’avvenimento si conserva un dipinto votivo assai importante per la storia dell’arte che raffigura la Vergine con bambino che prende per mano e trae in salvo la giovane Regina in pericolo su un vascello con l’albero spezzato e la vela lacerata dai venti.
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Con l’avvento dell’Abate De Cesare il legame con Casa Savoia si fa sempre più stretto avendo egli portato avanti la causa di beatificazione di Maria Cristina di Savoia, Regina di Napoli, mentre con l’Abate Ramiro Marcone i rapporti con la Casa regnante diventano di amicizia e si protrarranno nel tempo giungendo sino ai giorni nostri. L’Abate Marcone seppe che, nel luglio 1928, il Principe ereditario Umberto di Savoia avrebbe presenziato il circuito automobilistico che doveva aver luogo ad Avellino il 2 settembre di quell’anno. Si affrettò sin dal 10 luglio a rivolgergli l’invito ad accettare per quella circostanza l’ospitalità “della nostra maestosa ed artistica Badia di Loreto”. Si esprimeva il vivo desiderio che, approfittando dell’occasione, Sua Altezza si degnasse in quel giorno di scendere sulla vetta del Partenio per visitare il nostro bel Santuario Mariano ma siccome il Principe aveva già assunto impegni non potè accettare di presenziare a quella gara sportiva e avrebbe rimandato ad un’altra favorevole occasione la
visita al Santuario Mariano sulla vetta del Partenio. Finalmente il 22 luglio 1932 si ebbe la visita di Umberto di Savoia e della consorte Maria José e fu in quella circostanza che il Principe rivelò che era già stato al Santuario insieme con sua madre, la Regina Elena, in strettissimo incognito da bambino durante la prima guerra mondiale. A distanza di sei mesi, il 28
e quella fu anche l’ultima visita del Principe ereditario. Da allora in poi ricominciarono le visite di Re Vittorio Emanuele III. Una sua visita al Santuario fu impedita dalla troppa neve che copriva la montagna ed era il 29 marzo 1944. Vi supplì l’8 aprile seguente quando giunse al Santuario, nelle ore pomeridiane, durante la messa vigiliare di Pasqua.
Il Principe Umberto all’arrivo al Monastero di Montevergine. gennaio 1933, si ebbe un’altra visita del Principe Umberto in pieno inverno, quando la montagna era coperta da uno spesso strato di neve. Il Principe ne rimase entusiasta e promise di ritornarvi. Effettivamente già dal 18 luglio di quello stesso anno, egli domandò di essere ospitato nel Palazzo abbaziale di Loreto per una ventina di giorni e vi giunse il 4 agosto intrattenendosi secondo il programma prestabilito. L’anno seguente, il 6 aprile 1934, dalla Casa reale si chiedeva ancora ospitalità per il Principe Umberto per 4-5 giorni.Vi giunse il 16 aprile e ne ripartì il 19 aprile. Nello stesso anno il 13 agosto il Principe era di nuovo nostro ospite a Loreto, fermandosi questa volta sino al 22 agosto. Ormai ogni anno si ripetevano queste visite più o meno prolungate. Nel 1935 fece una fugace visita il 2 febbraio e poi per qualche ora il 14 settembre. Sua Altezza Reale partecipava alla vita della comunità sostando spesso in preghiera durante i vespri con l’esposizione del Santissimo Sacramento. Nel 1936 invece delle visite del Principe, iniziarono quelle del Re. Le visite di Umberto di Savoia ripresero il 28 settembre 1937 solo per poco tempo perché a Mercogliano lo attendevano i suoi soldati
Ma ripartì subito non volendo disturbare la funzione sacra ripromettendosi di farvi ritorno a breve. Vi ritornò e non da solo insieme alla Regina Elena il 3 maggio intrattenendosi affabilmente con i monaci per 3 ore. Sempre nel ’44, il 22 novembre, la Regina Elena veniva a visitare il Palazzo abbaziale di Loreto interessandosi vivamente dei quadri che si trovavano in deposito portati dalla Soprintendenza di Napoli per custodirli e proteggerli da eventuali bombardamenti. Quattro giorni dopo seguiva ugualmente per Loreto la visita del Re fermandosi per quasi un’ora. Non doveva terminare il 1944 senza l’ultima visita al Santuario del Re che ebbe luogo il 27 dicembre. Stabilitesi in questo modo le relazioni tra la Casa regnante e l’Abbazia non c’è da meravigliarsi che si moltiplicarono gli atti di squisita delicatezza da parte del Principe Umberto verso Montevergine e il suo Abate. Di qui innanzitutto la commenda della Corona d’Italia all’Abate Marcone annunziatagli il 25 maggio 1933 e poi conferitagli il mese seguente. Un’altra onorificenza gli veniva comunicata in gennaio del 1946 dal Ministro della Real Casa Falcone Lucifero con queste parole: “S.A.R. il luogotenente
generale del Regno desiderando darle un segno di speciale considerazione per le particolari benemerenze da lei acquisite si è compiaciuto di conferire ‘motu proprio’ la croce di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro”. Dal 1934 cominciarono gli inviti rivolti al Padre abate Marcone di partecipare a particolari riti sacri interessanti la Famiglia reale e il primo di tali inviti fu quello del 20 marzo 1934 quando l’Abate Marcone si recò ad assistere al funerale del Re Alberto del Belgio celebratosi nella Cappella del palazzo reale.Nello stesso anno con biglietto del 9 marzo vi era stato l’invito di partecipare al battesimo della Principessa Maria Pia di Savoia. L’anno seguente il 18 settembre 1935 fu la volta dell’invito per assistere alla messa di requiem in suffragio della Regina Astrid del Belgio, messa che doveva celebrarsi nella Cappella del palazzo reale di Napoli il 30 settembre alle ore 11. Per un altro Te Deum alla fine del 1935, e questa volta nella Cappella del
gramma di felicitazioni al Principe di Piemonte. Il 14 di quel mese diede ordine che, per il lieto evento, in quella giornata di domenica, si cantasse in tutte le Chiese della diocesi il Te Deum e che alle ore 11,00 si suonassero in tutti i Paesi solennemente le campane per mezz’ora. Naturalmente anche questa volta all’Abate Marcone giunse l’invito di partecipare al solenne Te Deum nella Cappella del palazzo reale, cosa che ebbe luogo alle ore 11 del 18 febbraio 1937. Già quando cominciarono a stabilirsi le relazioni più strette con Casa Savoia il 18 agosto del 1933, ricorrendo l’onomastico della Regina Elena, il Padre abate inviava un telegramma di auguri e lo stesso fece l’anno seguente e anche negli anni successivi. L’Abate Marcone rispose subito generosamente quando si trattò di versare l’oro per la Patria. Fu donata in quella occasione anche una splendida croce pettorale con catena d’oro. Come poi egli aveva fatto per la visita del Re così volle lasciare un perpetuo ricordo delle ripetute
Ascione di Torre del Greco in ricordo del suo soggiorno a Loreto nell’agosto di quello stesso anno. L’anno seguente il 16 settembre 1935 giungeva a Loreto un camioncino del palazzo reale di Napoli con un altro dono del Principe; questa volta si trattava di un pregevole crocifisso in legno scolpito, artistico lavoro dei primi del ’700 messo in rilievo da una cornice sagomata ricca di intagli e di leggiadra fattura. S.A.R. mai dimenticò Montevergine durante il periodo bellico; ne abbiamo un attestato nel mese di febbraio del ’44 quando un Generale canadese venne nella nostra Abbazia inviato dal Principe. Si seppe allora del vivo interessamento presso di lui per le cose del nostro Santuario e come avesse goduto nell’apprendere che le due case, Loreto e Montevergine, erano rimaste illese dai danni di guerra. Il Principe volle che venisse nominato un Monaco di Montevergine come vice-postulatore della causa di beatificazione della Venerabile Maria Cristina di Savoia nella persona di Padre Giacinto Sarno.
Il Principe Umberto di Savoia con l’Abate Marcone a Montevergine. palazzo reale, si rinnovò l’invito e la partecipazione dell’A bate Marcone. L’invito per il genetliaco del Re si ripeté anche negli anni 1936-38, d’altra parte l’A bate Marcone non lasciava sfuggire le occasioni che si presentavano per mostrare il suo attaccamento a Casa Savoia. Il 12 febbraio 1937, appena si ebbe l’annuncio della nascita del Principe di Napoli Vittorio Emanuele, l’Abate Marcone inviò subito un tele-
visite di Umberto di Savoia a Montevergine con una lapide che reca, come le due precedenti, la data del 13 dicembre 1936 ma che effettivamente fu inaugurata il 16 ottobre 1937. Ci sono stati doni e benefici lasciati dal Principe Umberto a Montevergine. In realtà Egli già il 19 gennaio 1934 fece pervenire al Padre abate un artistico calice d’argento dorato incastonato di coralli e malachite della ditta
Dall’una e dall’altra parte, cioè da parte dell’Abbazia e da parte di Casa Savoia, le relazioni si mantennero sempre su di un piano di estrema delicatezza. Citiamo un esempio: quando fu inaugurata, il 21 luglio 1938, la biblioteca a Montevergine, il primo dei telegrammi inviati per la circostanza fu al Principe Umberto al quale naturalmente il Principe rispose con uguale gentilezza ed elevatezza di sentimenti.
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D.G.
LA CONQUISTA DEL K2 DAL 1909 AL 1954 a RAI-TV ha recentemente mandato in onda un decoroso ed obiettivo sceneggiato sulla conquista del K2, la seconda cima più alta del mondo, di mt. 8611, avvenuta il 31 luglio del 1954 da parte di una spedizione italiana, promossa, organizzata e diretta da Arturo Desio, conquista che riempì giustamente d’orgoglio tutti gli Italiani.
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Il Principe Umberto di Savoia a Loreto con l’Abate Marcone e i monaci. Non possiamo dimenticare la custodia della Sacra Sindone che era di proprietà di Casa Savoia nascosta nel nostro Santuario dal 1939 al 1946 che venne restituita alla città di Torino in seguito ad un biglietto di Re Umberto II al nostro Abate che dava l’incarico al Cardinale Fossati di ritirarla da Montevergine. Memorabile quel giorno quando il Cardinale Fossati, per ringraziare i monaci, fece l’ostensione nella sala del capitolo. Ed è bello leggere la cronaca di questo evento accaduto a Montevergine. A distanza di anni non possiamo che compia-
cerci vivamente di tali relazioni di amicizia; le relazioni con Casa Savoia continuano attraverso auguri, corrispondenze epistolari, inviti a manifestazioni organizzate dalla nostra biblioteca, dall’A bbazia di Loreto e dal Santuario. Ultimo di questi incontri è stato la presentazione del libro: La principessa Beduina: Elena di Francia Duchessa d’Aosta con la presenza di LL.AA.RR. i Principi Amedeo e Silvia di Savoia, Duchi di Aosta. Personalmente mi auguro che le salme degli ultimi Re d’Italia possano ritornare in Patria e così possa finire l’oblio a cui sono sottoposti. ■
Nello sceneggiato mancavano però gli accenni alle premesse di questa conquista, che risalgono al 1909, cioè ad una spedizione organizzata e diretta da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, il quale dopo la conquista del Sant’Elia, in Alaska, di 5516 mt., avvenuta il 31 luglio 1897, la spedizione al Polo Nord a cavallo tra il 1899 ed il 1900, la scalata del Ruwenzori, in Africa, di mt. 5125, conquistato il 18 giugno 1906, voleva aggiungere ai suoi successi, questo eccezionale trofeo. La spedizione in India, allora Impero Britannico, di cui il Kashmir ed il massiccio del Karakorum facevano parte, dati i tem-
una cresta successivamente chiamata “cresta Abruzzi”, il Duca ritenuto impossibile proseguire per la peggiorate condizioni metereologiche, rinunciò alla salita del K2, ma volle affrontare la vicina cima del Bride Peak, raggiungendo l’altitudine di 7493 mt., record assoluto dell’epoca e per diversi successivi anni. Di tutta questa vicenda, la cui parte escursionistica (compresi le stazioni fot ogrammometriche ed i rilievi topografici, altimetrici, metereologici effettuati, partendo dalla base della città di Srinagar ed al successivo ritorno nella suddetta città) occupò un periodo di ben 95 giorni, dal 15 aprile al 18 luglio 1909, fu fatta una descrizione accurata da parte del Prof. De Filippi, medico e scrittore, collaboratore del Duca, con relativa pubblicazione degli atti, resa ancor più interessante per le fotografie effettuate da Vittorio Sella. Lo stesso Duca degli Abruzzi, volle darne il resoconto in due conferenze una tenuta a Tori-
DOVEROSO RICORDO In relazione alla pubblicazione alle pagine 8/10 sul numero di gennaio del nostro Mensile, sotto il titolo “Sguardo alla Storia Unitaria d’Italia” della parte generale del “Quaderno dell’attivista” edito nel 1957 dal Movimento Giovanile del Partito Nazionale Monarchico, l’amico Dr. Ing. Domenico Giglio ci segnala l’opportunità di precisare che l’autore è stato Angelo Domenico Lo Faso, dirigente giovanile del Partito, uno dei giovani più preparati, immaturamente scomparso in un tragico incidente allorché Tenente medico in viaggio su una camionetta dell’Esercito, fu sbalzato fuori della stessa per una errata manovra dell’autista.
La prefazione del “Quaderno” venne scritta dal Dr. Renato Ambrosi de Magistris che era Segretario Nazionale del Movimento giovanile. L’amico Giglio giustamente rileva che è opportuno non si perda totalmente la memoria di persone che sono state esempio di un’attività politica veramente ideale nella quale il solo pensare a scopi di lucro sarebbe stato considerato un’offesa ed un’eresia. ■
Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, nel 1909, seduto, intento a prendere appunti durante una sosta sul Ghiacciaio Malaspina, sullo sfondo del Monte Sant’Elia in Alaska. pi, le strade di accesso, l’attraversamento di corsi d’acqua impetuosi, compresi ponti sospesi, i mezzi di trasporto dell’epoca, gli approvvigionamenti non facili, il personale locale, fu in ogni caso un grande successo, grazie alle guide valdostane, scelte personalmente dal Duca, anche se, dopo aver raggiunto con i vari campi i 7000 mt. di
no il 16 febbraio 1910, nel Teatro Vittorio Emanuele, di ben 6000 posti, tutti esauriti (il cui ricavato di 18.000 lire dell’epoca fu devoluto per precisa volontà del Duca, al corpo delle guide alpine del Club Alpino Italiano, come pure un acconto di 20.000 lire per la parte cinematografica fu destinato all’Opera Bonomelli per gli emigrati) e la
Il Duca degli Abruzzi nel 1909 durante una ricognizione sul K2 nel Karakorum. seconda a Roma, al Collegio Romano, il 22 febbraio, presenti il Re, la Regina, la Regina Madre, il fratello Emanuele Filiberto, Duca d’Aosta, il Presidente del Consiglio, on. Sonnino, Ministri, il Sindaco di Roma, Nathan, ed altre personalità, a conferma dell’importanza rivestita da questa missione. Quest’importanza per i dati raccolti e per la descrizione accurata del percorso effettuato, con il superamento del ghiacciaio Baltoro e del successivo Godwin Austen, è ribadita da una lettera dell’11 febbraio 1939 dell’alpinista statunitense Houston, indirizzata a Vittorio Sella, dopo il tentativo di conquista del K2, del 1938, terminato a quota 7925 mt., nella quale l’Houston dice di aver trovato dopo quasi trent’anni la piattaforma per le tende del campo due del Duca e che il suo debito nei confronti della spedizione del 1909 è maggiore di quanto potessero immaginare. Meno nota ma altrettanto importante è una spedizione scientifica, di dodici componenti e guidata dal Principe Aimone di Savoia, allora Duca di Spoleto, divenuto Duca d’Aosta dopo la morte del fratello Amedeo, avvenuta il 3 marzo 1942, per ricerche nella zona del Karakorum, della quale faceva parte il trentaduenne professore Ardito Desio. La spedizione iniziata nella primavera del 1929, con partenza operativa dalla già nota città di Srinagar, il 20 marzo, durò oltre sei mesi, terminando il 12 settembre con il rientro alla base
di Desio che aveva avuto ampia libertà di azione e di movimento nelle sue esplorazioni per a pprofondire le sue ricerche, che furono messe a frutto venticinque anni dopo. Questa spedizione non aveva infatti uno scopo alpinistico, anche se fu raggiunta nella esplorazione fatta dal Duca del “Probable Saddle” la quota di 6800 mt., ma di una maggiore conoscenza di questo favoloso gruppo di montagne con i loro ghiacciai lunghi decine di chilometri, nella quale fu importante la presenza delle esperte guide valdostane, fra cui va ricordato Evaristo Croux di Courm ay e u r, c h e s t e tt e a stretto contatto con il Duca di Spoleto, il quale al termine della spedizione volle rilasciargli, settembre 1929, in Srinagar, un attestato nel quale era riconosciuta “… l’abilità professionale e ardimento, non disgiunto da sangue freddo e prudenza ...”, parol e d e l l e q u a l i C ro u x , ancora vivo nel 1954, intervistato dopo la conquista del K2, era giustamente orgoglioso. In conclusione le spedizioni del 1909 del Duca degli Abruzzi e del 1929 del Duca di Spoleto costituirono le premesse della conquista del K2, onore e vanto dell’alpinismo italiano perché italiani delle più varie regioni ne erano i componenti, il cui ricordo è quanto mai necessario in momenti in cui appare smarrito il senso dell’unità e di quei valori non solo tecnici e fisici che consentirono l’impresa. ■
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Donatella Ceccarelli
ANTILLE “REALI” a Monarchia, quale istituzione, è ben più diffusa nel mondo rispetto a quanto normalmente creda l’Italiano medio il quale, nella migliore delle ipotesi, è poco edotto al riguardo dagli organi di informazione sia televisivi che di stampa di questa repubblica. Se infatti, come abbiamo visto sui numeri di aprile e maggio, quanto vasta sia ancora oggi l’influenza della Monarchia britannica nel mondo, anche altre Monarchie europee, per antico retaggio coloniale, alzano ancora oggi i loro “colori” su territori d’oltremare, con piena soddisfazione di quelle popolazioni. È il caso del Regno d’Olanda - che prima dell’ultimo conflitto mondiale vantava, per estensione, il terzo impero coloniale del mondo che nel 20 13 mantiene solide posizioni nel mar dei Caraibi, grazie ad un certo numero di territori che riconoscono S.M. Guglielmo Alessandro. Sino al 10 ottobre 2010 quelle che una volta erano le Antille Olandesi, tranne l’isola di Aruba, già autonoma dal 1986 rappresentavano un’unica realtà amministrativa, con una superficie complessiva di 80 0 Kmq. e una popolazione di circa 192.000 abitanti. Capitale era la città di Willemstadt. Oggi, a seguito di varie consultazioni referendarie quei territori si sono dati una differente struttura amministrativa. Si tratta di 5 isole: Curaçao, Bonaire, Saba, Sint Eustatius e Sint Maarten. In questo ultimo caso però, si tratta di una “comproprietà” essendo metà del territorio governato dalla Francia quale “territorio d’oltremare”. Bonaire, Saba e Sint Eustatius si sono eretti a “comuni a statuto speciale” dei Paesi Bassi, men-
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tre Curaçao e Sint Maarten hanno ottenuto lo status di Nazioni costitutive del Regno dei Paesi Bassi; Aruba aveva già questo status dall’1 gennaio 1986. Lingua ufficiale del possedimento è l’olandese ma assai diffusi sono l’inglese e il “papiamento”,un dialetto locale composto da un misto di termini inglesi, spagnoli, portoghesi ed olandesi. Pur se separate, però, le sei isole hanno mantenuto un’unica Corte di Giustizia, che ha giurisdizione su di esse quale Corte di prima istanza. Per i successivi gradi di giudizio, così come per tutti i cittadini olandesi, è competente la Corte Suprema de L’Aja. Ecco un quadro sintetico di quei territori, tra i più belli dell’area caraibica.
CURAÇAO
È una dipendenza diretta del Regno dei Paesi Bassi. L’isola ha una superficie di 444 km², 140.796 abitanti (nel 2006). La capitale è Willemstad. Situata nel Mar dei Caraibi, prospiciente la costa del Venezuela, è il maggiore dei possedimenti olandesi. I primi europei a visitarla furono nel 1499 gli spagnoli. Gli olandesi la occuparono nel 1634, fondando il centro di Willemstadt. Dal 1662 l’isola divenne un importante centro per la tratta degli schiavi, attività all’epoca tra le più proficue stante la continua richiesta di manodopera africana da parte dei piantatori non solo dei Carai-
bi. Nel 1863 il governo olandese abolì finalmente tale “commercio”, il che determinò una forte crisi nell’economia dell’isola, che ebbe termine nel 1914 allorché nella prospiciente laguna della venezuelana Maracaibo vennero scoperti imponenti giacimenti petroliferi. A seguito di ciò a Curaçao venne costruita una prima raffineria per gli olii minerali, che diede lavoro praticamente all’intera popolazione. La scelta di creare ivi tale centro industriale, venne motivata proprio dalla presenza olandese, che garantiva la tranquillità politica dell’isola, a fronte della sempre costante turbolenza politica di praticamente tutti gli altri Stati sud americani. La seconda parte del XX secolo vide allargarsi, sempre di più, la partecipazione dei gruppi afrocaraibici all’amministrazione dell’isola che, intanto, si avviava a divenire anche una delle più gettonate mete turistiche della regione, grazie alla mescolanza dell’efficienza olandese con lo splendore della natura tropicale. In tale ottica, negli ultimi anni le autorità dell’isola stanno investendo sempre maggiori risorse nella tutela del patrimonio storico e culturale dell’isola al fine di potenziare ulteriormente l’industria del turismo. La popolazione di Curaçao è poliglotta - pur essendo la lingua ufficiale l’olandese - dato che si parlano comunemente l’inglese e lo spagnolo, oltre al “papiamento” che è, come detto, un particolare dialetto locale.
BONAIRE
Con una superficie di 288 Kmq. e circa 14.000 abitanti, l’isola di Bonaire è la maggiore, dopo Curaçao, di quelle possedute dall’Olanda nei Caraibi. Gli olandesi se ne impadronirono nel 1636, creando una piccola base navale che utilizzarono contro gli spagnoli. L’ammainata Bandiera delle Antille Olandesi.
Già pochi anni dopo, la Compagnia Olandese del-
le Indie Occidentali iniziò lo sfruttamento economico del territorio realizzando le prime saline che ancora oggi rappresentano una delle risorse economiche dell’isola. Contesa per anni da spagnoli e francesi agli olandesi, questi poterono confermarne il proprio pieno dominio solo nel 1816. In quegli anni di lotte, il territorio venne popolato sia dai colonizzatori bianchi che dagli schiavi negri portati dall’Africa, che si unirono agli indigeni locali. A seguito di ciò oggi la popolazione è costituita quasi totalmente da meticci, a parte una minoranza bianca composta quasi totalmente da olandesi.
SABA
Piccola isola di 13 kmq. di superficie, Saba conta su una popolazione di meno di 2.0 0 0 abitanti. Isola vulcanica, ha come minuscola capitale il centro di The Bottom, dove si concentra praticamente l’intera popolazione.Vi sono anche altri tre piccolissimi villaggi. È parte della Municipalità anche la minuscola Isola Verde, un piccolo isolotto limitrofo all’isola principale. Lingua ufficiale è l’olandese. Interessante evidenziare che Saba è sede di una facoltà universitaria di Medicina che conta oltre 300 studenti. Sembra che il primo europeo a visitare l’isola sia stato Cristoforo Colombo, che vi sarebbe sbarcato il 13 novembre 1493. Nel 1632 vi approdarono dei naufraghi inglesi, che la trovarono disabitata. Nel 1635 I francesi ne dichiararono il possesso, in nome del Re Luigi XIII, ma alla fine di quel decennio, furono gli olandesi che iniziarono a colonizzarla inviandovi molte famiglie di coloni dalla vicina isola di St. Eustatius. Scacciati dagli inglesi, questi primi coloni dovettero abbandonarla. Solo nel 1816 la Corona olandese poté recuperarne il pieno possesso. Oggi la popolazione è in maggioranza cattolica romana. Dotata di un piccolo aeroporto nell’isola, che è collegata con gli altri territori, olandesi e non della
zona, negli ultimi anni, si è sviluppato l’ecoturismo, grazie alle risorse naturalistiche, sia terrestri che marittime, che sono praticamente intatte.
SAINT EUSTATIUS
Con una superficie di 21 Kmq. e 3.500 abitanti circa, è collocata a sud-est delle isole Vergini e immediatamente a nordovest di St. Kitts and Nevis. Capitale è la cittadina di Oranjestad. La lingua ufficiale è l’olandese, ma praticamente tutti parlano anche l’inglese. Anche in quest’isola il governo olandese ha realizzato un aeroporto intitolato al presidente USA “F. D. Roosevelt”. Visitata per la prima volta da Cristoforo Colombo nel 1493, l’isola passò di mano più volte, da una potenza all’altra. Nel 1636 venne occupata dalla Compagnia olandese delle Indie Occidentali che nel 1678 ne fece il centro amministrativo competente anche per le limitrofe Saint Maarten e Saba. Fu in quel periodo che vennero iniziate le coltivazioni della canna da zucchero e del tabacco. Allorché al principio di questo secolo, le varie parti delle Antille Olandesi chiesero una maggiore autonomia - ottenendola con dei regolari referendum popolari - gli abitanti di St. Eustatius furono gli unici a votare per il mantenimento di un’unica struttura amministrativa, con oltre il 77% dei voti a favore. Essendo però stata maggioritaria la scelta di modificare la struttura delle ex-Antille, nacque anche qui una municipalità speciale del Regno d’Olanda.
SAINT MARTEEN
Parte integrante del Regno d’Olanda, l’isola caraibica di Saint Maarten ha una superficie complessiva di 40 Kmq. e una popolazione di quasi 40.000 abitanti. Capitale la cittadina di Philipsburg,
che conta meno di 1.300 abitanti, ma il centro principale (oltre 8.000 abitanti) è Lower Prince’s. Visitata da Cristoforo Colombo durante il suo secondo viaggio nelle Indie Occidentali, venne inizialmente battezzata isola di San Martino, essendovi il viaggiatore genovese sbarcato l’11 novembre del 1493. Dichiarata territorio della Corona di Spagna, iniziò ben presto ad essere contesa anche da francesi ed olandesi. I primi coloni stabili furono proprio gli olandesi che, dal XVII secolo non la abbandonarono praticamente più, nonostante vari tentativi, specialmente spagnoli, di rioccuparla. Nel 1816 venne definitivamente riconosciuto il possesso dell’isola, che fu divisa tra francesi ed olandesi (54 Kmq. alla Francia, 41 Kmq. all’Olanda). Fu una delle prime isole in cui, già a metà del secolo scorso, venne avviata l’importante industria del turismo. Già nel 1939 era stata dichiarata “porto franco”.L’aeroporto “Principessa Giuliana” divenne uno dei più importanti scali caraibici. Oggi l’isola è governata da un consiglio di 15 membri eletti e da un Governatore, rappresentante della Corona olandese.
ARUBA
Con una superficie di 179 kmq. ed una popolazione di oltre 100.000 abitanti, l’isola di Aruba è stata la prima, nel 1986, a rendersi autonoma, amministrativamente, dalle Antille Olandesi. Parte integrante del Regno d’Olanda, ha come capitale la cittadina di Oranjestad (33.000 abitanti). Importante località turistica, e anche rilevante centro d’affari internazionali venne, al principio del XVI secolo, occupata dagli spagnoli ma già nel 1632 era sotto il pieno controllo olandese. Nel 1933 la popolazione inviò una prima istanza alla Regina Guglielmina, con cui chiese una maggiore autonomia nell’ambito dei possedimenti
ITALIA REALE - 6/2013
caraibici dell’Olanda, ma senza successo. Durante la Seconda guerra mondiale le sue raffinerie si rivelarono strategiche nell’economia del conflitto, tanto che il 16 febbraio 1942 un sommergibile tedesco le cannoneggiava dal mare. Nel 1954 venne finalmente riconosciuta l’autonomia dell’isola nell’ambito del Regno dei Paesi Bassi. Nel 1986 separatasi per prima dalle altre Antille Olandesi, l’isola ha eletto un proprio Parlamento. Lingua ufficiale è l’olandese. Il Parlamento è composto da 21 membri. Il Governo è composto da 8 ministri. Il Governatore è nominato ogni sei anni dal Sovrano e lo rappresenta. I cittadini di Aruba hanno passaporto olandese e sono, ad ogni effetto, riconosciuti quali cittadini olandesi, anche se l’isola non è riconosciuta quale parte dell’Unione Europea. Importante centro culturale dell’area, ad Aruba sorgono due facoltà di medicina: una presso l’Aureus University School of Medicine ed una presso la Xavier University School of Medicine. L’economia oltre che sul turismo si basa sull’estrazione dell’oro, lo sfruttamento dei fosfati, l’esportazione dell’aloe e dei suoi derivati e la raffinazione del petrolio. Il reddito pro-capite supera i 20.000 dollari/anno. A Oranjestadt sorge l’aeroporto internazionale “Regina Beatrice”, fondamentale per il turismo non solo nell’isola. Sono oltre 1.500.000 i viaggiatori che annualmente arrivano e partono, oltre il 60% dei quali americani. Aruba è anche meta delle principali linee di navigazione mondiali e sono perciò centinaia le navi da crociera che ogni anno fanno tappa nell’isola. Concludendo, è indubbio che il governo olandese ha saputo investire sapientemente in questi suoi lontani territori, nel rispetto di tutte le razze che vi abitano, riuscendo a far apprezzare, sia dai nativi che a livello internazionale, la favorevolissima situazione economica e politica che si è venuta a creare e che garantisce una grande stabilità. Oggi l’appartenenza alla Corona non è messa in discussione ed è quindi con fiducia che quelle Isole possono guardare al Regno che il 30 aprile, ha visto l’ascesa al Trono d’Olanda di Re Guglielmo Alessandro. ■
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F.C.
DANIMARCA
INCONTRI N REALI A. Sabah IV Al Ahmad Al-Jaber AlSabah, Emiro Regnante del Kuwait, è stato a Londra per una visita ufficiale della durata di due giorni, ospite di S. M. la Regina Elisabetta II. Da ricordare che il Kuwait, con una superficie di soli 17.000 Kmq., è in possesso del 10% delle riserve petrolifere mondiali e che oltre il 90% delle entrate dello Stato derivano dalle esportazioni di tale prodotto.
S.
ei mesi precedenti il recente Giubileo della Regina Margherita di Danimarca - 40 anni di Regno - uno dei maggiori quotidiani danesi ha svolto un sondaggio tra la popolazione, teso ad accertare a quanto ammontasse la popolarità dell’Istituto monarchico nel Paese. Il sondaggio, curato dal prestigioso istituto di statistica “Megafon”, ha evi-
Liberale. Solo tra i sostenitori dell’Alleanza Rosso-Verde, i monarchici sono “appena” il 36%. Destra, Sinistra, Centro, senza distinzione. Il Prof. Sorensen, che insegna storia presso l’Università di Copenaghen, ha affermato che mediamente le Case Reali europee godono di un favore che oscilla tra
Regina Elisabetta con Emiro del Kuwait L’Emiro è stato ricevuto nel castello di Windsor con una cerimonia militare. La Sovrana inglese, accompagnata dal Principe Filippo e dal Principe di Galles, era scortata dal Reggimento a Cavallo, ed ha accolto l’ospite al suo arrivo. Sono forti ed antichi i legami storici che uniscono le due Nazioni risalendo i primi contatti a quasi tre secoli fa. Economicamente poi la Gran Bretagna è stata tra i partner privilegiati del Kuwait per quanto attiene ai settori della difesa e della cultura, e vivissimi sono gli scambi commerciali. Una parte importante è stata riservata agli incontri con il Governo britannico dell’Emiro, che ha anche visitato la Reale Accademia Militare di Sandhust dove, tradizionalmente, vengono formati i figli ed i cadetti delle famiglie Reali arabe, non solo Kuwaitiane. ■
re due aspetti importanti: il primo che l’istituto monarchico può recuperare, anche in breve tempo, posizioni su posizioni, se “guidato” in maniera intelligente da chi lo rappresenta; il secondo che la Monarchia non appartiene solo alla destra, ma anche al centro e alla sinistra, come perfettamente illustrato dalla realtà del Regno, felice, di Danimarca. ■
Nel recente anniversario della dichiarazione d’indipendenza del Tibet proclamata dal XIII Dalai Lama un secolo fa alla caduta dell’Impero Manciu, a Boudanath, città tibetana in Nepal vicina a Kathmandu, dove si trova una grande statua bianca fra le più sacre del Buddismo, un Monaco si è dato fuoco mentre urlava slogan contro l’occupazione maoista del 1950 ■ della sua Patria.
ALBANIA uella che una volta era la Patria del diritto ed il faro di civiltà ha ricevuto una lezione di stile e di democrazia della vicina Albania, a conferma che l’attuale, al pari di molte delle classi politiche che in precedenza hanno governato questa repubblica, vive ormai in completo “scollamento” con la realtà sociale ed umana del Popolo italiano.
Q
Il piccolo Stato è stato protettorato britannico dal 1891 al 1961, anno in cui, in modo assolutamente pacifico, ottenne la piena indipendenza dal Regno Unito. Proprio la Gran Bretagna, negli anni ’30 del secolo scorso, si era resa conto delle immense ricchezze del sottosuolo di quel desertico, piccolo Paese, iniziandone la valorizzazione.
TIBET
Regina Margherita di Danimarca denziato come oltre il 77% dei danesi sia a favore del mantenimento dell’istituto monarchico, a fronte di uno sparuto 16% di favorevoli alla repubblica. Un calo di quasi 9 punti percentuali, per i repubblicani, rispetto al 2010 anno in cui il favore verso tale istituto era al 25%. Per i monarchici una percentuale di favorevoli impressionante, considerando che nel 1972 alla morte del precedente Sovrano, i favorevoli non arrivavano al 50%, pur considerando un’ampia fascia di incerti. L’aumento dei sostenitori della Corona è stato costante negli anni di regno dell’attuale Sovrana, passando dal 51% del 1978 al 77% di oggi, con un picco “bulgaro”, nel 2001, del 93%! Da rilevare che i favorevoli alla Monarchia sono presenti in tutti i partiti rappresentati nel Parlamento di Copenaghen: sono, infatti, l’80% di chi vota per i Socialdemocratici, il 68% di chi vota per i Social-Liberali, l’85% dei Conservatori, il 71% dei Socialisti-Popolari, il 78% di Alleanza Liberale, l’82% del Partito del Popolo danese e 87% tra i sostenitori del partito
il 58% ed il 77%. Il fatto che proprio la Famiglia reale Danese sia al “top” di tale classifica “Reale”, secondo il Docente, si basa sul fatto che ha avuto la capacità di modernizzarsi in maniera intelligente, a fronte di un’eccessiva lentezza nei cambiamenti di quella britannica e di una eccessiva rapidità di quella norvegese. A mo’ d’esempio viene spesso addotto il fatto che nella pur progressista Norvegia, molti cittadini siano rimasti “perplessi” per il matrimonio del Principe ereditario al Trono di Oslo con una ragazza madre, avvenuto nel 2001, mentre i danesi non hanno avuto problema nell’accettare, quale Principessa ereditaria, una borghese ragazza australiana, la Principessa Maria che nel 2004 ha sposato l’erede al Trono danese. A ciò aggiungasi - e non è poco, considerando, ad esempio, i costi del Quirinale - che la Famiglia Reale costa annualmente al contribuente danese, una somma che si aggira attorno ai 50 milioni di euro, somma considerata ragionevole persino per un popolo austero quale quello danese. A margine, da evidenzia-
Popolo italiano che, se potesse decidere, da anni avrebbe permesso, con soddisfazione e rispett o della verità storica, l’inumazione dei resti mortali dei nostri Sovrani defunti in esilio nel Pantheon di Roma. Il 17 novembre, infatti, il feretro del Re Zog I, il Sovrano che garantì per 20 anni l’indipendenza e lo sviluppo - nei limiti del possibile – del suo Paese è tornato, a poco di 50 anni dalla morte, a Tirana. In occasione di tale evento, curato nell’organizzazione dall’Ambasciatore albanese a Parigi - città nella quale si trova il sacello del Sovrano - le massime autorità nazionali albanesi hanno presenziato alle cerimonie, insieme a tutti i membri della Famiglia Reale. È stato lo storico Palazzo delle Brigate, tradizionalmente dedicato alle grandi cerimonie pubbliche di Stato, ad ospitare la cerimonia. Il Re è stato accolto ufficialmente con gli onori militari, mentre i cannoni sparavano a salve in suo onore. La bara è stata quindi inumata nella tomba che, a Tirana, accoglie i defunti della Casa Reale.
Re Zog I di Albania Tutto ovviamente si è svolto sotto il Patrocinio del Governo. Ad accogliere il feretro non solo migliaia d’albanesi residenti a Tirana, ma delegazioni provenienti anche dall’estero, a rappresentare le importanti minoranze squipetare del Kossovo e della Macedonia. La settimana successiva, nella capitale albanese è stata inoltre inaugurata una statua riproducente il Sovrano che, eletto Re il 1 settembre 1928, era stato costretto all’esilio nel 1939, a seguito dell’invasione italiana. Nel 2000 una delle principali arterie viarie di Tirana era stata intitolata a suo nome. Dopo alcuni anni in Egitto e negli Stati Uniti, si trasferì in Francia dove morì nel 1961. È così stata eliminata, in Albania, un’incongruenza storica che, sarebbe auspicabile, lo fosse anche in Italia da quella parte del mondo politico, ancora onesta, che non si occupa solamente della gestione dei fondi pubblici che le viene assegnata. A margine, da rilevare che è prevista a Tirana anche la costruzione di un mausoleo nazionale, destinato ad accogliere unicamente i resti della Famiglia Reale. Noi il Mausoleo lo abbiamo già: il Pantheon di Roma! ■
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Antonello De Marco
VOLANTI ROSA LA STORIA TRA ROMANTICISMO E LEGGENDA DELLE CAMPIONESSE ITALIANE DI AUTOMOBILISMO o scorso anno, durante un’intervista, un noto ex campione italiano del volante, sollecitato sulla questione della parità dei sessi, delle quote rosa in politica e via dicendo, sosteneva che “se i Paesi fossero governati da donne, nel mondo vi sarebbero meno problemi.” Su di un punto, però, l’ex pilota si dichiarava fermo sostenitore dell’inferiorità delle donne rispetto agli uomini:“nelle manovre di parcheggio!”. Forse, però, il nostro (ancor giovane) ex driver dimenticava che sin dalla nascita dell’auto mobile nel campo delle competizioni automobilistiche, è sempre esistita una pattuglia di “gonnelle” che in pista o su strada ha spesso sonoramente battuto i maschi. Sicché, frugando fra le vicende dell’automobilismo agonistico italiano (limitandomi per amor di Patria alle cronache sportive di casa nostra), ho ripercorso il cammino di alcune eroine del volante, protagoniste di una epopea ormai tinta di leggenda tutta in rosa.
L
Maria Antonietta D’Avanzo. “La signora quattro pistoni” Il nome di Maria Antonietta D’Avanzo (18901977) mi è rimasto ben scolpito nella mente sin da ragazzo. Mio padre, giornalista sportivo, mi raccontava sovente delle gesta agonistiche di questa campionessa che lui aveva avuto modo di conoscere allorché nel 1922, da giovane cronista, era stato inviato dal suo giornale alla Targa Florio. Nata a Cantorina Veneta (Rovigo), la baronessa D’Avanzo, ha rappresentato, fra le pioniere del volante da corsa, per antonomasia il simbolo delle donne pilota. Aveva debuttato nelle corse nel 1918 ancor prima che d’Annunzio avesse cominciato a discettare, con un instancabile refrain, che lo auto mobile in realtà in quanto femmina andava declinata al femminile: la automobile.
Questo era il contesto storico nel quale la D’Avanzo decideva di sfidare i maschi nelle tenzoni automobilistiche. Siamo in un’epoca in cui le rare automobili circolanti nell’Italia rurale di allora venivano viste - nonostante la loro utilità dimostrata sotto forma di autocarro durante la Grande Guerra - come un pericoloso prodotto del diavolo, guidate da stravaganti chauffeur. Figuriamoci poi se alle “redini” di tali mostri si cimentavano, fra nugoli di polvere, delle sfrontate signore.
vulcanico patronVincenzo Florio. È proprio alla corsa siciliana (sebbene anche questa volta costretta al ritiro), che consolidava la sua fama di irriducibile accattivandosi la stima dei maschi (gente del calibro di Borzacchini, Brilli Peri, Campari,Antonio Ascari) ma, forse, suscitando invidia nel giovane Enzo Ferrari all’epoca pilota e non ancora responsabile del reparto corse dell’A lfa Romeo.D’altra parte laTarga Florio era un’impresa dura al limite dell’impossibile per gli uomini, figuriamoci per un pilota donna alle prese con un percorso massacrante e insidioso con, ad ogni curva, il pericolo in agguato sotto forma di fondo sconnesso,polvere, fango e cani sciolti. Ma da quel corpo esile, reso elegante da una tenuta da gara all’insegna di un tocco d’alta moda, scaturiva una forza fisica e mentale notevole che permetteva alla D’Avanzo di tenere a bada i piloti maschi.
Maria Antonietta D’Avanzo La D’Avanzo, detta “La signora quattro pistoni” (soprannome che rifletteva in un certo senso un’indole non remissiva votata ai motori), debuttava, come detto, nel ’18 al Giro del Lazio con una SPA. Attratta dal fascino della Targa Florio vi partecipava nel ’21, con una Buick, ma era costretta al ritiro. Più fortunata nello stesso anno al Circuito del Garda, questa volta con una Ansaldo (vettura prodotta a Torino così come la SPA), dove si piazzava terza dietro un certo Tazio Nuvolari da poco affacciatosi alle competizioni automobilistiche dopo una brillante carriera con le due ruote. Sempre nel ‘21 la campionessa si distingueva al Circuito di Brescia su Alfa Romeo conquistando il terzo posto. Nel ’22 ritentava la sorte con l’Alfa Romeo alla Targa Florio - ormai una classica - giunta alla sua 13^ edizione sotto l’egida del
Nel ’26 la “pilotessa” partecipa alla Coppa Perugina (terza nella classe fino a 2000 cc), mentre nel ’28 alla Mille Miglia, doveva ritirarsi per un guasto meccanico. Nel ’31 si classificava terza a Grosseto alla Coppa Pierazzi. E passiamo al 1939: spiravano ormai tragici venti di guerra. La Nostra corre, fuori dal territorio metropolitano, la classica Tobruck-Tripoli classificandosi sesta nella classe 1100 Sport con una Fiat 1100. Fu la sua ultima gara. Da qui in poi si alimenterà vieppiù la leggenda di questa dama pilota pioniera, al femminile, dell’automobilismo agonistico italiano.
Tre dame terribili Quali donne pilota, in Italia, raccolsero l’eredità della D’Avanzo all’indomani della Seconda Guerra Mondiale? La risposta la dava già, alla fine degli anni Sessanta, Giovanni Canestrini indicando, quali “discendenti” della D’Avanzo, Anna Maria Peduzzi, Maria Teresa De Filippis e Ada Pace. Infatti, in un passaggio del suo
libro “La Favolosa Targa Florio”,a supporto del suo parere, la celebre giornalista scriveva: “Ada Pace, Maria Teresa De Filippis e Anna Maria Peduzzi, furono un trio femminile che poteva vittoriosamente competere con parecchi dei campioni più popolari del volante. In molte gare la presenza di queste guidatrici recava una nota di gentilezza, mista a valentia e coraggio …”.
Anna Maria Peduzzi. “La Marocchina” Per delineare le vicende del trio Peduzzi, De Filippis e Pace occorre seguire un ordine storico iniziando da Anna Maria Peduzzi. Nata a Olgiate Comasco nel 1912, costei debuttava nel mondo delle corse partecipando ad alcune gare in salita. Nel 1933, con un’Alfa Romeo 6C 150 0 della Scuderia Ferrari, si aggiudicava la Coppa Principessa di Piemonte. L’anno successivo conquistava il primo posto nella sua classe, sempre con l’Alfa Romeo, alla Mille Miglia in coppia con il marito Gianfranco Comotti ottimo pilota degli anni Trenta e Cinquanta con all’attivo due gare in F1 nel ’50 con la Maserati e nel ’52 con la Ferrari. Particolare singolare, anche la Peduzzi agli inizi della sua carriera sportiva, come la D’Avanzo, aveva avuto modo di duellare con Nuvolari, senza trascurare, poi, che all’epoca in cui si era gettata nell’agone delle gare, oltre al mitico pilota mantovano, fra i “manici” in circolazione figuravano pure Varzi, Cortese, Biondetti, Bonetto,Villoresi,Taruffi. Bella, elegante, colta, di carnagione scura, veniva simpaticamente appellata nell’ambiente delle corse “la Marocchina”. Dotata di charme (sempre impeccabile nella tenuta sportiva con un’espressione marcata da un velo di malinconia che celava i ricordi non sopiti di una malattia vinta ma che le aveva lasciato qualche segno), non le faceva difetto il senso dell’umorismo. Tant’è che era solita iscriversi alle gare con lo pseudonimo di “Marocchino” con la o finale, al maschile, per intenderci. Successivamente, alla fine degli anni Trenta, la storia della Peduzzi e di suo marito si
Anna Maria Peduzzi tinge di noir allorché i due, non condividendo l’ideologia del regime fascista, si allontanarono dall’Italia prima della bufera della guerra per farvi ritorno probabilmente dopo l’Otto Settembre del ’43 per dare il loro apporto alla lotta di Liberazione. Lasciati i tragici ricordi del conflitto, “la Marocchina” spinta, come altri piloti dell’epoca, dal desiderio di assaporare dall’abitacolo il vento della riconquistata libertà, torna alle corse facendo campeggiare sulle fiancate delle sue vetture il nodo sabaudo ad evidenziare, senza equivoci di sorta, la sua fede proprio quando l’Italia era divenuta una repubblica. Nel ’51 faceva la sua rentrée dopo la pausa della guerra. Partecipava alla Coppa delle Dame ComoLieto vincendo la classe GT 1100 con una Fiat 1100 Stanguellini carrozzata Bertone,legando così il suo nome alla Casa modenese per la quale gareggerà negli anni Cinquanta con la “barchetta” Sport 750. Sulle orme della D’Avanzo ecco il filo rosa conduttore fra queste eroine del volante - conferma la sua predisposizione per le gare stradali come la Targa Florio alla quale partecipò nel ’53, ’54, ’58, ’59 e ’60.A suo agio anche nei circuiti cittadini in cui coglieva sovente la vittoria nella sua classe, era presente pure alle classiche cronoscalate italiane - dallaAosta-San Bernardo alla Catania-Etna ben figurando nelle classifiche assolute. In alcune puntate all’estero (nel ’52 corre al Nürburgring) si mette in evidenza, come nel ’56 allorché colse una vittoria di classe con la Ferrari TR 500 alla 1000 Kilometri di Parigi. Nel ’56 lasciava la Stanguellini per partecipare con una monoposto Formula JuniorTaraschi al GPVigorelli a Monza, per poi gareggiare, nello stesso anno, con una ben più potente Ferrari alla
Coppa Sant’Ambroeus. Per la cronaca a questa gara era presente,con la Osca (acronimo di Officine Specializzate Costruzioni Automibili), anche Ada Pace costretta però al ritiro. La Peduzzi nelle gare su strada - come la Mille Miglia, il Giro di Sicilia e la Targa Florio - era solita condividere il volante con piloti di vaglia e, in particolare, con il reggino Francesco Siracusa (campione italiano dello Sport Internazionale 1100 nel ’57 e nel ’58 su Stanguellini) con il quale nel ’60 alla Targa Florio, con una Osca Sport, conquistava un terzo posto di classe fino a 160 0 cc e la 17^ piazza assoluta (alla stessa manifestazione partecipava Ada Pace, 1^ nella classe 1100 con la Osca). All’inizio degli anni Sessanta la Peduzzi dirada la sua attività: nel ’61 si presentava a Monza alla Coppa Ascari con una piccola NSU (5^ di classe), mentre nel ’61 a Monza, con l’Alfa Romeo Giulietta, era costretta al ritiro. Probabilmente fu questa la sua ultima stagione agonistica.
Maria Teresa De Filippis. “Pilotino” (Napoli 1926) Lo scorso anno sulle pagine dei principali quotidiani italiani è apparsa, come testimonial per una nota banca, un’anziana signora dall’aspetto vivace, ritratta a bordo di una F1 Maserati 250F. Chi era l’intrepida dama? Si trattava di Maria Teresa De Filippis ritratta proprio nell’abitacolo della stessa vettura che la vide fra i protagonisti nel campionato di F1 del 1958. “Pilotino”, così la chiamavano affettuosamente nell’ambiente, elegante aristocratica napoletana, debuttava, per una scommessa con i sui fratelli, alla fine degli anni Quaranta in alcune gare in salita.
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In evidenza da subito con una “barchetta” 750 Urania, passava poi alla Giaur (acronimo della marca Giannini-Urania). Successivamente, all’inizio degli anni Cinquanta, ecco il salto di qualità della napoletana in categorie più impegnative, con la Osca 1100 Mt4 costruita della rinata Casa dei fratelli Maserati. Con tale vettura, nel 1953, al Cir-
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debutta in F1. In questo periodo i protagonisti della massima formula erano, fra gli altri, Hawthorn, Van Trips, Collins, Moss. Piloti, in verità, per niente infastiditi dalla presenza di una collega tanto graziosa quanto determinata. Alcuni di questi campioni non le lesinano consigli preziosi. E “Pilotino” impara in fretta con umiltà partecipando quel-
Maria Teresa De Filippis cuito di Avellino guadagnava il 2° posto assoluto, mentre era 7^ al Circuito del Montenero (Livorno). Addirittura, all’impegnativa 12 Ore di Pescara in coppia con Scorbatti, si piazzava 1^ di classe e 4^ assoluta.Al Trullo di Bari è nuovamente vincitrice della classe 1100; bene anche al circuito di Sassari (2^ assoluta), mentre alla Vermicino-Rocca di Papa conquistava il terzo posto nella sua classe. Per la stagione 1954 rimaneva fedele alla Osca, gareggiando sempre nella categoria Sport con la Mt4 classe 1100, primeggiando sovente nella sua categoria nelle varie classiche in circuito, in salita o su strada come la Targa Florio alla quale fu presente nel ’48, ’49, ’50 e ’55. Nel ’55, lasciata la Osca, passava alla più impegnativa leggendaria Maserati A6GCS affrontando avversari che si chiamavano Scarfiotti, Bussinello, Cabianca, Lualdi Gabaldi, Munaron. Quell’anno con la Maserati si classificava al 10° posto assoluto al Giro di Sicilia “dopo essere transitata al passaggio di Catania quinta sorprendendo tutti e accolta da un tripudio di applausi” (così Pino Fondi autore de “Il mitico Giro di Sicilia). Dotata di un raffinato ma deciso stile di guida che rispecchiava quello charme, non disgiunto da una sottile ironia, che la accompagnava anche fuori dalle piste, nel ’58 la campionessa napoletana
l’anno, con una Maserati 250F - privata e non all’altezza della concorrenza al GP del Belgio (decimo posto), al GP del Portogallo (ritirata) e al GP d’Italia a Monza dove era costretta al ritiro al 58° giro per la rottura di una biella. Sempre nel ’58 gareggiava a Vallelunga con una Formula Junior Stanguellini classificandosi 6^ nella finale. Nel ’59 - dopo la mancata qualifica al GP di Montecarlo con una Porsche-Behra privata e a corto di cavalli - correva a Siracusa con una Osca 1500. All’apice della carriera agonistica, profondamente provata per la tragica scomparsa dell’amico pilota Jean Behra al GP di Germania, decideva di appendere il casco al chiodo. Un vero peccato perché con una vettura più aggiornata tecnicamente avrebbe potuto cogliere in F1 maggiori soddisfazioni. Le resta comunque un primato: è stata in assoluto la prima donna a competere in F1 .
Ada Pace. “Sayonara” (Torino 1924) Fra la fine degli anni ’50 e i primi ’60 Ada Pace è stata non soltanto il pilota più veloce della categoria turismo riservata alla dame ma colei che diede filo da torcere ai colleghi maschi in pista e in salita nelle categorie GT e Sport. Tant’è che in tali categorie conquistò ben cinque titoli nazionali di Velocità nelle stagioni che
andarono dal 1957 al 1963, peraltro facendo suo nel 1959 anche l’ambito Trofeo della Montagna. Gli esordi della signorina Ada Pace, rotondetta, sempre sorridente (ma quando si calava nell’abitacolo delle sue vetture quel sorriso spariva e allora per i maschi rivali diventava dura) la vedono agli albori degli anni Cinquanta, al manubrio di una Vespa Piaggio, affrontare massacranti gare di regolarità come la 1000 Kilometri Vespistica. Lasciata la Vespa arriva il debutto sulle quattro ruote: dopo aver partecipato alla Torino-Sanremo del ’51, nel ’53 partecipava alla Coppa Nissena in Sicilia con una Abarth e alla Sassi-Superga su Moretti, nota casa torinese impegnata, al tempo, nella produzione di vetture di serie e da corsa. Nel ’56 si metteva definitivamente in luce suscitando ammirazione fra i rivali maschi. Ma non tutti gli avversari erano dei gentiluomini: qualcuno viveva con frustrazione il fatto che quella ragazzina dall’aspetto sbarazzino e dall’abbigliamento informale fosse più veloce. Sicché dai dispettucci si passava ai reclami di fine gara da parte dei maschi arrivati alle sue spalle. Ma, immancabilmente, esperite le verifiche di rito le vetture della torinese venivano dichiarate conformi al regolamento. Può essere anche vero che nei maschi difettasse il senso della cavalleria ma, forse, la signorina indispettiva gli avversari con quello pseudonimo tramite il quale si iscriveva alle gare: “Sayonara”. Come dire “caro avversario sei meno veloce di me: ‘arrivederci’ - ti aspetto al traguardo”. E “Sayonara” partecipava a tutte le classiche più importanti su strada,in salita e anche su pista sobbarcandosi faticose trasferte all’insegna di un automobilismo agonistico fatto di sacrifici ma ancora romantico. E se la Peduzzi aveva legato il suo nome alla Staguellini, due vetture consacrarono ai vertici dell’automobilismo agonistico Ada Pace: la Osca Sport e l’Alfa Romeo Giulietta SV (Sprint Veloce) e SVZ (Sprint Veloce Zagato). Tant’è che nel ’57, fra i vari successi con l’Alfa Romeo Giulietta collezionava il 1º
posto nella 1300 GT alla cronoscalata Colle San Rizzo (Messina). Nel ’58, per nulla intimorita dalla fama degli avversari che bazzicavano nella categoria GT - fra i quali Carlo Facetti, Elio Zagato, Carlo Maria Abate, Massimo Leto di Priolo, Pietro Laureati, Giuseppe Virgilio - Ada è 1^ di classe e 7^ assoluta alla Stallavena-Boscochiesanuova, come pure è 1^ nella classe 1300, nonché 3^ assoluta alla Coppa Sant’Ambroeus. Con la Giulietta SVZ,Ada sempre quell’anno vinceva l’assoluto alla TriesteOpicina consacrandosi come una dei piloti più veloci della categoria. Fu prima non solo della sua classe, ma addirittura prima assoluta nella classifica generale, sbaragliando piloti blasonati che disponevano delle potenti Sport di 2000 e 3000 cc (Scarfiotti, Lualdi, Govoni, Cabianca, tanto per citarne alcuni) guidando, o meglio,“dipingendo” curva dopo curva, nel salire lungo i tornanti viscidi per la pioggia. Per di più quell’anno conquistava anche la vittoria assoluta nel Campionato femminile italiano 1300 GT. Ma chi era il preparatore della fida Giulietta con la quale la Pace aveva raggiunto una simbiosi perfetta? La Sprint Veloce, strumento di tante vittorie, era preparata nell’officina di Moncalieri, alle porte di Torino, dal “mago” Virgilio Conrero “rivale” di un altro grande preparatore, il milanese Piero Facetti legato, quest’ultimo, da un rapporto di collaborazione con la carrozzeria Zagato. Cosicché, grazie all’Officina Conrero, anche nel ’59 Ada, dopo aver collezionato dei primi posti di classe in varie manifestazioni, si ripresentava alla Trieste-Opicina, dopo l’assoluto dell’anno precedente, conquistando il primo posto nella classe GT 1300 sempre con la Giulietta. Ma, poiché la caratteristica della torinese era quella di gareggiare nella stessa manifestazione in due diverse categorie, alla cronoscalata triestina andò a ripetere il percorso vincendo anche la classe 1100 Sport con la Osca, Casa per la quale pilotò dal ’53 al ’63. Nel ’60 il colpo di scena. L’idillio fra Ada Pace e Virgilio Conrero cessa.
A causa di dissapori e, forse, di incomprensioni, “Sayonara”, per la preparazione della sua Giulietta si affida al meneghino Facetti. L’episodio del “tradimento” non fece che alimentare la rivalità fra le due officine - come dire Torino contro Milano - con il risultato che dal generoso 4 cilindri della Giulietta SV e SVZ i due preparatori cominciarono a cavare il meglio dei CV senza peraltro comprometterne l’affidabilità. Il tutto all’insegna di una sana rivalità combattuta a colpi di migliorie tecniche celate dalla più assoluta segretezza. Sempre nel ’60 Ada Pace si cimentava anche con la monoposto Formula Junior partecipando al Circuito di Cuba - allestito presso l’aeroporto de La Vana - con una Stan-
scrivevano nel loro libro “Osca. La rivincita dei fratelli Maserati”:“Così come l’aveva iniziata Ada Pace chiude la stagione con un altro perentorio successo”. Dopo un ’61 ricco di successi anche nelle cronoscalate nel Nord e nel Sud d’Italia, tanto con la Osca Sport quanto con la Giulietta, la stagione ’62 iniziava positivamente: sempre con lo pseudonimo “Sayonara” debuttava con un’altra vettura della Osca, la Sport 272, vincendo la classe 1000 alla Bologna-Raticosa, così come al GP Campagnano di Vallelunga. Il ’63 è l’anno dei piazzamenti nella propria classe sia in pista che in salita, dopo essersi messa in evidenza alla Targa Florio in coppia con il pilota siciliano Arena, su Simca-Abarth. Probabilmente fu questa l’ultima stagione - ai vertici delle classifiche - di Ada
Ada Pace guellini. La manifestazione caraibica si articolava su due prove: nella gara del 24 febbraio Ada fu 8^ facendosi largo fra un nugolo di avversari. Da sottolineare che la successiva gara del 28 febbraio venne vinta da un giovane e promettente Lorenzo Bandini che di lì a poco sarebbe approdato alla Ferrari.
Pace che, peraltro, sul finire della carriera si era distinta anche al volante di vetture più impegnative come nel ’62 anno in cui partecipò con la Ferrari 250 alla StallavenaBoscochiesanuova.
Ma la gara che portò la torinese agli onori delle cronache sportive del ’60 fu la Targa Florio. Ada, al volante della Osca, in coppia con Castellina, sobbarcandosi i 9/10mi di guida del percorso, vinse la Classe 1100 della Sport!
Il periodo compreso fra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 sancisce il declino dell’automobilismo romantico. Finisce l’epoca dei “cavalieri del rischio” per dirla come il giornalista Marcello Sabbatini, celebre direttore di Autosprint. Il pilota comincia a contare meno. Si affacciano ricchi sponsor che permettono ai driver meno dotati di gareggiare con mezzi più tecnicamente aggiornati. È in questo momento storico che dopo tanti anni ritroviamo in F1 un’altra donna. Il testimone “rosa” della De Filippis viene raccolto dalla connazionale Maria Grazia Lombardi detta “Lella” da quelli del “Circus”.
A coronamento della stagione, in barba ai maschi, la Pace sbaragliava la concorrenza con la Giulietta ai Colli Torinesi (1^ di classe), per poi conquistare, con la Osca, la classe 1100 Sport alla Catania-Etna e alla Coppa d’Oro ACI a Modena del 16 ottobre. Sicché, nel tessere le lodi della torinese per il suo finale di stagione, i giornalisti Orsini e Zagari così
Maria Grazia Lombardi. “Lella, la tigre di Torino”
(segue a pag. 14)
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VOLANTI ROSA (da pag. 13)
In verità era anche soprannominata, dalla stampa anglosassone “la Tigre di Torino”, posto che i giornalisti stranieri non avevano idea dove diavolo fosse Frugarolo (Alessandria) il paesino in cui la Lombardi era nata, nel 1943, da genitori dalle modeste risorse economiche. Certamente l’amore per le auto da corsa era sbocciato in lei sin da ragazzina allorché si cimentava nei pressi dell’uscio di casa al volante del camion del padre. Nonostante le ristrettezze economiche della famiglia, con una grande forza di volontà e sacrifici riuscì a risalire, una per una, tutte le categorie canoniche dell’automobilismo sportivo. Aveva iniziato con i kart nel ’65, e dopo aver conquistato il titolo italiano nella F850, nel ’68 si piazzava al secondo posto nel Campionato italiano di F3. Nel ’71 si distingueva nella Formula Ford Mexico per poi, nel ’74, piazzarsi 5^ nell’impegnativa F5000. Beniamina degli appassionati di tutti i continenti, godendo di buona stampa, coronava il sogno della F1 - grazie anche alla generosità di un aristocratico appassionato torinese - correndo dal 1974 al 1976 con March, Ram e Williams per un totale di 17 GP. I suoi avversari erano Peterson, Vittorio Brambilla, Merzario, Lauda, Fittipaldi, Hunt. Le vetture di cui disponeva, purtroppo, non erano all’altezza della concorrenza, ma “Lella” sopperiva con la grinta e lo stile di guida alla mancanza dei cavalli e alla scarsa affidabilità delle sue monoposto. Tant’è che al drammatico GP di Spagna del 1975, caratterizzato dal grave incidente occorso al tedesco Rolf Stommelen, si classificava 6^ andando, unica donna nella storia della F1, a punti. Per l’esattezza le venne attribuito mezzo punto - in luogo di un punto che per il regolamento dell’epoca toccava al sesto classificato - in quanto la durata della gara dovette essere dimezzata per l’incidente. Velocissima ed eclettica, rispettata dai piloti maschi, amava pilotare anche le vetture sport e
Maria Grazia Lombardi
le turismo (nel suo palmares figurano anche 4 titoli europei Turismo con l’Alfa Romeo) che condivideva in gare di durata con altre dame dal “piede pesante” come Marie Claude Beaumont (con la quale nel ’75 ottenne prestigiosi piazzamenti nella categoria Sport 2000 al Mugello, a Digione e alla 1000 Kilometri di Monza dove le due dame conquistavano il primo posto di classe), oppure come Cristine Beckers con cui nel ’77 si distinse alla mitica 24 Ore di Daytona. Invece, per quanto riguarda le Turismo, aveva condiviso con successo l’abitacolo dell’A lfa Romeo GTV6 con la brava Anna Cambiaghi nel Campionato Turismo. Ma “Lella” non disdegnava dividere il volante con i maschi: nel ’79 vinceva con Enrico Grimaldi, su Osella, la Coppa Florio a Pergusa, dopo aver segnato il giro più veloce in gara. Nell’81, in coppia con Giorgio Francia, dopo il successo del Mugello, coglieva a Monza il secondo posto nella classifica assoluta e la prima piazza nella Sport 2000 con la Osella; nell’83, in coppia con il romano Giancarlo Naddeo, era prima a Monza nella Turismo. Nell’85, questa volta con Rinaldo Drovandi, sempre con l’Alfa Romeo GTV6, si aggiudicava ben sei prove del Campionato Turismo. Vittoriosa e mai doma in pista, purtroppo, si dovette arrendere nella gara più importante della sua vita: quella contro un male tremendo che la portò via nel marzo del ’92. Un male che aveva affrontato con la stessa determinazione con cui aggrediva l’asfalto dei circuiti. Era rimasta nell’ambiente delle corse e, ironia della sorte, come team manager faceva correre degli uomini sulle vetture del suo team costituito nell’88. Altre donne nella storia dell’automobilismo, in Italia come all’estero, non hanno vinto tanto.
Qualcuna ha tentato di qualificarsi senza successo in gare di F1 come la britannica Divina Galica nel ’76 o l’italiana Giovanna Amati nel ’92. Peraltro la sudafricana Desirè Willson aveva partecipato nel ’79 alla Serie Aurora, categoria, però, complementare alla ben più impegnativa e prestigiosa F1. Qualche altra dama si è limitata a pilotare una F1come test driver. È il caso della figlia dell’ex pilota spagnolo Emilio De Villota, Maria, vittima nel 20 12 di un grave incidente con la Marussia F1. A parte le categorie vigenti negli USA, dove le “pilotesse” non sono una rarità, difficilmente in F1 ritroveremo donne pilota. E se mai un giorno dovessero debuttare nella massima formula, non potranno avere il fascino e la classe di Maria Teresa De Filippis o la solarità e la grinta di “Lella” Lombardi. ^^^ Alcuni dei dati, fatti ed episodi riportati sono anche tratti dalle testimonianze di piloti e meccanici raccolte dall’autore, in particolare, negli anni che vanno dal 1966 al 1985. Per i riferimenti bibliografici: Archivio A. De Marco G. Canestrini,“La favolosa Targa Florio” - Automobile Club d’Italia, Editrice dell’Automobile L. Orsini e F. Zagari, “La Stanguellini” - Nada Editore L. Orsini e F. Zagari, “Osca. La rivincita dei fratelli Maserati”- Nada Editore P. Fondi,“Il mitico Giro di Sicilia” - Nada editore. ■
INGROIA “Care rivoluzionarie e cari rivoluzionari, la nostra storia è appena cominciata, nonostante il primo risultato elettorale non ci abbia dato ragione. Abbiamo raccolte le vostre e-mail, le vostre richieste, i suggerimenti, le critiche di tutti e in questi giorni si susseguono riunioni e incontri per rinnovare la nostra azione politica”. (Dalla lettera aperta del Dr. Antonio Ingroia ai militanti di “Rivoluzione civile”). Ingroia non ha dato le dimissioni da Magistrato e siamo sempre più convinti che sia indispensabile una legge che eviti reinserimenti nella Magistratura di giudici politici. ■
D.G.
R.V.R.
SUD E NORD
RAVE
UN PROBLEMA ULTRACENTENARIO
rave sono riunioni di giovani contattati e convocati via etere, con indicazione di una località nella quale riunirsi, festeggiare, ubriacarsi tra circolazione di droghe e musiche assordanti, con la presenza di cani, in particolare molassoidi. Consapevoli dei danni che lasciano dopo ogni loro riunione e della conseguente ostilità di chi abita nei dintorni, i ravers si danno abitualmente appuntamento in una località che potremo definire “di tappa”,dalla quale poi si trasferiscono in quella definitiva all’improvviso con il passa parola. Recentemente circa 650 ravers, così contati dalla Pol-Fer, sono giunti alla Stazione di Torino con treni provenienti da Novara e da Milano, ai quali hanno rotto i finestrini, sporcato e tagliato con coltelli i sedili, distrutto gli impianti igienici.Altri ravers hanno raggiunto la tangenziale di Torino con una sferragliante carovana di vecchi camper, roulotte malconce e furgoni da rottamare. Dopo essersi accampati in Piazza Carlo Felice, a mezzanotte i ravers si sono riversati nell’adiacente Stazione di Porta Nuova occupando carrozze di un treno locale diretto a Chivasso. Naturalmente tutti erano privi di biglietto e con gli italiani si trovavano ragazzi francesi, tedeschi, russi e belgi che per partecipare alla “festa” erano partiti dalle loro Nazioni giorni addietro. La Polizia li ha fatti scendere dal treno ed ha sgomberato la Stazione, che è stata chiusa, e i giovani sono tornati in Piazza Carlo Felice da dove sono spariti prima dell’alba senza poter raggiungere la località del raduno che pare fosse stata fissata in capannoni militari in stato di abbandono nel Comune di Roasio nel vercellese. I danni per questa volta si sono “limitati” a 75 mila euro della vandalizzazione dei treni. Qualcuno sostiene che impedire i raduni dei ravers che abitualmente dopo aver occupato proprietà private vi lasciano oltre ad ingenti danni, cumuli di immondizia, lattine vuote di birra, involucri di droghe chimiche, ecc., significa limitare la libertà e frenare l’iniziativa dei giovani, andando contro la democrazia. ■
el primo numero del 2013 della rivista “Il Mulino” vi è un saggio di Paolo Macry, che insegna Storia contemporanea all’Università di Napoli “Federico II”, dal titolo “Tra Sud e Nord, i conti da rifare”, saggio anticipato e sintetizzato dallo stesso Macry in un articolo sul “Corriere della Sera” del 20 febbraio scorso dal sovra titolo “Il mezzogiorno non è una palla al piede né una colonia sfruttata: un saggio confuta i vecchi luoghi comuni”. È proprio su questo punto che intendiamo soffermarci, nel momento in cui il Sud viene colpevolizzato dal Nord, mentre a sua volta il Sud si ritiene vittimizzato e “… riversa meccanicamente e strumentalmente sul passato la criticità del presente …”, anche se sia l’articolo che il saggio si soffermano lungamente, con acute e documentate osservazioni, sui problemi delle rappresentanze politiche meridionali e sul ruolo elettorale del Mezzogiorno nel Parlamento e nei governi nazionali. Macry ricorda i giudizi impietosi che sul Mezzogiorno preunitario non solo il “Times” e gli inglesi, ma anche un Metternich e studiosi francesi avevano dato sia riguardanti lo Stato, sia l’antropologia degli abitanti, sottolineando un clima di violenza endemico che trovava il suo culmine nella piaga del brigantaggio che sconvolgeva intere province, dove “… I fuorilegge possono contare sull’omertà di contadini e pastori e sulla connivenza di giudici ed amministratori locali …”.
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L’analisi prosegue nell’esame dello sfaldamento del Regno borbonico nel giro di poche settimane non avvenuta “… a causa delle spallate di Francia ed Inghilterra le quali alla prova dei fatti non esistono … ”, ma per una serie di eventi, dalla violenta rivolta della Sicilia “… senza la quale difficilmente alcune centi-
naia di volontari avrebbero potuto prevalere su ventimila borbonici …”, alle tardive e quindi inutili aperture liberali di Francesco II. Considerazioni svolte con estrema pacatezza che andrebbero lette e meditate dai nostalgici neoborbonici refrattari ad ogni argomento e giudizio contrastante con i loro luoghi comuni come quello di un Mezzogiorno preunitario assai simile al resto della penisola, e delle pretese macchinazioni settentrionali o internazionali e di una guerra di conquista proditoria. Molto importanti sono i giudizi del Macry sull’esito del processo unitario: “… sebbene nasca tra le doglie di un Risorgimento meridionale quanto mai complesso … il nuovo Stato mostra grandi capacità politiche e geopolitiche …” e la sua struttura civile “… viene costruita dai governi liberali in modo deciso e rapido ed anche se i conflitti armati che sconvolgono parte del Sud, il grande brigantaggio”, vengono repressi con “… mano inflessibile, con analoga fermezza …”. Viene approntata una vasta legislazione economica (moneta, debito pubblico, fisco) che risana il bilancio nel 1875, a conclusione dell’epoca della “Destra Storica” alla quale segue la “Sinistra” altrettanto storica con le prime riforme sociali ed elettorali per terminare con il ricordo della incisiva politica giolittiana del primo quindicennio del XX secolo che porterà al decollo industriale dell’Italia. Questo giovane Stato “… economicamente povero e politicamente marginale nel 1861”, già dopo pochi anni sarebbe così entrato nel concerto delle potenze europee e “a fine Novecento nel Club dei grandi …”, prima del tracollo attuale dovuto alle insufficienze, termine benevolo, della classe dirigente senza distinzione tra Sud e Nord. ■
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Massimo Mallucci
IL TRENINO DI ROCCARASO
3 OTTOBRE 1860: IL RE AD ANCONA
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lcuni marchigiani che affermano l’Unità nazionale è stata, di fatto, decisa nella loro regione, allorché l’esercito del Re di Sardegna prese la fatidica decisione, dopo aver liberato le Marche dal dominio pontificio, di passare il Tronto e proseguire per il Regno di Napoli. La scelta di Re Vittorio Emanuele II di iniziare da Ancona, la trionfale marcia verso il meridione, è alla base di tale tesi.
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L’arrivo del Sovrano nel c a poluogo delle Marche avvenne il 3 ottobre 1860, alle 17, allorché sbarcò nel porto. La Città si era arresa, dopo un breve assedio, solo il precedente 29 settembre, ma già si era avuto tempo di predisporre un’accoglienza trionfale per l’illustre Ospite. Erano
amando le carrozze ed essendo per di più in corso, ad ogni effetto, una campagna militare, volle montare sul cavallo che per l’occasione la municipalità anconetana aveva voluto offrirgli in dono. Si percorse praticamente tutto il centro cittadino, fino all’attuale piazza del Plebiscito dove, in Prefettura, vennero ricevuti i maggiori esponenti della cittadinanza e varie rappresentanze di comuni del circondario marchigiano. A notte inoltrata la città era ancora in festa anche perché, se è vero c he ge n eral m e nt e i l nostro processo risorgimentale fu portato avanti da una parte minoritaria della popolazione, c he ra ppre s en t ava l e classi più abbienti e più istruite - fatte, ovviamente, le solite, debite eccezioni - nelle Marche
merciante, Luigi Colonnelli. Ripartito, al termine del soggiorno, dopo aver pensato, inizialmente, di raggiungere Macerata, durante il percorso cambiò la meta, tornando verso nord e raggiungendo Loreto. Qui il Sovrano fu accolto, in pompa magna, dal Capitolo della Santa Casa, sulla scala della Basilica ove assistette alla S. Messa. Dopo il pranzo, offerto dallo stesso Capitolo, seguì la visita all’Ospedale che accoglieva i feriti della recente battaglia di Castelfidardo. Il giorno dopo riprendeva la marcia verso il confine delle Due Sicilie che, dopo una sosta a Grottammare, proseguiva dando inizio alla finale dell’epopea risorgimentale italiana. ■
al bel volume “Cinque miglia di Nostalgia”, di Ugo Del Castello e Stefano Buccafusca, pubblicato dall’editore Michele Biallo nel 2007, traiamo un divertente aneddoto, in qualche modo legato alla storia dei nostri Reali. È abbastanza noto che il Principe di Piemonte, Umberto, in gioventù era sempre stato appassionato di sci. Sono celebri molte sue immagini sulle piste innevate del Sestriere ma non solo. Se infatti il Principe amava sciare in Piemonte, era anche un assiduo frequentatore di altre località sciistiche italiane. Tra queste Roccaraso, in Abruzzo, della quale contribuì molto, con la sua presenza, al lancio quale rinomata località di vacanze invernali. Proprio a Roccaraso è ambientata la storia che raccontiamo. L’Erede al trono allorchè si recava nella località abruzzese fino a Sulmona, normalmente, usava l’automobile. Di qui, poi, il mezzo migliore per raggiungere le piste di Roccaraso era il trenino che collegava quel paese con Sulmona proseguendo poi per Isernia.
In queste occasioni le Ferrovie cercavano di garantire la massima efficienza, mettendo a disposizione della Famiglia Reale il migliore personale e le migliori macchine. Del resto ciò era comprensibile per rispetto verso gli illustri ospiti e verso le autorità locali che, sempre, alla partenza ed all’arrivo, attendevano in stazione. centinaia i drappi e le Bandiere che ornavano i balconi e le finestre degli edifici cittadini, mentre migliaia di persone, un po’ per curiosità, un po’ per vera felicità, si ammassavano nelle strade che il corteo reale avrebbe percorso. Il Sovrano, che era sbarcato dalla Regia Nave “Governolo”, approdata alla banchina “Corsini”, venne ricevuto dal Generale Cialdini, dal Commissario Valerio e dai membri della giunta provvisoria, con a capo il Presidente Fazioli. Vittorio Emanuele II, come suo solito, non
ed in Ancona in particolare, anche la massa del popolo accolse con viva simpatia il mutamento di regime, per una quasi istintiva ritrosia ormai instauratasi verso il regime pontificio, per quel che riguarda ovviamente l’aspetto “temporale” di tale potere. Quindi la città era sinceramente a n i m a ta d a m a ss e di popolo di ogni estrazione sociale, fatte salve alcune nicchie di aristocrazia, ancora fortemente legate al Pontefice romano. Il primo Re d’Italia si trattenne in Città per quasi una settimana, risiedendo in una villetta in collina, messa a sua disposizione da un com-
Fatta questa breve premessa, veniamo al fatto. Si era al principio degli anni ’30 ed Umberto comunicò una prossima visita. Per l’occasione venne predisposta una locomotiva Classe 940, ovviamente a vapore, alla quale venne destinato, uno dei migliori equipaggi del locale compartimento, di cui, purtroppo, sono stati tramandati solo i nomi di battesimo: il macchinista Tonino, accompagnato dal fuochista Bacchitto (detto “Cipollaro”, per essere nativo di Introdacqua, località abruzzese ancora oggi nota per la produzione di quegli ottimi ortaggi). Occorre dire, infatti, che la linea Sulmona/Isernia era, in alcuni tratti, veramente pericolosa per la eccezionale pendenza di alcuni tratti. Per di più, in quell’anno, era caduta un’immensa quantità di neve. Nel viaggio occorreva monitorare costantemente la pressione della caldaia, dovendo questa fornire, per oltre un’ora, nelle salite più ripide la massima potenza a regime continuativo. Insomma ci volevano dei veri professionisti della materia. Quel giorno, salito il Principe a bordo, il treno era partito regolarmente, all’ora prevista.Tranquilli non erano però i macchinisti, considerando che, comunque, l’amministrazione delle FF. SS. li riteneva unici responsabili per qualunque ritardo
CASELLA POSTALE N. 1 GIUSTIZIA Egregio Direttore, l’articolo di fondo del mese di settembre 2007 di “Italia reale” ha avuto per titolo “L’Italia deve al più presto abolire la pena di morte ai pensionati!”. Titolo forte ma giustificato dalla constatazione dell’impossibilità di sopravvivere in particolare per quasi 2.700.000 famiglie italiane che, in base ai dati Istat, avevano in una misera pensione l’unica fonte di reddito. L’articolo evidenziava
anche la contrapposizione tra tali pensioni e gli importi senza alcuna vergogna incassati da parlamentari e consiglieri vari in pensioni o stipendi. Le considerazioni allora svolte in relazione ai pensionati vanno però ora estese ad una ben maggiore fascia della popolazione italiana comprendente i tanti imprenditori e lavoratori che tragicamente si suicidano, non potendo più tirare avanti a causa anche dell’incapacità e dell’inerzia dei nostri governanti.
Gli ideatori dei “patti di stabilità” e delle altre trappole che impediscono a chi avanza soldi dalle amministrazioni pubbliche di venir pagato e che conseguentemente finisce in rovina, fallisce, si trova senza lavoro e senza il minimo necessario per sopravvivere e si uccide, se non alla giustizia umana dovranno render ragione delle proprie responsabilità a quella Divina. I migliori saluti. Sig. Giovanni Lio (Catanzaro) ■
anche se non a loro imputabile, ed era prevista addirittura, la sospensione dal servizio. Al principio le cose filarono lisce ma arrivato il convoglio reale nel tratto più pendente della linea, il tristemente famoso, per gli addetti, chilometro 17 nei pressi della stazione di Cansano, il treno da prima rallentò e poi si fermò, a causa di improvviso abbassamento della pressione del vapore e scarsità di acqua nella caldaia della locomotiva. Il personale tentò ogni manovra per sbloccare la situazione, ma nonostante ogni sforzo, a Roccaraso si arrivò con oltre un’ora di ritardo, con le autorità, ormai intirizzite, che attendevano sotto la pensilina della stazione! Ovviamente preoccupato per le conseguenze, il macchinista Tonino - che doveva essere persona oltremodo arguta ed intelligente - ritenne, per parare le conseguenze, di “passare all’attacco” lui per primo e così, al momento di redigere il previsto rapporto di viaggio, invece della solita, arida, relazione tecnica, sbizzarrì la sua vena poetica e scrisse: Sull’aspra salita che mena a Cansano Sento che il treno va sempre più piano. D’un tratto Bacchitto, nonchè Cipollaro, S’agita e suda per porvi riparo. Ravviva il fuoco col gancio e la pala, Ma nella caldaia vieppiù l’acqua cala! Malgrado il forno sia accecante Anche la pressione risulta calante! Il lento sbuffare della vaporiera Ha messo a rischio la mia carriera. Punto nell’orgoglio per quant’accaduto Spero sia basso ... il prezzo dovuto! Macchinista Tonino Aveva visto giusto e l’ignoto funzionario che si trovò la pratica sul tavolo - che doveva essere persona parimenti intelligente e di spirito limitò la sanzione ad una multa: 10 lire per Tonino, 5 lire per Bacchitto, detto il Cipollaro. Niente sospensione. Un’altra Italia. ■
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IMPORTANTE Invitiamo gli Amici Lettori a prestare la massima attenzione a quanto segue. Come da sempre riportato sul Mensile sotto la voce “AUTOFINANZIAMENTO”, i contributi corrisposti dai Lettori valgono per ricevere il Mensile nell’anno nel quale sono versati (a prescindere, quindi, dal mese nel quale il contributo è effettuato) ed attualmente, quindi, nel 2013. Ne consegue che i contributi non comportano il diritto a ricevere il Mensile nei 12 mesi successivi al versamento, a meno che esso non abbia luogo alla fine dell’anno precedente o nel mese di gennaio dell’anno in corso. Per coloro che versano i contributi quando già sono stati inviati numeri nell’anno, la Redazione invia le copie arretrate a partire da quelle di gennaio, in modo che tutti i Lettori, vecchi e nuovi, possano ricevere gli 11 numeri (da gennaio a dicembre con esclusione di agosto nel quale il Mensile non viene pubblicato) dell’anno in corso. Quanto sopra deve essere chiaro e va ribadito dato che, anche se gravose (non riuscendo i contributi ricevuti a coprire gli ingenti costi del Mensile), la Direzione si fa carico diretto delle spese che superano l’importo di contributi ricevuti, ma non può a priori garantire che il Mensile continui a venir pubblicato oltre la fine dell’anno in cui i contributi sono stati versati. ■
A.M. IN INTERNET RESPONSABILE INFORMATICO Dr. Roberto Rizzo
ILLUSIONE Le “quirinarie” come sono state chiamate le votazioni Internet con le quali gli aderenti al “Movimento 5 Stelle” hanno indicato i loro favoriti alla corsa alla presidenza della repubblica italiana, hanno raggranellato 20.252 voti-preferenza suddivisi tra 10 candidati. Terzo è risultato Stefano Rodotà con 4.677 voti, preceduto dalla giornalista Rai Milena Gabanelli e dal medico Gino Strada. Grazie ai 4.677 voti Rodotà ha potuto contare su cori di slogan e cartelli esibiti con la scritta “L’Italia urla Rodotà presidente”, e si è illuso di poterlo diventare. ■
Alleanza Monarchica (nazionale): http://www.alleanza-monarchica.com e-mail:info@alleanza-monarchica.com Mensile Italia reale on line: http://italia-reale.alleanza-monarchica.com e-mail: italia-reale@libero.it Movimento politico Italia Reale: http://italiareale-stellaecorona.it e-mail: italia.reale@gmail.com Archivio Fotografico su Casa Savoia: http://foto.alleanza-monarchica.com Alleanza Monarchica Giovani: http://www.amgiovani.it e-mail: info@amgiovani.it LIGURIA: http://liguriamonarchica.wordpress.com TOSCANA - Lucca: http://www.stellaecoronalucca.com PIEMONTE - Biella: http://biellamonarchica.blogspot.com/ Sito dedicato a Re Umberto II: http://www.reumberto.it Il Canale di Alleanza Monarchica su YouTube: http://www.youtube.com/alleanzamonarchica Seguiteci anche su Facebook! Alleanza Monarchica Stella e Corona: http://www.facebook.com/AlleanzaMonarchica. StellaeCorona Italia Reale: http://www.facebook.com/pages/Italia-Reale/
Nostra Signora di Superga venerata nella Cappella a sinistra dell’altare maggiore della Basilica, capolavoro dell’arte barocca, eretta sul colle omonimo presso Torino su disegno di Filippo Juvarra. Dinanzi a questa Statua il Duca Vittorio Amedeo II fece voto nel 1706 di costruire lo storico Tempio. ■
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BandieraTricolore con Stemma Sabaudo e Corona Reale, di cm 130 x 96 circa.Gli iscritti che desiderino riceverla, dovranno versare un contributo di Euro 25,00 sul Conto Corrente postale n. 30180103 intestato a: Alleanza Monarchica, Casella Postale n. 1, 10121 Torino Centro, precisando chiaramente “Per un ■ Tricolore”.
SCELLERATA COMPRAVENDITA A fine luglio 2005 la Provincia di Milano, guidata da Filippo Penati più noto per essere stato capo della Segreteria dell’On. Pier Luigi Bersani (l’uomo del karakiri post elettorale) aveva acquistato dal Gruppo Gavio il 15% delle azioni della Società Milano-Serravalle proprietaria delle tangenziali milanesi e dell’autostrada Milano-Genova, pagando 238 milioni di euro e così 8,83 euro per ogni azione che era stata acquistata poco tempo prima dalla Gavio a circa 3 euro. Sulla vicenda sta indagando la Procura di Milano ma nel frattempo la Corte dei Conti che ha determinato fra i 4,14 e i 5,50 euro il prezzo congruo per ogni azione, l’ha definita “scellerata compravendita” voluta da Penati “a tutti i costi, anche a fronte di esborsi eccessivi e conseguenti danni alle finanze pubbliche”. ■
ATTENZIONE: NUOVA SEDE Le riunioni hanno luogo in una sala della Caffetteria Madama di Via Madama Cristina 27, sempre nel terzo giovedì del mese e precisamente: - Giovedì 20 giugno 2013, ore 17,30. - Giovedì 18 luglio 2013, ore 17,30. Le riunioni sono aperte ad iscritti e simpatizzanti per discutere i programmi di attività.
PILLOLE DI STORIA * A chi lo criticava per non osservare il digiuno quaresimale, Erasmo da Rotterdam rispondeva: “La mia anima è cristiana, ma il mio stomaco è luterano”. * Una volta, durante una conversazione, Voltaire disse che la storia inglese dovrebbe essere scritta da un boia poiché questo personaggio lo ritroviamo alla fine di ogni capitolo. ■
IL GIUOCO DI LETI 1
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Risolte le definizioni, nelle colonne grigie leggerete un pensiero di Friedrich Nietzsche. 1) In chimica: il primo elemento che indica presenza di idrogeno. 2) Quantità di merce. 3) Jimi Hendrix la suonava molto bene. 4) Il significato di una parola. 5) La Cina è in … oriente. 6) Passarvi è il vero motivo per cui molti aspirano ad essere eletti in politica. 7) Ad inizio secolo tutte le signore lo portavano in testa. 8) Il Re dei Visigoti che mise in atto il sacco di Roma. 9) Ai bambini piace molto leggerli. 10) Triviale, sguaiato. 11) Il primo alimento. 12) I terroristi sono spesso … impazzite. 13) Si mangia in pinzimonio. 14) Pietra sepolcrale. 15) Il contrario di manifesti. 16) Lavora con lana, cachemire e filo di seta o lino. 17) Due numeri al lotto. 18) Impegno nell’agire. 19) Fedele musulmano che dirige le preghiere in moschea. 20) La “casa” dal cangurino. 21) Salsa di pomodoro confezionata in barattolo. 22) È costruito con blocchi di neve pressata.
Soluzione ■
de “Il Giuoco di Leti” pubblicato sul numero di Maggio 2013
G 2 E 3 N T L E 4 M 5A 6 N 7 S 10 8 S 9A R G O E T N 11 I A 12 A N G U I L 13L A 14S I 15E X B 16A C R I L I 17C O 18O R 19 20 B A R C A 21 L O T T 22E R I A 23 25 AR I 24 E EGO 26 27 28 29 30 T A L A S S O T E R A P 31 I 32A 33 I B I 34 E S T 35 S A G A C E 36 C E S 37 E N A 38C I P R 39O R 40 O S T I A 41 L I G I O 42N E 43 C A N T I 44 B U A 45D A I O O 46 Z I O 47 I I 1
GIOVEDI’ MONARCHICI A TORINO
Armando Pupella