Mensile di politica, cultura e informazione ANNO XLVII - n. 9 Ottobre 2013
A cura dell’Alleanza Monarchica - Casella Postale n. 1 - 10121 Torino Centro - C.C.P. n. 30180103 (Codice IBAN: IT 74 V 07601 01000 000030180103 - Codice BIC: BPPIITRRXXX) - Poste Italiane Spedizione in a.p. - 70% - D.C. - D.C.I. - Torino - N. 9/2013 - In caso di mancato recapito rin v iare all’Uff. C.M.P. Torino Nord per la restituzione al mittente, che si impegna a corrispondere il diritto fisso do v uto.
TAXE PERÇUE Tassa riscossa TORINO - C.M.P.
Roberto Vittucci Righini
POVERA ITALIA, POVERI NOI i sono alcuni princìpi economici che secondo me sono chiari ma che o non lo sono per i commentatori specializzati, oppure vengono dagli stessi taciuti e non trattati per non dispiacere a qualcuno (e noi, semplici uomini della strada ma non allocchi, ben sappiamo a chi).
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Spread Lo “spread” vale a dire il rapporto tra i titoli di Stato (Btp) italiani e quelli (Bund) tedeschi è determinato dalla speculazione internazionale che ha tutto l’interesse a far apparire deboli e poco sicuri i titoli italiani, imponendo così alla nostra Nazione tassi altissimi per poterli piazzare specialmente tra gli investitori esteri. Questo stato di cose che perdura ormai da anni e che è diventato di pubblico dominio in particolare dopo l’adozione dell’euro, fa oltremodo comodo a quelle che taluni definiscono “nazioni virtuose” e che io deno-
Direttore responsabile ROBERTO VITTUCCI RIGHINI Direzione:
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Recapito lettere, esclusivamente: Alleanza Monarchica Casella Postale n. 1 10121 Torino Centro Recapito plichi o pacchi: Alleanza Monarchica Casella Postale n. 681 10121 Torino Centro Autor. Tribunale di Torino n. 2292 del 6-12-1972 ITALIA REALE (già Alleanza Monarchica)
Precedente autorizzazione (Stella e Corona) del 17-5-1967 Editore e Stampatore EDIGRAPH s.n.c. di Basso & Tasini Via Chieri, 64 10020 Andezeno (TO) La direzione del Mensile è presso l’Editore.
minerei “profittatrici”, le quali non hanno il minimo interesse a che ai titoli italiani venga riconosciuta quella solidità di rimborso alle scadenze, che è piena ed è garantita tra l’altro dalle nostre notevoli riserve auree oltre che dall’immenso patrimonio immobiliare pubblico. Grazie, infatti, alla determinazione in valori alti del preteso rischio ad investire in titoli di Stato italiani, altre Nazioni ed in particolare la Germania riescono a piazzare i propri titoli senza remunerazione o quasi, e cioè a tassi bassissimi se non del tutto inesistenti, ottenendo così senza spesa enormi flussi di denaro con i quali finanziare le attività economiche delle proprie imprese e dei propri commerci. Le Nazioni che traggono vantaggio da tale situazione, non avendo il minimo interesse a che l’Italia riesca a finanziare in modo più economico le proprie industrie e, quindi, la propria ripresa, sono portate a frenare gli interventi della Banca europea - Bce a nostro favore, infischiandosene che l’Italia cada sempre più nel baratro della speculazione e dell’indebitamento.
Agenzie di rating Analogo discorso vale per il “rating” vale a dire per il giudizio che tre Agenzie, guarda caso tutte degli Stati Uniti d’America, danno sul debito pubblico italiano, di tanto in tanto declassato per la gioia degli speculatori internazionali che non si peritano da
investirvi a condizione però di trarne ingenti interessi, e così utili, non giustificati dallo stato dei fatti. Come riconosciuto nel rapporto di R&S di Mediobanca, i big del credito europeo riducono i prestiti a famiglie e imprese e puntano sui titolo sovrani dei Paesi più deboli, che rendono di più.
Imposte È giusto, doveroso e necessario che le imposte siano pagate, ma è assurdo il principio adottato in Italia per il quale viene colpita la proprietà anziché il reddito. Periodicamente si legge sui giornali o si sente dalla radio o dalla televisione, che qualche politico ventila la possibilità d’introduzione di un’imposta patrimoniale, ed è ora che qualcuno faccia sapere a costoro che la patrimoniale già esiste nel nostro maltrattato Paese. Come, infatti, altrimenti definire l’imposta che colpisce la proprietà degli immobili anziché il reddito o la rendita che dagli stessi si ricava e che, quindi, non tiene in minimo conto la possibilità, sempre maggiore in questi tristi tempi di crisi, che gli immobili non diano alcun reddito per essere sfitti oppure inagibili ed inutilizzabili? Ancora più grave sarebbe l’allucinante ampliamento (da qualcuno ventilato) della tassa sullo smaltimento rifiuti sino a farle comprendere ogni tipo di locale e di immobile e così anche quelli che non possono produrre il minimo rifiuto, ruderi compresi, per essere
vuoti, privi di utenze, abbandonati ed inutilizzati.
LETTERA DAL DIRETTORE a pag. 2
Quale patrimoniale vogliono questi signori introdurre per colpire ulteriormente quella non piccola parte di immobili che non solo non dà alcun reddito, ma già costa e penalizza abbondantemente i proprietari con spese sovente gravose di riparazione, con spese - ove vi sono - condominiali, e via dicendo? Ma lo scagliarsi, come sta facendo l’Italia, contro la proprietà immobiliare è foriero di maggiori e incalcolabili danni ove si tenga presente che a seguito degli aumenti dell’Imu (con esclusione della sola prima casa) che colpiscono quei risparmiatori e quei pensionati che hanno investito i frutti del proprio lavoro in un immobile da affittare, nonché della tassa sullo smaltimento rifiuti (Tarsu o Tares o chi per esse), molti privati hanno dovuto ricorrere a finanziamenti e mutui bancari per poter pagare le cartelle relative, offrendo in garanzia gli immobili stessi che corrono il rischio di perdere ove non siano poi in grado di onorare le rate conseguenti di debito con gli Istituti di credito. In tal caso finiranno per ulteriormente arricchirsi le Banche, a danno dei privati così espropriati senza tra l’altro che lo Stato spendaccione riesca a ridurre il debito pubblico costantemente in aumento. ■
PRIMAVERE ARABE a pag. 3
CONVEGNI DI RAPALLO E PESCHIERA a pag. 5
MUSEO STORICO DELL’ARMA DI CAVALLERIA a pag. 8
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LETTERA DAL DIRETTORE uesto mensile, nato nel 1967, con il prossimo numero di dicembre concluderà 47 anni di ininterrotta uscita.
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I numeri pubblicati con le tre successive testate “Stella e Corona” (dal 1967 al 1971), “Alleanza Monarchica” (dal 1972 al 1995) e l’attuale “Italia reale” (dal 1996), sono rispettivamente 45, 244 e 487, con un totale di 776 numeri per complessive 8.112 pagine. Al numero più misero, di due pagine, del febbraio 1975, si contrappone il più ricco, di 64 pagine, del novembre 1987, mentre quelli a maggior tiratura, con oltre 100.000 copie ognuno, sono stati i numeri elettorali del maggio 1970, aprile 1990, e maggio 1993, oltre al supplemento “Tempo reale” dell’aprile 1995; complessivamente, nei 47 anni, oltre 6 milioni di copie. Circa 26.000 articoli e pezzi vari pubblicati grazie, nel tempo, ad oltre 350 collaboratori volontari (una quindicina di essi si è poi iscritta all’Albo dei Giornalisti) nessuno dei quali ha mai ricevuto il minimo compenso, che nei 47 anni ci hanno inviato articoli o fotografie. Questa in aridi termini statistici la vita ad oggi del Mensile che non ha mai ricevuto una lira o un euro di finanziamento pubblico (offerto nel 1979 dalla socialcomunista Regione Piemonte ma rifiutato per mantenere piena e incondizionata la nostra indipendenza) o privato che non siano stati i “contributi” dei Lettori. Per 47 anni sono stato orgoglioso Direttore del Mensile che mi ha dato non poche soddisfazioni, prime in assoluto gli apprezzamenti di S.M. il Re Umberto II. Ora però, come alcuni Lettori hanno intuito dalla mancata pubblicazione a partire dal numero di maggio del pezzo “Autofinanziamento”, con il prossimo numero di dicembre il Mensile non avrà più sede e redazione in Torino, verranno dismesse le Caselle postali n. 1 e 681, chiuderà il conto corrente postale n. 30180103, lascerò l’incarico di Direttore.
È per me una decisione non facile né scevra di dispiacere ma che si fonda su una serie di ragioni che sintetizzo in breve: la mia età non più giovane, per non dire avanzata, unita ad alcuni acciacchi fisici, ha via via reso sempre più faticoso il lavoro che in particolare negli ultimi anni, dopo la scomparsa dell’amico Ing. Lorenzo Giraudo Bes, ha finito per gravare quasi esclusivamente su me impegnandomi eccessivamente per poter far uscire il Mensile senza adeguato aiuto di terzi a causa delle ristrettezze economiche. Può sembrare impossibile che un giornale di 16 pagine che esce una volta al mese comporti tanta attività ma la stesura degli articoli e dei pezzi indispensabili per poter completare ogni numero, la lettura ed eventuale correzione o modifica degli articoli (nel rispetto delle responsabilità facenti carico al Direttore) dei collaboratori, pervenuti non raramente composti a penna o con macchina da scrivere, la loro trascrizione e trasformazione nel computer con titoli, sottotitoli, corsivi e neretti, la non semplice ricerca delle illustrazioni e la conseguente compilazione delle relative didascalie, il montaggio-impaginazione nel menabò, la correzione ben più di una volta delle bozze alla ricerca dei refusi o dei salti della stampa, l’aggiornamento costante degli indirizzi dei lettori, ecc., ecc., richiedono un lavoro notevole, per me sempre più stressante. A chi dovesse ritenere esagerato quanto sopra, consiglio di osservare il numero notevole di persone che risultano quali collaboratori dei periodici; tanto per fare un esempio il settimanale “Panorama” solitamente costituito da 130 pagine, delle quali più del 50% occupato da pubblicità e fotografie, indica in oltre 80 le persone che vi collaborano. A ciò si aggiunga che il crescente disamore degli Italiani nei confronti della politica, valutabile anche dal costante aumento delle astensioni dal voto nelle elezioni, le diatribe tra i monarchici acuite da taluni dissensi tra i Principi di Casa Savoia, la crisi economica che ha imposto a tanti di eliminare le spese non indispensabili per sopravvi-
vere, hanno determinato anno dopo anno una diminuzione dei “contributi” che pervengono al Mensile del tutto insufficienti a coprirne le spese, con conseguente mio carico di sempre maggiori esborsi. L’uscita di scena della sede torinese del Mensile e mia quale suo Direttore non comportano la scomparsa di questa Testata che negli auspici e nelle previsioni continuerà a venir pubblicata a partire dal 2014 in altra località e con altro Direttore, in conformità a pendenti colloqui ed incontri tra Dirigenti del Movimento politico “Italia Reale”. Ho tuttavia ritenuto doveroso informare della situazione sin da ora i Lettori, per evitare che versino contributi sull’attuale conto corrente postale, in fase di prossima chiusura. Sarà mia cura da queste pagine su uno dei prossimi due numeri, oppure a mezzo lettera, tenere aggiornati i Lettori fornendo tutti i dati utili per permettere di proseguire a ricevere un giornale al quale unitamente ad altri ho, con piacere e soddisfazione, dedicato parte non piccola della mia vita. Questo Mensile per quasi mezzo secolo è stato per me più che un giornale una lettera aperta inviata agli amici, contenente i miei pensieri, le mie idee, le mie speranze in un’Italia migliore, ed anche per questo a partire dal prossimo anno tanto più mi mancherà. Il Direttore Roberto Vittucci Righini ■
VACANZE PERMANENTI Acquisita la relazione del nuovo Comitato di sorveglianza della Società Seus che gestisce il servizio 118 in Sicilia, il Presidente della Regione ha denunciato che per 2 anni sono state pagate in media 160 persone che invece di lavorare se ne stavano a casa, con una spesa di circa 9 milioni di euro. Questi lavoratori sulla carta ma che in realtà nulla facevano, avrebbero inoltre maturato 274 mila ore di ferie non godute che comportano l’ulteriore spesa di 3 milioni di euro. ■
Giancarlo Vittucci Righini
PANORAMA INTERNAZIONALE ITALIA Si avvicina (sto scrivendo il 20 settembre) il momento nel quale il Senato dovrà affrontare il problema della decadenza da parlamentare di Silvio Berlusconi. I numeri sono contro di lui. Il PD, il Movimento 5 Stelle, l’estrema sinistra di Sel e Scelta Civica di Monti hanno già dichiarato che voteranno a favore della decadenza, fondando la loro decisione sul testo della cosiddetta Legge Severino. I problemi da affrontare sotto il profilo giuridico sarebbero molti poiché nella fattispecie si tratta di un semplice decreto legge e non di una legge votata dal Parlamento. Inoltre la sua applicazione comporta l’inammissibile retroattività in materia penale sancita dalla costituzione e vigente fin dei tempi dell’antica Roma, che verrebbe a colpire il Cavaliere per un fatto che all’epoca in cui sarebbe stato commesso non era reato. Naturalmente sono stati esposti pareri contrapposti di giureconsulti (Professori Universitari di Diritto, Magistrati, ecc.) i quali danno l’impressione di preoccuparsi più dell’aspetto politico che di quello giuridico. È evidente l’interesse perseguito dai fautori della decadenza: l’estromissione dell’odiato Cavaliere dalla scena politica che li metterebbe in condizione di privare l’area di centrodestra del suo capo indiscusso, in modo da realizzare una nuova maggioranza che andrebbe dal PD, a Sel, dai dissidenti del Movimento 5 Stelle ai montiani e probabilmente a transfughi del centrodestra, tipo i cosiddetti “responsabili”. Dopo questa premessa è doveroso fare alcune considerazioni. Quando venne realizzata la c.d. legge Severino cosa facevano i tanti legali di Berlusconi eletti in Parlamento? Possibile che non si siano accorti della trappola? Eppure erano decenni che lo difendevano dall’incessante asfissiante offensiva giudiziaria che talvolta facendo ricorso ai più svariati pretesti lo teneva sotto tiro.
Comunque è andata così. I numeri ormai sono contro di lui ed a meno di un’improbabile pronuncia contraria della Corte Costituzionale o della Corte dei Diritti dell’uomo il destino politico dell’uomo di Arcore appare segnato. I possibili contraccolpi? L’uscita dal Governo o addirittura dal Parlamento dei rappresentanti del centro-destra che comporterebbe lo spostamento a sinistra del nuovo Esecutivo, il quale ripristinerebbe immediatamente l’Imu e aumenterebbe l’Iva; lo sfascio dell’elettorato moderato abbandonato a se stesso ed esposto alle sirene dei vari Renzi, Monti, Grillo, Casini, ecc. Riteniamo che a questo punto sarebbe meglio che il leader del PDL si dimettesse spontaneamente rinunciando a combattere una battaglia persa in partenza. Non faccia affidamento su possibili sommovimenti all’interno del PD, dei grillini o dei montiani e tanto meno su un aiuto da parte dell’attuale capo dello Stato, politico abile ma dalle caratteristiche togliattiane il quale recentemente ha nominato senatori a vita quattro insigni personalità della scienza e dell’arte, tutte però senza eccezioni di tendenza progressista, con un comportamento che non appare “super partes”. Il Cavaliere potrà riprendere la battaglia magari per interposta persona e soprattutto dovrà tenere presente che i suoi guai sono dipesi principalmente dal fatto che quando costituì Forza Italia si circondò di troppi politicanti opportunisti di provenienza eterogenea (dalla DC al PSI o addirittura al PCI) oltre che dal suo carattere esibizionista.
ESTERI Siria Il Presidente russo Putin ha realizzato un capolavoro bloccando l’iniziativa del Presidente americano Obama spalleggiata da Francia ed Inghilterra che volevano attaccare con bombardamenti missilistici ed aerei le princi-
pali basi militari del regime di Assad. Il motivo era rappresentato dall’uso di gas contro i ribelli. A parte il fatto che le prove non erano univoche perché pareva che anche i ribelli fossero in possesso ed avessero fatto uso di armi chimiche, il rais Bashar Assad, di religione Alawita (una setta sciita) ha sempre protetto la minoranza cristiana, mentre l’opposizione nella quale ormai prevalgono gli estremisti islamici la perseguitano, a somiglianza di quanto è avvenuto in Iraq dopo la caduta di Saddam. Egitto Come sostenevamo da tempo gli errori incredibili della presidenza Usa, che anziché sostenere i governi moderati e filoccidentali di Egitto e Tunisia ha consentito la loro sostituzione con regimi estremisti di marca islamica, ha posto in pericolo tutta l’Africa Settentrionale ed il Medio Oriente. Fortunatamente la reazione dei militari sotto la guida del Generale Al Sisi ha riportato l’ordine e posto fine alle infiltrazioni terroristiche in Egitto, impedendo la realizzazione di quel califfato, nemico dell’Occidente e del Cristianesimo, che si stava preparando con la stolta complicità degli Stati Uniti e di alcuni loro alleati. Quello che gli americani dovrebbero capire è che non sempre il sistema democratico è applicabile con risultati positivi e che vi sono territori nei quali occorre imporre l’ordine facendo ricorso a sistemi diversi. Norvegia, Svezia, Finlandia In Norvegia, Svezia e Finlandia, così come in Australia, le coalizioni di centrodestra hanno vinto le elezioni, sostituendosi ai socialdemocratici o laburisti. Oramai dovunque la gente si è stufata di essere oppressa da regimi fiscali troppo pesanti e desidera meno obblighi e maggiore libertà.
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Vuole anche un maggior controllo sulle infiltrazioni illegali di stranieri e sulle loro attività non sempre lecite. Si preoccupa inoltre di salvaguardare le proprie tradizioni ed i propri usi e costumi e si oppone a modifiche troppo radicali dal proprio sistema di vita, come vorrebbero i nuovi venuti che nei loro luoghi di origine non si preoccupano assolutamente delle esigenze delle comunità straniere. Germania In Baviera la CSU, partito di centrodestra alleato del CDU della Cancelliera Merkel, ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi sbaragliando l’opposizione rappresentata dai socialdemocratici e dai verdi e provocando la sconfitta dell’alleato FDP (liberali) che è scomparso dal parlamento locale. Cina La Cina, la quale ha aumentato notevolmente le spese militari ed adottato un atteggiamento aggressivo nei confronti di altri Stati (Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Filippine,Vietnam e altri) sta attraversando un periodo di notevole rallentamento dell’economia nonostante l’esportazione di materie prime e la disponibilità di manodopera a basso prezzo, e dovrà presto affrontare l’agguerrita concorrenza di numerosi altri Stati, del centro e sud america (Messico e Nicaragua), dell’Asia (Laos, Cambogia, Vietnam, Sri Lanka, Indonesia, Myanmar) e dell’Africa (Kenia, Etiopia e Tanzania).
Immigrazione In tutto il mondo si inasprisce la lotta contro l’immigrazione clandestina. L’Australia si è impegnata a versare 500 milioni di dollari alla Papua Nuova Guinea che a sua volta bloccherà gli immigrati sul proprio territorio. La Russia ha effettuato grandi retate di stranieri in Siberia, a Mosca, nella regione di Krasnodar e Volgograd. Una nuova legge prevede multe elevate o l’espulsione. A Malta il governo progressista di Josef Muscaf respinge tutti gli emi-
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granti, che spesso vengono soccorsi da imbarcazioni italiane. La Spagna respinge i clandestini ed a Ceuta e Melilla ha eretto una barriera per bloccare l’immigrazione clandestina dal Marocco. A loro volta gli Stati Uniti hanno alzato un muro al confine con il Messico e l’Arabia Saudita sta facendo lo stesso con lo Jemen. Anche la Cina comunista dà la caccia ai profughi provenienti dalla Corea del Nord che vengono respinti in patria e destinati ai gulag. ■
SANTUARIO REALE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI RACCONIGI Il 26 agosto u.s. la S. Messa Votiva Cittadina è stata concelebrata da S.E. Mons. Andrea Gemma, Arcivescovo emerito di Isernia e Venafro e da altri Reverendi Sacerdoti. La ricorrenza è stata festeggiata in conformità al Voto cittadino di ringraziamento alla Madonna per la cessazione avvenuta il 26 agosto 1835 dell’epidemia di colera. S.M. Carlo Alberto Re di Sardegna fece edificare l’attuale Santuario, benedetto il 26 agosto 1838. Quest’anno in concomitanza con la Ricorrenza è stato festeggiato Mons. Franco Troja, Rettore del Santuario del quale ricorrono 45 anni di Sacerdozio e 40 anni dalla nomina a Cappellano Reale effettuata da S.M. Umberto II, Re d’Italia. Erano presenti le Autorità Regionali, Provinciali, Comunali e Militari, le rappresentanze dei Gruppi ed Associazioni Religiose e di Volontariato, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, delle Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, degli Ordini Dinastici Sabaudi e dell’Alleanza Monarchica-Italia Reale. Ha fatto seguito il rinfresco dell’amicizia offerto dalla Pasticceria Reale di Racconigi. ■
LA RIPRESA Il Sole 24 ore del 2 agosto: titolo “Auto, segni di ripresa a luglio”, sottotitolo “Le immatricolazioni calano dell’1,9%”. ■
Danilo Quinto (Corrispondenza romana)
SI DICA LA VERITÀ SULLE “PRIMAVERE ARABE” intervenendo alla Camera sulle proteste in corso in Turchia, il Ministro degli Esteri italiano ha dichiarato: “Ma quale primavera araba? Piazza Taksim non è piazza Tahrir. E i turchi non sono arabi”. Come a dire non toccate le rivolte dei Paesi arabi, libere e democratiche e non le paragonate con niente e nessuno. “Il regime mantiene pieno controllo sull’economia, sui servizi segreti, sulla tv. Però resto ottimista su ciò che sta accadendo nella società. La democrazia non è un concetto, ma un processo: e ogni giorno si registrano novità impensabili fino a pochi mesi fa”, diceva la Bonino quando in Egitto c’era ancora Mubarak e i “Fratelli Musulmani” si preparavano a conquistare il potere. “Fino ad oggi aggiungeva - si andava in piazza contro Israele, la guerra in Iraq, gli Stati Uniti, ma ora si manifesta per le riforme”. Le riforme, appunto. Come la Dichiarazione costituzionale con la quale Morsi, qualche settimana prima della sua deposizione, si appropriava poteri assoluti maggiori di quelli di Mubarak.
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Bel risultato, le “primavere arabe”. In Tunisia, il Governo provvisorio è dominato dagli islamisti Ennahda (Fratelli Musulmani). In Libia,
zioni internazionali e i media’”. Si aggiunge che il National Endowment for Democracy ha comunicato di aver versato nel 2010 più di un milione e mezzo di dollari ad organizzazioni egiziane impegnate nella difesa dei “diritti umani” e nella promozione dei valori democratici. Si afferma che ai finanziamenti del NED e di altri enti statali americani si sono aggiunti i fondi stanziati dalla Open Society Foundation di George Soros, che nel 2010 ha finanziato organizzazioni
dopo la caduta di Gheddafi, si scontrano centinaia di bande armate. In Egitto si va verso la guerra civile. In tutti e tre i Paesi, la situazione economica costringe alla fame una vasta parte della popolazione. La Bonino anche oggi è ottimista.
Resta un aspetto di verità da chiarire. Chi ha favorito le “primavere arabe” e soprattutto chi ha consentito che l’organizzazione integralista ed eversiva dei “Fratelli Musulmani” prendesse il sopravvento, in Egitto e altrove?
“In Egitto - dice - si confronta una significati v a parte di popolazione che considera gli eventi in corso come una fase della rivoluzione che corregge le storture recenti e un’altra parte che li ritiene un passo indietro della transizione democratica, ponendo limitazioni ai membri della Fratellanza”.
Su questo punto è illuminante un articolo che è comparso sulla rivista “Eurasia” il 13 maggio 2012, a firma Claudio Mutti, intitolato Il Mediterraneo tra l’Eurasia e l’Occidente. Si legge: “Lo stesso ‘New York Times’ ha riconosciuto che alcuni movimenti e capi direttamente impegnati nelle rivolte del 2011 nel Nordafrica e in Medio Oriente … hanno ricevuto addestramento e finanziamenti dall’International Repubblican Institute, dal National Democratic Institute e da Freedom House. Quest’ultima organizzazione, in particolare, nel 2010 aveva accolto negli USA un gruppo di attivisti egiziani e tunisini, per insegnar loro a ‘trarre beneficio dalle opportunità della rete attrav erso l’interazione con Washington, le organizza-
e movimenti in tutto il mondo arabo e in particolare in Egitto e in Tunisia. “Se poi si risale al 2009 e ci si limita a considerare l’Egitto - conclude l’articolo di “Eurasia” - il bilancio con fondi dell’USAID destinati alle organizzazioni democratiche e dei diritti umani ammonta complessi v amente a 62 milioni 334.187 dollari”.
Francesco Atanasio
na Elena di Savoia. Ha officiato secondo il rito tridentino Mons. Thomas Rohr, Cav. Uff. dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e assistente spirituale del Vicariato, che ha rievocato le alte virtù umane e religiose della seconda Sovrana d’Italia. Ha assicurato il servizio liturgico il Coro della Cattedrale di Noto “Lorenzo Perosi”, che ha concluso la S. Messa con l’esecuzione dell’Inno Sardo. ■
NOTO Domenica 18 agosto, nella memoria liturgica di Santa Elena imperatrice, nella Chiesa di Sant’Antonio Abate per iniziativa della delegazione provinciale dell’Istituto Naz. GG.OO.RR.TT. Pantheon e del Vicariato OO.DD.SS. è stata celebrata una Santa Messa in memoria di S.M la Regi-
È facile, a questo punto, comprendere chi c’è dietro le cosiddette “primavere arabe”, quali sono i presupposti su cui sono nate e quali sono gli interessi coperti dai Governi occidentali. Senza approfondire questa realtà, nessuna politica europea seria è possibile, perché si fonderebbe sull’ipocrisia e sul nascondimento della verità. ■
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Massimo Mallucci
LA PROPRIETÀ NON ESISTE PIÙ
per il contenimento del consumo energetico, per la realizzazione di parcheggi, per l’installazione di impianti centralizzati”.
LA NUOVA LEGGE SUL CONDOMINIO RENDE SEMPRE PIÙ DIFFICILE LA VITA IN COMUNE NEL CASEGGIATO l regime asfittico di questa casta di privilegiati che continua ad imperversare sull’Italia, da anni prende di mira la proprietà delle famiglie e, così, le nostre case sono considerate supermarket per ladri e spugne da spremere per il fisco. Ecco, dunque, che i nostri legislatori hanno ben pensato di rivedere anche la normativa riferita al Condominio, attraverso quell’ottica assemblearistico-marxista, con un pizzico di burocrazia e modulistica in più, che farà impazzire tutte le persone perbene.
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Noi monarchici di Stella e Corona abbiamo inserito nel nostro programma un concetto fondamentale: la proprietà non può essere tassata, in quanto tale, (anche perché molto spesso costituisce un costo e non altro) ma devono essere tassate soltanto le rendite che la proprietà può dare. Nessuno lo sa, vista la censura del silenzio attuata nei nostri confronti. Pochi si sono accorti del nostro programma, anche della riferita proposta, diretta ad unire ad un progetto politico di tutela della famiglia, il concetto di proprietà familiare (esente tasse). Tutto continua allegramente come prima, verso uno sfascio generale, mai conosciuto.
La nuova legge 11/12/ 2012, n. 220, deve comunque, essere applicata, compresa la nuova “anagrafe condominiale” che ricorda le funzioni dei “capi fabbricato” tanto cari ai regimi comunisti. La cosiddetta anagrafe tributaria é costituita da tutta una serie di modulistica che riguarda i coefficienti dell’immobile, la proprietà, gli atti di acquisto, la conformità degli impianti, le indicazioni dei conduttori e tutta un’altra serie di notizie che sarà una miniera d’oro per il fisco. Lo stato padrone continuerà pertanto a spremere i proprietari d’immobili che pagano, ormai, per difendere le loro proprietà, un affitto mensile agli Enti Pubblici che raccolgono denari per sperperarli, grazie ai costi della politica diventati insopportabili. La nuova legge interessa circa 30 milioni di Italiani, quanti sono coloro che vivono associati nello stesso immobile. La normativa é composta da ben 32 articoli che vanno a sostituire un’analoga legge, molto più comprensibile ed accettabile, risalente al 1942. La nuova normativa riguarda le “parti comuni dell’edificio” ed incide sulle modificazioni delle destinazioni d’uso. Introduce tutta una serie di
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PIA ILLUSIONE l Presidente americano Richard Nixon nel 1974 fu costretto a dimettersi a seguito dello scandalo del Watergate consistito nella scoperta di registrazioni di conversazioni effettuate nel campo dei democratici. Da allora a seguito delle tante continue scoperte e invenzioni una massa di enti e di persone riesce ad entrare clandestinamente nelle conversazioni e nei pensieri di gran parte dell’umanità.
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È una pia illusione l’idea che un qualsiasi segreto a conoscenza di più di una persona, possa rimanere tale. In realtà tutti noi siamo continuamente spiati: basti pensare alla possibilità ormai generalizzata di ascoltare e registrare telefonate, di ottenere copia di comunicazioni inviate via fax o per e-mail, di installare cimici o altre piccole trasmittenti in uffici, alloggi, autoveicoli, ecc., di venire ripresi dalle miglia-
nuove maggioranze di divieti e di controdivieti. Basti citare le modifiche apportate all’art. 1138 del Codice Civile che riguardano il Regolamento. Se questo viene approvato in assemblea occorre la maggioranza degli intervenuti e una metà del valore dell’edificio (art. 1136). Dovrà poi essere allegato al registro dei verbali, istituito da un nuovo articolo. È prevista la possibilità di impugnazione. Il Regolamento di condominio potrebbe essere definito un vero e proprio Statuto, contenente delle norme che regolano la vita ed i rapporti di questo particolare gruppo sociale: quello dei soggetti che sono proprietari di piani o porzioni di essi in un determinato edificio. Il Regolamento è obbligatorio quando il numero delle proprietà individuali é superiore a dieci. La solita autorità giudiziaria potrà intervenire nel caso di mancata approvazione. Questa sorta di “Statuto”, come si sa, può essere anche di natura contrattuale: da tener presente che tale definizione non si ha soltanto in caso di predisposizione da parte dell’originario proprietario, ma anche in base alle clausole in esso contenute, con particolare riguardo a quelle che limitano i diritti dei Condomini sulle proprietà esclusive o comuni.
Nella nuova normativa vengono prese in esame le parti comuni dell’edificio, creando una confusione tale, da non far capire bene quali esse siano effettivamente. Anche le modificazioni delle destinazioni d’uso sono state complicate da tutta una serie di preventivi sopralluoghi e di calcoli sulla proporzionalità della quota di ciascun comproprietario.
ia e migliaia di telecamere piazzate un po’ dappertutto presso Banche, esercizi commerciali, ingressi di edifici, semafori e via dicendo, per non parlare poi dell’invadenza nella nostra vita privata effettuata sfruttando i dati che emergono dall’uso di carte di credito, di bancomat, di tessere di esercizi, negozi, ecc., ecc., delle interviste che vengono richieste telefonicamente e che vengono presentate come segrete nel mentre nella maggior parte sono poi utilizzate per catalogare dati e preferenze venduti a Società commerciali, partiti politici e via dicendo. Persino la famiglia Reale inglese che si dovrebbe
ritenere totalmente tutelata, viene sovente spiata con successiva pubblicazione sui mass-media delle conversazioni e dei pensieri dei suoi componenti.
Si sappia che ciascun condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento se, precisa il legislatore repubblicano, “dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”. Da tale norma si comprende quale sarà la moltiplicazione dei contenziosi e la contrapposizione delle verifiche tecniche. Molto meglio la normativa precedente che prevedeva il consenso in sede di assemblea condominiale. La legge contiene tutta una serie di indicazioni prettamente ideologiche ed astratte, prive di indicazioni concrete,con particolare riguardo alle innovazioni che riguardino “interventi volti a migliorare la sicurezza, la salubrità degli edifici, degli impianti, l’eliminazione delle barriere architettoniche,
Il progredire della tecnica è certamente a favore dell’umanità, ma agisce altresì a discapito della nostra vita privata che in pratica non esiste più anche se i pensieri e le intenzioni della maggior parte degli abitanti della Terra non vengono diffusi non già per essere impenetrabili ma solo per non interessare e non recare vantaggio a chi li possiede. ■
L’unica innovazione positiva é la precisa indicazione della maggioranza necessaria per l’abbattimento delle barriere architettoniche: in assemblea dovranno essere presenti condomini che rappresentino un terzo dei millesimi ed il voto sarà a maggioranza del 50% + 1.
dispute era stato buttato dalla finestra come un pacco e, poi, giù botte e grida. Ci domandiamo quando gli Italiani riusciranno a buttare metaforicamente dalla finestra l’intera classe politica che ci sta rovinando. ■
R.V.R.
IRLANDA VITA DURA
Per quanto riguarda la nomina, la revoca e i doveri dell’Amministratore, sono stati inseriti una serie di obblighi da rappresentare una corsa ad ostacoli, con il solito “Fisco” come traguardo. Si passa dalla polizza individuale d’assicurazione ad uno specifico conto corrente bancario ai siti Internet, per consultazioni esterne digitali. Vi sono poi le solite sanzioni inasprite ed aumentate. È prevista la possibilità di possedere o detenere animali domestici ma la regolamentazione é talmente vaga da farci preferire la situazione precedente che non disciplinava espressamente tale possibilità. Il Rag. Fantozzi, che può ben essere il simbolo di questo sistema italico, sostenuto ormai da una minoranza di elettori, aveva interpretato un bel film ove era rappresentata una riunione condominiale, in cui tutti si picchiavano di santa ragione, tanto che il povero amministratore che era intervenuto per calmare le
READY MADE Con “Ready made” si indica un’opera d’arte ottenuta con oggetti creati da altri e facenti parte della realtà quotidiana (una scatola da scarpe, un lucchetto, un apribottiglie, un lavandino, ecc.) collocati in un contesto diverso da quello per cui sono stati prodotti “Ready made”, in altre parole, è il termine con il quale possono venire indicate buona parte delle persone che per competenza e intelligenza dovrebbero essere destinate a lavori umili e non impegnativi, ma che invece siedono in Parlamento. ■
PER GLI INSOLVENTI stato creato in Irlanda l’Insolvency Service of Ireland - Isi, agenzia statale avente il compito di regolare i rapporti tra creditori e debitori, imponendo agli insolventi regole di comportamento.
È
Così, oltre a fissare massimi di spesa che, per chi vive solo, vanno da 247 euro per il cibo a 57 per il riscaldamento, 33 per prodotti di igiene, 35 per vestiario e 125 per il tempo libero (eventi sportivi, teatro, cinema, ecc.), coloro che sono morosi non potranno andare in vacanza all’estero, avere la TV satellitare, iscrivere i figli a scuole private. A fronte dei molti furbi che contraggono debiti già sapendo di non voler o poter onorarli (tipico il caso in Italia di troppi che affittano alloggi a volte anche di prestigio, versando il canone per un paio di mesi e poi diventando morosi e sfruttando - grazie a leggi troppo permissive ed a magistrati a volte troppo compiacenti - la situazione per mesi e mesi caricando ai proprietari non soltanto il mancato incasso dei canoni di locazione ma anche le spese condominiali e le utenze) l’iniziativa irlandese appare di assoluto buon senso. Sempre che, però, non sia stata creata al solo o al principale fine di tutelare gli Istituti bancari per mutui concessi in una Nazione certamente non molto popolata che però conta 120 mila mutui con rate non pagate e in ritardo di 90 giorni o più. ■
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Mario Lanata
zia ufficiale della sua destituzione dal Comando Supremo dell’Esercito italiano. A Cadorna venne tuttavia dato un contentino, cioè venne nominato rappresentante dell’Italia nel Consiglio Superiore Interalleato, appena costituitosi. L’8 novembre 1932, nella sala dello storico Convegno fu murata una lapide con l’epigrafe: “Con fede
I CONVEGNI DI RAPALLO E DI PESCHIERA 6, 7 e 8 NOVEMBRE 1917 Esercito italiano usciva dalla grande prova di Caporetto gravemente diminuito nei suoi organici e nelle sue capacità combattive. In 15 giorni aveva perduto un’intera Armata (la seconda), buona parte delle truppe della Zona Carnia e parte della quarta Armata, mentre soltanto la terza era ancora in buono stato di efficienza. In sostanza tutto ciò si compendiava in: 265.000 prigionieri; 3.152 pezzi d’artiglieria perduti: 1.750 bombarde; 3.000 mitragliatrici; 40.000 morti e feriti (quest’ultimo dato dimostra che la resistenza da parte italiana, seppure ridotta, ci fu); circa 300.000 uomini sbandati che fu necessario mandare nelle retrovie per formare di nuovo i reparti. In compenso però il fronte si era notevolmente accorciato e quindi permetteva, aggrappandosi alle pendici del Grappa e del Montello, snodandosi quindi lungo le sponde del Piave, di ben sperare per la difesa dell’Italia.
L’
La grave situazione determinatasi in Italia impensieriva gli Alleati, i quali già nel corso dello stesso mese d’ottobre avevano inviato loro Ufficiali per rendersi conto di quali fossero le dimensioni del disastro. In particolare premeva agli Alleati comprendere se, ed entro quali limiti, fosse conveniente per loro distrarre forze dal fronte francese per impiegarle in Italia. Il 6 e 7 novembre si svolse a Rapallo una prima riunione interalleata, alla quale parteciparono per l’Inghilterra il Primo Ministro Lloyd George ed il Ministro Smuts, per la Francia il Presidente del Consiglio Painlevé ed il Ministro Bouillon, per l’Italia il nuovo Presidente del Consiglio Orlando con il Ministro Sonnino. Ognuno dei Capi di governo era assistito da propri Ufficiali dello Stato Maggiore. Per la Francia era presente Foch, per l’In-
incrollabile - nella gagliarda virtù dei soldati d’Italia - S.M. il Re Vittorio Emanuele III - l’8 novembre 1917 - qui - con appassionata e saggia parola alimentata da inesausto amore per la Patria sostenne fieramente con gli Alleati - che l’Esercito italiano - avrebbe sul Piave difeso con le sorti d’Italia - la fortune comuni. 8 novembre 1932 - XI”. ■
Franco Ceccarelli
REGIO GOVERNO e il nuovo Governo avesse la cortesia di aprire un libro di storia amministrativa d’Italia, potrebbe avere qualche buona idea per ciò che riguarda tagli delle spese dello Stato. Tagli di cui avverte la necessità tutta Italia, tranne che la classe politica, che cincischia da troppo tempo in sole chiacchiere, confermando di vivere in un mondo tutto suo contro cui si infrangono le disperate condizioni dei cittadini comuni, molto più “sudditi” oggi, di quanto non fossero nei regimi monarchici feudali. Tornando alla necessità di risparmiare, l’idea non è nuova e spesso nella storia anche recente del nostro Paese, i governi sono dovuti intervenire.
S
Il Convegno di Peschiera. ghilterra Robertson e Wilson, per l’Italia il Generale Porro (Sottocapo di Stato Maggiore). I nostri alleati intendevano innanzi tutto formarsi un concetto della gravità del disastro che ci aveva colpiti e della possibilità di porvi rimedio; il che dal loro punto di vista significava sapere se convenisse distrarre un certo numero di forze dal loro fronte per portarlo al nostro. Furono quelle per noi ore di vera angoscia… Prevalse l’opinione, che fu sostenuta anche dal Foch, di consentire l’invio in Italia di truppe alleate, ma la risoluzione di massima lasciava sempre aperte molte questioni particolari, la cui gravità non era certo minore e che era relativa al numero di truppe da inviare ed al momento di farle entrare in azione. Gli Alleati richiesero in modo categorico che al Comando Supremo venisse sostituito Cadorna con altro Comandante. Tuttavia tra gli Alleati permanevano ancora gravi perplessità circa la possibilità effettiva che l’Esercito italiano potesse resistere sul Piave. Si decise quindi di ritrovarsi il successivo giorno 8 a Peschiera per un nuovo convegno al quale avrebbe partecipato anche Re Vittorio Emanuele III. La riunione avvenne in una modestissima sede di
Comando di Battaglione, e precisamente in una sala centrale relativamente vasta, poverissima e nuda, con unico arredamento una stufa in terracotta verniciata. Alle ore 10 di detto giorno il Re, accompagnato dai Ministri Orlando, Sonnino e Bissolati, giunse nel locale delle ex scuole, dove lo attendevano il Ministro Painlevé col Generale Foch per la Francia e il Ministro Lloyd George con i Generali Robertson e Wilson per l’Inghilterra. La riunione durò oltre due ore, presieduta dal Sovrano, unico rappresentante dell’Esercito italiano. Con assoluta padronanza dell’argomento il Re, parlando sempre in inglese, espose la situazione della difesa, le condizioni del nostro Esercito, smentì le sinistre e catastrofiche notizie fatte correre sul morale del soldato italiano, affermando che le risoluzioni prese del Comando italiano non si sarebbero in nessuna maniera mutate, dovendo bastare il nostro Esercito, senza aiuti, ad assicurare la difesa del suolo patrio. La virtù persuasiva delle sue argomentazioni e, più di tutto, la sua fiera ed illimitata sicurezza delle qualità guerriere del soldato italiano, valsero a dissipare le errate opinioni degli Alleati ed a convincerli che il nostro
Esercito non avrebbe indietreggiato di un passo dalla linea fissata per la difesa. Gli Alleati si inchinarono dinanzi alla chiara esposizione del Sovrano ed alla fermezza della sua volontà ed al termine del Convegno resero, con irresistibile impulso, spontanea testimonianza di tutta la loro ammirazione a Vittorio Emanuele III. In seguito al Convegno di Peschiera gli Alleati decisero di mandare rinforzi in Italia, convinti dal discorso di Vittorio Emanuele III e visto che era stata esaudita la loro richiesta di mutare i vertici del Comando Supremo italiano, sostituendo Cadorna con Diaz. Il 12 novembre giunsero a Vicenza le prime tre Divisioni francesi; ad esse seguirono due Divisioni britanniche, che si radunarono nei pressi di Mantova, ed infine tra il 20 novembre ed il 2 dicembre giunsero ancora cinque Divisioni alleate, delle quali tre erano francesi e due inglesi. Comandava le truppe francesi in Italia il Gen. Fayolle; comandava le truppe inglesi il Gen. Plumer. Cadorna seppe già il 7 novembre da Porro, che proveniva da Rapallo, la notizia della sua sostituzione con Diaz; il successivo giorno 8 il Re al termine del Convegno di Peschiera si recò a trovare Cadorna, dandogli noti-
Nel 1919, al termine della Grande Guerra, la situazione economica italiana era drammatica, con un’instabilità politica gravissima, che richiedeva urgenti interventi di razionalizzazione anche della spesa pubblica. Tutti avvertivano la necessità di intervenire ove fosse possibile, a cominciare dal Sovrano che nel 1919 decideva una riduzione della Lista Civile da 19milioni a 16milioni annui (la cifra rimase uguale sino al 1946 e i precedenti 19milioni erano gli stessi del 1861). Inoltre, con apposita Legge, Casa Reale aveva ceduto al Demanio anche un enorme numero di beni immobiliari (Palazzi Reali, ville, tenute), già in uso alla Corona. Al principio degli anni ’20, ci si rese conto che uno dei mezzi per ottimizzare l’utilizzo delle risorse economiche dello Stato era quello di ridurre la miriade di amministrazioni locali che, sommate, rappresentavano un costo non indifferente.
In tale settore il Regio Governo intervenne con mano decisa e in poco tempo i progetti divennero realtà. Tanto per limitarci ad una sola provincia, quella di Trento - all’epoca di recente unione al Regno - già alla metà degli anni ’20 erano stati ben 313 (trecentotredici!) i comuni, di piccola o piccolissima dimensione, soppressi come amministrazioni autonome, grazie a provvidi accorpamenti che, se in alcuni casi scontentarono le popolazioni, sicuramente migliorarono i bilanci dello Stato grazie alla conseguente riduzione dei costi. Purtroppo però, tali provvide iniziative ebbero breve durata dal momento che, appena terminata la seconda guerra mondiale, la neonata repubblica italiana (il buongiorno si vede dal mattino!), non ebbe meglio da fare che annullare buona parte delle riforme varate dal Governo del Re, ricostituendo le disciolte amministrazioni, dando così inizio ad una “polverizzazione” degli enti locali che, sia chiaro, non interessò solo il Trentino - qui addotto solo come esempio, pur se macroscopico - ma un po’ tutto il Paese, per “esplodere”, realmente, con la costituzione di quella iattura nazionale che furono le regioni, fonte inesauribile di spese. ■
PREFERENZE Saremo anche retrogradi e conservatori ma, al contrario della Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, noi alle sfilate dei “Gay pride” preferiamo quelle delle candidate al titolo di “Miss Italia”. ■
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I RE D’ITALIA NON FURONO MASSONI illustre storico Prof. Aldo A. Mola ha dato alle stampe anni or sono, tramite la Bompiani, un volume di 1.072 pagine, dal titolo “Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni”.
L’
Pur senza essere profondi conoscitori della Massoneria e della sua storia, riteniamo di dover far nostro il giudizio dato sull’imponente lavoro del Prof. Mola, dal Dr. Paolo Alatri: La serietà della documentazione, l’ampiezza dell’informazione, la serenità dei giudizi, la consape v olezza della necessità di studiare le v icende massoniche in stretto collegamento con quelle più generali della nazione, e in molti casi anche con gli eventi internazionali, conferiscono a questo libro un tono e un livello che nessun precedente tentativo in questo campo a v e v a mai raggiunto. Il volume ha acquistato maggior attualità a seguito delle vicende giudiziarie che stanno coinvolgendo iscritti alla Massoneria. Un capitolo ci ha particolarmente interessato quali monarchici, quello intitolato Nodi di Savoia che riportiamo nella parte dedicata a Re Carlo Alberto ed ai quattro Re d’Italia. ^^^ I rapporti corsi tra Carlo Alberto di Sa v oia-Carignano e il mondo settario sono stati oggetto di centinaia di pubblicazioni, di di v erso li v ello, spesso ripetiti v e. Non ha però trovato risposta la domanda più elementare: se, cioè, il nipote della sfortunata Maria Teresa Luisa, principessa di Lamballe e Grande Maitresse particulière della loggia di adozione rousseauiana Contrat social, sia stato effetti v amente iniziato quando, dove, da chi, in quale scenario, con quali prospettive … - alla Car-
boneria, alla Massoneria o ad altra con v enticola. Abbastanza avanti negli anni per ser v ire quale alfiere nei Dragoni dell’Imperatore Napoleone I, al crollo dell’impero Carlo Alberto era comunque ancor troppo giovane per poter essere iniziato, sia pure con l’abbuono d’età concesso ai figli di massoni. La sua condotta del marzo 1821 ci pone dinanzi a una personalità indubbiamente ricca e, ancora, più irrequieta che tormentata (quale poi di v enne). A modo suo, manzonianamente, serviva pensando al regno. Per giunger v i utilizzò quanti si resero disponibili e anche chi non ci pensa v a affatto. Era fatale che l’aspirante sovrano di un regno che varcasse il Ticino e coronasse il secolare sogno sabaudo di dominare Milano a v esse rapporti con quanti in Lombardia a loro volta avevano bisogno di spezzare lo status quo senza però precipitare in conv ulsioni incontrollabili e quindi volentieri si sarebbero fatti scudo di un principe passabilmente legittimista quale Carlo Alberto. Siffatte relazioni non comportavano però di necessità alcuna collusione iniziatica. Le uniche prove indiscutibili di cui disponiamo riguardano l’accanimento posto da Carlo Alberto nella eliminazione di qualsiasi traccia, diretta o indiretta, dei rapporti da lui avuti con i cospiratori del 1821. La mancata pubblicazione dell’Autobiografia di Silvio Pellico è solo la più famosa - ma anche la più rivelativa - di esse. Quando infine decise di mettere a disposizione della causa tutto quanto possedeva (come testimoniò Massimo d’Azeglio) non v’era più alcun motivo di scavare alla ricerca di un pur breve momento di giovanile doppiezza. Italo Amleto, quale venne infine cantato dal già repubblicano Carducci, ha ben altro suono di spergiuro e di traditore. Alla v igilia della guerra contro l’Austria i massoni non esitarono a schierarsi al suo fianco. Lo fece anche il Giuseppe Garibaldi che mesi prima, tramite il nunzio pontificio in Brasile, si dichiarò pronto a battersi al servizio di Pio IX pur di intraprendere la lotta di liberazione nazionale. Per un attimo il nouveau chri-
stianisme sembrò infatti incarnarsi in Papa Mastai. ^^^
Nessuna prova abbiamo di una qualsiasi iniziazione massonica di Vittorio Emanuele II. Indubbiamente egli crebbe circondato da grandi iniziati, quale Cesare di Saluzzo, che gli donò la spada di Napoleone: gesto emblematico, che illumina la figura del suo precettore non meno che il suo spregiudicato allie v o, per il quale calcolo politico e progresso liberale marciarono di conserva: ma, ancora una v olta, non stanno a indicare identità iniziatica. Nel Vittorio Emanuele II che seppe resistere ai funerei moniti lanciatigli da don Giovanni Bosco nei mesi della statizzazione dei beni degli Ordini religiosi contemplativi nulla autorizza a vedere il massone: v’era semplicemente un so v rano che assecondava - o subiva - lo sviluppo logico dello stato. Altrettanto provato è il suo sincero rammarico per il fatto che l’ingrandimento dei suoi domini dov esse comportare la scomunica comminatagli da parte di papa Pio IX ch’egli via via spogliò d’ogni sovranità temporale. Peraltro è largamente provato che, col solido realismo e il fiuto di grande politico, di cui non difettò mai, egli si servì anche di massoni: nel gov erno politico, da Luigi Carlo Farini ad Agostino Depretis; nella diplomazia (il fido Costantino Nigra, ambasciatore a Parigi, v enne acclamato Gran Maestro: forse senza neppure essere stato iniziato, per quanto si sa) e nelle forze armate: per esempio con i generali Maurizio Gerbaix De Sonnaz ed Emanuele della Rocca di Bianzè, oltre a quelli garibaldini, come Giacomo Medici e Nino Bixio, e in trame occulte che dapprima condussero all’offerta, declinata, della corona di Grecia per il principe Amedeo duca di Aosta, poi a quella, accolta, anche se di lì a breve deposta, di re di Spagna. A impedirgli di accettare una qualsiasi iniziazione massonica era la sua concezione della sovranità. Re di Cipro e Gerusalemme, oltre che di Sardegna, e Gran Maestro del Supremo Ordine dei Cavalieri della Santissima Annunziata, Vittorio
Emanuele II non era so v rano tale da acconciarsi ad apprendista in una Comunione per entrar nella quale avrebbe dovuto spogliarsi degli attributi nei quali da ottocento anni si riconosceva la sua Casa e da subordinarsi a gerarchie elettive. Lo stesso a vv enne per i figli, Umberto I e Amedeo di Aosta. Anche il secondo re d’Italia ricorse largamente a capi di governo e a ministri massoni, spesso all’obbedienza del sovrano più che dei Grandi Maestri - quali Depretis, Cairoli, Crispi, Zanar-
nieri: ma perché tutto ciò giovava alla Corona e perché la sua rinunzia alla Città Eterna avrebbe vulnerato la dinastia e il regno (d’altronde era un massone quale Bo v io a spiegare che giorno sarebbe v enuto nel quale a Roma v i sarebbe stato posto per tutti, in piena libertà per ciascuno: cattolici, israeliti e liberi pensatori: e ancora non poteva prevedere l’apertura di moschee e templi per altri culti …). Né iniziato risulta l’Amedeo asceso a re di Spagna, ove fu accolto da un corteggio massonico,
divenire l’anticlericale che fu. Gli bastarono insegnanti quali Egidio Osio e Luigi Morandi. O, se, si preferisce, gli era sufficiente constatare l’abisso tra la propria concezione del mondo e quella predicata dal clero del suo tempo. Nel settembre 1904 egli tenne a sottolineare speciale apprezzamento per l’azione massonica sul piano dell’assistenza. Presenziò infatti all’inaugurazione degli Asili Notturni di Livorno: servizio di prima accoglienza per derelitti e bisognosi. Dedurne che pertanto fosse iniziato comporterebbe di concludere che fosse anche devoto al cul-
Un significativo documento del Grande Oriente d’Italia. delli … -, ma evitò di mettersi in condizione di dover prendere ordini da chi invece doveva rimanere subalterno per grazia di Dio e volontà della nazione. La pubblicazione del diario dell’aiutante di campo Paolo Paolucci delle Roncole ci ha però fatto sapere che cosa pensasse del “porco” Crispi. Del pari egli assistè allo scoprimento di molti monumenti a massoni insigni e dichiarò Roma conquista intangibile solle v ando il plauso degli antipapisti, italiani e stra-
come ricorda Josè A. Ferrer Benimeli ripubblicando gli Episodios nacionales di Peres Galdós (Madrid, 1982), ma presto indotto ad abbandonare la partita e morì quarantacinquenne appena tra pratiche devozionali e opere di carità in un’epoca nella quale la Massoneria era anticlericale e statalistica. ^^^ Del pari Vittorio Emanuele III non ebbe bisogno di iniziazioni per
to di Iside perché visitò ripetutamente il Museo Egizio di Torino o fosse un bigotto baciapile perché assistette compunto a una quantità di cerimonie cattoliche, compresi il matrimonio suo e il battesimo e matrimonio dei figli. Anche noi ci siamo a lungo domandati se una sua iniziazione abbia potuto aver luogo in una Loggia oltremare nel corso delle sue peregrinazioni giovanili. Fermo restando che non ci pare credibile l’ipotesi
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di una iniziazione in una Loggia all’Obbedienza di una Comunione straniera, prosciugando al massimo la sua lunga vicenda va constatato che non aveva ragione di riconoscersi tra i Fratelli di Francia, repubblicani professi; né quelli inglesi, alla resa dei conti, lo aiutarono a sal v are la Corona. Anche Vittorio Emanuele III era insomma iniziato alla dinastia sabauda e al Regno d’Italia; e tanto basta v a. Come si e v ince dal documento che pubblichiamo, venne dato per certo ch’egli fosse il primo iscritto nel Libro d’Oro dei Fratelli all’Obbedienza di Piazza del Gesù: ma sappiamo che il Sovrano Palermi umiliò bre v etti di 33° grado a d’Annunzio e a Mussolini, senza però alcuna iniziazione rituale. Di Umberto II dicon tutto la devozione al filone più cattolico della Casata, spinto negli ultimi anni a pratiche di pietà in netto contrasto con la tradizione liberomuratoria italiana. Come il bisnonno e il nonno, anche Umberto II ebbe nondimento la ventura di contare proprio tra massoni - come il generale Roberto Benci v enga e il liberaldemocratico I v anoe Bonomi - alcuni fedelissimi sostenitori. Massoni altrettanto dichiarati e militanti furono però anche taluni fra i più autore v oli protagonisti della battaglia per l’a vvento della repubblica; e tra i cattolici che alla stretta finale lo lasciarono solo - dal sostituto Segretario di Stato, mons. Giovanni Battista Montini, ad Alcide de Gasperi, che poi gli scagliò dietro una dichiarazione ufficiale ingenerosa - non si può dire si levasse fumus massonico. …Fra i cinque re d’Italia il più indiziato di massonismo resta in v ece Umberto I, giacchè agli osservatori più attenti non sfuggì come, durante il corteo funebre che ne accompagnò le spoglie al Pantheon, il Grande Oriente d’Italia, esponesse le insegne della partecipazione al lutto e il labaro dei Maestri Segreti della Valle dell’Arno risultasse abbrunato. Era però un omaggio deliberato dal Go v erno dell’Ordine per attestare l’indefettibile lealismo dell’Istituzione (nelle cui file bene si sapeva, militavano non solo radicali e repubblicani ma anche
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anarchici ed estremisti di sinistra e in tal modo si chiamava fuori dalla taccia di connivenza morale, lanciata dai cattolici, con l’autore e i possibili mandanti del regicidio). Molti Fratelli di altri paesi espressero commossa partecipazione al lutto della Comunione italiana. Fu allora che il Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia, Antonio Cefaly - diadoco di Giolitti, già deputato e senatore del regno dal novembre 1898 - potè sgomberare il campo da ogni equivoco. All’Archi v io Storico Nazionale di Spagna, sezione Guerra Ci v ile (Salamanca) si tro v a il documento che ci sembra chiudere, in senso negativo, l’annosa disputa. Certo si può mettere in dubbio la v eridicità del Gran Segretario e insinuare che fosse male informato o mentisse d’accordo con il Gran Maestro e magari con lo stesso nuovo re d’Italia. Certo, si può immaginare qualsiasi cosa. E non si può escludere nulla. Ma la storiografia non procede spacciando come fatto veramente accaduto ciò che non può essere escluso. Essa si basa su documenti, su prove e, in loro assenza, sulla verosimiglianza e - ciò che non guasta mai e costituisce indispensabile antidoto contro l’abuso della dietrologia - sul buon senso, cioè sullo sforzo di porsi dal punto di v ista delle persone e delle istituzioni di cui ci si occupa. ■
Ferdinando Martoglio
COLPEVOLE SEMPRE E COMUNQUE? ulla persona e sull’operato di Re Vittorio Emanuele III, i detrattori di Casa Savoia ne hanno dette e scritte di tutti i colori, aventi in comune la collaudata tecnica del capro espiatorio cui addossare tutte le colpe e le conseguenze di un regime voluto, a suo tempo, dalla stragrande maggioranza del Popolo italiano, compresa gran parte di coloro che gli lanciano accuse. L’argomento preferito, peraltro su cui gli avversari della Monarchia amano indugiare quasi con sadica compiacenza, è quella della cosiddetta “fuga di Pescara” all’indomani dell’armistizio.
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Non è qui il caso di ricercare le motivazioni che in quel preciso momento storico determinarono la logica e doverosa risoluzione del Re, su pressione di Badoglio, a lasciare temporaneamente la Capitale (e non già il patrio suolo, né il Popolo italiano). È invece utile rammentare, per amore di verità, che una “fuga” di ben più ampia portata aveva avuto illustri protagonisti nel corso di quella stessa guerra: nel 1940-41, per sfuggire alle truppe tedesche avanzanti, sette Capi di Stato e otto Governi legittimi si erano trasferiti addirittura all’estero, in
Re Vittorio Emanuele III
Inghilterra, a cercare sicurezza ed appoggio. Il 15 maggio 1940 vi sbarcava la Regina Guglielmina d’Olanda; il suo esempio veniva seguito il 28 maggio dal Governo belga. Altrettanto faceva Re Haakon VII di Norvegia, rifugiandosi in Gran Bretagna il 10 giugno 1940. I governanti lussemburghesi, polacchi e cecoslovacchi arrivarono oltre Manica poco dopo, in seguito al crollo della Francia, Ed ancora nel giugno 1941 il giovane Re Pietro di Jugoslavia ed il suo Governo, di fronte all’invasione tedesca, ripararono a Londra, dove nell’ottobre successivo li raggiunse anche Re Giorgio II di Grecia. In tutti i fatti storici succitati, il denominatore comune fu un vero e proprio abbandono del territorio nazionale da parte di Governi legittimi, che avevano le più salde basi legali nella persona dei rispettivi Sovrani (ad eccezione di quello belga) o Presidenti.
Si trattò, oggettivamente, d’una fuga oltre frontiera, anche se decisa per evitare di cadere in mani nemiche e, conseguentemente, di scomparire come espressione delle proprie entità statuali libere. In effetti, a tali governanti non furono risparmiate critiche ed accuse nel senso di non aver condiviso le privazioni dei connazionali rimasti in patria a subire l’occupazione. Ma altra cosa è imputare a Re Vittorio Emanuele III come fuga un semplice spostamento nell’ambito del territorio italiano, da una zona “a rischio” ad una meno esposta; sarebbe come considerare una fuga il trasferimento della Famiglia reale inglese, poniamo da Londra a Edimburgo, per motivi di sicurezza (e comunque agli Inglesi non successe mai, durante la guerra, di trovarsi a fronteggiare il nemico - dalla sera alla mattina - sulla porta di casa). Lo stesso Stalin, allorché l’esercito germanico si stava avvicinando alla capitale sovietica, si era
trasferito nella zona degli Urali e nessuno si è mai sognato di parlare di “fuga da Mosca”. Diverso potrebbe essere il discorso sull’atteggiamento di talune gerarchie militari italiane in quel frangente; ma in questa sede interessa porre l’accento sulla campagna denigratoria, orchestrata ad arte, per trovare comunque il modo di infangare la persona di Vittorio Emanuele III. Infatti, se per ipotesi il Re avesse deciso di restare al Quirinale a costo di farsi arrestare dai tedeschi, tutto induce a pensare che i denigratori di professione, incapaci di apprezzare un gesto del genere, gli avrebbero riservato un trattamento simile a quello toccato al Re dei Belgi: Leopoldo III, rimasto volontariamente prigioniero in patria, si vide “premiato” con l’infamante accusa di collaborazionista e di fantoccio al servizio del nemico. ■
Un interessante documento storico: il telegramma inviato da De Gasperi a Re Vittorio Emanuele III il 16 maggio 1946 per ringraziarlo a nome del Governo per il dono allo Stato della sua collezione numismatica, di inestimabile valore. Si noti che il testo originale diceva “tutta la gratitudine del Governo”, ma poi la parola “tutta” fu cancellata a mano, forse perché la frase era sembrata troppo calorosa. ■
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MUSEO STORICO DELL’ARMA DI CAVALLERIA l Museo Storico dell’Arma di Cavalleria, ha sede nell’antica Caserma Principe Amedeo, ora Generale Fenulli, eretta per volere ed a spese della Città di Pinerolo a partire dal 1845. Nel 1849, dopo la Battaglia di Novara, l’abdicazione di Re Carlo Alberto e la salita al trono di Re Vittorio Emanuele II, nell’ambito della ristrutturazione dell’Esercito l’allora Ministro della Guerra Gen. Alfonso La Marmora decise di trasferire la Scuola di Equitazione, creata da Re Carlo Felice nel 1823 alla Venaria Reale, nella città di Pinerolo, con il nuovo nome di Scuola di Cavalleria. Ciò, secondo la memoria del Generale Montù, “per la mitezza del clima, l’abbondanza delle acque e dei foraggi, la salubrità delle terre ed al fine di aumentare la distanza da Torino, che specialmente per la gio v entù, costitui v a un centro di attrazione pericolosa”. Ed a Pinerolo la Scuola rimase sino allo scioglimento, avvenuto nel 1943. Su istanza del Consiglio Nazionale dell’Associazione Nazionale Arma di Cavalleria, il Museo fu istituito nella sede di Pinerolo, dal Ministro della Difesa, alla fine del 1961. Ricevuta personalità giuridica, fu inaugurato ed aperto al pubblico nell’ottobre del 1968. Oggi il Museo dipende dal Comando Regionale Militare Nord di Torino.
ia, cinque Medaglie d’Argento ed una di Bronzo al Valor Militare, oltre a cinque Croci al merito di guerra. Sempre al secondo piano, in ampia galleria è sistemata una raccolta di armi bianche e da fuoco, indigene ed europee, mentre una serie di sale, inaugurate nel 2008, ospita la più grande raccolta di “soldatini” in Italia ed una delle maggiori del mondo, che si sta sempre più arricchendo dopo le prime due donazioni di circa 85.000 “soldatini”.
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Particolarità del Museo è che quasi nulla di ciò che vi è custodito proviene dall’Amministrazione della Difesa: la stessa Caserma che lo ospita è di proprietà della città di Pinerolo, alla quale viene pagato un affitto simbolico di circa un euro l’anno. Quasi tutti i materiali esposti, infatti, sono stati donati, nel tempo, da Ufficiali, Sottufficiali, Militari ed estimatori dell’Arma (compresa l’Alleanza Monarchica). La vasta esposizione di cimeli che costantemente si arricchisce grazie a nuove donazioni, lo rende, in Europa, uno tra i più ricchi musei d’Arma, ed è suddivisa, nell’edificio, in vari settori.
Carlo Felice, Re di Sardegna, fondatore il 15/11/1823 della Scuola Militare di Equitazione (acquerello del pittore Barne, dono del Principe Tommaso di Savoia Genova alla Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo). Al piano terra, oltre le grandi lapidi monumentali riportanti i nomi degli Ufficiali, già frequentatori dell’Istituto, caduti nelle Guerre per il Risorgimento Nazionale, nelle Campagne Coloniali e durante la Grande Guerra, oltre il Sacrario, ove sono raccolte le motivazioni delle Medaglie d’Oro concesse agli Ufficiali dell’Arma (dal Capitano Berlinguer dei Cavalleggeri di Sardegna, che ricevette la decorazione nel 1835, al Sottotenente Millevoi dei Lancieri di Montebello, che la ricevette nel 1993) sono esposti carri, carriaggi, carrozze, selle e gualdrappe, nonché carri armati, autoblindo, motociclette e altri veicoli militari. Sempre al piano terreno si trova una sala di circa 200 mq. dotata di 120 poltroncine, adibita a conferenze, accoglienza e cerimonie, sala proiezione (con grande schermo) e spazio destinato ad esposizioni temporanee su specifici temi o di artisti. Al primo piano si trovano Stendardi, Bandiere, bronzi, argenti, quadri, stampe, fotografie, decorazioni ed una ricca collezione di uniformi del periodo che corre tra l’inizio delle Guerre per il
Risorgimento ed i nostri giorni. Il secondo piano è dedicato alle Campagne Coloniali ed alle due Guerre Mondiali; una delle sue sale, inaugurata il 14 giugno 2013, è dedicata e contiene i cimeli del Barone Generale Amedeo Guillet, leggendario eroe della nostra Cavalleria, soprannominato per la sua imprendibile audacia “Comandante diavolo” dagli avversari, combattente in Africa Orientale Italiana e poi nella Guerra di Liberazione, prima di diventare Ambasciatore d’Italia, decorato tra l’altro con l’Ordine Militare di Savo-
In sintesi il visitatore attento può scegliere tra i vari itinerari: - i ricordi e i cimeli di tanti Ufficiali, Sottufficiali e Soldati di Cavalleria che onorarono l’Arma in pace e in guerra; - i mezzi di trasporto sia trainati da cavalli che meccanici; - l’evoluzione dell’uniforme italiana di Cavalleria dal 1861 ai giorni nostri, anche attraverso l’esame di centinaia di fotografie antiche, corredate da ricche didascalie, disposte su 21 tavoli espositivi; - le uniformi, i copricapo, gli accessori dall’Unità d’Italia ad oggi, illustrati con la riproduzione di copie originali dei Giornali Militari; - le Medaglie, le Decorazioni e gli Ordini Cavallereschi di cui furono insigniti più frequentemente gli Ufficiali italiani dell’Armata Sarda prima e del Regio Esercito poi; - le collezioni di “soldatini” che, dato il loro grande numero si è costretti ad esporre a rotazione.
Completa il Museo il Polo Culturale, costituito da una Biblioteca antica e da una Biblioteca del Cavallo, entrambe dotate di rare opere del cinquecento, seicento, settecento, ottocento. Interessante la fototeca, nella quale è riunita la documentazione che narra la vita della Scuola. Il Museo, molto frequentato da scolaresche e gruppi organizzati, non solo piemontesi, ospita spesso comitive di stranieri, e ciò a dimostrazione di quanto la Scuola di Cavalleria fosse conosciuta all’estero. E si racconta di quando il Presidente del Consiglio Andreotti, in visita ufficiale negli Stati Uniti, venne pressato dal Presidente Regan, non già con quesiti riguardanti la Nazione, bensì con domande inerenti la vita e le attività della Scuola di Cavalleria.
Scuola di Cavalleria famosa in tutto il mondo tanto che dal 1900 al 1938 ben 35 Nazioni, dalla Svezia alla Russia, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dalla Norvegia al Cile, hanno inviato i loro migliori Ufficiali a Pinerolo, capitale mondiale dell’equitazione, ad apprendere il nuovo
metodo di montare a cavallo ideato dal Capitano livornese Federigo Caprilli. E la Principessa Iolanda, figlia primogenita di Re Vittorio Emanuele III, qui conobbe un Ufficiale del Reggimento Nizza Cavalleria, il Conte Calvi di Bergolo, che in seguito sposò. Caprilli, in estrema sintesi, contraddicendo mille anni d’equitazione ufficiale, intuì che non è il cavallo a doversi adattare al cavaliere, ma il contrario. E se prima di Caprilli, il povero animale tirato con la forza in bocca, e schiacciato sulle reni, non riusciva a saltare più di 80 cm. (il Cavalier Paderni, Istruttore della Scuola per più di un ventennio e dello stesso Caprilli, nei suoi scritti affermava che un tale salto già presen-
tava molti rischi!), nel 1902 al Concorso Ippico di Torino, fuori gara, il Maestro saltava addirittura 2,08 m. Ed i suoi allievi, dopo di lui, deceduto per una caduta da cavallo nel dicembre del 1907, raggiungono altezze vertiginose. Il Tenente Ubertalli a Pinerolo, due anni dopo, salta 2,20 m. Il Capitano Gutierrez nel 1938 a Piazza di Siena salta 2,44 m. ed il Duce, incredulo, fa ricostruire nella propria residenza l’ostacolo. Infine nel 1949, il Capitano cileno Larraguibel, sul cavallo Huaso, supera 2,47 m., altezza che ancora oggi è il primato mondiale di elevazione. Per concludere il Museo raccoglie nei suoi 5.500 mq. di aree espositive coperte, divise in tre piani, 40 sale e 220 vetrine, che offrono all’ammirazione del visitatore, tra l’altro, 1500 tra uniformi e copricapo, la Storia
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Umberto Càrcani
LA CARICA DEL BRICCHETTO l 21 aprile 1796 l’Armata francese, comandata dal Generale Napoleone Bonaparte, nel corso della prima campagna d’Italia, si dirigeva velocemente su Torino per occuparla, dopo aver superato le resistenze austro-piemontesi nelle battaglie di Cairo Montenotte, Cosseria e Millesimo. L’Esercito piemontese, agli ordini del Generale Colli, si ritirava verso Torino per coprire la capitale dall’avanzata francese, mentre l’Armata austriaca si dirigeva su Milano per proteggere la sua via di ritirata verso l’Austria. Napoleone, come sempre rapido ed impaziente di concludere vittoriosamente la campagna, lanciava buona parte della propria cavalleria, agli ordini del Generale Stengel, uno dei suoi migliori generali, all’inseguimento dell’Esercito piemontese che, per proteggere l’ordinato ripiegamento schierava, nei pressi di Mondovì, un contingente di fanteria, costituito dalla Legione Truppe Leggere (oggi Guardia di Finanza) e da tre Reggimenti di Dragoni, tra i quali quello di Sua Maestà (oggi Genova Cavalleria), agli ordini del Col. Silvestro Giovanni Battista Luigi d’Oncieu de Chaffardon e d’Alery.
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Drappo originale dello Stendardo di guerra del Reggimento Piemonte Reale Cavalleria, della prima metà del 1700 (dono di S.M. Umberto II al Museo).
della Cavalleria Sabauda ed Italiana dal 1683 ai giorni nostri. L’antica Caserma Principe Amedeo, centro per tanti anni dell’equitazione mondiale, trasformata in Museo, si impone oggi nella Città che la ospita quale centro culturale. Il Museo ospita simposi, congressi, conferenze, presentazioni di libri e mostre. *** È dunque il caso, se ci si trova a passare per questa città, che fu definita
“la più bella del Piemonte”, di sostare al Museo, che ha sede in Viale Giolitti 5, 10064 Pinerolo (TO), telefono e fax 0121/37.63.44, museo.cavalleria@dag.it - www. museocavalleria.it. Orari di ingresso: Martedì, e Giovedì: 9.00/11.30 e 14.00/16.00, Lunedì, Mercoledì, Venerdì e Sabato: chiuso, Domenica: 10.00/ 12.00 e 15.00/18.00: ingresso gratuito. L’Associazione Amici del Museo Storico dell’Arma di Ca v alleria, fornisce tramite i propri Soci guide gratuite ai gruppi in visita che ne fanno richie-
sta alla Segreteria del Museo al momento della prenotazione; scrivendo all’Associazione, all’indirizzo: Casella Postale n. 5 - 10121 Torino Centro, con il pagamento della quota annuale di 50 euro se ne può diventare soci, partecipando così alla sua attività diretta ad onorare l’Arma di Cavalleria. Il Museo rimane chiuso l’1 e il 6 Gennaio, la Domenica e il Lunedì di Pasqua, il 25 Aprile, l’1 Maggio, il 2 Giugno, il 15 Agosto, l’1 Novembre, l’8, 24, 26 e 31 Dicembre. ■
La Cavalleria francese, disturbata dapprima dal fuoco della Legione Truppe Leggere, esitava nell’avanzare, nonostante le sollecitazioni del Col. Murat, inviato appositamente da Napoleone per accelerarne
Carica del Bricchetto al grido “Savoia”.
il movimento, ponendosi nella situazione di essere violentemente caricata sul fianco dai Dragoni di Sua Maestà, il cui comandante seppe brillantemente cogliere il momento più opportuno. La carica, condotta con energia e decisione, portò al completo sbando della colonna francese che perse anche, ferito a morte, il comandante Generale Stengel. L’episodio, perché tale purtroppo fu nell’ambito dell’intera sfortunata campagna, prese nome dal Bricchetto, località nei cui pressi si svolse; la carica raggiunse comunque l’obiettivo prefissato; proteggere il grosso dell’Esercito in ritirata e salvaguardarne l’integrità.
Re Vittorio Amedeo III, ammirato dei numerosi episodi di coraggio ed abnegazione dimostrati dagli Ufficiali e dai Dragoni, premiò singolarmente numerosi di loro e decorò gli Stendardi di entrambi gli Squadroni che avevano caricato, di una Medaglia d’Oro, appositamente coniata, primo ed unico caso in Italia di un’unità premiata con due decorazioni per lo stesso episodio. Le due Medaglie d’Oro fregiano, tutt’ora, lo Stendardo del Reggimento Genova Cavalleria, erede delle tradizioni dei Dragoni di Sua Maestà. Questa, in estrema sintesi, la cronaca della battaglia del Bricchetto, i cui singoli eroici episodi sono troppi per poter essere tutti ricordati. ■
Colonnello M.se D’Oncieu de Chaffardon, Comandante il 21 aprile 1796 dei “Dragoni del Re” (oggi “Genova Cavalleria”), al Bricchetto.
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Giuseppe Baldoni
I MARTIRI DEL CONVENTO DELLA GANCIA RICORDIAMO GLI EROICI POPOLANI DEL CONVENTO DELLA “GANCIA”, I QUALI, GIUSTIZIATI PER LA LORO FEDE NELL’UNIONE CON LO STATO SABAUDO, SEGNARONO L’INIZIO DELLA INSURREZIONE SICILIANA, CHE COINVOLSE LA GIOVENTU’ ITALIANA E GARIBALDI on so quanti Italiani amino ora ricordare la vicenda dolorosa, i sacrifici sostenuti dai nostri connazionali per ottenere l’unità e l’indipendenza del nostro Paese: tuttavia penso che sia utile insegnare ai figli la storia della propria Nazione prima di quella di altri popoli, sia pure nell’ambito di conoscenza di tutte le realtà esistenti.
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Questa mia motivazione è determinata dal fatto che ho conosciuto giovani meglio informati delle vicende degli Indiani d’America, di quelle del proprio Paese. Ciò non può stupire se si considera il livello di cultura richiesto dalla scuola italiana, se si analizzano gli stravolgimenti compiuti da studiosi di parte e le faziose informazioni trasmesse dai mezzi di comunicazione. E non cito uomini politici contemporanei le cui cognizioni storiche sembrano arrivare fino al 1943, al momento più sfortunato della nostra Nazione, in cui si affrontarono spietatamente correnti avverse, con un odio istigato da ideologie e da violenze disumane. Un evento significativo, determinante, in parte oscurato dalla successiva, ampia memorialistica garibaldina, fu la rivoluzione siciliana dell’aprile 1860, ispiratrice dell’unione al Regno Sabaudo e dell’Impresa dei Mille. Non intendo di certo iniziare uno studio analitico, ma solo evocare avvenimenti che, ancora ora, non possono non commuoverci e suscitare ammirazione per la grandezza morale di coloro che ci hanno preceduto, così determinati nella loro idea di libertà, di indipendenza e di emancipazione, da affrontare il martirio con grande coraggio e dignità: esempi di fermezza che onorano un popolo e lo rendono solidale.
Sulle vicende siciliane, sul patto concorde dei cospiratori, ci ha dato notizie, tra gli altri, lo storico Nicola Nisco: “Il vero partito unitario nazionale con l’egemonia piemontese, tra il cinquantasette e il sessanta, era divenuto prevalente sulla setta mazziniana e sulle combriccole murattiane, per guisa che Giuseppe Mazzini indirizzava ai Siciliani il seguente proclama: Siciliani! a voi spetta esser primi: mostrate che non siete degeneri dai padri e dagli avi vostri. Caduto il governo dei Borboni, proclamate quello che già mezza Italia ha voluto, quello che solo può dirsi italiano, quello del re padre e galantuomo. Scri v ete dunque sul v ostro stendardo – annessione. Prima che repubblicano, io fui unitario: par v emi che la repubblica soltanto portasse all’unità. Vittorio Emanuele fece progredire l’Italia verso questa meta e l’addurrà ad essa ove i popoli gli prestino mano. Epperò io faccio sacrificio delle mie idee all’antico principio, e con voi Siciliani e con tutti gli altri popoli della penisola, che d’ora innanzi saranno un solo popolo, con voi grido: Vi v a Vittorio Emanuele Re d’Italia (1). Il primo segnale della rivoluzione siciliana, nel 1860, partì da Palermo,
dal convento della Gancia, ove frati e laici erano uniti dal giuramento di lottare per ottenere l’unione col Regno di Vittorio Emanuele. Vi era un piano insurrezionale già prestabilito: il convento “era ritenuto una base sicura per il deposito d’armi, di munizioni e per incontri di congiurati” (2). Per sventura tra i frati “annidavisi un traditore. Fra Michele che giurò con gli altri - di v incere o di morire - e riv elò la congiura, le riunioni che si tenevano nel convento della Gancia e i depositi d’armi e di munizioni che vi si nascondevano” (3). Informato della congiura, il direttore della polizia di Palermo, Salvatore Maniscalco, il 3 aprile effettuò un’ispezione nel convento della Gancia e vi “trovò i frati salmodianti”, ma “non con v into di quella religiosa quiete” (4) fece circondare il convento da ingenti forze di polizia e dall’esercito. “Durante la notte del 4 aprile”, secondo la descrizione di Nicola Nisco, “si v idero luccicare fiamme per le alture intorno e, all’albeggiare, partirono colpi dal convento al grido viva l’Italia e Vittorio Emanuele, e contemporaneamente suonarono le campane a stormo: volevasi in quel giorno, mar-
deva per tutti Giovanni Riso: “Nessuno conosce nè comitati nè signori che intervenivano, e dove fossero a noi noti, non vorremo riscattare la v ita con l’infamia” (8). I tredici prigionieri rimasero irremovibili “nonostante le seduzioni, le blandizie del proconsolo, che se ne andò non senza a v er prima ingiuriato i condannati, dicendo loro - la vostra Italia e re Vittorio Emanuele non v i impediranno di morire come cani” (9). Il figlio di Giovanni Riso, Antonio, ricoverato in ospedale per le ferite riportate durante l’assedio al convento, “non fu meno saldo del padre; mentre lottava fra acerbi spasmi con la morte” al direttore di polizia “che gli prometteva di liberare il padre (già giustiziato) se av esse riv elato i nomi di chi dirigeva la congiura”, rispondeva: “Non conosco capi e direttori; solo io agii e provocai compagni ad insorgere per la libertà, e mille volte, se riconquistassi la vita, farei ciò che feci, v i prego intanto di allontanar v i affinché io muoia tranquillo” (10).
tedì santo, fare una rinvoltura ad anniversario del famoso vespero, ma sfondate le porte e le barricate interne del chiosco, i soldati vi entrarono sparando archibugiate.
I corpi dei giustiziati, su carrette, furono portati per le vie di Palermo per terrorizzare il popolo; ma tale esibizione tetra suscitò indignazione ed ira.
Furono morti un frate e diciannove liberali e sette feriti, tra i quali il figlio di Francesco Riso (5), il più famoso e ardente congiuratore, e molti arrestati, di cui tredici, dopo nove giorni ebbero condanna a morte pronunciata al mattino, eseguita al vespero” (6).
Gli eroici popolani, catturati nel Convento della Gancia, che col loro sacrificio diedero inizio all’insurrezione siciliana nell’aprile del 1860, preludio e incentivo dell’impresa dei Mille, furono i seguenti: - Sebastiano Camorrone, da Palermo, di anni 30, droghiere; - Domenico Cucinotta, da Palermo, di anni 34, muratore; - Pietro Vassallo, da Palavicino, di anni 40, operaio; - Michele Fanaro, da Boccadifalco, di anni 22, stampatore; - Andrea Cuffaro, da Bagheria, di anni 40, operaio;
Durante l’assalto delle forze borboniche i congiurati si erano difesi e, parte di loro, “aprendosi un varco, si ritirarono e raggiunsero i contadini, i quali, avvertiti dal rumore del cannone, si erano mossi in soccorso della città” (7). I tredici congiurati condannati a morte erano popolani, artigiani e tutti affrontarono il loro destino con grande nobiltà e fortezza d’animo. Prima dell’esecuzione (13 aprile) entrò nel carcere il Maniscalco: “Udite - diceva ai tredici popolani stupefatti di quella visita - il consiglio di chi non cessò mai di amare la Sicilia, sua patria. Rivelate i capi del Comitato insurrezionale; vi prometto la vita salva e non scarso guiderdone in denaro”. Dopo breve consulto fra di loro, rispon-
- Giovanni Riso, da Palermo, di anni 58, portatore d’acqua; - Giuseppe Teresi, da Falsomele, di anni 24, facchino; - Francesco Ventimiglia, da Misilmeri, di anni 24, operaio; - Michelangelo Barone, da Mezzoious, di anni 30, carbonaio; - Liborio Vallone, da Alcamo, di anni 44, calafato; - Nicola Lorenzo, da Palermo, di anni 22, muratore; - Gaetano Calandra, da Palermo, di anni 34, calafato; - Cono Canceri, da Palermo, di anni 34, calafato (11). La rapida espansione del movimento insurrezionale Nello stesso giorno in cui “ v eni v a saccheggiato il con v ento della Gancia movevasi Bagheria, Misilmeci, Carini, Partinico. E come l’annuncio del movimento di Palermo si sparse, i più accesi si commossero a Barcellona, a Cefalù, a Girgenti, a Marsala, ove il Damiani e il D’Andrea chiamarono il popolo alla redenzione. Nessuna città volle essere seconda a Palermo” (12). Nonostante le minacce del Salzano, il popolo, scriveva il mazziniano La Cecilia, assembravasi …, prorompeva in altissimi “evviva all’Italia e a Vittorio Emanuele, che suo re proclamava” (13). Numerosi cospiratori si erano insediati nella città di Carini e furono assaliti da ingenti truppe borboniche: essi opposero una forte resistenza subendo la perdita di 250 uomini e infliggendo perdite notevolmente maggiori ai soldati regolari … I liberali superstiti usciti dalla città bombardata e saccheggiata, si ritirarono in territori più idonei alla difesa, ove mancavano strade, per rendere più
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difficili gli assalti delle truppe borboniche. Gli insorti furono incoraggiati dall’intrepido Rosolino Pilo, il quale “incaricato da Mazzini di dirigere, come suo rappresentante il moto siciliano, essendo giunto a Messina quando l’insurrezione era stata soffocata, si era unito ai cospiratori di Carini” (14). Successivamente Francesco Crispi percorse tutta l’isola, organizzando “comitati, promettendo appoggi di una spedizione di crociati della libertà, affermando di aver avuto con Nino Bixio la promessa di coinvolgimento di Garibaldi”. In pari tempo la Società Nazionale pubblicava un proclama che chiamava “le genti italiche a correre in aiuto di quella siciliana, che prima aveva fatto guerra … contro lo straniero, ed apri v a una sottoscrizione” (15). Non era retorica il richiamo alla sommossa dei Vespri, era il simbolo del coraggio e della coesione di un popolo, per riaffermare la volontà, risoluta fino al supplizio, di un popolo intero che affrontava la morte con coraggio e grande dignità, per ottenere l’indipendenza e l’unione al Regno di Vittorio Emanuele, l’unità nazionale (16). Dal sacrificio dei patrioti del convento della Gancia, che diede inizio e slancio al moto insurrezionale siciliano e suscitò grande commozione nella penisola, ebbe quindi origine quella partecipazione solidale che motivò l’impresa dei Mille e rese ardita e vincente l’azione politica e diplomatica del Governo di Torino. Coerenza e fedeltà del popolo delle Due Sicilie In una sua annotazione sull’insurrezione siciliana, lo storico napoletano Nicola Nisco, dichiarava “ricorderò soltanto quel proclama siculo del 15 aprile che diceva - il sangue dei fucilati grida vendetta. Preparatevi a combattere tutti. Noi non avremo pace che quando la Sicilia sarà unita alla nostra patria comune Italia” (17). “Poiché questo proclama - aggiungeva lo storico al grido di guerra Italia e Vittorio Emanuele, innalzava a segnacolo di redenzione la bandiera costituzionale sabauda, esso pro v a che le due Sicilie non furono in seno del-
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l’unità tratte dal Garibaldi, ma la v ollero e l’imposero a Garibaldi stesso ed ai suoi, quando, per un momento di travisamento eroico, non si v ole v a accettare il plebiscito che uni v a il Mezzogiorno all’Italia di mezzo e alla superiore”. (18). Lo storico napoletano, dopo aver evidenziato che il moto siciliano diede inizio all’impresa ed all’epopea garibaldina, rammentava che Siciliani e Napoletani costrinsero Garibaldi ad accettare l’annessione allo Stato sabaudo, che il Generale voleva rinviare a dopo l’occupazione di Roma, mentre i suoi consiglieri, tra i quali il Mazzini, invaghiti del potere dittatoriale, volevano differire il plebiscito definitivamente, affidando ad un’Assemblea Costituente il compito di definire il futuro assetto della penisola (19). La puntualizzazione del Nisco, è relativa ad un evento determinante e significativo, che la storiografia italiana ha volutamente taciuto. Il popolo di Napoli, unanimemente concorde nel richiedere il plebiscito per realizzare l’annessione, manifestando e tumultuando con grida contro Mazzini e Cattaneo (20), convinse Garibaldi, patriota e democratico, ad accettare, contro la volontà dei suoi consiglieri, la volontà del popolo, e con la sua lealtà al principio istituzionale, pose fine alla crisi politica e ai contrasti tra il Governo di Torino e la dittatura del Meridione.
NOTE: (1) Il testo del “manifesto” è riportato da Nicola Nisco nella sua “Storia del Reame di Napoli 1821 al 1860”, libro III, pp. 21-22 (2) Idem, op. cit., pp. 23-24. (3) La Cecilia: “Storia degli ultimi riv olgimenti siciliani”, vol. I, cap. II, pag. 31. (4) N. Nisco, op. cit., pp. 22-23. (5) Ibidem: vedi anche La Cecilia, op. cit., pag. 119. (6) N. Nisco, op. cit. pag. 24 (Salvatore Maniscalco, già segretario del marchese del Carretto, era direttore della polizia a Palermo). (7) La Cecilia, op. cit., vol. I, cap. II.
(8) Idem, op. cit., pag. 51. (9) Idem, op. cit., pag. 52. (10) Ibidem. (11) I nominativi dei tredici patrioti giustiziati, sono tratti dall’opera del La Cecilia: “Storia degli ultimi rivolgimenti siciliani dalla caduta dei Borboni e delle gloriose gesta di Giuseppe Garibaldi”, vol. I, cap. II, pag. 49. (12) N. Nisco, op. cit., pag. 24. (13) Giovanni Salzano era il comandante militare della Piazza di Palermo. Del Maniscalco e del Salzano, dei “due scellerati” scrisse “una ristretta biografia” il La Cecilia, “Onde meglio apprezzare dalle loro origini, le nefandezze che operarono a Palermo e nella Sicilia”. Op. cit., vol. I, cap. II, pp. 20-26. La persecuzione del direttore di polizia procedeva alla cieca perché non riuscì a scoprire i capi della congiura. Il Nisco precisava (op. cit.: “Due Comitati concordemente ordinavano che al grido di Italia cominciassero le dimostrazioni, subito fortemente represse … In casa Monteleone, la sera del 7 aprile furono arrestati il principe Antonio, il barone Riso, il principe Miscemi, il principe Girerdinelli, il ca v aliere Sangiovanni e il sacerdote Ottaviano Lanza e mandati a pompa poliziesca dalla piazza a piedi, fra gendarmi, al Castello di Castellamare” (Nisco, op. cit., pag. 24). (14) La Cecilia, op. cit. vol. I, cap. II. (15) Nisco, op. cit., pag. 23. (16) La Cecilia “Storia degli ultimi riv olgimenti siciliani …”, vol. I, cap. II, pag. 55: “I palermitani … a folla corre v ano per le strade gridando: Viva l’Italia e il nostro Re Vittorio Emanuele II, sfidando, a questo modo, Siniscalco ed i suoi birri”. (17) N. Nisco: “Storia del Reame di Napoli”, p. 25. (18) Ibidem (19) Federico Donaver: “La spedizione dei Mille”, pag. 182: “Garibaldi, in quei giorni di settembre (1860), a v e v a intorno come due ministeri. L’uno ufficiale, presieduto da Raffaele Conforti e composto quasi esclusivamente di de v oti a Ca v our, i quali volevano spingerlo alla immediata annessione delle terre liberate: l’altro ufficiale, con Bertani, il Cattaneo, Il Mario, che si opponevano a tutta forza alla precipitata annessione, dicendo che questa si doveva farla dal Campidoglio. Il Mazzini era
giunto a Napoli e si era incontrato amiche v olmente con Garibaldi. Egli e gli amici suoi volevano che non si compromettesse l’avvenire, che Garibaldi tenesse in sua mano le redini della riv oluzione, che un’Assemblea provvisoria gov ernasse le prov ince meridionali e che integrata l’unità con Roma e Venezia, fosse convocata la Costituente italiana alla quale sarebbe spettata l’ultima parola sul Go v erno da darsi alla Nazione”. Anche la mancata annessione della Sicilia, come poi a Napoli, provocò un forte contrasto, non solo col Governo palermitano e col Depretis, che voleva convocare i comizi per far proclamare l’annessione e riportare l’ordine nell’isola, ma avendolo Garibaldi riprovato si dimise da prodittatore dell’isola. (20) Vedi Giuseppe Garibaldi, “Appendice alle mie memorie”, edit. Bertani, 1972. All’accusa espressa in articolo del giornale mazziniano “Nuova Genova”, di aver abbandonato l’impresa su Roma quando permise al Pallavicino di invitare Mazzini a partire per Napoli, Garibaldi rispondeva: “Io non pretendo d’essere forte come il grandissimo (Mazzini, n.d.r.) ed i suoi luogotenenti; ciocchè ricordo però si è, ch’io difesi Mazzini dal popolo di Napoli”. Vedi anche Nicola Nisco, op. cit. cap. IV. ■
NON RIESCONO A STARE ZITTI L’ex ministro Claudio Scajola, quello che non sapeva che l’acquistato alloggio di Roma con vista sul Colosseo, gli era stato in parte pagato da terzi, commentando la dichiarazione del ministro dell’Interno Angelino Alfano sul caso del dissidente kazako Mukhatar Ablyazov (espulsione dall’Italia della moglie Alma Shalabayeva e della figlia Alua di 6 anni) ha dichiarato “Non pote v a non sapere”. Il Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, in relazione all’incendio del Liceo romano Socrate, prima che risultasse opera di studenti bocciati, privi di altre implicazioni, ha dichiarato “Colpendo il Liceo Socrate si attacca un simbolo che si è distinto per iniziati v e contro l’omofobia, v incendo il concorso Niso per combattere le discriminazioni”. ■
I CORPI MILITARI BREVE EXCURSUS DAGLI STATI SARDI AI PRIMI ESERCITI NAZIONALI llustrazioni, storia, corpus giuridico, annuari: dalle collezioni della Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte allestiamo una piccola antologia dei Corpi militari prima piemontesi e poi nazionali.
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Si parte con il reperto più antico, il Codice della Guardia Nazionale contenente il testo delle leggi 4 marzo e 27 febbraio 1859 con commenti … ed i relativi decreti e regolamenti, a cura dell’Avvocato Edoardo Bellono, edito a Torino dalla Tipografia Nazionale di G. Biancardi nel 1860. La Guardia Nazionale, istituita da Carlo Alberto con il Regio Editto del 4 marzo 1848, deriva dal corpo armato, formato da semplici cittadini, che durante la Rivoluzione francese era incaricato di mantenere l’ordine pubblico e la difesa della libertà. Nello Statuto Albertino le viene attribuito il compito di “difendere la Monarchia e i diritti che lo Statuto ha consacrati, per mantenere l’obbedienza alle leggi; conservare o ristabilire l’ordine e la tranquillità pubblica, secondare all’uopo l’esercito nella difesa delle nostre frontiere e coste marittime”. Ogni comune era tenuto a formare una o più compagnie di militi in proporzione al numero di abitanti; ogni compagnia poteva contare da un minimo di sessanta a un massimo di centocinquanta uomini, di età fra i 21 e i 55 anni, in regola con il pagamento di un censo. Questo corpo costituisce il precedente storico della Guardia Nazionale Italiana, la forza armata sorta nel 1861 dopo l’Unità d’Italia, utilizzata per reprimere il brigantaggio e la resistenza degli ultimi nostalgici del Regno delle Due Sicilie, e sciolta definitivamente nel 1876. Ne Il Piemonte guerriero, volume edito a Torino da Marietti nel 1975, con testi di Paolo Fiora, troviamo illustrate doviziosamnte le uniformi
dello Stato Sardo nel 1838, riprodotte a colori da ventuno acquerelli inediti di Francesco Gonin, pioniere della litografia in Italia e illustratore dei Promessi Sposi nell’edizione manzoniana del 1840/42. In esposizione anche il numero doppio straordinario del 13 giugno 1886 dedicato dalla rivista L’Illustrazione Italiana ai Bersaglieri, per il 50° anniversario dell’istituzione del celebre corpo, corredato da un testo di rievocazione storica del giornalista Ugo Pesci e disegni di Ximenes, De Albertis, Panerai. Interessanti illustrazioni di uniformi si trovano anche nell’Annuario della Regia Accademia e Scuola di Applicazione dell’Artiglieria e Genio, riferito all’anno scolastico 1928-29, dal quale apprendiamo che l’istituzione fu creata nel XVII secolo dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia. Tra le materie di insegnamento, oltre la chimica, geografia e lingue estere, si segnalano quelle specifiche: arte militare, armi portatili, lavori del campo di battaglia (!), balistica, costruzioni d’artiglieria e del genio e trasmissioni ottiche-telegrafiche e radiotelegrafiche. Infine la storia del Quarto Reggimento Alpini è narrata da Manlio Barilli in un volume pubblicato a Torino nel 1959. Il Reggimento, composto da quarantasei battaglioni e che rappresenta anche il primo, il secondo ed il terzo, nacque il 1° novembre 1882, partecipò alla campagna d’Eritrea, affrontò la prima guerra mondiale e ne uscì con più di 4.700 caduti e oltre 20.000 feriti su 31.000 mobilitati mentre nella seconda guerra mondiale sarà inquadrato nella Divisione alpina “Taurinense”. (Dal testo distribuito dalla Provincia di Torino a corredo della piccola Mostra con reperti della Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, allestita in Via Maria Vittoria 12 in Torino, dedicata ai Corpi Militari prima sardo-piemontesi e poi italiani). ■
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Maurizio Caterino
mento dei Regni dei Crociati e dall’altra la complessa diatriba tra il papato e l’impero, fra il potere temporale e quello spirituale.
IL FAVOLOSO REGNO DEL PRETE GIANNI el saggio “La Regalità. Miti. Simboli, Riti” (Ed. Arktos, 1998), si accenna ad una misteriosa quanto affascinante figura di Re-Sacerdote: il Prete Gianni. In numerosi scritti medioevali si narra di un incantevole regno cristiano che sarebbe esistito in una remota stagione dell’Oriente, al di là dei territori dominati dall’Islam. Nel XII secolo correva voce in Europa che un monarca cristiano che regnava in Asia avrebbe soccorso i Crociati in difficoltà. Questo Re aveva il titolo (o il nome) di Prete Gianni e si diceva fosse discendente dei Re Magi.
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Correva l’anno 1165, quando a Papa Alessandro III, a Federico Barbarossa, e all’Imperatore bizantino Manuele I Commeno fu recapitato uno strano e stupefacente messaggio, dal tono vanaglorioso e roboante, proveniente da un enigmatico personaggio che asseriva di essere il Prete Gianni.
ogni razza. “Se tu sei in grado di contare le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare, allora sarai in grado anche di valutare la grandezza del nostro regno e del nostro potere” così concludeva la sua lettera il Prete Gianni.
Prete Gianni sul trono, in una mappa dell’Africa orientale tratta da un atlante del 1558. sembravano attinti dalla letteratura fantastica e dal folklore medioevale, tra cui “Le mille e una notte”. A difesa di questo regno irreale infatti si favoleggiava che esistessero mostri terribili tra cui formiche grandi come cani che divoravano i malcapitati visitatori, ferocissimi cannibali, uomini dotati di corna che grugnivano invece di parlare, e poi
Papa Alessandro III Nella lettera, custodita presso il British Museum di Londra, l’ineffabile ReSacerdote omaggiava il Sommo Pontefice e descriveva nei minimi dettagli le strabilianti meraviglie dei suoi sconfinati territori che si estendevano dalle Indie a Babilonia. Il testo della missiva (come del resto le dicerie diffuse intorno a questa terra favolosa) era una profluvie di elementi che
draghi volanti condotti da intrepidi cavalieri in armatura. Secondo la leggenda il reame di Prete Gianni era talmente smisurato e potente che ben settantadue sovrani gli rendevano devotamente omaggio. Il suo esercito era formidabile, le sue ricchezze sterminate tanto che si narra di come
la sua tavola, costruita con enormi smeraldi e sorretta da colonne di ametista, fosse ogni giorno imbandita per ospitare altre trentamila commensali. Assiso ieraticamente sul suo trono di zaffiri, e con uno scettro di smeraldi, il Prete Gianni aveva alla sua destra dodici arcivescovi e alla sua sinistra venti vescovi. Gli abiti che indossava erano realizzati con pelle di salamandra e per pulirli era sufficiente buttarli tra le fiamme. Inoltre il Prete Gianni possedeva uno specchio magico che gli permetteva di poter discernere le persone pure di cuore dagli empi. Il suo Regno, dulcis in fundo, era arricchito da una sorgente magica nota come la fonte della giovinezza. Le acque della fonte erano in grado di ridare vitalità, energia e gioventù a chiunque vi si fosse immerso e Prete Gianni stesso, grazie a quell’acqua prodigiosa, sarebbe vissuto per ben cinquecentosessantadue anni! Il Regno di Prete Gianni si trovava agli estremi confini del mondo, poco distante dal Paradiso Terrestre, era attraversato da un fiume, il Pison, il cui alveo era cosparso di ogni sorta di pietre preziose. Il meraviglioso Reame era un dominio felice, senza fame, senza guerre, senza malattie, popolato da donne bellissime e da uomini giusti e sinceri di
Nel 1245 Papa Innocenzo IV inviò alla ricerca del Prete Gianni un’ambasceria costituita da Francescani e Domenicani. In precedenza anche Papa Alessandro III nel 1177, tramite il medico e viaggiatore Filippo, gli aveva inoltrato un messaggio, in cui si rivolgeva appellandolo Indorum Rex Sacerditum Santissimus e in cui sollecitava il Re-Sacerdote a stabilire una propria sede a Roma, ma purtroppo la spedizione si perse tra le sabbie desertiche dell’attuale Iraq. Assai verosimilmente la leggenda del Prete Gian-
Sul principio del XII secolo, i khitan, una etnia mongola, dopo aver spadroneggiato in Cina, furono sconfitti, allontanati e costretti al nomadismo. Animati da un impeto sorprendente ed inarrestabile, attraversarono l’Asia centrale per andare a costruire un nuovo impero in quello che ora è chiamato Turkestan cinese. In questa regione sbaragliarono l’esercito dei turchi qarakhanidi e ne asservirono la popolazione, poi imbaldanziti, avanzarono in Persia conquistando nel 1137 anche Samarcanda. Perfino il Sovrano dei Grandi Selgiuchidi che, preoccupato, volle affrontare questo popolo bellicoso venne sonoramente sconfitto. La notizia di questa disfatta ebbe molta risonanza e presto il panico si insinuò nel mondo musulmano, gli aggressori che erano di religione buddista stavano minando la stabilità dei domini islamici. Nel frat-
tò che i maomettani erano attaccati alle spalle da un popolo ignoto proveniente dall’Oriente. Tale popolo, secondo l’opinione dell’epoca non poteva essere che cristiano, dal momento che non si credeva potessero esistere altre fedi religiose oltre alle due conosciute. L’intento di Ugo di Gabula era di incitare i Principi cristiani a scagliare un’offensiva contro i musulmani. In questo fu presto sostenuto da Federico Barbarossa che aveva tutto l’interesse a contrastare il papato con il quale rimaneva aperta l’irrisolta questione della divisione dei poteri. L’esistenza di un regno cristiano tanto potente in oriente lasciava infatti presupporre che, come era costume tra i Principi turcomongoli di quelle terre lontane, il Sovrano riunisse ed assommasse nella sua persona l’universalità dei poteri. L’Imperatore sperava così di giustificare le sue pretese politiche nei confronti del Papa motivandole con l’esempio del regno di Prete Gianni. Per queste ragioni si ritiene che sia stato lo stesso Barbarossa o comunque un suo incaricato, ad elaborare (o a rielaborare) la famosa lettera del 1165, realizzando una sintesi tra quanto esposto da Ugo di Gabula, e vari elementi tratti dalla letteratura antica e medioevale. Lo scritto tradotto in tutte le lingue, venne divulgato dai pupiti delle chiese e discusso in tutta Europa, durante quella che potrebbe essere anche interpretata come una colossale operazione di propaganda.
Papa Innocenzo IV ni ha le sue premesse in lontani e complessi avvenimenti occorsi in Asia e pervenuti trasformati dapprima in Terrasanta e poi nel cuore dell’Europa. Secondo alcuni storici questa inusitata vicenda trae la sua origine dal convergere di due fatti concomitanti, ma tra loro indipendenti: da una parte la rapida espansione militare dell’Islam in Asia Minore, che provocò l’ineluttabile arretra-
tempo i cristiani cercavano invano di contenere l’avanzata dei musulmani verso occidente, ma, purtroppo, nel 1144 persino l’importante città di Edessa veniva costretta alla capitolazione e cadeva nelle mani dei seguaci di Maometto. In quell’occasione fu inviata in Europa per chiedere soccorso un’ambasceria capeggiata dal vescovo Ugo di Gabula. Questi raccon-
Tanto bastò perché la voce si spargesse ovunque e la leggenda via via sempre più arricchita di particolari bizzarri, mirabolanti e iperbolici, si rafforzasse nel tempo fino a raggiungere i luoghi più sperduti. Successivamente giunse notizia delle imprese di Gengis Khan che in un primo momento fu identificato con il Prete Gianni. Quando si accorsero dell’errore, stranamente il mito non fu sfatato, anzi, s’ingigantì. Il desiderio popolare di mantenerlo vivo era così tenace che gli esploratori e i cronisti dell’epoca, non
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Il Prete Gianni trova posto anche nel mito celtico del Graal, di cui sarebbe stato custode. Secondo una tradizione, fu per recuperare il santo Calice che Enrico il Navigatore, nel XV secolo, si spinse ad esplorare l’Africa alla ricerca dell’epico guardiano perché si credeva che il Regno del Prete Gianni si trovasse in quel continente.
Gengis Khan osavano contraddire questa suggestiva convinzione, forse perché ormai troppo a lungo radicata nell’immaginario collettivo, in cui l’esistenza di un monarca amico tanto ricco e potente rappresentava pur sempre una speranza per la Cristianità minacciata dall’Islam e pervasa da paure ataviche. Tuttavia qualche dubbio cominciava ad essere insinuato, come infatti asseriva Orobico da Pordenone: “Non c’è di vero nemmeno la centesima parte di quanto è stato detto”. Invece Marco Polo, più intento a difendere le vecchie tradizioni, dette grande sostegno alla leggenda citando numerose volte nel Milione il Prete Gianni e il suo regno ed arrivando addirittura ad affibbiagli diverse identità. E il mito sarà così difficile da scalfire che anche quando fu chiaro e lampante che in Asia non era mai esistito il mitico personaggio, la collocazione del suo regno venne spostata dapprima nelle Indie, poi, nel XIV secolo, in Africa. In questo conti-
nente, più precisamente in Etiopia, sarà addirittura il Negus ad impersonare il leggendario Re-Sacerdote. Il cronista Giordano Catalani de Sèverac definì infatti l’Imperatore d’Etiopia come il più potente uomo del mondo e il più ricco d’oro, d’argento e di pietre preziose. Secondo una teoria recente il nome Gianni potrebbe essere la latinizzazione di Gian, proprio il titolo imperiale etiopico, mentre il titolo di Prete spettava al Negus in quanto aveva anche la dignità di Diacono della Chiesa Copta (monofisita), similmente ai Re cristiani della Nubia che celebravano la Messa. In ogni caso anche a voler ammettere una simile soluzione dell’enigma, si dovrebbe comunque sempre ipotizzare che ci sia stato un abile manipolatore, che abbia alterato e rimaneggiato ad arte il messaggio del Negus, con finalità forse politicomoralistiche allo scopo di promuovere l’ideale di un Re cristiano, umile, giusto e pacifico.
Marco Polo
Tra le tante altre innumerevoli congetture avanzate sull’identità del Prete Gianni, sembra molto persuasiva anche l’ipotesi che individua il Prete Gianni in un capo religioso e politico manicheo. Pare infatti che sia esistito nel medioevo un vasto regno manicheo nelle regioni occidentali della Mongolia interna: si trattava del Regno dell’Orkhon, un regno uiguro fondato nel 762 d.C. e divenuto manicheo, in seguito alla conversione del sovrano, nel 763 d.C. È presumibile che il Re uiguro, subito dopo la conversione, abbia assunto la guida dei manichei ricoprendo la carica politica e spirituale di “Prete Gianni”. Intorno alla metà del IX secolo d.C., il grande regno uiguro fu debellato e al suo posto sorsero tanti piccoli principati in cui tuttavia il manicheismo continuò ancora per lungo tempo ad essere la fede religiosa predominante. È plausibile che uno di questi Principi si sia assegnato il titolo di Prete Gianni, guida religiosa e politica dei manichei, e poi lo abbia tramandato per via ereditaria. In seguito forse un discendente, che aveva assunto la carica di “Prete Gianni”, intorno al 1165 d.C. costretto da gravi problemi di carattere politicomilitare, scrisse, per chiedere aiuto, la famosa lettera, che nel suo lungo e tortuoso cammino subì complessi cambiamenti, prima di giungere ai potenti destinatari. Appare invece meno probabile l’ipotesi che fa derivare il nome Gianni dalla traduzione del cinese wang, ovvero Re, passato nel turco con la forma ong, appellativo di un certo Toghrul, detto Ong-Khan (in cinese Wang-Khan), potente capo di una tribù di nomadi turchi cristiani nestoriani degli Altipiani dell’Asia centrale. ■
Padre Benedito A. Jahnel
BRASILE IL COLPO DI STATO DEL 1889 on c’è dubbio che una delle pagine più dolorose e vergognose della storia nazionale si ebbe in quel 17 novembre 1889.
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Nascendo dalle menzogne intenzionalmente sparse, un piccolo manipolo di militari, positivisti e massoni scatenarono il colpo di Stato del 15 novembre 1889. Il vecchio Imperatore Don Pedro II e l’Imperatrice Donna Teresa Cristina si trovavano in Petropolis quando furono informati della ribellione. Un treno fu reso disponibile rapidamente per condurre le LL.MM. fino a Rio de Janeiro. Don Pedro notò l’assenza dei battitori nel tragitto dalla stazione ferroviaria al Palazzo Imperiale, ma prevedeva che con il suo arrivo le cose si sistemassero. In fin dei conti erano quasi 50 anni di tanto proficuo e felice regno, facendo del Brasile una Nazione rispettata e ammirata, non solo all’interno ma anche dai popoli più civili dell’epoca: Heitor Moniz nel “Secondo Regno” ci racconta che: “un giorno, in Francia uscendo dalla casa di Victor Hugo, sentì su Don Pedro queste parole del grande romanziere politico ‘Purtroppo non abbiamo in Europa un monarca come Vostra Maestà …’. L’Imperatore si v olta e domanda con quella sua vivacità abituale: Perché?”. E Victor Hugo tranquillamente con il sorriso che gli spuntava sulle labbra: “perché se ci fosse non esisterebbe un solo repubblicano …”. Differente dal temperamento del suo genitore l’Imperatore Pedro I, durante tanto lungo e benefico regno. Pedro II era il simbolo dell’onestà, dell’onore, del democratico, un uomo probo, il re filosofo! È bensì vero che si trovava provato e anziano, senza avere un’età tanto avanzata dato che le preoccupazioni, il lavoro, le fatiche, in quel mezzo secolo di governo gli avevano rubato la salute. Trovava un poco di pace e tranquillità nei viaggi a Petropolis. Ancora Heitor Moniz si riferisce alla figura dell’eccellente Imperatore “con il
Imperatore Pedro I suo grande spirito di giustizia, la sua profonda onestà, e il cuore magnanimo che batteva nel suo petto fu un re completo”. Con la guerra del Paraguay, molto lunga, i militari si immischiarono nella sfera civile, con idee positiviste e massoniche. La repubblica già nascerebbe contaminata di menzogne, di intrallazzi e presto inizierebbe l’asta delle cariche pubbliche, la corruzione che si installerebbe endemicamente per ogni dove. Oggi la corruzione è quasi un’istituzione … Quella sentinella sempre vigile, che seguiva tutto, che controllava, orientava e agiva con il potere moderatore, cessò di esistere così come il famoso “libro nero”, quadernetto di annotazioni, che Pedro portava con sé e dove prendeva nota di tutto quello che necessitava di riparazione, di punizione di elogio, insomma, di essere osservato; per quello era tanto temuto quel quaderno di annotazioni. La sua fama all’estero era tanto grande e buona, che Magalhaes de Azevedo ci racconta che si stancò di udire questa domanda: “Ma perchè detronizzarono il vecchio Imperatore D. Pedro II, tanto buono e tanto saggio?” . E una volta ascoltò “Se noi lo avessimo qui e lui volesse lasciarci lo prenderemmo prigioniero perché non potesse andare via”. La mediocrità invaderà presto tutto, essendo le cariche occupate sovente da elementi di pessima natura, indoli bassissime, formazione precaria, insomma da una gentucola di una stupidità irritante. Gli effetti non tardarono ad apparire, il popolo non sapeva cosa era l’inflazione, perché si
aveva deflazione nel saggio governo del vecchio Imperatore, le imposte andarono moltiplicandosi, tanto che oggi abbiamo già perso il conto di quante sono. Le crisi andarono succedendosi l’una all’altra e il popolo passò a vivere di soprassalti. La democrazia fu colpita in quello che aveva di più sacro, ossia la libertà d’espressione, la continuità, la pace, la stabilità. I colpi di Stato uno dopo l’altro, abbandoni, “inpeachment”, il governo diventò instabile. La disparità tra le classi sociali tornò vergognosa, pornografica; pochi con molto, molti con quasi nulla! La cultura e l’insegnamento si deteriorarono al punto che oggi esistono universitari “semianalfabeti”, la scuola finge di insegnare, l’alunno di imparare; l’insegnamento: una vernice che non resiste a nulla dato che neppure la lingua patria si sa più … Ma torniamo alla pagina triste della partenza del vecchio Imperatore. Nel silenzio della notte come
Imperatore Pedro II un “negro in fuga”, partì il piccolo corteo e il popolo “a tutto assistì a bocca aperta”, la storia racconta. L’Imperatore e la Principessa Isabel coperta di veli, l’Imperatore barcollando, si dirigono all’esilio. La misura del rapido imbarco, s’impose perché i repubblicani sapevano bene che alla luce del giorno il clamore popolare sarebbe stato inevitabile. Don Pedro II era rispettato da tutti e il suo aspetto ora fragile, malato e vecchio ispirava venerazione. La Principessa Isabel diventò per la popolazione negra, quasi una santa che aveva riscattato una razza dalla cattività, anche se per quello aveva perduto il trono e la corona. ^^^ Articolo pubblicato sul mensile di antiquariato “A Reliquia” a seguito di asta di oggetti appartenuti alla Famiglia Imperiale brasiliana, tradotto in italiano dal Prof. Sergio Bosca. ■
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Pagina a cura di Franco Ceccarelli SVEZIA Il 6 gennaio ricorre la Festa Nazionale del Regno di Svezia ma, per ovvii motivi di carattere “climatico”, quel “freddo” Paese festeggia il 6 di giugno, al principio della limpida estate nordica.
Come di consueto, in quel giorno il Palazzo Reale è stato aperto al pubblico e lo stesso è avvenuto per la residenza dei Principi ereditari, che hanno accolto tanti cittadini nel castello Logården. La “Giornata Nazionale” è stata scelta dalla Casa
sesta visita che compiva in Spagna, continuava a rimanere stupito dall’immenso “patrimonio storico, la diversità culturale e, soprattutto, la gioia e la tenerezza del popolo” del Paese iberico. Il secondo giorno della visita Naruhito è stato ricevuto al Palazzo della Zarzuela, residenza privata del Re, dai Sovrani di Spagna, Juan Carlos I e Sofia. Prima di partire da Madrid, il Principe giapponese ha anche incontrato il Presidente del Consiglio spagnolo, Mariano Rajoy ed ha partecipato ad una cena di Stato nel palazzo Reale, offerta dal Principe Filippo di Spagna. ■
EGITTO In tale occasione il Sovrano Carlo Gustavo XVI, accompagnato dalla Consorte, Regina Silvia, dai Principi ereditari Vittoria e Daniel, dalla Principessa Estelle, dal Principe Carlo Filippo e dalla Principessa Maddalena, ha presieduto le cerimonie di celebrazioni dell’evento, assai sentito nel Regno, dove fortissimo è il sentimento nazionale e radicato l’attaccamento alla Corona che lo rappresenta. Sia la Regina che le Principesse reali, vestivano gli abiti della tradizione svedese.
GIAPPONE Il Principe Imperiale Naruhito del Giappone ha effettuato un viaggio ufficiale nel Regno di Spagna per celebrare il 400° anniversario delle relazioni tra i due Paesi. Accolto al Palazzo El Pardo dal Principe Ereditario di Spagna, Filippo, l’ospite ha ricevuto gli onori militari. È al Pardo che il Principe Naruhito, ha alloggiato durante la sua visita di 6 giorni durante i quali ha visitato, oltre a Madrid, Salamanca, Santia-
Reale per pubblicare una nuova foto ufficiale di SAR la Principessa Estelle di Svezia, Duchessa di Östergötland, figlia della Principessa ereditaria Vittoria e del Principe Daniele di Svezia, Duchessa e Duca di Västergötland. La data del 6 giugno ricorda che quel giorno, nel 1523, Gustav Vasa divenne il primo Re svedese; dopo aver liberato la Svezia dall’unione con la Danimarca; sempre il 6 giugno, ma nel 1809, venne firmata anche la prima costituzione del Regno di Svezia. ■
go de Compostela, Coria e Siviglia. Durante il primo giorno, all’apertura del Comitato bilaterale per la Cooperazione Spagna-Giappone, si è parlato dell’attuale crisi economica e delle opportunità di sviluppare i rapporti bilaterali tra imprese giapponesi e spagnole. Il Principe delle Asturie ha elogiato le misure di stimolo adottate dal Giappone per rilanciare l’economia, mentre l’Erede della più antica monarchia del mondo ha ricordato che, pur essendo quella la
Re Fuad II d’Egitto, ha annunciato il fidanzamento del figlio maggiore, Mohammed Ali, Principe di Said, con la Principessa Noal Zaher, figlia del Principe Daud
Pashtunyar Zaher e della Principessa Fatima Zaher Aref. La sposa appartiene ad un ramo cadetto della Famiglia Reale Afgana, essendo il padre della sposa il settimo figlio del Re Mohammed Zahir Shah dell’Afghanistan, il Sovrano detronizzato nel 1973 durante un periodo in cui era assente dal proprio Paese, e che per decenni, da Roma, dove risiedeva in esilio, incarnò la resistenza afgana contro il regime repubblicano, contro la conseguente invasione sovietica e contro il regime islamista, rovesciato grazie al sostegno dato dalle potenze occidentali alla resistenza moderata sempre attiva in Afghanistan. Dopo la salita al potere dell’attuale Presidente, Karzai, Re Fuad II poté tornare a Kabul, dove però gli venne negato il diritto al Trono dei suoi Avi, nonostante fosse stato detronizzato con la forza e senza che mai un referendum abbia approvato tale atto, una volta ripristinata una
parvenza di sistema democratico. Il fidanzamento della nuova coppia è stato annunciato da Istanbul. La Principessa Noal Zaher è nata a Roma, durante l’esilio della propria Famiglia, ed ha studiato all’Istituto San Domenico della Capitale italiana. Successivamente ha conseguito una laurea in “European Business”, a Londra. Il Principe di Said, invece, è nato al Cairo il 5 Febbraio 1979 - per espressa volontà del defunto Presidente Sadat - che volle che il Principe della Corona di Egitto nascesse in terra egiziana. Alla cerimonia di fidanzamento erano presenti la madre della Principessa Noal e suo fratello, il Principe Doran Daud. Accompagnavano Re Fuad, il Principe Fakhr Eddin e la Principessa Fawzia Latifa, fratello e sorella dello sposo. ■
SERBIA Anche i resti mortali di S.M. il Re Pietro II di Jugoslavia (1923/1970) hanno potuto rientrare in Patria, a quasi 43 anni dal decesso. Si conclude così il rientro dell’ultimo dei membri della Casa Reale Jugoslava che, a causa delle vicende storico-politiche del Paese balcanico, erano stati costretti all’esilio sia in vita che dopo la morte. Ricordiamo infatti che, come abbiamo riportato in articolo a pag. 7 del numero di gennaio, alla fine dello scorso anno le salme del Reggente Paolo e della consorte Principessa Olga, avevano potuto venir traslate in Serbia. La salma di Re Pietro è giunta a Belgrado dagli Stati Uniti, Paese in cui era deceduto nel 1970 dopo un non riuscito trapianto di fegato. Sino a ieri i suoi resti mortali avevano trovato sepoltura nel Monastero ortodosso di S. Sava, a Libertyville, in Illinois.
Re Pietro II di Jugoslavia
Ad accoglierlo il Capo della Casa Reale di Serbia, pretendente al Trono di Belgrado, Principe Alessandro, figlio del Sovrano, accompagnato dalla consorte Principessa Caterina, con due dei loro figli, i Principi Reali Pietro e Filippo. Da evidenziare la presenza del Primo Ministro serbo, Ivica Dacic e, in rappresentanza dell’attuale Capo dello Stato assente per impegni di carattere internazionale, il Dott. Oliver Antic. Un picchetto dell’esercito ha reso gli onori militari. Durante il viaggio dall’aeroporto alla Cappella del Palazzo Reale - dove i resti del Re sono stati inumati - centinaia di persone hanno reso silenzioso omaggio ai resti del Sovrano. Re Pietro, nell’aprile del 1941, era stato costretto, giovanissimo (non aveva ancora 18 anni), a lasciare il Suo Paese invaso dagli eserciti di Germania, Italia, Bulgaria ed Ungheria. Divenuto, formalmente, Re di Jugoslavia appena undicenne, a seguito dell’assassinio del padre, il Re Alessandro, avvenuto a Marsiglia nell’ottobre del 1934, era cresciuto sotto la reggenza dello zio, Principe Paolo. Nel marzo del 1941, a seguito di una sommossa di militari contrari all’adesione della Jugoslavia al Patto Tripartito - da pochi giorni sottoscritta dal Governo del Reggente era salito al Trono denunciando, contestualmente, la recentissima alleanza con Germania, Italia e Giappone. Di qui la reazione tedesca che aveva portato all’invasione militare. Raggiunto prima l’Egitto e poi Londra, il giovanissimo Sovrano che si era arruolato nella Royal Air Force - guidò
moralmente la resistenza jugoslava contro gli invasori, rimanendo a capo del Governo Reale in esilio. Nel 1944, il 20 marzo, aveva sposato, a Londra, la Principessa Alessandra di Grecia, unica figlia del defunto Re Alessandro I degli Elleni, avendo quali testimoni di nozze i Sovrani di Gran Bretagna. A Londra, nel 1945, è nato l’unico figlio, l’attuale Capo della Casa, Principe Alessandro, che vide la luce - per far sì che, formalmente, nascesse in territorio Jugoslavo - in una delle stanze della Reale Ambasciata Jugoslava in Gran Bretagna. Dopo la guerra, rovesciata la Monarchia con atto unilaterale del governo comunista del boia Broz Tito (ovviamente senza alcuna consultazione referendaria), il Re aveva continuato a guidare la resistenza al nuovo regime, sostenuto da migliaia di profughi fuggiti da tutte le regioni jugoslave. Ammalatosi gravemente, moriva, ancora giovane, negli Stati Uniti a nemmeno 48 anni d’età. Al ritorno in Patria la bara era avvolta nella Bandiera Serba con le insegne Regie. La celebrazione funebre è stata officiata dal Patriarca di Serbia, Irinej, alla presenza anche di rappresentanti delle altre fedi praticate oggi in Serbia. Con l’inumazione di Pietro II in Serbia, si chiude anche questa pagina di storia, con la definitiva riconciliazione nazionale in quel Paese. Lo stesso non accade in Italia, e non ci stancheremo mai di ribadirlo e di denunciarlo in ogni consentita sede essendo il mancato rientro in Patria dei resti dei nostri Re e Regine, una vera e propria vergogna nazionale. ■
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F.C.
GUIDO BACCI DI CAPACI IN MEMORIA SUA E DELL’AMMIRAGLIO ANTONIO COCCO a molto tempo volevo rievocare un episodio che, nella mia giovinezza, mi aveva molto colpito, essendomi stato raccontato, tra l’altro, dall’Ammiraglio Antonio Cocco che, da Allievo della Regia Accademia Navale di Livorno, lo aveva direttamente vissuto. Alla fine del maggio 1943 la città di Livorno era stata vittima di violenti bombardamenti che l’avevano danneggiata in maniera gravissima. Anche la sede dell’Accademia non era stata risparmiata e, pertanto, con l’estate, stante l’impossibilità di riutilizzare gli spazi danneggiati, i Cadetti erano stati trasferiti a Venezia, per tentare di riprendere i corsi, nel modo più normale possibile, in settembre. Del resto la città lagunare offriva spazi comodi e disponibili grazie ai grandi alberghi del Lido, ormai deserti di turisti, stante l’avanzare del conflitto. Così, mentre gli Allievi ufficiali raggiungevano la laguna, gli aspiranti Ufficiali di complemento si portavano nell’arcipelago di Brioni, in provincia di Pola, dove esistevano altrettante, elegantissime, strutture alberghiere di quella che, negli anni ’30, era divenuta una delle più raffinate località di villeggiatura del turismo italiano e mittle - europeo. Al principio di settembre di quel drammatico 1943, insomma, i corsi stavano riprendendo e tutti gli Allievi si erano ritrovati nella nuova sede.
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Comandante dell’Accademia era l’Ammiraglio Guido Bacci di Capaci, appartenente ad un’aristocratica famiglia di origine siciliana, che aveva con capacità ed efficienza coordinato il difficile trasloco di centinaia di ragazzi e di docenti, dalla disastrata sede livornese, nonostante le difficoltà di un trasferimento così imponente in pieno periodo bellico. La sera dell’8 settembre - data fatidica per la Patria - gli Allievi erano a mensa, allorché la radio diffuse la notizia dell’armistizio. Come nel resto d’Italia, fu un fulmine a
ciel sereno, accolto da alcuni con gioia, per l’auspicata fine della guerra, da altri, con sgomento, per una guerra perduta. Unico a non perdere la calma, fu proprio il Comandante. Il giorno 9 settembre, dopo una nottata d’ansia e viva preoccupazione per le responsabilità verso le tante persone a lui affidate, radunò studenti e docenti per dare gli ordini necessari. In quelle ore, da Trieste, ove era praticamente in disarmo - dopo che aveva effettuato l’ultimo viaggio per rimpatriare civili italiani dall’Africa Orientale - era stata fatta arrivare a Venezia la grande motonave Saturnia, per imbarcare l’Accademia Navale e raggiungere il sud Italia, in ossequio ai chiari ordini del Re. Un’altra motonave gemella, il Vulcania, era invece stata inviata a Brioni, con lo stesso scopo ma, purtroppo, con altro esito.
di marinai residenti nel nord Italia (Saturnia e Vulcania erano iscritte, infatti, al compartimento marittimo di Trieste), rifiutavano fermamente di partire, non intendendo abbandonare le famiglie in una situazione confusa come quella che stava vivendo la Nazione. Però Guido Bacci di Capaci, come detto, aveva sulle proprie spalle la responsabilità di centinaia di giovani uomini, provenienti da ogni parte d’Italia, lontani dalle famiglie e, in molti casi, impossibilitati a raggiungerle, anche ove fosse stato dato l’ordine di sciogliere le fila. Iniziarono dunque le trattative con l’equipaggio, per indurlo a partire, ma senza alcun risultato. Il tempo intanto passava, e per ogni ora trascorsa, aumentava il rischio dell’occupazione della Città
Ammiraglio Antonio Cocco Giunto il Saturnia, l’Ammiraglio comandante riunì gli Allievi, ordinando loro di raccogliere i libri di studio e pochissimi effetti personali, metterli nella coperta del letto e, solo con quel fagotto, adunarsi nella hall dell’hotel per imbarcare sulla Motonave. Saliti a bordo, la prima grana. L’equipaggio civile della grande nave passeggeri, ormai completamente demotivato e composto in gran parte
da parte dei tedeschi che, ormai, dilagavano nella pianura veneta. Insomma, non si poteva attendere ulteriormente. Visti inutili i tentativi, l’Ammiraglio si allontanò brevemente, convocando il Comandante la stazione dei Reali Carabinieri assegnati all’Accademia, con tutti i militari dell’Arma in servizio. Ciò fatto radunò l’equipaggio e lo fece schierare sul vasto ponte del-
l’unità - che era stata una delle più eleganti navi da crociera del mondo - in file di dieci. Ciò fatto, il Comandante dei carabinieri iniziò a contare, percorrendo le fila dei marinai: “uno, due, tre …”, fino a dieci. Il decimo, fuori dalla fila. Seconda fila di marinai “uno, due, tre …”, fino a dieci. Il decimo, fuori dalla fila. A quel punto, tutti capirono l’antifona. Il decimo uomo di ogni fila, sarebbe stato fucilato, per disobbedienza agli ordini. Sarebbe stato fatto, non sarebbe stato fatto? Chi può dirlo? Di certo non fu necessario perché nemmeno completata la conta della terza fila, tutti i marinai avevano già deciso che, in fondo, era meglio partire e così, in breve, data pressione alle macchine, il Saturnia salpava felicemente per il sud, destinazione Taranto. Fu un viaggio tranquillo, seppur effettuato con molta circospezione, e nella completa incertezza. Giunti davanti a Brindisi nella mattinata del 12 settembre, ed acquisita la certezza che la Città fosse libera ed in mano completamente italiana, si finse l’arenamento della Nave che, pertanto, dovette obbligatoriamente fermarsi. Della situazione di Taranto, infatti, non si avevano notizie. Gli Allievi sbarcarono grazie a dei motopesca pugliesi, riunendosi agli altri accademisti già arrivati a Brindisi con le Regie Navi Scuola Amerigo Vespucci, Cristoforo Colombo e Palinuro e riprendendo regolarmente i corsi nei giorni immediatamente successivi. La Regia Marina continuava a vivere e lo Stato a funzionare. Differente quanto accadde ai Cadetti dei ruoli di complemento che erano a Brioni. Il Vulcania giunse felicemente in quelle isole, ma il Comandante di quel corso non ebbe l’ardire di Bacci di Capaci, e decise di non correre il rischio di essere silurato da qualche sommergibile tedesco. Per sicurezza, fece poggiare la Motonave su un basso fondale. La bella unità trascorse i mesi residui della guerra a Trieste dove, fortunatamente, poté essere recuperata intatta alla
fine del conflitto e rimessa in servizio, per molti anni ancora, con la gemella Saturnia. Gli accademisti, invece, vennero tutti presi dai tedeschi e, in gran parte, deportati in Germania. Guido Bacci di Capaci, cui deve essere dato il merito di un salvataggio difficilissimo in momenti tragici, non vide cosa il sistema repubblicano ha fatto di questo Paese. Nei giorni immediatamente successivi all’infausto referendum istituzionale del 1946, si recò al Quiri-
nale, insieme a migliaia di altri Italiani che volevano salutare il legittimo Sovrano. Era in borghese, convenientemente vestito per un’udienza Reale. Venne ricevuto, e fu l’ultima gioia della sua vita. Terminato l’incontro con Re Umberto II, uscì dallo studio del Sovrano, si sedette, poggiò con ordine il cappello che portava in mano accanto a se, e morì fulminato da un infarto su un divano del Quirinale, nell’anticamera del suo Re. ■
MARIA PASQUINELLI 1913-2013 ello scorso mese di luglio, in una casa di riposo di Bergamo, è mancata la Professoressa Maria Pasquinelli, un nome che a moltissimi, specialmente ai giovani, dice veramente molto poco. Eppure questa donna, ormai centenaria, toscana di origine, ha avuto un particolarissimo ruolo nella storia italiana, essendo stata l’unica persona che, alla firma dell’infame Trattato di pace del 1947, che strappava all’Italia l’Istria e le province di Fiume e di Zara, oltre alle isole di Cherso e di Lussino, nel golfo del Quarnaro, ebbe il coraggio di “concretizzare” la sua rabbia di italiana, con un gesto, drammaticamente simbolico, non accettabile eticamente, ma compreso moralmente dalla gran parte degli Italiani.
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Poco prima, infatti, che le autorità alleate, nel febbraio di quell’infausto 1947, consegnassero la città di Pola ai jugoslavi che già premevano sui confini, si avvicinò al comandante della guarnigione britannica della città istriana, Gen. Robert W. De Winton, sparandogli tre colpi di pistola ed uccidendolo, proprio durante la cerimonia di passaggio dei poteri sul capoluogo istriano alle autorità jugoslave. Arrestata, le venne trovato in tasca in tasca un biglietto in cui confessava: “Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia,
d’umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consape v olezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio.” Processata dalla Corte Militare Alleata di Trieste, il successivo 10 aprile veniva condannata alla pena di morte; rifiutò di appellarsi. Fu a questo punto che gran parte d’Italia si ribellò, e in numerose città vi furono proteste e raccolte di firme, con le quali si chiedeva venisse commutata la pena di morte. Il 21 maggio 1947 la pena capitale si trasformò in ergastolo, con il trasferimento della Professoressa Pasquinelli nel carcere di Perugia, sotto la giurisdizione italiana. Nel 1965 tornò in libertà, e da quel momento sparì dalla scena, salvo sporadici incontri con i nostri esuli, che non la dimenticarono mai. Aveva compiuto in marzo 100 anni. Il giorno in cui compì il gesto che la consegnò alla Storia, ne aveva appena 24. ■
ITALIA REALE - 9/2013
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CASELLA POSTALE N. 1 QUINTO COMANDAMENTO: NON UCCIDERE! Gentile Direttore, leggendo la Sacra Bibbia, nell’Antico Testamento troviamo - nel libro dell’Esodo - il decalogo che riporta fra i vari ordini di Dio, a tutti, quello di non ammazzare. Orbene, in questa attuale nostra società, sempre più priva dei sacrosanti tre principi: Dio - Patria - Famiglia e dove il buonismo, la tolleranza e l’impunità han preso forza, trasformando l’Italia nel Bel Paese dove chi sbaglia non paga le spese, il crimine è, purtroppo, pane quotidiano e, altresì, l’emulazione cattiva consigliera - sta producendo frutti e così, da Nord a Sud, da Est a Ovest, s’è diffusa la macabra moda di bruciare vive le vittime di orrendi delitti. A ciò va aggiunta la recrudescenza dei reati commessi da minorenni. Appena si verifica il reato assistiamo a manifestazioni di sdegno e di protesta, cui - col passar del tempo - segue tutta una serie di interventi, da parte di insigni e illustri personaggi, che quasi giustificano chi si è reso autore del misfatto e si scopre che ha agito in un momento di incapacità di intendere e di volere, anche se, magari, costui ha avuto tutto il tempo di accoltellare barbaramente e di tornare sul luogo per completare l’opera appiccando il fuoco sulla vittima: ogni riferimento agli scellerati delitti che, quotidianamente, riempiono le cronache dei notiziari, è … (non) casuale! Ormai siamo passati dall’abitudine all’assuefazione e, invece, sarebbe ora di far concretamente qualcosa contro tale vera e propria forma emorragica di violenza, che coinvolge tutti, donne e uomini.
Sarebbe il caso di organizzare un referendum per introdurre nuove norme per regolare le punizioni e le pene da comminare a chi uccide, sia maggiorenne, sia minorenne, se si vuole una giustizia giusta, evitando la diffusione dell’emulazione. Fra i Monarchici ci sono tanti emeriti Uomini di Legge, Avvocati, Magistrati, Consulenti legali, Giudici, Funzionari delle Forze dell’Ordine che potrebbero dare il preziosissimo contributo, d’intesa con “Italia Reale”, per avviare una serie di iniziative mirate ad ottenere il cambiamento agognato per porre un necessario freno al dilagante ed esasperante fenomeno criminale! Cordiali saluti. Prof. Renato Cesarò (Nichelino - TO).
AMICI DEGLI ANIMALI, PAROLE E FATTI Caro Direttore, Lei, con molti lettori, ha certamente appreso la notizia che il Sig. Mauro Laggiard è stato sbranato dalla sua tigre Samir a Pinerolo. Tutto è cominciato molti anni fa: Sergio Martinat viveva con la sua famiglia (moglie e due figli) a Pinerolo, in zona San Michele. Era un apprezzato vitaminologo che ricalcava le orme del premio Nobel Linus Pauling: coltivava la passione per la medicina ortomolecolare e per gli animali rari e/o a rischio estinzione. Col tempo il parco si ingrandì, trasferendosi prima a Villa Frisetti a Pinerolo in Strada Serena, quindi a San Pietro Val Lemina, dove diventò un vero e proprio zoo, assai bello e frequentato. Morto prematuramente Sergio Martinat, la strut-
GIOVEDÌ MONARCHICI A TORINO Le riunioni hanno luogo in una sala della Caffetteria Madama di Via Madama Cristina 27, sempre nel terzo giovedì del mese e precisamente: - Giovedì 17 ottobre 2013, ore 17,30. - Giovedì 21 novembre 2013, ore 17,30. Le riunioni sono aperte ad iscritti e simpatizzanti per discutere i programmi di attività.
tura subì un rapido tracollo. Ma le tigri non erano di Martinat: appartenevano ai signori Carla e Mauro Laggiard, che le avevano salvate da situazioni di fragilità e ne avevano fatto una delle loro ragioni di vita. Commercianti ambulanti di latticini, in pensione, erano stati sfrattati dalla villa dove vivevano in Val Noce proprio a causa della presenza dei felini che stentavano a trovare una collocazione adeguata. Licia Colò, tramite “Geo & Geo”, lanciò un appello in tivù e Martinat offrì ospitalità a Laggiard e ai loro felini nel parco, a condizione che il mantenimento e la cura delle belve rimanessero esclusiva responsabilità degli esausti proprietari. La coppia si trasferì in una baracca nei pressi della struttura per accudire a tempo pieno i quattro zampe, che adoravano, ricambiati. Col tempo, le risorse per mantenere i grossi felini, che aumentavano di numero (chi trovi qui tra i monti che sterilizza una tigre??) cominciavano a scarseggiare. Gli appelli degli animalisti si moltiplicavano invano. Carla e suo marito cercavano, con determinazione, amore e infinita dignità un modo per non separarsi dalle loro creature, a cui hanno dedicato con abnegazione un’intera esistenza. Poi, la tragedia: probabilmente la tigre era affamata. Ora, pareri e brontolii, giudizi e sermoni si moltiplicano… Come mai, domandano i benpensanti, le tigri non erano sterilizzate? Sterilizzare una tigre ha dei costi notevoli e occorre la clinica giusta: dubito che due pensionati con la “minima” potessero affrontare da soli questa scelta, moltiplicata per il numero degli animali. Sterilizzare una gatta, operazione che tanti raccomandano ma pochi sponsorizzano, costa circa 200 euro, facciamo la proporzione. Perché le tigri non sono state riportate in Asia, loro patria naturale? Stesso discorso. Per reinserire dieci felini nella giungla occorre trasportarli oltre oceano e ricorrere a rieducatori provetti: un’impresa non semplicissima. Conside-
Esprimo a Carla Agosto Laggiard, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare e ai suoi magnifici animali tutta la mia solidarietà e amicizia. Sperando che restino insieme in totale serenità. Cordialmente. Giornalista Edi Morini (Torre Pellice - TO). ■
riamo poi che nel loro ambiente naturale, i felini rischiano comunque di cadere sotto i colpi dei bracconieri. Innumerevoli amici degli animali si scagliano contro le pelliccerie e promuovono dimostrazioni: ma quanti vogliono e possono salvare davvero degli animali da pelliccia acquistandoli e mantenendoli in luoghi adatti? Quanti vegetariani salvano una mucca dal macello e la mantengono vita natural durante? Per mantenere una tigre occorrono circa 20 chili di carne al giorno: quanti amici degli animali hanno sostenuto Carla e Mauro in questo sforzo quotidiano?
SPERPERI Il Segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria COSP, Mimmo Mastrulli ha chiesto l’apertura di un’inchiesta parlamentare per verificare se l’ex Ministro della Giustizia, Paola Severino, aveva diritto ad una doppia scorta di Polizia
penitenziaria composta da 4 unità per turno e 2 mezzi protetti. L’ex Guardasigilli ha spiegato che una volta terminato il mandato ministeriale ha mantenuto la scorta solo per tre mesi anziché per un anno come normalmente previsto per gli ex ministri. Anche se limitata a soli 3 mesi dalla fine del mandato, la scorta agli ex ministri, come ha evidenziato Mastrulli, comporta notevoli spese per il “soggiorno della scorta in albergo e ristoro, struttura ristoranti, oltre all’utilizzo di budget per il lavoro straordinario e per il pieno trattamento missione”. Tanto paga Pantalone! ■
IL GIUOCO DI LETI 1
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ORIZZONTALI: 1) Il cervello britannico. 7) Molti, specialmente giovani, le fanno piccole. 10) La prima figlia di S.M. Re Vittorio Emanuele III. 13) Unità di misura della sensibilità delle pellicole. 15) Ne fu leader Craxi e sprofondò in Tangentopoli. 16) Troppo grasso. 18) Vi è anche quella a delinquere. 23) Mussolini rese famosa quella delle Caminate 24) Ora si chiama Thailandia. 26) Colto, raffinato, detto di lingua, stile. 28) Nel baseball, ciascuno dei vertici del diamante. 31) Particolare disposizione dei fiori raggruppati su ramificazioni della pianta. 33) Portico dove insegnava Zenone. 34) Associazione Turistica Albergatori. 35) Superficie su cui si svolgono le gare di judo. 38) Suo, sua sul Tamigi. 40) Come certi discorsi di falsi moralisti. 41) Da quando si iscrisse nel febbraio 1949 al Partito è ..... di essere monarchico, il Direttore di questo mensile. VERTICALI: 1) Linea politica, provvedimento sostenuto sia dalla maggioranza che dall’opposizione e, anche, l’idea che hanno molti Italiani del mangia mangia e degli sprechi dei politici. 2) Così l’Unione Sovietica tinse per decenni il cielo dei Paesi che aveva asservito alla sua macabra dittatura. 3) Battello che in velocità si solleva dall’acqua. 4) Si in Germania. 5) Di padre ignoto. 6) La quarta nota. 8) .… ne va plus. 9) Tra la erre e la ti. 11) Coraggio, … sbrigati. 12) Tagliava le teste incappucciato. 14) Un tipo di farina. 17) I ciclisti le bevevano in passato, ora possono essere all’idrogeno, termonucleari, nucleari, al neutrone. 19) Il modo opposto di come i politici hanno in questa repubblica curato gli interessi dell’Italia. 20) Sono in costante …. i voti del Movimento 5 Stelle. 21) Monaco, eremita. 22) Personificazione degli Stati Uniti d’America (due parole). 25) Vi si rappresentano opere liriche o di prosa. 27) Arrabbiati. 29) Pure, persino, ancora. 30) Sazio senza vocali. 32) Ente senza capo né coda. 36) Allievo Sottufficiale. 37) Se inglese. 39) Diventa mera con ma.
Soluzione de “Il Giuoco di Leti” pubblicato sul numero di Settembre 2013. Citazione di Ugo Foscolo: “In tutti i Paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochi che comandano, l’universalità che serve e i molti che brigano”.