Italia reale settembre 2013

Page 1

Mensile di politic a, cultura e informazione A cura dell’Alleanza Monarchica - Casella Postale n. 1 - 10121 Torino Centro - C.C.P. n. 30180103 (Codice IBAN: IT 74 V 07601 01000 000030180103

ANNO XLVII - n. 8 - Codice BIC: BPPIITRRXXX) - Poste Italiane Spedizione in a.p. - 70% - D.C. - D.C.I. - Torino - N. 8/2013 - In caso di mancato recapito Settembre 2013 rin v iare all’Uff. C.M.P. Torino Nord per la restituzione al mittente, che si impegna a corrispondere il diritto fisso do v uto.

TAXE PERÇUE Tassa riscossa TORINO - C.M.P.

Giancarlo Vittucci Righini

PANORAMA POLITICO a cosiddetta “primavera araba” tant o esaltata dai mass media progressisti, compresi quelli sedicenti indipendenti, e favorita dall’altrettanto esaltato Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti, secondo quanto avevamo previsto si è trasformata in un rigido “inverno” del quale non si riesce ad intravedere lo sviluppo e tanto meno la conclusione.

L

Rovesciati dalla rivolta popolare i regimi filoccidentali dei Generali Mubarak in E gi tt o e Ben Alì in Tunisia, travolto ed assas si n a to Gheddafi in Li b i a , i l quale nonostante tutto era ancora il “meno peggio”, ovunque sono andati al potere i partiti islamici, tra i quali sono prevalsi i “Fratelli Musulmani”, presentati puntualmente come la versione moderata e democratica dei maomettani a somiglianza del partito di maggiora nz a di Erdogan e Gul in Turchia, anch’esso democratico e moderato solo a chiacchiere.

Direttore responsabile ROBERTO VITTUCCI RIGHINI Direzione:

Cell. 333/916.95.85 E-mail: italia-reale@libero.it

Recapito lettere, esclusivamente: Alleanza Monarchica Casella Postale n. 1 10121 Torino Centro Recapito plichi o pacchi: Alleanza Monarchica Casella Postale n. 681 10121 Torino Centro Autor. Tribunale di Torino n. 2292 del 6-12-1972 ITALIA REALE (già Alleanza Monarchica)

Precedente autorizzazione (Stella e Corona) del 17-5-1967 Editore e Stampatore EDIGRAPH s.n.c. di Basso & Tasini Via Chieri, 64 10020 Andezeno (TO) La direzione del Mensile è presso l’Editore.

In realtà i Fratelli Musulmani, giunti inaspettatamente al potere senza possedere la necessaria preparazione, né l’organizzazione, si sono limitati ad occupare i posti di potere e ad avviare un rigido programma di islamizzazione che prevedeva la sostituzione progressiva delle leggi locali con i precetti della loro religione; si trattava dell’inizio di un progetto simile a quello realizzato in Iran dove al regime illuminato dello Scià è subentrato quello barbarico e feroce di Komeini. Per non parlare delle infiltrazioni terroristiche. Le minoranze cristiane sono state perseguitate. In tutto il Medio Oriente e nel Nord Africa si sta verificando la diaspora dei cristiani costretti a fuggire dalle violenze degli attuali gruppi di potere: dall’Irak alla Siria, dall’Egitto alla Tunisia ed all’Algeria centinaia di migliaia di cristiani sono stati costretti a fuggire in Occidente per sottrarsi a omicidi e stupri. E tutto questo avviene tra l’indifferenza dei governi occidentali che stanno a guardare impotenti o che addirittura favoriscono i gruppi islamici con aiuti economici e talora con spedizioni di materiale bellico. Se l’ex Presidente americano Carter è il responsabile della caduta della Monarchia in Iran, che diede l’avvio al ricatto del petrolio, l’attuale Presidente Obama appare ingloriosamente avviato a superarlo di gran lunga per inesperienza ed errori perchè la sua politica sta favorendo la destabilizzazione del-

l’intero Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale. L’unica nota di speranza è data finora dall’atteggiamento dei militari in Egitto, i quali hanno destituito senza colpo ferire il Presidente Morsi e che appaiono come gli unici detentori del potere reale. Resta da vedere cosa avverrà alle prossime elezioni dato che i Fratelli Musulmani ed i salafiti loro alleati controllano notevoli masse di seguaci mentre i loro avversari si dividono tra conservatori e progressisti, musulmani moderati, cristiani e laici, nazionalisti e internazionalisti e chi più ne ha più ne metta, ed è quindi difficile che possano trovare un’intesa. Un’altra situazione di estremo pericolo è rappresentata dall’Afghanistan dove il governo del presidente Karzai sta cercando disperatamente di giungere ad un’intesa con l’ala moderata dei talebani esaltati e rinvigoriti dall’annuncio del prossimo ritiro delle truppe occidentali. Anche qui la causa dell’attuale precaria situazione è colpa degli americani che hanno impedito all’amato Re Zahir di tornare sul trono, ponendo fine alla rivolta. Per quanto riguarda l’Italia, il governo Letta vivacchia, diviso com’è tra politici di opposte tendenze che perseguono obiettivi diversi e contrastanti e cosiddetti tecnici che hanno già dato cattiva prova di sé con il Governo Monti. Purtroppo le regole eccessivamente restritti-

ve imposte dall’U.E. impediscono una vivace ripresa economica. I finanziamenti sono ridotti al massimo, la Pubblica Amministrazione ritarda il pagamento dei suoi debiti e molte imprese sono costrette a fallire. Inoltre all’interno dei due principali partiti che sostengono il Governo (PD e PDL) vi è chi ostacola scientemente quanto viene fatto.

ASILI NIDO O NIDI PER AQUILE? a pag. 3

LA GUERRA DEI POLACCHI IN ITALIA a pag. 5

Una parte della sinistra auspica un’alleanza con il Movimento 5 Stelle di Grillo, una parte del centrodestra sogna una rivincita che appare improbabile dopo l’esit o disastroso delle recenti elezioni amministrative. Inoltre c’è il problema ormai prossimo dell’eventuale ineleggibilità del Sen. Berlusconi il quale si trova sotto molteplici attacchi da parte della magistratura che lo ha già condannato a 7 anni di reclusione per i reati di concussione e per aver avuto presunti rapporti con una minorenne. Ciò che rende perplessi è che lo stesso Tribunale ha disposto l’incriminazione per falsa testimonianza di decine di persone che avevano escluso che in casa di Berlusconi fossero stati realizzati comportamenti riprovevoli. Lascia anche perplessi l’incriminazione del Cavaliere accusato di aver corrotto il Sen. Di Gregorio convincendolo a passare dall’Italia dei Valori al centrodestra. Episodi inversi, di passaggi dal centrodestra alla sinistra se ne sono verificati parecchi in passato, ma mai nessun politico è stato incriminato per questo motivo. Comunque ai posteri l’ardua sentenza. ■

MALAYSIA a pag. 6

LA FINE DELLA “DITTATURA” DI GARIBALDI NEL MERIDIONE a pag. 8

RE FILIPPO DEL BELGIO a pag. 14


ITALIA REALE - 8/2013

2

Roberto Vittucci Righini

Armando Pupella

ALLEANZA MONARCHICA RIFORME? Assemblea Nazionale del Movimento politico “Alleanza Monarchica” riunita a Chiavari il 29 giugno, udite le relazioni del Presidente nazionale Avv. Roberto Vittucci Righini e del Segretario nazionale Avv. Massimo Mallucci, all’unanimità ha confermato e ratificato l’autorizzazione al Movimento politico “Italia Reale” dell’uso del proprio simbolo “Stella e Corona”, del quale conserva i diritti, ed ha anche deliberato la propria confluenza nel movimento politico “Italia Reale”, quale componente dello stesso. L’Assemblea ha designato l’Avv. Massimo Mallucci, confermato Segretario nazionale, a rappresentare l’ “Alleanza Monarchica” in seno al Movimento politico “Italia Reale”, del quale è Presidente nazionale.

L’

Con tali decisioni il Movimento politico “Alleanza Monarchica”, che era stato costituito il 27 febbraio 1972 (in opposizione alla fagocitazione del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica P.D.I.U.M. da parte del Movimento Sociale Italiano - M.S.I.) per continuare l’attività politica autonoma esclusivamente a favoree nell’interesse della Monarchia, ha cessato di esistere quale Movimento politico autonomo e tutti i suoi Dirigenti sono decaduti dalle cariche ricoperte, ad eccezione, come detto, del Segretario Avv. Massimo Mallucci. Le decisioni assunte sono state sofferte specialmente per coloro che da oltre 41 anni si sono battuti per i propri ideali nell’ “Alleanza Monarchica” che tra difficoltà di ogni genere (spesso osteggiata più da

altre organizzazioni monarchiche che da avversari repubblicani), ha comunque costantementetenute alte anche le bandiere dell’indipendenza e dell’onestà. La nascita nell’ottobre 2012 del Movimento politico “Italia Reale” che porterà avanti le battaglie anche elettorali che hanno contraddistinto i monarchici politicamente impegnati a viso aperto (e non semplici portatori d’acqua a favore di candidati pseudo monarchici, in partiti repubblicani) ci ha portato a confluirvi nel superiore interesse della Causa. Sono certo che gli iscritti all’“Alleanza Monarchica” prenderanno la tessera di “Italia Reale” continuando così la propria attestazione di fede nell’istituto che ha unito l’Italia rendendola Nazione. ■

Argenio Ferrari

I TECNICI E LA POLITICA rano trascorsi pochi giorni dalla nomina a Ministro della Sanità dell’On.le Francesco De Lorenzo del PLI, medico-chirurgo e docente universitario, quando mi recai, in qualità di medico personale, a visitare, c o m e d i c o n s u e t o, i l M i n i s t ro d e l l a Re a l Casa, S.E. Falcone Luci-

E

Prima che io potessi obiettare qualcosa, intervenne il Ministro con la seguente affermazione: “Armando ricordati che i politici quando vogliono fare una zozzonata ricorrono sempre ad un tecnico”. Questo episodio mi é tornato in mente nel momento in cui l’On.le Giorgio Napolitano conferì l’incarico al Prof. Mario Monti, neo senatore a vita della repubblica, di formare un governo così detto tecnico o del Presidente. Debbo constatare, con amarezza ma anche con ammirazione per la lungimiranza del Ministro Lucifero, che le sue parole sono state profetiche.

Cav. Falcone Lucifero Ministro della Real Casa f e ro. R i c o rd o c h e f u i accolto da Armando Cherubini, suo segretario particolare, con una simpatica battuta: “Arg e n i o a bb i a m o f i n a l mente un ministero della sanità che costringerà voi medici a lavorare con serietà”.

Infatti, il governo Monti si é dimostrato il peggiore di quelli dell’Ital i a re p u b b l i c a n a , s i a dal punto di vista economico, sia da quello sociale, raggiungendo la farsa in campo internazionale, per quanto riguarda lo scontro diplomatico con l’India, per la vicenda dei

due fucilieri di Marina italiani. Alla luce dei fatti sopra esposti, visto che il governo Monti fu esaltat o dalla stampa di regime come il governo della Bocconi, se dipendesse da me la chiuderei. Ricordiamo, altresì, che l’opinione pubblica italiana considera Franc e s c o D e L o re n z o i l peggiore dei ministri della sanità dell’era repubblicana. ■

COMUNISMO E NAZISMO I l Par l am e nt o de l l a Ca m bo g i a ha vara t o all’unanimità una legge che punisce con due anni di rec l us i one qua nt i negano che si siano verificati i crimini dei Khmer rossi. Il primo ministro Hun Sen, che aveva disertato dai Khmer rossi, ha paragonato la negazione degli efferati delitti comunisti del regime di Pol Pot (1975-1979) a quella della Shoah in Europa durante la Seconda guerra mondiale. ■

iforme? No, grazie! Serve qualche controriforma per tornare all’assetto politico-amministrativo periferico di 50 anni fa, che consentiva di sviluppare economia ed occupazione, grazie al minor costo politico-burocratico degli enti territoriali che erano molto meno di oggi.

R

Bastano due esempi: l’aliquota I.V.A. quando fu introdotta era al 12%; nel 1960 la Lira vinse l’Oscar mondiale. Poi, nel 1970, alle già purtroppo esistenti Regioni speciali si aggiunsero le ordinarie e fu subito notte. Ad onor del vero, dopo la catastrofe bellica, per realizzare il risorgimento economico degli anni sessanta del secolo scorso, contribuirono pure le rimesse dei nostri emigranti ed i dollari del Piano Marshall. Oggi non ci sono dollari che possano aiutarci; quindi, a maggior ragione, bisogna eliminare enti politiciamministrativi periferici superflui, moltiplicati negli ultimi 43 anni, sovente per soddisfare la voracità di politici, loro familiari, e portatori di voti, l’enorme costo dei quali non grava solo sui cittadini ma anche sulle aziende con danno per la loro competitività e lo sviluppo economicosociale-morale. Meglio tagliare la spesa pubblica asociale ed improduttiva che servizi di pubblica utilità. L’Italia di 50 anni fa, grazie ai minori costi politiciamministrativi, era più efficiente. Inoltre, in tempi di rapide comunicazioni, è antieconomica l’eccessiva frammentazione politicoamministrativa; molti piccoli comuni con centri abitati contigui si possono unire con referendum locali, stabiliti da una legge nazionale. Va anche bene ed è urgente qualche riforma, come la riduzione del numero dei senatori e dei deputati. Nonostante il terrificante debito pubblico, la crisi, l’euro e la globalizzazione, un altro risorgimento economico è fattibile, dopo quello degli anni sessanta del XX secolo. E, dulcis in fundo, le risorse finanziarie vanno recepite anche col rilancio del “made in Italy”, per difen-

derci dai frequenti terremoti e dalle annuali alluvioni, e non sprecati per enti superflui. ■

FIGURANTI Tra le nuove attività destinate a coloro che hanno perso il lavoro a seguito della perdurante crisi, è nata quella del “figurante salva immagine”. Sul presupposto che un ristorante che presenti tavolini vuoti ai possibili avventori o che un negozio privo all’interno di possibili clienti, non attirino ma addirittura scoraggino ad entrarvi, alcune agenzie forniscono a richiesta finti clienti e/o lavoranti la cui semplice presenza induce a ritenere una prospera attività in corso. Forse l’esempio è stato dato dal Parlamento italiano nel quale siedono accanto a non numerose teste pensanti, una gran quantità di figuranti utili solo quali completamento e cornice. ■

SVUOTACARCERI I reati con pene sino a 6 anni per i quali sono previsti gli arresti nel proprio domicilio anziché nelle patrie galere, comprendono la prostituzione e la pornografia minorile, la violenza privata, gli atti persecutori (stalking), il furto, la truffa, gli atti di terrorismo con esplosivi, la calunnia, la falsa testimonianza, l’incendio boschivo con colpa, gli attentati alla sicurezza dei trasporti, e tutta una serie di altre sciagurate attività delinquenziali. Dagli arresti domiciliari si esce attraversando semplicemente la porta di casa, senza necessità di calarsi con le lenzuola annodate da alte mura dei carceri. Ne pagheremo le conseguenze. ■

RICONOSCIMENTO INDECOROSO Il vicepresidente, del PdL, della Regione Friuli Venezia Giulia, Rodolfo Ziberna, ha sollecitato alla neo Governatrice Debora Serracchiani, del Pd, che la Regione si faccia parte attiva presso il capo dello Stato per la revoca dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, a suo tempo conferita al sanguinario comunista Tito, “responsabile di quel genocidio chiamato foibe”, dato che “quel riconoscimento è indecoroso”. ■

SUICIDI La notizia di un suicidio è sempre angosciante in quanto implica la disperazione e la resa alla vita di chi lo compie. L’angoscia, però, si trasforma in rabbia e ne derivano maledizioni allorché chi si uccide dimostra indifferenza verso la vita altrui come nel caso di coloro che si valgono del gas facendo esplodere l’alloggio in cui si trovano, coinvolgendonon raramente anche le abitazioni vicine con possibilità conseguenti di vere e proprie stragi. A coloro che tentano il suicidio con il gas senza riuscirvi, andrebbero pertanto inflitte pene severe dovendo venir considerati assassini o quanto meno responsabili di tentato omicidio. ■

SURRISCALDAMENTO Sul controverso tema del surriscaldamento globale dovuto all’attività dell’uomo che si contrappone al concetto delle fasi cicliche che si ripetono sulla Terra in modo totalmente naturale per effetto delle variazioni delle attività solari, si è tenuto a Vicenza il convegno “La posizione dell’Europa sulla bufala del surriscaldamento globale”, con interventi di scienziati che non hanno però dissipato i dubbi in materia. ■

Il Dr. Giovanni Seia che si era assunto l’onere di organizzare il Convegno “Umberto II e Casa Savoia per la Patria”, ha comunicato che a causa di intervenuti problemi e difficoltà, la Manifestazione prevista a Racconigi nei giorni 15 e 16 settembre, della quale abbiano pubblicato l’articolato programma a pagina 3 del numero di luglio del nostro Mensile, subisce un differimento. Sabato 15 settembre, anniversario della nascita nel 1904 di S.M. il Re Umberto II, sono pertanto solo previste, sempre a Racconigi, una Santa Messa alle ore 10,30 nel Santuario Reale Madonna delle Grazie, ed una successiva deposizione di Corona d’alloro al busto del Sovrano in Piazza Castello. ■


ITALIA REALE - 8/2013

3

Sergio Bosca

Mario Patrucco

RIFORME URGENTI

ASILI NIDO O NIDI PER AQUILE?

difficile dire se l’attuale governo italiano, che qualcuno ha già battezzato di zerocrazia, durerà abbastanza da riuscire a fare delle riforme. Tra le molte necessarie una spicca per la particolare importanza che riveste: la riforma elettorale. Prima di tutto occorre osservare che i partiti sono molti, ma molti di loro hanno programmi e statuti molto simili e vogliono praticamente le stesse cose, aspettare che siano gli elettori a fare giustizia di tale stortura sfoltendone il mazzo, può richiedere il tempo di una generazione, per cui gli esperti in leggi elettorali, dovrebbero studiare la possibilità di risolvere il problema senza ferire il diritto politico di fondarne, magari obbligandoli a presentarsi alle elezioni con un simbolo unico. Altra correzione necessaria è quella che riguarda i premi di maggioranza, misura profondamente ingiusta, che si tenta di giustificare in nome della governabilità dimenticando che questa dovrebbe essere dovuta alla fiducia del popolo nei confronti dei suoi rappresentanti e non un fatto puramente aritmetico.

È

Il Parlamento, che per quanto repubblicano aveva nel dopoguerra una certa qual dignità, appare non raramente ora un teatro di burattini che si bastonano tutti contro tutti. Per non parlare di non pochi eletti, genuino prodotto della scuola italiana post sessantotto, per quello che si è letto sui giornali, assolutamente impreparati per non dire di peggio.

mento per motivi di governabilità aumenterebbe ancora di più la loro eventuale carica eversiva, per cui in sede di riforma elettorale, si dovrebbe trovare il modo di permettere con relativa facilità sia la presentazione di nuove liste sia l’elezione del primo seggio, trovando magari il modo di limitare i successivi. Questo, pur influendo sulla governabilità, avrebbe il vantaggio di fornire anche a facinorosi e mestatori un pulpito da cui fare la loro predica evitando che cedano alla tentazione di farsi sentire con mezzi magari più … rumorosi. Molte volte la legge con una mano dà e con l’altra toglie, infatti la Costituzione garantisce il diritto di fondare partiti, e garantisce anche il diritto di eleggere ed essere eletti, ma non dice che per candidarsi occorre obbligatoriamente essere presentati da un partito, né parla di gruppi parlamentari che appaiono piuttosto come un mezzo inventato a bella posta per complicare le cose. Sarebbe bene che gli addetti ai lavori, in sede di riforma, tenessero conto di questi modesti e forse ingenui suggerimenti, senza dimenticare che il tempo a disposizione del-

gire, tartassato da tutte le parti, timoroso di ogni cambiamento; settanta anni di repubblica gli hanno tolto ogni volontà di farsi valere. Qui occorre un novello Marco Furio Camillo che urli in faccia allo straniero sia europeo, americano o multinazionale le nostre ragioni, incurante di minacce, tentativi di intimidazioni e chiarisca una volta per tutte che la via per uscire dalla crisi dovrà essere una “via italiana” e non quella imposta da Bce e Fmi. È ora, per noi Italiani, di liberarci del complesso della guerra perduta e di finirla di considerare alleanze e trattati internazionali intangibili per l’eternità. È ora per noi Italiani di ricordarci del nostro passato, delle cose importanti e durature da noi fatte nel corso dei secoli, del nostro lavoro nel mondo, testimoniato dai milioni di Italiani e loro discendenti che vivono in ogni parte del pianeta, la maggior parte dei quali ha raggiunto posizioni di preminenza. Se nel desolante panorama politico italiano esista un personaggio in grado di rappresentarci degnamente di fronte agli stranieri, non è dato sapere, certamente non sarà uno dei mediocri arcinoti, anche per questo è augurabile che nuove forze entrino nel Parlamento compresi noi monarchici, che rappresentiamo certamente un potenziale ancora inesplorato, di forze e di menti. ■

TURCHIA

Stiamo vivendo momenti tragici nei quali non ci sarebbe da stupirsi se sorgessero tendenze eversive, la classe politica non può contare sul fatto che i disperati continuino a suicidarsi, se i vari suicidi invece di rivolgere la violenza contro se stessi la canalizzassero contro chi li ha portati alla disperazione la situazione sfuggirebbe ad ogni controllo.

la classe politica per cercare di recuperare un minimo di fiducia e di credibilità è ormai scaduto.

Dobbiamo aspettarci che sorgano nuove forze costituite da protestatari e scontenti di ogni genere e il volerli tenere fuori dal parla-

La riforma, quella vera, l’unica che potrà salvare l’Italia sarà però quella delle coscienze, il popolo italiano è ormai privo di volontà di rea-

Marco Furio Camillo

Intento a far arretrare la Turchia dalla modernizzazione che le era stata imposta da Mustafa Kemal, il famoso Atatürk, il premier turco Recep Tayyip Erdogan , condannato nel 1998 per “incitamento all’odio religioso”, ha tra l’altro dichiarato di non riconoscere il Parlamento dell’Unione europea. Con ciò speriamo che sia definitivamente chiuso il tentativo di taluni, anche tra i politici italiani, di far entrare tale Stato, prevalentemente asiatico, nella Comunità europea. ■

recente la virulenta esplosione di una polemica politica sorta già da parecchio tempo e destinata a protrarsi per parecchi mesi. Polemica accesissima su tutti i palcoscenici. Sul proscenio parlamentare “in primis”, sui “media” cartacei e su quelli di “rete”. E come tutte le polemiche infiammatesi in questi mesi ha trovato l’innesco migliore nella piazza gestita dai “grillini”. Eclatante tra tutti il cartello che con abilissima demagogia veniva innalzato davanti al Parlamento: con i soldi che spenderemo per ogni aereo da caccia F35 si potrebbero costruire 100 asili nido. E quindi: infanzia derelitta salvata annullando i contratti sottoscritti dai precedenti governi per l’acquisto degli ormai “famigerati strumenti di morte”.

È

Entriamo nel tema riassumendo brevemente l’antefatto. Da tempo,

pegno da parte di ogni singolo, di mettere a punto per ogni singola Forza armata i “mezzi tecnici” e quindi i cosiddetti sistemi d’arma indispensabili per svolgere quel compito nell’ampio mosaico Nato. Il concetto, semplice a definirsi, aveva peraltro richiesto parecchi mesi per essere trasfuso in veri e propri trattati internazionali. A farla in breve, e per stare nel tema, l’Italia s’impegnava ad ammodernare la propria Aeronautica, poiché a questa specifica Arma, appunto nell’ambito (si spera sempre ipotetico e potenziale) dei possibili interventi della Alleanza, il copione ci assegnava quella parte. Ci assegnava, si è detto, e ci ha assegnato. E quindi, indietro non si torna. Ma qui casca l’asino, anzi gli asini, perché ancora una volta emerge l’insipienza, l’ignoranza, diciamo pure la stupidità abissale di parte della nostra classe politica. Spieghia-

nere) che nell’ambito di questa maxi commessa all’americana Lockheed-Martin ci fosse assegnato qualcosa di più delle misere lavorazioni che spetteranno alla nostra industria aeronautica. Addetti ai lavori ci hanno confermato tutto quello che state leggendo e per “acta concludentia” ve lo ribadiamo, forti delle precedenti stolte esperienze che ci fecero alzare dal tavolo europeo dell’industria aeronautica (leggi consorzio Aerbus) per andare ad aspettare l’osso gettato dalle Joint-venture d’oltreatlantico. ■

Quando non si sa niente e si crede di sapere tutto, significa che si ha spiccata tendenza alla carriera politica. (Frate Indovino) ■

F35

parecchio tempo, l’Italia, nell’ambito della Nato ha assunto l’impegno di rimodernare la propria Aeronautica. I laboriosissimi accordi, in un estremamente complesso gioco ad incastro, hanno definito gl’impegni reciproci di 28 Paesi, quante sono appunto le Nazioni dell’Alleanza. Ogni singola Nazione, si è vista ritagliare nell’ambito strategico della Nato, una parte da recitare, che prevedeva per i prossimi anni la definizione di un “profilo personale”, appunto strategico. In altri termini, vagliate le Forze armate dei singoli Paesi aderenti, veniva disegnato un complesso “puzzle” ove si inseriva il compito che alle stesse specificamente veniva assegnato. Ma il compito ovviamente comportava l’im-

moci meglio. Cifre ci vogliono. L’impegno è grosso: si trattava (e si concordò) di sostituire 240 aerei ormai obsoleti, con i 90 F35. In soldoni, ogni aereo costa dai 90 ai 100 milioni, e quindi con i primi ordinativi bisognerà mettere a bilancio una spesa di almeno 35 miliardi di Euro. Non rientra nel novero di queste esigue considerazioni entrare nel merito del nostro impegno internazionale, preso quando l’Italia era ancora una “piccola grande Potenza”, ma dobbiamo ritornare sulla insipienza dei governanti (tutti) che si sono palleggiati il problema. Ancora forti della nostra industria, si sarebbe potuto esigere (ed otte-

ESPULSIONI La nuova frontiera della “democrazia” si fonda, secondo alcuni, sulle “espulsioni”. Non sei d’accordo con il guru Beppe Grillo e allora, anche se sei un parlamentare eletto con decine di migliaia di voti, “espulsione” dal Movimento 5 Stelle. Non sei d’accordo con il nuovo capo della Lega Nord, Roberto Maroni, e allora ecco il rimedio: una veloce “espulsione”. Possibile che solo al popolo italiano, quello che tira la carretta, fatica, paga le tasse ed è costantemente bastonato dall’incapacità di coloro che ha eletto a rappresentarlo, sia preclusa la possibilità di espellerli dalla politica e dai troppi mangia-mangia connessi? ■


ITALIA REALE - 8/2013

4

Roberto de Mattei (Corrispondenza romana)

Alfredo De Matteo (Corrispondenza romana)

“PRIMAVERA” O EUTANASIA “CONTRADDIZIONE” TURCA? LA STRATEGIA “ANTI -UMANA” DEI FAUTORI DELLA “BUONA MORTE” ino a qualche tempo fa la Turchia di Erdogan era presentata dalla stampa occidentale come una potenza in forte espansione economica, garante della democrazia nell’area medio-orientale e destinata ad entrare presto nell’Unione Europea. Ma nella notte tra il 30 e 31 maggio è venuta alla luce una realtà che non può più essere occultata dai mass-media. La Turchia è un paese instabile, dall’incerto futuro, e ciò che la scuote, non ha niente a che vedere con la falsa primavera araba del 2011 e neppure con l’autentica “primavera latina” del 2013.

F

La rivolta contro le ruspe di piazza Taksim non è la protesta ecologica contro il progetto governativo di distruzione di un parco, ma non è neppure una lotta per gli ideali della democrazia: è invece la spaccatura tra le due anime irreconciliabili della Turchia: quella secolare e laicista, che si richiama alla dittatura di Kemal Ataturk e quella islamica e neoottomana di Erdogan, che governa il Paese, con pugno di ferro da undici anni. Se il fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal Ataturk, dopo la Prima Guerra mondiale, volle recidere ogni legame con il passato ottomano, a partire dagli anni Novanta, in nome di una “Rivoluzione culturale” di stampo massonico e illu-

minista, l’islamismo è tornato con prepotenza sulla scena politica turca. I capi di governo e di Stato che oggi guidano il Paese, Recep Tayyp Erdogan e Abdullah Gül, sono due discepoli di Necmettin Erbakan, l’artefice di un movimento di reislamizzazione che travalica i confini della Turchia e si estende a tutta l’emigrazione turca in Occidente. La reintroduzione del velo prescritto dalla sharïa, il divieto di effusioni nei luoghi pubblici e le misure restrittive per la vendita degli alcolici sono state le gocce che hanno fatto esplodere il vaso del malcontento popolare, soprattutto giovanile. Ma chi protesta contro Erdogan ha la sua sola speranza in un ritorno sulla scena dei militari, i custodi più ortodossi del “kemalismo”. Erdogan si è servito dell’Unione Europea per smantellare il potere delle forze armate e permettere alla Turchia di ritrovare la sua identità islamica, cancellata da Ataturk. L’Unione Europea richiede infatti, come condizione per il suo ingresso nelle istituzioni comunitarie, l’allineamento agli “standard democratici” occidentali violati dall’arbitrio dei militari. Ma per la Turchia la “democratizzazione” di Erdogan ha significato la re-islamizzazione del Paese, che vanta oggi il

record di moschee, di minareti e di Imam nell’area centro-asiatica. Gli Stati Uniti e i principali Paesi occidentali, compresa l’Italia, premono per un ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Ma se ciò accadesse, l’Europa avrebbe tra i suoi Stati membri un Paese divenuto islamico, proprio grazie al rispetto di quelle regole democratiche, che in Turchia hanno portato al potere, e stanno consolidando, il fondamentalismo. La Turchia rappresenterebbe un’enclave islamica in Europa, non attraverso le sue minoranze immigrate nel continente europeo, ma in quanto Stato dell’Unione, sullo stesso piano degli altri Paesi che ne sono membri. E poiché l’UE attribuisce agli Stati membri un peso politico proporzionale a quello demografico, la Turchia, con oltre 80 milioni di abitanti, sarebbe il Paese con il maggior numero di parlamentari europei, divenendo l’ago della bilancia della politica interna ed estera del nostro continente. Intanto Erdogan, che fino ad ieri appoggiava la rivolta dei Fratelli Musulmani in Siria, accusa i manifestanti turchi di essere guidati da “gruppi estremisti” e “collegati con l’estero”, proprio come secondo il presidente Assad avviene in Siria. Quel che sta accadendo, insomma, più che una primavera, può essere definita un’insanabile “contraddizione” turca. ■

Alessandro Bassetta (Corrispondenza romana)

FONDAZIONE LEPANTO PADRE AMORTH RIBADISCE L’IMPORTANZA DELL’ESORCISMO resso la Fondazione Lepanto, Padre Gabriele Amorth, ha tenuto una affollatissima conferenza durante la quale sono stati presentati i suoi ultimi libri: L’ultimo esorcista. La mia battaglia contro Satana (Piemme, Casale Monferrato 2012) e Il segno dell’esorcista. Le mie ultime battaglie contro Satana (Piemme, Casale Monferrato 2013).

P

Esorcista per la Diocesi di Roma dal 1986 e allievo di Padre Candido Amantini (di cui è in corso una causa di beatificazione), Padre Amorth è presidente onorario dell’Associazione internazionale degli esorcisti. Fin dalle prime battute, Padre Amorth è stato molto severo nei confronti di coloro che non cre-

dono nel demonio e principalmente nei confronti di quegli ecclesiastici che non si adoperano per contrastare adeguatamente l’opera di scristianizzazione della società perpetrata dal demonio, compresi i Vescovi che non si decidono a nominare nuovi esorcisti e arrecano per questo un grave danno alle anime. Satana - ha continuato - cerca di mettere l’uomo contro Dio,

uò accadere che navigando su internet appaiano dei banner dove è scritto che il nostro computer è infettato da un virus e come sia possibile effettuare una scansione con un antivirus free. Si tratta di un falso avviso che può indurre l’utente ad installare un programma simulato di rimozione malware che in realtà installa altri malware oppure semplicemente simula un’infezione in atto ed offre un pacchetto di riparazione, ovviamente a pagamento.

P

La strategia antiumana dei fautori della “buona morte” funziona più o meno allo stesso modo: si fa leva sul naturale timore dell’uomo di invecchiare, di diventare non autosufficiente per indurlo, attraverso messaggi ingannevoli, ad “acquistare” il falso rimedio che gli possa consentire di prevenire gli effetti indesiderati dell’invecchiamento. L’Associazione svizzera Pro Senectute ha elaborato un documento che precisa la sua posizione nei confronti del suicidio delle persone anziane. In esso, la Fondazione riconosce alle persone il diritto di suicidarsi anche ricorrendo all’aiuto di terzi. L’organizzazione, che si dichiara attenta ai diritti degli anziani, auspica che la cultura rinunci ad un potere assoluto sulla vita e sulla morte e chiede che le autorità garantiscano un degno accom-

spingendolo a rinnegare le sue verità e a ribellarsi alla sua legge. Le sue tre regole (in pratica la “professione di fede” dei suoi adepti) sono: “fai quello che vuoi”,“nessuno ti deve comandare” e “sei Dio di te stesso”. Il diavolo ci conosce e gira intorno a ognuno di noi tentandoci sui nostri punti deboli: bisogna quindi riconoscere le proprie fragilità e fuggire le occasioni che oggi ci vengono offerte anche dai nuovi mezzi di comunicazione, come la televisione e internet. Padre Amorth ha poi messo in guardia dal prender parte a sedute

pagnamento a chi sta per morire. È proprio in questo ordine di idee che rientrano le cosiddette condizioni-quadro elaborate dall’associazione e ritenute indispensabili per “morire bene”. Pro Senectute si impegna anche nella prevenzione del suicidio nell’anzianità e per la realizzazione di misure atte a mitigare la sofferenza del morente, ad esempio riconoscendo in tempo utile la depressione nella persona anziana e favorendo le cure palliative (“Affaritaliani.it”,14 maggio 2013). L’uomo di oggi è particolarmente sensibile a certi richiami a causa di una mentalità priva di riferimenti al trascendente: se quello terreno è il solo orizzonte entro cui l’uomo è confinato il significato stesso dell’esistenza si riduce al “godere la vita” ed evitare la sofferenza. In quest’ottica, il decadimento fisico e psichico conseguente all’invecchiamento o ad una malattia invalidante sono vissuti come insopportabili handicap che rendono inutile se non addirittura dannoso per la comunità il proseguimento della vita. Da qui una certa tendenza a ritardare la vecchiaia (chirurgia estetica, attenzione maniacale alla cura del corpo e alla salute, ecc.) o addirittura a negarla (comportamenti regressivi, pillole per sentirsi ancora giovani e “prestanti”, ecc.).

spiritiche così come dall’entrare in contatto con maghi, indovini, e chiunque sbandieri i propri (presunti) poteri soprannaturali: nella stragrande maggioranza dei casi di tratta di ciarlatani, ma alcuni di essi possono realmente mettersi in contatto con forze maligne; è fondamentale invece pregare e avere una sincera devozione per immagini e oggetti sacri. Solo Dio può essere la risposta alle nostre domande, dare senso alla nostra vita, perché “tutto è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui”. Dio

Non sorprende dunque come gli spacciatori di morte riescano a ritagliarsi una consistente fetta di mercato coprendosi dietro slogan accattivanti ma privi di senso autentico (“morire con dignità” oppure “morire bene”) e una falsa attenzione ai diritti dell’anziano o del morente. Sono sempre più numerosi i Paesi che tendono a normalizzare l’eutanasia o il cosiddetto suicidio assistito secondo una logica che dapprima pone dei rassicuranti “paletti” ma poi tende inevitabilmente a scivolare nell’omicidio di massa. Come in Belgio, dove a seguito della legalizzazione dell’eutanasia avvenuta nel 2002 i casi registrati aumentano costantemente ogni anno e stanno spingendo il parlamento belga ad ampliare la legislazione vigente, in modo tale da consentire il ricorso all’eutanasia anche alle persone incapaci di intendere e di volere (dunque ai loro tutori) ed ai minori di 15 anni. In Svizzera, secondo le vigenti disposizioni del Codice penale l’assistenza al suicidio è permessa fintanto che non è determinata da motivi egoistici. L’articolo 115 del Codice penale svizzero dispone che “Chiunque per motivi egoistici istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria”. ■

è dunque il nostro fine e non c’è destinazione più grande, più meravigliosa, ma “chi non è con Dio, con Gesù è con Satana, non esistono vie di mezzo” ha concluso il noto esorcista. (Per chi fosse interessato sarà disponibile a breve un DVD con la conferenza di Padre Amorth che si potrà richiedere alla redazione di CR: info@corrispondenzaromana.it). ■

Nessuno può raggiungere la grandezza di cui è capace, se prima non ha la forza di riconoscere la sua piccolezza. (Bertrand Russel) ■


ITALIA REALE - 8/2013

5

Chiara Marrè (del Gruppo giovanile)

Gianandrea de Antonellis (Corrispondenza romana)

PREPARARSI ALLA VITA LA GUERRA DEI POLACCHI CERCANO SEMPRE L’UOMO NEL FANCIULLO IN ITALIA E NON PENSANO A CIÒ CHE EGLI È PRIMA DI ESSERE UOMO uello dell’educazione è un aspetto inscindibile dalla vita dell’individuo, tuttavia la sua importanza viene spesso sottovalutata. Educare (dal latino “far uscire, portar fuori) non significa solamente trasmettere cognizioni e informazioni fini a se stesse, significa promuovere lo sviluppo della persona e delle potenzialità che possiede fin dalla nascita, significa insegnare il rispetto delle norme, insegnare l’etica e la morale, gli usi e i costumi…

Q

RACCONTATA DA LUCIANO GARIBALDI l 18 maggio 2014 segnerà il settantesimo anniversario della storica battaglia di Montecassino, che determinò la sconfitta della Wehrmacht tedesca, lo sfondamento della Linea Gustav e l’avanzata degli Alleati, senza più ostacoli insormontabili, verso la liberazione di Roma.

I

Una buona educazione costituisce la linfa essenziale per uno sviluppo maturo e consapevole del fanciullo. “La cultura ha diversità soltanto di gradi; ma essa è suscettibile di un’infinità di gradi. Essa è l’ultimo e più alto mezzo per il raggiungimento del fine supremo dell’uomo, che è la piena coerenza con se stesso, se si considera l’uomo come essere ragionevole e sensibile insieme; è essa stessa il fine ultimo, se si considera l’uomo come essere puramente sensibile. La sensibilità deve essere coltivata: ecco ciò che di più alto e di meglio possiamo fare” (da “La missione del dotto” Fichte). L’artefice dell’educazione è l’insegnante, che possiede un ruolo di prim’ordine nella formazione e che con il suo comportamento può influenzare, anche inconsciamente, lo sviluppo delle idee del fanciullo. Questo particolare rapporto, che si instaura tra insegnante e allievo viene definito “coppia-educativa” e può assumere diverse forme, talune anche insalubri per il ragazzo. Il bravo insegnante è colui che sa creare un clima educativo sereno e che pur conservando la sua autorità sa accogliere il punto di vista dello scolaro dirigendolo verso il Bene. L’insegnamento non dovrebbe mai avere carattere anonimo e nem-

meno esclusivamente enciclopedico, dovrebbe sempre svolgersi in un piacevole equilibrio tra partecipazione intellettuale e affettiva. Scindere l’aspetto emozionale dall’apprendimento è un errore in cui molti cadono: una formazione puramente nozionistica non insegna a vivere, devono quindi scendere in campo psicologia ed educazione spirituale. Ricordiamo che dalle istituzioni scolastiche dovrebbero uscire veri Uomini, esempi d’acclamata moralità con tanta voglia di fare e interessati a contribuire allo sviluppo sociale con le loro risorse e capacità… Sani principi, autodeterminazione, equilibrio affettivo, adattament o sociale e sviluppo del senso morale oltre a caratterizzare l’avvenuta maturazione di un ragazzo sono oggi più che mai tesori rari: colpa solo di uno Stato che non si preoccupa abbastanza dell’educazione o anche di una scuola mal impostata che scredita spesso l’individualità facendo scomparire lo scolaro dietro ad un voto?

Rousseau critica la sua società soffermandosi sull’impostazione educativa perseguita nel suo tempo, sostenendo: “Ne’ faccio maggior conto dell’educazione derivante dalla società, perché, mirando a due fini contrari, li fallisce entrambi: essa è capace soltanto di formare uomini ipocriti, che fanno sempre mostra di altruismo, mentre si preoccupano esclusivamente di se stessi”. Il suo progetto educativo è tanto ambizioso, quanto utopico: si può educare un fanciullo all’interno di una società corrotta, avida, infelice e diseguale? Non secondo il pedagogista ginevrino, tanto che “Emilio” viene portato via dalla società che corrompe ed inserito in un ambiente naturale privo di degenerazioni morali, che rispetta la sua regolare crescita. Quella imboccata da Rousseau è davvero la “via maestra”, oppure vi sono altre possibilità per educare i ragazzi evitando che assorbiscano i mali della nostra società? Forse seguendo il modello pestalozziano di un’educazione a tutto tondo secondo un’unità di mente, mano e soprattutto cuore. ■

La Mondadori ha anticipato i tempi pubblicando, nella collana Oscar Storia, il nuovo libro di Luciano Garibaldi Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia (176 pagine, 11 euro). E’ una ricostruzione storica dell’evento fondamentale della campagna d’Italia 1943-45 - appunto la battaglia di Montecassino che determinò il crollo della Linea Gustav - fortemente incentrata sull’ispirazione cattolica che muoveva i volontari polacchi guidati dal generale Wladyslaw Anders. Quasi centomila Ufficiali e soldati polacchi, presi prigionieri dai russi all’atto dell’invasione tedesco-sovietica della Polonia nel settembre 1939 (l’avvenimento che scatenò la Seconda Guerra Mondiale), ebbero la possibilità di tornare a combattere dopo che, il 22 giugno 1941, Hitler invase l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa). Dai Gulag dove erano stati rinchiusi dai sovietici, raggiunsero, dopo trasferimenti allucinanti, il Medio Oriente e qui, sotto la supervisione britannica, si formò il 2° Corpo d’Armata polacco, che venne inserito nell’Ottava Armata alleata impegnata sul fronte italiano.

La prima, grande vittoria dei polacchi di Anders fu la battaglia di Montecassino, portata a termine il 18 maggio 1944 al prezzo di quasi mille vite umane e più di duemila feriti. I tedeschi si erano installati tra le rovine della storica abbazia benedettina, distrutta da un micidiale quanto assurdo bombardamento anglo-americano. Da qui, con i loro cannoni a lunga gittata, impedivano agli Alleati di avanzare verso Roma. Per ben quattro mesi, soldati di ogni nazionalità avevano tentato invano la conquista della vetta, lasciando sul campo decine di migliaia di morti. Finché arrivò il turno dei polacchi e, con essi, arrivò la vittoria. Fu soltanto l’inizio di una serie di successi militari concretatisi con la liberazione delle Marche, dell’Emilia-Romagna e, infine, di Bologna, espugnata il 21 aprile 1945. La componente cattolica del carattere e della formazione del 2° Corpo

ne in un Paese cattolico. Questa circostanza agevolò l’opera dei cappellani militari che strinsero rapporti di amicizia e solidarietà con il clero italiano e la popolazione civile. I cappellani militari polacchi, coordinati da una figura eccezionale, il Vescovo Jozef Gawlina, si prodigarono sempre in soccorso e conforto sia dei soldati feriti sia della popolazione civile. In particolare, tre le direttive impartite da Monsignor Gawlina: tenere alto il morale dei feriti, dare il conforto religioso ai moribondi, far sentire il proprio affetto alla popolazione italiana. Durante tutto il suo pontificato, il Beato Giovanni Paolo II fu sempre vicino ai suoi compatrioti caduti per l’Italia. Ancora Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Karol Wojtyla visitò il cimitero di guerra polacco vicino al Santuario di Loreto, soffermandovisi a lungo in preghiera. Mancavano pochi mesi alla sua elezione al soglio pontificio, avvenuta il 16 ottobre 1978.

Gen. Wladyslaw Anders d’Armata ebbe una straordinaria rilevanza durante tutte le operazioni belliche in Italia. Per la prima volta, dopo le terribili esperienze in URSS, e dopo i trasferimenti e le esercitazioni in Iran, Irak, Palestina ed Egitto, i soldati polacchi si trovavano a vivere e ad esercitare la loro missio-

E l’ultimo viaggio prima di morire lo fece proprio a Loreto, nel settembre 2004, in occasione del convegno nazionale dell’Alleanza Cattolica. Nel corso dei suoi 27 anni di pontificato, si era recato altre cinque volte in visita al cimitero polacco, dove sono sepolti due suoi amici di gioventù. ■


ITALIA REALE - 8/2013

6

Maurizio Caterino

questo ambizioso obbiettivo si sta investendo molto nelle tecnologie avanzate e nella formazione professionale dei giovani.

MALAYSIA FEDERAZIONE DI MONARCHIE COSTITUZIONALI Una moderna Monarchia elettiva La Malaysia, stato federale di oltre 25 milioni di abitanti, tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico, chiamata anche Federazione della Grande Malesia, si costituì nel 1963, riunendo gli 11 Stati della Federazione della Malesia (indipendente dal 1957), il Sabah, il Sarawak e Singapore, quest’ultimo però lasciò la federazione nel 1965. Il Paese comprende oggi tredici Stati, oltre a tre territori federali: Kuala Lumpur (la Capitale), Labuan e Putrajaya. Si tratta di una federazione di Monarchie costituzionali, il cui capo, che assume il titolo di “Re della Malesia” viene eletto, con un mandato di cinque anni, tra i nove Sovrani ereditari e i quattro Capi di Stato elettivi (le cui prerogative all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso furono notevolmente ridimensionate) dei tredici Stati che compongono la Federazione. Al Capo della Federazione viene riconosciuto il titolo di Yang Di Pertuan Agong (colui che è stato fatto Capo Supremo); egli assume sia il potere esecutivo che il potere legislativo (similmente come previsto dallo Statuto Albertino), che vengono esercitati insieme al Governo e al Parlamento. Il Re della Federazione è anche simbolo dell’unità nazionale, comandante supremo delle Forze Armate e massima autorità religiosa di Pinang e Malacca. È compito del Re scegliere il Primo ministro che deve essere il leader del maggior partito della Camera dei Rappresentanti. Il Parlamento è composto da due Camere: la Camera dei Rappresentanti (Dewan Rakyat, 219 membri) e il Senato (Dewan Negara, 70 membri). La Camera dei rappresentanti è il principale organo legislativo, mentre il Senato ha solo il potere di sospendere la legislatura. I senatori vengono nominati, con

frutt o di politiche governative orientate sul risparmio e sulla scelta di investimenti oculati in ambito nazionale, pertanto non è più in balia della volatilità dei prezzi delle materie prime.

Bandiera della Malaysia

un mandato di tre anni, 44 dal Re della Federazione (come nello Statuto Albertino) e 26 dai Parlamenti dei singoli Stati. Ogni Stato è dotato di organi esecutivi propri (Gabinetto ministeriale e Consiglio dei ministri) e di un organismo legislativo unicamerale, la cui composizione può variare. I membri del Parlamento degli Stati vengono tutti eletti a suffragio diretto con un mandato di cinque anni, (tranne quelli del Sabah). Ogni azione destinata a modificare i confini del Paese o a estendere alla Federazione la legge islamica, deve essere sottoposta all’approvazione della Conferenza dei Regnanti formata dai nove Sovrani ereditari e dai quattro Capi di Stato elettivi. A livello locale l’amministrazione è affidata alle singole municipalità e ai consigli comunali.

Un’economia florida guidata dallo Stato La Malesia è una potenza di media grandezza, con il Pil al decimo posto fra i Paesi dell’Asia e al ventinovesimo tra quelli mondiali. L’economia della Malesia vanta due primati assoluti: quello della produzione di caucciù, il cui volume annuo si avvicina alla metà del volume complessivo mondiale, e quello della produzione di stagno, anch’esso quasi la metà del totale mondiale. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Sarawak e del Sabah, dove opera “Petronas”, la compagnia petrolifera malese di proprietà

Il grande economista e Premio Nobel J. Stiglitz sostiene che, alla base della rapida espansione

Dalla Malesia suggerimenti per l’Italia E’ alquanto strano, sorprendente e paradossale che, nonostante tutte queste eccellenti premesse, la Malesia sia stata coinvolta pesantemente, suo malgrado, in una tremenda crisi finanziaria nel luglio del 1997, evento inaspettato che colse alla sprovvista

statale, garantisce l’autosufficienza energetica al Paese. Altre risorse minerarie, in gran copia, sono costituite dai minerali di ferro, oro, bauxite, manganese e tungsteno. Da non trascurare assolutamente le colture di riso, manioca, mais, patate e frutta tropicali (ananas, caffè, cacao, arachidi, cocco, palme da olio, pepe e spezie), fortemente incentivate dalle politiche governative. Negli ultimi trent’anni la Malesia ha conosciuto una strabiliante crescita economica, trasformandosi da Paese in via di sviluppo in uno dei Paesi più ricchi del sud-est asiatico, non più dipendente soltanto dalla produzione ed esportazione di materie prime. Con la Nuova politica economica (Npe), di stampo prettamente dirigista, la Malesia è divenuta leader mondiale nella produzione di componenti elettronici e primo Paese del Sud-Est asiatico per l’assemblaggio e l’esportazione di automobili. Anche i settori dei servizi, del turismo e della finanza sono moderni ed estesi, tant’è che la Borsa della Capitale Kuala Lumpur è settima per grandezza in tutta l’Asia. Notevole anche il ruolo dei circuiti bancari islamici per i quali vige, tra l’altro, il divieto di lucrare sugli interessi. Con la Npe in particolare è stato drasticamente abbattuto il tasso di povertà, innalzando il reddito medio pro-capite e riducendo la dipendenza dal capitale straniero tramite la nascita di società ed imprese a capitale statale. L’economia, molt o diversificata, poggia pertanto su solide basi,

Joseph Stiglitz economica della Malesia, vi sia stata anche la capacità di limitare le diseguaglianze, soprattutto tra le diverse etnie (malesi, cinesi, indiani), riducendo la povertà ed impegnandosi in un’equa redistribuzione della ricchezza prodotta, migliorando così le condizioni di vita della gente. Sono questi infatti i requisiti fondamentali per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e durevole, guidato dallo Stato, non certamente dalla mano invisibile del mercato, che costituisce solo una pericolosa e fallace illusione. Ed inoltre non sono peraltro trascurati minimamente gli indispensabili obiettivi di macrostabilità internazionale: la robustezza dell’economia è confermata infatti dai bassi tassi d’inflazione e disoccupazione, nonché dalla buona capacità di saper opporsi agli assalti speculativi dei colossi finanziari internazionali. Sicuramente in tutto ciò un ruolo basilare è svolto dall’Istituzione Monarchica, che ora si accinge a trasformare la Malesia in una nazione altamente sviluppata non solo sul piano economico, ma anche a livello politico, sociale e spirituale entro il 2020 (progetto “Vision 2020)”; per conseguire

osservatori economici ed istituzioni internazionali. Eppure, sia per questa Nazione, che per la circostante regione asiatica, comprendente Tailandia, Indonesia e Corea del Sud, l’Fmi (Fondo Monetario Internazionale) aveva vaticinato, senza alcuna ombra di dubbio, una costante e sostenuta crescita economica. Fu in realtà una crisi scatenata ed orchestrata dalla potente ed indomabile piovra finanziaria mondialista allo scopo di imporre il suo oscuro predominio; non è un caso che allo stesso modo si stanno comportando anche con l’Italia. Come fecero poi questi Paesi del Sud-Est asiatico, in particolare la Malesia, ad uscire da codesta grave congiuntura e a divincolarsi dalla terribile morsa selvaggia dei mercati speculativi, che non demordono tanto facilmente? La Malesia ne venne fuori praticamente indenne, in un anno o

poco più, grazie ad una manovra finanziaria consistente principalmente in: annullamento dell’Iva locale per le automobili di produzione nazionale e per i pacchetti turistici nazionali, prezzi politici per gli alimentari di prima necessità, ma soprattutto svincolo del Ringgit malese dal Dollaro di Singapore e controllo dei cambi, ovvero il ripristino assoluto della sovranità monetaria, con la Banca centrale posta addirittura sotto il diretto controllo del primo ministro: una orrenda eresia per il Fmi e per la Banca Mondiale! Ed inoltre tutti i supermerc ati malesi esponevano la merce importata o proveniente da multinazionali estere in zone separate rispetto ai prodotti nazionali, che invece riportavano i prezzi agevolati e più convenienti. L’obbiettivo era il mantenimento del flusso di denaro, perché un’eventuale fase di recessione era ritenuta esiziale per l’economia del Paese. Non a caso il prefato J. Stiglitz riuscì a dimostrare le sue validissime teorie proprio focalizzando l’attenzione sul caso malese, indicato come esempio di economia che aveva saputo reagire superbamente alla crisi, rigettando innanzitutto i subdoli dettami impartiti dal Fmi, che predilige sempre austerità, rigore, liberalizzazioni e privatizzazioni, secondo il solito fallimentare copione ultraliberista. Stiglitz in particolare faceva riferimento principalmente alle politiche intelligenti e coraggiose del Primo Ministro malese Mahathir Mohamad, che aveva saputo adottare una strategia protezionistica, tesa a restringere e controllare i flussi di investimenti provenienti dall’estero, privilegiando obbiettivi di auto-sufficienza e facendo così andare in fumo ogni baldanzoso proposito affari-

Ringgit malese


ITALIA REALE - 8/2013

7

Carlenrico Navone

IL RE E IL COLERA l 13 settembre 1884 venne data ufficialmente notizia, con la pubblicazione di un “bollettino sanitario” sul quotidiano “Il Corriere del Mattino”, dello scoppio dell’ennesima epidemia di colera a Napoli. I casi segnalati erano solo 24, ma la paura attanagliò subito tutti i cittadini: ben sapevano, infatti, che anche le epidemie precedenti erano incominciate con un piccolo numero di colpiti dal morbo, poi moltiplicatisi con inarrestabile progressione, ed erano quindi giustamente spaventati. Né il loro terrore si dimostrò ingiustificato: già il giorno 8 i casi segnalati erano saliti a 300 ed il bollettino (divenuto giornaliero) aggiungeva che i più dei colpiti erano morti in poche ore.

I

Mahathir Mohamad stico internazionale. Il Premier malese ebbe inoltre l’accortezza di mirare all’abbattimento dei tassi d’interesse (contrariamente a quanto prescritto dal Fmi!) e di limitare il deflusso dei capitali speculativi parassitari, allo scopo di contrastare il gran casinò finanziario ordito dalla obliqua plutocrazia cosmopolita, che aveva già provocato non pochi guai alle altre economie della regione. Purtroppo l’alta finanza predatoria continuerà sempre a tramare scelleratamente, tentando di destabilizzare in ogni modo le Nazioni che si ribellano alle sue furfantesche scorribande speculative. Certi politicanti europei, ed italiani in part icolare, imb o l s i t i e mediocri lacchè globalisti, dovrebbero andare a scuola da quelle parti (ma for s e no n hanno nemmeno letto Salgari!), o almeno iniziare a chiedersi, per esempio, perché laddove l’Iva è minore, l’economia cresce di più. Negli Stati Un i ti s i assesta generalmente tra il 10% e il 12%, in Asia tra il 3% e il 7%. In Italia si d i s c u t e sciocc amente se aumentarla, nonostante sia già fin troppo elevata, magari dovrebbe essere ridotta per i prodot ti nazio n a l i e d aumentata solo per le merci provenienti da Paesi che non rispettano l’ambiente e non tutelano i lavoratori. Forse per il nostro Paese sarebbe pure opportuna una politica estera di

maggiore indipendenza, di maggiore variabilità e flessibilità nelle alleanze internazionali, allo scopo di ampliare il mercato per le nostre produzioni ed ottenere energia a prezzi più convenienti. Per raggiungere questi intenti, non si tratta però solo di possedere le necessarie competenze tecniche nell’arte di governo di una nazione, ma anche di essere muniti di coraggio ed onestà nell’affrontare questioni spinose e nel respingere senza tentennamenti determinati programmi economicopolitici disumani e rovinosi dettati dal Fmi o da altre Istituzioni internazionali ed europee, opache emanazioni di insaziabili oligarchie, che propugnano un iperbolico anarchismo finanziario a proprio uso e consumo, incuranti dei bisogni della gente. Purtroppo il coraggio, come diceva don Abbondio, uno non se lo può dare! ■

Tutte le collaborazioni al Mensile sono offerte, effettuate e ricevute completamente a titolo gratuito, e conseguentemente non comportano il minimo onere di alcun genere per l’Alleanza Monarchica, questo Mensile ed il suo Direttore. Il Direttore, rispondendo per legge verso terzi in v ia solidale con gli autori, ha libero e pieno diritto di ridurre e modificare gli articoli.

Alla stazione i treni erano presi d’assalto: gli stranieri fuggivano ed i napoletani che potevano farlo s’allontanavano dalla loro città cercando di rifugiarsi nelle campagne o, addirittura, in Alta Italia. Da Roma, Umberto I s e g u i va c o n e s t re m a cura l’evolversi della situazione: un suo telegramma “urgente” ordinava, sin dal giorno 5, che i bollettini gli venissero spediti ogni giorno; un secondo dispaccio c h i e d e va a l M i n i s t ro Mancini quali fossero le più urgenti necessità dei cittadini partenopei; un t e r z o, a p o c h e o re d i distanza, preannunciava la sua intenzione di recasi personalmente a Napoli, il giorno 9, per un d i re tt o e s a m e d e l l a situazione. Malgrado il gravissimo rischio di contagio (e l’opinione contraria di quasi tutti i suoi consiglieri) il Sovrano giunse a Napoli - accompagnato dal fratello Amedeo, Duca d’Aosta, e dal Depretis - alle ore 15,30 del 9 settembre, accolto alla stazione dal Sindaco, dal Prefetto Nicola Amore, dal Ministro Mancini e dai Generali Quaglia e Mezzacapo, ed alloggiò a Palazzo Reale (non a Capodimonte, come gli era stato consigliato), onde iniziare, il mattino successivo, la visita degli ospe-

dali cittadini (i ricoverati erano nel frattempo saliti a 500).

solo, con un sol grido angoscioso: ‘Maestà!... Maestà!... Maestà!’.

Ma la notizia dell’arrivo del Re era scoppiata come una bomba, in cit-

Il Re apparve al balcone, poco dopo. Quel mare umano fluttuante, pene-

Decorazione riportante da un verso l’effige di Re Umberto I e dall’altro la leggenda “Ai benemeriti della saluta pubblica - Anno 1884”, conferita ad enti e persone che operarono nelle zone infette dall’epidemia di colera. tà, e malgrado il pericolo incombente una folla enorme s’era radunata nella piazza antistante Palazzo Reale: sicchè la carrozza reale faticò non poco a raggiungerlo. Ma, a questo punto, abbiamo la fortuna d’avere il resoconto di un testimone oculare davvero d’eccezione: il giornalista e poeta Salvatore di Giacomo (autore dei versi d’alcune tra le più belle canzoni napoletane, note ed apprezzate in tutto il mondo). Giova trascriverlo senza commenti, perché gli stessi non sono necessari: “La piazza Plebiscito, davanti Palazzo Reale, offriva in quel momento uno di quegli spettacoli che non si dimenticano più. Quasi come se avessero saputo che il Re non si sarebbe recato a Capodimonte, che non si sarebbe allontanato dalla città, che vi sarebbe rimasto in mezzo al suo popolo sventurato, il popolo era lì ad aspettare Umberto ed occupava tutta la piazza, e s’arrampicava fin su per le colonne dei fanali. L’emiciclo della chiesa di San Francesco di Paola pareva un anfiteatro: a’ balconi, alle terrazze, sulla cupola medesima della chiesa era gente. Migliaia e migliaia di braccia si facevano tremanti, migliaia e migliaia di voci suonarono come un suono

trato da un fremito, percorso, nella sua compagine palpitante, da un mormorio che si faceva sempre più impressionante e più indistinto, gorgogliava come gonfiato da ondate incommensurabili. Dall’alto del vasto poggiolo, sulla cui balaustra i valletti avevano steso il solito tappeto rosso, Umberto contemplò, meravigliato e commosso, questo nuovo spettacolo illuminato da un sole ardente. Giunsero all’orecchio suo frasi indistinte, parole di saluto e di preghiera, di benedizione e di dolore, confuse in un urlo che quasi non pareva più umano. Macchinalmente il Re portò la mano al suo berretto. E di fronte a tanto dolore, a tanta fiducia, si scoperse, con le lacrime agli occhi…”. La visita si protrasse per quasi venti giorni, con continue e periodiche uscite del Sovrano: il che suscitò l’ammirazione di tutta Europa. E’ ancora Salvatore di Giacomo che scrive: “… In quello stesso giorno, dalla Casa Reale di Napoli erano inviate al Sindaco 300 mila lire per i poveri. In quello stesso giorno arrivavano al Re telegrammi di ammirazione e di auguri della

Regina Vittoria d’Inghilterra, di Francesco Giuseppe Imperatore d’Austria, del Presidente della Repubblica francese, dell’Imperatore di Germania. Uno, tra gli altri, non era stato ancora aperto. Il Re si disponeva a risalire in carrozza e a movere daccapo alla visita degli ospedali: intorno a lui erano il Duca d’Aosta, il Depretis, il Prefetto, le autorità di Palazzo. Pareva che Umberto indugiasse. Aveva fra le mani il telegramma chiuso, e lo contemplava pensoso. ‘Questo’, mormorò ad un tratto, ‘è della Regina. Lo sento’.‘Maestà’, disse uno dei presenti,‘Sua Maestà la Regina ha ben diritto di temere per Vostra Maestà. Riparta. Ormai già è stato a Napoli due settimane’. Il Re leggeva. Il suo volto s’illuminò. Egli porse il telegramma al Depretis e gli disse:‘Legga pure’: Il Depretis lesse a voce alta: ‘Io e il Principe ereditario siamo orgogliosi di possedere tal marito, tal padre. La divina provvidenza è con te. Ella Ti guidi. Ella protegga i tuoi passi. Margherita’. ‘Dunque?’, fece quasi allegramente Umberto. ‘Hanno udito? Ora il nostro dovere non è di rimanercene qui senza far niente. Andiamo, signori’. Scesero nel cortile della Reggia. La carrozza ne uscì, avviandosi all’ospedale della Maddalena …”. ■

COMUNICAZIONE AUTOMATICA La Guardia di Finanza ha accertato che su circa 10.000 pensioni erogate dall’Inps nella provincia di Lecco, 300 non erano più dovute per essere deceduti i beneficiari. Sono così risultate truffe per almeno 700.000 euro introitati indebitamente da parenti di defunti, alcuni da lunga data come quelli di un nipote che ha incassato per novanta mensilità la pensione del nonno scomparso da 7 anni. Sorge spontanea la domanda di cosa impedisca il collegamento delle anagrafi comunali con i computer dell’Inps, che consenta la comunicazione automatica con conseguente blocco immediato della pensione delle persone mancate. ■


ITALIA REALE - 8/2013

8

Giuseppe Baldoni

LA FINE DELLA “DITTATURA” DI GARIBALDI NEL MERIDIONE LA DISINFORMAZIONE STORICA E LA FAZIOSITÀ DI ALCUNI PSEUDO SCRITTORI CI IMPONE DI ESPORRE AI GIOVANI I FATTI E LE REALI INTENZIONI DEI PROTAGONISTI DAL PERIODO RISORGIMENTALE FINO AI NOSTRI GIORNI

PREMESSA

l’avanzata dei volontari, ai quali inviava in Calabria armi e munizioni con la nave Doria (4), così come nel giugno aveva fatto pervenire in Sicilia ottomila carabine rigate e quattrocentomila cartucce (5).

La rinuncia di Garibaldi alla Dittatura, nonostante l’opposizione dei suoi consiglieri (1), fu giudicata da alcuni storici come un fatto misterioso; da altri come un atto di buon senso di inevitabile rassegnazione di fronte a forze preponderanti, tacendo il vero motivo, quello determinante, che indusse il Generale ad un immediato mutamento di opinione. L’evento risolutivo che portò a decretare il plebiscito, e quindi a rinunciare alla Dittatura, fu una grande manifestazione dei Napoletani a favore dell’immediata annessione del Meridione al Regno di Vittorio Emanuele: un fatto significativo, seguito da una decisione logica, di autentica democrazia da parte di Garibaldi, che accolse e fece sua la volontà popolare. Un evento non gradito e taciuto da quegli storici che interpretano gli avvenimenti, le intenzioni ed i comportamenti dei protagonisti secondo preconcetti radicati, come è accaduto allo storico inglese Mack Smith, la cui opera è caratterizzata da una forte acrimonia nei confronti dei Re d’Italia, di Cavour, dei politici liberali, con una scarsa valutazione dell’epopea risorgimentale: una astiosità dello Smith che non poteva non essere gratificata dagli uomini della repubblica italiana, con ampie onorificenze, malgrado le critiche di alcuni repubblicani, come il mazziniano Luigi Salvatorelli, il quale commentava “il nostro (lo Smith, ndr) sembra pensare che il guaio dell’unificazione italiana sia stato di essere compiuta troppo presto. Soprattutto non lo fu per Garibaldi che Mack Smith colloca come termine antitetico a Cavour. Il nostro autore non parla se non per brevi cenni dei buoni motivi che Cavour aveva per opporsi a una marcia garibaldina su Roma.

I rapporti tra il Governo di Torino e il Generale, verso la metà di settembre, giunsero al culmine della tensione (6). I ministri piemontesi, come il Parlamento e l’opinione pubblica del Nord, non tolleravano la mancata annessione della Sicilia precipitata nell’anarchia, per cui il Depretis, concorde coi ministri palermitani, aveva dato le dimissioni da prodittatore dell’isola.

Giuseppe Garibaldi Essa avrebbe prodotto una catastrofe. Una segreta, forse inconscia antipatia, di carattere moralistico contro Cavour, sembra esserci nel Mack Smith, inducendolo più di una volta a non valutare i motivi e lo spirito della politica cavouriana … D’altra parte si deve anche riconoscere che il corso favorevole di circostanze, esterne ed interne, non colto a tempo, avrebbe anche potuto dileguarsi e l’unità d’Italia, nonostante la gestione secolare, essere ancora rinviata per qualche soluzione o compromesso intermedio. L’avere intuito più o meno chiaramente ciò, fu l’opera meravigliosamente concorde di Mazzini e

Camillo Cavour

Cavour, di Garibaldi e Vittorio Emanuele” (2). Non fu solo lo Smith a interpretare in modo parziale gli avvenimenti e i protagonisti: si consideri che gran parte della storiografia italiana postulò la tesi di una presunta, costante ostilità di Cavour verso Garibaldi, mentre, caso mai, sarebbe più giusto affermare il contrario. Prima dello sbarco dei volontari in Calabria, Cavour si era attivamente adoperato per suscitare una “insurrezione unitaria” a Napoli, allo scopo di evitare un ulteriore scontro tra Italiani e utilizzare il superstite esercito napoletano contro l’Austria, per liberare il Veneto. Egli era convinto del valore morale e civile del movimento Garibaldino (3) ma avrebbe voluto che i Napoletani conquistassero da soli la libertà con una insurrezione che avrebbe giustificato l’intervento dell’Esercito piemontese. Quando il 23 agosto fu informato che la ribellione a Napoli non aveva successo, “non ostacolò”

Il Governo piemontese non poteva permettere a Garibaldi una marcia su Roma, che i Francesi presidiavano, mentre l’esercito austriaco era mobilitato alla frontiera. Cavour, il 30 agosto aveva scritto a Garibaldi per sollecitarlo “a ritornare all’antica fiducia per la salvezza della causa comune” (7) e in seguito, più volte lo invitò ad una riconciliazione tramite il Persano, il Villamarina, il Mancini, prospettando anche la eventualità di trasferire l’esercito garibaldino sul Mincio, per difendere i confini. L’equivoco di Garibaldi consisteva nella contraddizione tra la fedeltà sincera a Vittorio Emanuele e la presenza a Napoli di consiglieri, quali Mazzini e Cattaneo, che nel 1848, contro la sua volontà lo avevano indotto a lasciare Milano con i suoi volontari, per condurre un’inutile guerriglia, anziché unirsi a Carlo Alberto nell’ultima battaglia a difesa della città, che avrebbe potuto avere, col suo intervento, un esito diverso. Garibaldi intendeva rinviare i plebisciti e, di conseguenza, le annessioni nonché la decadenza della Dittatura, per non per-

dere la possibilità, che riteneva favorevole, di marciare su Roma e conquistarla: egli era assolutamente unionista, se così si può dire, ma non era annessionista in quel momento, per le ragioni suddette. Infatti egli incorporò tutta la Marina militare e mercantile dei Borboni alla Flotta piemontese del Persano: rese lo Statuto Albertino legge fondamentale dello Stato conquistato e sostituì leggi e regolamenti precedenti con quelli piemontesi. Nonostante la presenza a Napoli del Cattaneo, non ebbe mai aspirazioni federaliste, che ingiustamente gli vennero attribuite da Gaetano Salvemini (8) il quale scrisse: “Garibaldi, dopo lunghe pietosissime esitazioni, cedette agli unitari”. Un’affermazione, questa, unitamente ad altre, che stravolge la verità, perché il Nizzardo in tutti i suoi discorsi, nell’azione e nei suoi propositi, fu sempre rigorosamente unitario. Non voleva indire i plebisciti e rinviava le annessioni solo temporaneamente, finchè non avesse conquistato Roma, anche “se gli mancavano i mezzi necessari per annientare le forze borboniche: non aveva artiglierie per sottomettere Capua e Gaeta, e nel frattempo era trattenuto nei suoi accampamenti. Pallavicino era tornato a Napoli con un nuovo rifiuto del Re” (9) (di accettare le dimissioni di Cavour e del Farini, richieste da Garibaldi - ndr). Pallavicino, d’accordo coi suoi ministri, decise “di indire il plebiscito, ritenendo che Garibaldi avrebbe dato il suo consenso, probabilmente egli lo diede; egli era contrastato e impazientito da tutto ciò”. “Io sono uomo di guerra - diceva e non me ne intendo di queste cose …”. “Crispi, sebbene avesse preso parte alla decisione dei ministri, ora capitanava l’opposizione e propose invece del plebiscito un’A ssemblea rappresentativa. In realtà quasi tutti i consiglieri del Generale erano anti-annessionisti, e il fine era la conquista di Roma, non avendo percezione della gravità della situazione” (10). Vi era a Napoli un governo, con un suo esercito che agiva in contrasto col Governo di Torino.“Inoltre” - commentava ancora lo storico King - “eranvi problemi con la polizia camorrista …; con tutti gli elementi torbidi della capitale, con una massa di soldati borbonici disertori,

con forzati fuggiti dalle prigioni … e con la reazione che già aveva alzato il capo ad Ariano. I funzionari civili eransi meglio allargati, se possibile, ancor prima della rivoluzione, giacchè Bertani aveva rimpinzati gli uffici di avventurieri. Pensioni e sinecure vennero elargite tanto ai veri che ai falsi “martiri” delle tirannia. Ottomila fucili che erano stati mandati per la guardia nazionale, scomparvero e caddero in mani pericolose. Una concessione ferroviaria fu assegnata a condizioni svantaggiose per lo Stato …” (11).

IL PLEBISCITO Una descrizione delle tensioni politiche nel Meridione e dei contrasti sorti per il plebiscito, si può leggere nella “Storia Civile del Regno d’Italia” (12) di Nicola Nisco, opera a cui molti attinsero. Il Nisco, presente ai fatti e in alcuni casi protagonista, annotava: “Il generale col suo ostinato proponimento di un’annessione condizionata alla occupazione di Roma, aveva sollevato non solo l’opposizione del Governo di Torino, ma anche quella dei ministri napoletani e del popolo solidale con loro. Quando il Pallavicino, l’illustre prigioniero dello Spielberg, faceva approvare dal consiglio dei ministri il decreto che convocava il popolo delle province meridionali ad accettare o respingere il seguente plebiscito: - il popolo vuole l’Italia una e indipendente con Vittorio Emanuele re costituzionale e suoi legittimi discendenti …, insorsero gli oppositori vigorosamente, e indussero Garibaldi a convocare un consiglio a Caserta. Stanco alla fine il Pallavicino lasciava quel riunito consiglio, ritornava in Napoli e dava le dimissioni. La dimane ebbe luogo la grande manifestazione del ‘sì’ portato al cappello, scritto sulle case e sulle botteghe, tale che pareva, al dire Caranti, che in Napoli fossevi stata una grande nevicata di SI. All’inizio di questa grande dimostrazione il Garibaldi da Caserta corse a Napoli. Circondato da un’immensa folla acclamante l’annessione e esecrante agli oppositori, sotto una pioggia di ‘sì’ sulla sua carrozza, arrivava alla


ITALIA REALE - 8/2013

9

annessionistiche del popolo napoletano; che Garibaldi fu in sintonia con esse, mentre contrari e decisamente ostili si dichiararono i consiglieri della Dittatura, benché Italiani e “democratici”. Lo stesso Nisco citava i risultati del plebiscito: “Ordinatissimi nel 2 ottobre si raccolsero i comizi nella metropoli e nelle province napoletane e sicule, e le due corti di cassazione proclamarono, eseguiti gli scrutini, per le prime 1.310.266 sì e 10.102 no, e per le seconde 432.054 sì e 661 no”.

NOTE: Giorgio Pallavicino foresteria. Per calmare il crescente tumulto si affacciava al balcone per parlare al popolo, e bastò perché questo tornasse alla calma, l’annunzio del prossimo arrivo del Re. Questo spettacolo fece grande impressione sull’animo di colui che tenevasi unico idolo del popolo, onde riuniva subito un consiglio in cui, con i suoi ministri, intervennero il Cattaneo, il Turr, il Saliceti. La discussione divenne aspra, e quando il Saliceti presentava proposta di promulgare per decreto dittatoriale la sovranità di Vittorio Emanuele, salvo a farla sancire da un plebiscito e regolarla da un parlamento, il Pallavicino, cui parve, si volesse del Re fare una creatura del dittatore e sottoporre la monarchia a una assemblea costituente, si levò d’un tratto dicendo ‘- Vedo che sono inutile qui, permettete che io mi ritiri’. ‘Fortunatamente il Turr, che comandava la piazza di Napoli, metteva la petizione della guardia nazionale della cittadinanza sotto gli occhi di Garibaldi il quale, dopo aver letto e meditato sulle numerosissime firme esclamò:‘ - Non voglio assemblea, si faccia l’Italia’ - e voltosi al Pallavicino, gli disse ‘- Caro Giorgio vi ringrazio, vi prego di rimanere al vostro posto’. Il partito del plebiscito trionfò e con esso il buon senso dei Napoletani e la volontà nazionale sulla individuale, anche del Garibaldi. Possono gli autonomisti e i federalisti rimpiangere il passato …, ma non possono negare che l’unità di Stato fu

sentimento universale di popolo, non trovata di statisti o prodotto di conquista. Per tutte le città e anche nei paeselli si portava il sì all’occhiello e al cappello, si portava sulle bandiere, si affiggeva sulle porte delle case, ed il Garibaldi, benché amatissimo, potentissimo e glorificato dalle vittorie e dalle benedizioni non potè più di Francesco II imporre la volontà sua, contraria al loro sentimento” (13). La grandezza d’animo, pari al suo nobile patriottismo, indusse Garibaldi ad accogliere la volontà del popolo che voleva l’annessione immediata. E’ da notare che l’ungherese Turr, uno straniero, fu democraticamente più sensibile alle richieste

(1) Tra i “consiglieri” di Garibaldi vi era il Cattaneo, che voleva l’elezione di Parlamentari speciali per la Sicilia e il Napoletano, quasi due Regni distinti: vi era Agostino Bertani, segretario generale della Dittatura, amico del Mazzini e segretario della Società armata, parallela ed emula alla Società Nazionale; il Mazzini, favorevole all’annessione dopo l’occupazione di Roma; Alberto Mario, partigiano ardentissimo della Dittatura; il Saliceti e alri. (Nicola Nisco: “Storia Civile del Regno d’Italia”). (2) Luigi Salvatorelli in “Spiriti e figure del Risorgimento”, pp. 350/55 (edit. Le Monnier). (3) Lettera a Nigra del 9 agosto 1860. “Se domani”, scriveva Cavour,“mi mettessi in lotta con Garibaldi è possibile che avrei con me la maggior parte dei vecchi diplomatici, ma

l’opinione pubblica europea sarebbe contro di me … e avrebbe ragione, perché Garibaldi ha reso all’Italia il più grande servizio che un uomo possa rendere: egli ha donato agli Italiani la fiducia in sé stessi: egli ha dimostrato all’Europa che gli Italiani sanno battersi e morire per conquistare una patria” (testo dal francese tratto da A. Capone: “Destra e sinistra da Cavour a Crispi”, p. 22, U.T.E.T.). (4) N. Nisco, “Storia civile del Regno d’Italia”. (5) G. Guerzone: “Garibaldi”, pg. 274. (6) Il 27 settembre, certamente condizionato dai rapporti diplomatici con Napoleone, Cavour scriveva a Nigra: “Dire chiaramente all’Imperatore: se Garibaldi persevera nella via funesta in cui è entrato, in 15 giorni noi ristabiliremo l’ordine a Napoli e a Palermo, anche se dovessimo gettare tutti i garibaldini in mare”. Parole gravi, ritenute necessarie, ben diverse da quelle contenute nella lettera del 30 agosto ed a quelle delle lettere successive che sollecitavano una riappacificazione con Garibaldi, sempre ostinato nel suo proposito di non indire i plebisciti e di marciare su Roma. (7) Belton King: Storia dell’Unità Italiana, vol. II, pag. 183. (8) Gaetano Salvemini, “scritti sul Risorgimento”, pag. 389:“Garibaldi, dopo lunghe, penosissime esitazioni, cedette agli unitari”. (9) Belton King, “Storia dell’Unità Italiana”, vol. II, pag. 189. (10) ibidem (11) ibidem (12) Storia Civile del Regno d’Italia, vol. IV, pp. 387-388. Il Nisco organizzò la spedizione di armi e munizioni per i garibaldini con la nave Doria che sbarcò il suo carico in un porto della Calabria, non ritirato, abbandonato dall’esercito dei volontari. (13) idem, pg. 387-388. ■

C.N.

GLI “IRREDENTI” el corso della Prima Guerra Mondiale venivano così chiamati i soldati dell’Esercito austro-ungarico di lingua italiana (perché nati nel Trentino, in Alto Adige o nella Venezia Giulia) inviati prevalentemente a combattere sul fronte russo.

N

Oltre 25.000 di essi vennero fatti prigionieri tra il 1914 ed il 1915 in Russia; ne nacque una situazione paradossale, perché tale Nazione combatteva come l’Italia contro gli Imperi Centrali: se, quindi, formalmente, gli “Irredenti” erano prigionieri di guerra perché arruolati nell’Esercito austriaco, sostanzialmente erano “alleati” dei Russi (perlopiù desiderosi soltanto di raggiungere l’Italia per combattere l’odiato oppressore). Per sistemare la loro delicata posizione fu inviata in Russia una apposita Commissione, diretta dal Ten. Col. Achille Bassignano, valoroso Alpino di Cuneo, la quale dopo aver sormontato difficoltà di ogni genere, riuscì ad ottenerne il rimpatrio. Il primo scaglione (mille uomini) potè

Nuova vi erano il Ministro Comandini ed il Sindaco SenatoreTeofilo Rossi).Un secondo ed un terzo scaglione giunsero, sempre a Torino, il 13 ottobre ed il 15 novembre (uno dei rimpatriati era Augusto De Gasperi, fratello del futuro Presidente del Consiglio dei Ministri On. Alcide). In complesso, rientrarono in Italia 3.700 “Irredenti”. E gli altri? Nel frattempo, purtroppo, le cose in Russia erano profondamente cambiate: era scoppiata la rivoluzione ed il Governo provvisorio di Kerenskij, aveva stipulato con gli Imperi Centrali l’armistizio di Brest-Litovsk. Gli “Irredenti” non erano più “alleati” dei Russi, anzi erano degli “Indesiderabili”, sospetti di antibolscevismo. Ciò in teoria ne favoriva il ritorno in Italia (perché i rivoluzionari non vedevano l’ora di toglierseli di torno) ma in pratica creava problemi enormi a causa del caos che regnava in Russia. Grazie all’abnegazione del Maggiore dei Carabinieri Cosma Manera (che nel frattempo ave-

GIUSTIZIA?

Stefano Turr

La lentezza dei procedimenti civili causa all’Italia un danno quantificabile tra 14 e 16 miliardi di euro l’anno. I 5 milioni di cause pendenti (3.358 ogni 10 0 mila abitanti, a fronte di una media Ocse di 2.738) rallentano la concessione di prestiti e mutui e gravano sugli interessi di mora e sulle assunzioni in particolare da parte delle piccole e medie imprese. ■

Maggiore Cosma Manera lasciare la Russia in treno il 13 agosto 1916: dopo un lunghissimo viaggio sino al porto di Arcangelo, gli “Irredenti” vennero imbarcati sulla nave inglese “Huntspeal” che li portò a Glasgow; di qui, attraversate in treno la Gran Bretagna e la Francia, raggiunsero finalmente Torino, ove il 9 ottobre ricevettero accoglienze trionfali (a riceverli a Porta

va sostituito il Bassignano, destinato ad altri incarichi) altri tremila uomini riuscirono a rimpatriare raggiungendo dopo uno spaventoso viaggio sulla Transiberiana - il porto di Vladivostok e la Cina (10 aprile 1918), da dove si imbarcarono su navi appositamente noleggiate in Giappone. ■


ITALIA REALE - 8/2013

10

Domenico Giglio

EUGENIO DI SAVOIA-CARIGNANO UN ARTEFICE DEL RISORGIMENTO ITALIANO erchè un personaggio di tale statura, che tanto ha influito sugli eventi che hanno contraddistinto uno dei periodi più importanti, significativi e complessi della storia d’Italia, ha trovato così poco riscontro presso gli storici tanto da essere quasi dimenticato?”. Questa è la domanda sulla quarta di copertina del libro del Generale Mauro Ferranti intitolato Eugenio di Savoia-Carignano Un artefice del Risorgimento Italiano, stampato dalla Umberto Soletti Editore a marzo 2013 ed uscito in questi giorni.

“P

La domanda ha una facile risposta: in un’Italia che dopo il 1946 ha cercato in tutti i modi di cancellare qualsiasi memoria della Monarchia Unitaria, che ignora Carlo Alberto, che ha dimenticato Vittorio Emanuele II, protagonista del Risorgimento, eliminando in molte città il suo nome dalle strade, e solo con il 150° del Regno d’Italia, pudicamente definito dell’Unità d’Italia, ha avuto un risveglio di interesse nei suoi confronti ed un riconoscimento ufficiale con l’omaggio da parte dell’attuale Capo dello Stato, alla tomba del gran Re al Pantheon, cosa poteva interessare la figura di questo Principe, cadetto di un ramo che non era erede della Corona e che non aveva partecipato fisicamente alle nostre guerre d’indipendenza, proprio perché delegato ad esercitare il potere regio, mentre Carlo Alberto nel 1848-1849 e Vittorio Emanuele II nel 1859-1860 erano al fronte, quale loro Luogotenente Generale, ruolo ritenuto erroneamente di scarso rilievo ed importanza. A questa mancanza d’interesse, per non definirla

con il suo vero nome di voluta “ignoranza”, ha posto un punto fermo, il Ferranti con un testo documentatissimo e completo, ricco di note e con le biografie di tutte le personalità citate, che partendo dalla origine di questo ramo cadetto Savoia-Carignano Villafranca del ramo SavoiaCarignano, ne traccia la storia dal 1752 al 1816, data di nascita di Eugenio Emanuele, di cui segue passo per passo la sua vita che ha una svolta decisiva quando con l’estinzione, alla morte di Carlo Felice nel 1831, del ramo primogenito di Casa Savoia che aveva ininterrottamente regnato per ottocento anni, sale al trono Carlo Alberto di Savoia Carignano. A questo punto, infatti, non avendo Carlo Alberto fratelli ed essendo bambini i figli Vittorio Emanuele (n. 1820) e Ferdinando (n. 1822), questo giovane Eugenio già di 15 anni rappresenta un rafforzamento della nuova Dinastia e saggiamente il Re ne curò l’educazione raccogliendone i frutti nel 1848 dandogli il prestigioso, ma non facile incarico di suo Luogotenente, che il Principe Eugenio, ormai trentaduenne, seppe assolvere con saggezza e dignità, doti che lo accompagnarono in tutta la sua, per l’epoca, lunga vita, venendo a mancare nel 1888 a settantadue anni. Prima di quest’esperienza politica e statuale il giovane Principe, militare, come nella tradizione storica dei Savoia, aveva però scelto la vita marinara, nella Regia Marina Sarda, che grazie all’opera del Des Geneys si stava consolidando ed affermando nel Mediterraneo contro i pirati barbareschi ed anche nell’A tlantico con importanti crociere, per tutelare gli interessi materiali e morali degli emigrati del Regno Sardo, ed in una di queste crociere Eugenio di Savoia, si trattenne qualche tempo in Brasile, accolto con tutti gli onori dall’Imperatore Don Pedro II, della Casa di Braganza ed ammirato dalla

Principe Eugenio di Savoia-Carignano figlia, Principessa Januaria, erede al Trono, tanto che si erano imbastiti progetti matrimoniali tra le due Case Reali, tramontati per un insieme di fattori ampiamente descritti nel testo ricco, come già detto, di documenti originali, pubblicati nel loro testo integralmente, molti dei quali provenienti da legati testamentari di Re Umberto II. La carriera militare del Principe, raggiunge il suo culmine il 16 luglio 1844, quando assume il comando della Marina Sarda, dopo altri importanti traguardi quale il 28 aprile 1834, il suo riconoscimento di Principe del Sangue, e la concessione nel 1836 del Collare della Santissima Annunziata. Tornando alla prima Luogotenenza di Re Carlo Alberto, spetta ad Eugenio di inaugurare l’8 maggio 1848 il nuovo Parlamento Subalpino, pronunciando il primo “Discorso della Corona”, in nome di Carlo Alberto, che esule ad Oporto, un anno dopo, il 30 giugno 1849 riceve la visita di Eugenio, inviato dal nuovo Re e da tutta la famiglia e successivamente è sempre Eugenio a riportarne in Patria le

spoglie mortali sulla Regia Nave “Monzambano”, sbarcando a Genova il 4 ottobre 1949. Comincia così il decennio 1849-1859 dove il Principe Eugenio, continua ad assolvere numerosi incarichi di rappresentanza, conferitigli da Vittorio Emanuele, specie dopo il 1855, quando con la prematura scomparsa del fratello del Re, il Duca di Genova, Ferdinando, rimane l’unico Principe maggiorenne di Casa Savoia. Oltre a questi incarichi il Principe Eugenio continua a seguire le vicende politiche del Regno, intrattenendo una frequente corrispondenza con il Conte di Cavour che, a sua volta, è sempre sollecito e deferente nelle sue risposte. Si giunge così al 1859 ed alla Seconda guerra d’indipendenza e Vittorio Emanuele II nomina il suo “Caro Fratello”, Luogotenente Generale, prima di assumere il comando supremo dell’esercito e partire per il fronte. A questa Luogotenenza, dopo l’armistizio di Villafranca, seguono incarichi sempre più delicati, quando liberatisi i popoli dei Ducati, dell’Emilia

Romagna e della Toscana, che vorrebbero subito unirsi al Regno di Sardegna, bisogna prendere tempo evitando il rientro dei Sovrani spodestati con le baionette straniere, o la creazione di quel Regno dell’Italia Centrale che sarebbe stato costruito per evitare reazioni austrofrancesi. Così si giunge alla Luogotenenza del Re in Toscana, con Decreto del 23 marzo 1860, dopo il plebiscito per l’adesione al Regno di Vittorio Emanuele i cui risultati positivi (366.571 voti per l’unione, 14.925 per un regno separato e 4.949 nulli) erano stati portati a Torino dal Barone Bettino Ricasoli, accolto solennemente dal Re, con vicini Cavour ed il Principe di Carignano. Le vicende si fanno sempre più complesse: Garibaldi sbarca in Sicilia e poi nel continente dirigendosi verso Napoli. Vittorio Emanuele deve prendere il comando delle truppe che liberate Umbria e Marche dal governo pontificio si apprestano ad entrare nel territorio delle Due Sicilie per cui nomina nuovamente suo Luogotenente il Principe Eugenio che lascia Firenze il 2 ottobre 1860 per tornare a Torino. Vicende ed eventi anche successivi che il Ferranti inserisce in una vera e propria storia del Risorgimento e dell’Unità rendendo il libro di estremo interesse storico a prescindere dalla figura del Principe Eugenio.

Regno, senza un’adeguata rappresentanza, nomina il 3 gennaio 1861 il Principe Eugenio Luogotenente Generale delle Province Meridionali, con ampi poteri, ed Eugenio si affretta a raggiungere Napoli, accompagnato da Costantino Nigra, abile diplomatico, che tanta parte positiva aveva avuto nelle vicende del Risorgimento sempre a stretto contatto con Cavour di cui era uno dei migliori collaboratori. L’incarico questa volta è ancora più difficile e delicato dei precedenti, durante i quali Eugenio aveva dovuto egualmente prendersi numerosi e notevoli responsabilità, ma l’esperienza maturata e le doti di carattere, di cui abbiamo già detto, fanno superare anche momenti difficili quale il rapporto tra Luogotenente e Cialdini che comandava le truppe che assediavano Gaeta. La Luogotenenza termina alla fine di maggio ed Eugenio ritorna a Torino dove rimarrà fino al 1866, quando in occasione della Terza guerra d’indipendenza deve recarsi nella nuova capitale Firenze, essendo stato nominato da Vittorio Emanuele suo Luogotenente, partendo il Re con l’esercito, insieme con i due figli, Umberto ed Amedeo, ormai maggiorenni e che entrambi si comportarono valorosamente, Umberto nel famoso quadrato di Villafranca ed Amedeo addirittura ferito, sia pure lievemente. Gli anni dal 1861 al 1866 non furono privi di eventi importanti e significativi, dalla prima esposizio-

La deputazione toscana presenta a Re Vittorio Emanuele II l’atto di plebiscito per l’unione al Regno (Museo Storico Topografico “Firenze com’era”; Firenze). Il 26 ottobre avviene l’incontro di Teano tra il Re e Garibaldi che lo saluta “Re d’Italia” ed il 7 novembre Vittorio Emanuele entra a Napoli e si trattiene nelle province meridionali fino alla fine del 1860; conscio del problema di non lasciare Napoli, già capitale di

ne italiana d’arte e macchine per l’agricoltura tenuta a Firenze e di cui il Principe era stato promotore e presidente onorario, al viaggio ufficiale nel 1861 a Parigi e Londra, avendo incontri con Napoleone III, con la Regina Vittoria e con importanti membri del


ITALIA REALE - 8/2013

Governo inglese ed alla Presidenza della “Commissione permanente per la difesa generale dello Stato” e del “Consorzio Nazionale per l’estinzione del Debito Pubblico” alla cui raccolta di fondi contribuì personalmente con un milione Vittorio Emanuele, a dimostrazione delle fiducia riposta dal Re in suo cugino e testimonianza del clima di affetto che regnava nella Famiglia reale. Infatti ad Eugenio era stato anche affidato il compito di protutore dei figli del Duca di Genova, Margherita e Tommaso, compito assolto con il consueto zelo particolarmente nei confronti del giovane Tommaso che seguirà la vocazione marinara dello Zio, compiendo tutta la sua carriera militare nei ranghi della Regia Marina. In questo periodo, il 25 novembre 1863, il Principe Eugenio a 47 anni si sposa con una ragazza della piccola borghesia Felicita Crosio, molto più giovane; matrimonio senza dubbio felice e ricco di figli, ma che rimane morganatico in quanto Vittorio Emanuele, secondo le precise regole di Casa Savoia, è molto rigido nelle questioni matrimoniali dei Principi Reali, per cui non dà il suo assenso, malgrado l’affetto per il cugino, ma, fortunatamente, i rapporti rimangono più che buoni e proprio nello stesso periodo essendo nato un figlio alla Regina del Portogallo, Maria Pia di Savoia, il Re incarica Eugenio di recarsi a Lisbona con la flotta per congratularsi con la figlia, e di questa missione fa pure parte Amedeo, Duca d’Aosta fratello della Regina. Altra missione, dopo la Luogotenenza del 1866, è l’invio del Principe Eugenio a Napoli per alcuni mesi nel 1867 per far sentire nuovamente ai napoletani la sollecitudine della nuova Dinastia nei loro confronti, sollecitudine che ebbe poi il suo culmine con la residenza a Napoli del Principe Ereditario Umberto con Margherita nel 1869 e la nascita, l’11 novembre dello stesso anno, del loro figlio, al quale fu messo il nome di Vittorio Emanuele in onore del nonno, ed il titolo di “Principe di Napoli”. Torino dopo il sofferto trasferimento della Capitale a Firenze e successivamente a Roma, con il Re e la corte trova nella presenza del Principe

11

Eugenio, ritornato a risiedervi, un motivo di soddisfazione ed Eugenio, anche per motivi di salute riduce le sue assenze se non per motivi gravi come la morte di Vittorio Emanuele II, ed il suo imponente funerale, che Edmondo De Amicis ricordò così nel libro “Cuore”: “…Il feretro di Vittorio Emanuele II portato dai corazzieri passò, e allora ottanta veli neri caddero, cento medaglie urtarono contro la cassa e quello strepito sonoro e confuso, che rimescolò il sangue di tutti, fu come il suono di mille voci umane che dicessero tutte insieme: Addio buon Re, prode Re, leale Re! Tu vivrai nel cuore del tuo popolo finchè risplenderà il sole sopra l’Italia”. Anche per Eugenio si avvicinava la fine, ma la sua vecchiaia era allietata dai numerosi figli e dal rispetto affettuoso dei giovani Sovrani per il vecchio Zio, il “barba”, nomignolo affettuoso che in Piemonte si dà normalmente allo zio, che si ricorda di loro in ogni occasione e ricorrenza, da vero “pater familiae”, ed Umberto I con le R.R. Lettere Patenti del 14 settembre 1888, convalida il matrimonio morganatico del Principe e conferisce alla moglie ed ai figli il titolo di “Conti di Villafranca Soissons”, recandosi con tutta la famiglia reale a dargli la notizia nel Castello di Stupinigi “… dove Eugenio villeggia con la famiglia …”. E Ferranti a proposito del titolo comitale concesso scrive “… che il nome Soissons porta con sé ricordi tra i felici e dignitosi nella storia di Casa Savoia e che, averlo dato alla famiglia del Principe di Carignano, è da considerare come un alto riconoscimento della statura di Eugenio come uomo politico e della sua grandezza come principe e come uomo”, parole che sono il miglior suggello della vita di questo Principe che sarebbe mancato di lì a poco il 15 dicembre dello stesso anno ed i cui solenni funerali furono indetti per il successivo 18 dicembre nel Tempio della Gran Madre di Dio, a spese della Real Casa, che nobilmente volle assumersi questo onere, esentandone il Governo che pure aveva deliberato essere i funerali a spese dello Stato. ■

C.N.

IL RE IN AUTO

ANNA DI SAVOIA purtroppo oggi pochi la ricordano: ma è l’unica Principessa Sabauda ad essere assurta alla dignità di Imperatrice di Bisanzio. Nata nel 1306 da Amedeo V il Grande e da Maria di Brabante, ebbe a battesimo il nome di Giovanna, che le fu mutato in Anna quando ventenne andò a Costantinopoli (1326) sposa di Andronico III Paleologo, e dovette convertirsi ufficialmente alla Chiesa ortodossa. Ebbe tre figli, Giovanni,

P

Michele e Maria. La morte prematura del marito, nel 1341, la costrinse ad assumere la reggenza in nome del figlio minorenne Giovanni V. Le congiure di palazzo, all’ordine del giorno a quell’epoca, fecero sì che fosse ben presto coinvolta nella guerra civile fomentata dal ministro Giovanni Cantacuzeno, proclamatosi Imperatore a Didimotico in Tracia (come Giovanni VI) e l’ammiraglio Alessio Apocauco (suo favorito).

Nel 1347, il Cantacuzeno riuscì ad occupare la capitale: ma la Principessa sabauda, con ammirevole astuzia, riuscì a conservare il trono al figlio, facendogli sposare la figlia dell’usurpatore, Elena. Per qualche tempo, Giovanni V e Giovanni VI furono Imperatori colleghi: ma lentamente, ed abilmente,Anna di Savoia riuscì a scalzare le basi della potenza del Cantacuzeno che, isolato ed abbandonato dai suoi fidi, nel 1354 abdicò e si ritirò in convento. Suo figlio, quindi, potè regnare incontrastato. Sia con il marito che con il figlio, Anna s’adoperò incessantemente - ma inutilmente - onde addivenire ad un accordo con la Santa Sede per l’unione delle Chiese, con ambascerie e corrispondenze (con Papa Clemente VI): e tale sua attività suscitò diffidenze ed opposizioni piuttosto pesanti, nei suoi confronti, nell’ambiente bizantino della Corte. Verso il 1358 Anna fece un lungo viaggio in Italia ed in Francia, sempre allo scopo di favorire un’intesa che ponesse fine allo scisma d’Oriente, ma senza apprezzabili risultati. La sua morte, della quale nulla si sa di preciso, deve essere avvenuta dopo il suo ritorno a Bisanzio, intorno al 1360. ■

NUOVA BEATA IN CASA SAVOIA Giovedì 2 maggio 2013, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza privata Sua Eminenza il Card. Angelo Amato, S.D.B. Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il miracolo, attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie, nata

il 14 novembre 1812 a Cagliari e morta il 21 gennaio 1836 a Napoli. L’attribuzione del miracolo ed il conseguente Decreto costituiscono il necessario preambolo per la Beatificazione della Regina. ■

R

e Vittorio Emanuele III era grande appassionato di automobilismo oltre che di monete e di fotografia.

la macchina con la quale vinsi la Coppa Florio. Concorrerò al Grand Priz d’A mérique con Wagner; il mio amico

Da una cronaca del 1908: “Il 15 settembre Re Vittorio ha concesso che 500 automobilisti e ciclisti sfilassero a Racconigi, nel magnifico parco reale. Il Sovrano richiede i nomi degli automobilisti che avanzavano. Viene ultima la rossa F.I.A.T. condotta dal campione del volante Felice Nazzaro. Il Re desidera esprimergli il suo compiacimento per la recente vittoria di Bologna. Il guidatore Nazzaro e il meccanico Fagnani balzano a terra. Sua Maestà stringe la mano al campione, e quindi lo prega di fargli osservare il potente motore. Chiede: Con questo motore a sei cilindri, quale velocità si può raggiungere? Il guidatore risponde: Con la mia Fiat posso ottenere 150 chilometri all’ora. - Quanto ha dunque ella impiegato per venire da Torino a Racconigi? - Quaranta minuti, risponde Nazzaro. Ma se la strada fosse libera basterebbero venti minuti. Il Re attentissimo, osserva ogni parte della macchina, rileva i rinforzi applicati alle molle, la qualità delle gomme adottate, poi chiede: Questa macchina a quali corse parteciperà? - La vettura con la quale sono venuto a Racconigi è uscita per la prima volta stamane dalle officine. Essa è stata costruita appositamente dietro ordinazione di un ricco americano per concorrere alla Coppa Vanderbilt. Al che S.M. replica: - Ma lei non parteciperà alle corse in America? Certamente, ma piloterò

Lancia non può abbandonare Torino. A questo punto il Re chiede se, data la potenzialità della macchina, questa procuri forzi sobbalzi, data anche la ristrettezza dei sedili. E quindi soggiunge: - Sarei curioso di provare. E Nazzaro pronto: - Ai suoi ordini, Maestà. Il meccanico Fagnani, che si era quasi eclissato tra i presenti, sbuca fuori e, a un gesto di Nazzaro, si porta alla manovella del motore e lo incammina. Un rombo fortissimo annuncia che la macchina è pronta a slanciarsi. I presenti si ritraggono e il Re, agilissimo, d’un colpo sale al posto del meccanico, mentre Nazzaro sale al volante. Con un brusco démarrage la macchina si avvia velocissima infilando il vialone di destra, mentre la Regina e la Principessa Xenia fissano sui partenti i loro apparecchi fotografici. La macchina in un attimo si interna nel parco e da lontano giunge il crepitio caratteristico del motore. Nazzaro, benché completamente profano delle strade del parco, con la sua ammirevole abilità prende veloce e sicuro ogni curva, mentre il Re gli spiega quanto forte sia pure in lui la passione per l’automobile, pure preferendo, nei suoi frequenti viaggi, lasciare la guida al suo chauffeur. Dopo qualche minuto di attesa la rossa Fiat è di ritorno e si arresta dinanzi allo scalone. Il Re parlava bonariamente in piemontese; Nazzaro dapprima rispose in italiano, poi, notata l’affabilità del Sovrano, si decise a parlare lui pure in dialetto”. ■


12

ITALIA REALE - 8/2013

Valeria Villa

Le “Società operaie”, all’epoca esclusivamente maschili, vengono indotte a prestare attenzione anche ai problemi femminili e a quelli dell’infanzia. Margherita partecipa al clima d’attenzione ai poveri ed agli infelici che caratterizza la vita torinese dell’800, con le grandi figure dei Santi sociali quali il Cafasso, Don Bosco, il Cottolengo, oltre che dei Marchesi di Barolo.

MARGHERITA DI SAVOIA PRIMA REGINA D’ITALIA 20/11/1851 – 4/1/1926 argherita di Savoia, figlia di Ferdinando Maria, Duca di Genova e di Elisabetta di Sassonia, nasce a Torino il 20 novembre 1851. Fin da fanciulla cerca di coltivare gli studi di letteratura italiana e straniera. Passa intere giornate nel suo appartamento di Palazzo Chiablese a Torino, traducendo classici, leggendo Shakespeare: ama i poeti e declama a memoria versi del Giusti, del Prati, dell’A leardi. Suona il piano e si esprime bene anche con il disegno.

M

Per un’autonomia economica delle donne appartenenti alle classi più umili appoggia l’istituzione di laboratori di ricamo in complessi a carattere imprenditoriale, artistico e culturale: “Le Industrie Italiane Femminili”, laboratori nei quali vengono raccolti, riprodotti, valorizzati lavori di ricamo tipici di varie Regioni italiane che vantano un’antica tradizione. Nascono così centri di raccolta e distribuzione del lavoro, dove alle donne vengono impartite anche nozioni di economia domestica, di igiene, di religione ed alfabetizzazione. Per realizzare un’organizzazione autosufficiente si fonda una Società per Azioni che vengono acquistate dalla Regina, dal Re, dalle dame e dai dignitari di Corte. La Principessa Letizia Bonaparte, figlia di Clotilde di Savoia e di Gerolamo Bonaparte, sempre vicina alla Regina nelle opere benefiche, acquista molti manufatti e con essi arreda il Castello di Moncalieri, sua residenza.

Sposa, a sedici anni, il 22 aprile 1866, il cugino Umberto di Savoia, Principe di Piemonte, erede al trono. Margherita, lieta ed orgogliosa delle nozze con il futuro Re, va sposa con viso sereno, indossa un abito di faille bianco, ricamato in argento, ornato di margherite, rose e fiori d’arancio. Dalle spalle le scende un lungo mantello, sui capelli brillano una rosa e due margherite di diamanti e, al collo, porta la superba collana di perle, lasciata dalla defunta Regina Maria Adelaide, per la futura sposa del suo figlio primogenito. Si aggiungerà il 6° filo, regalo del Re alla nascita di Vittorio Emanuele e, a questo, se ne aggiungerà uno ogni anno, come regalo di Natale, da parte di Umberto, fino al 16° filo come ci rappresentano i ritratti di Margherita. Ha il dono di rendersi amabile a tutti: per le sue nozze ottiene dal Re Vittorio Emanuele II un’amnistia per i detenuti per reati politici. Durante il suo viaggio di nozze nelle varie città italiane, conquista le folle salutandole dai balconi delle regge; visita e distribuisce doni ai bambini di asili e orfanotrofi; si veste secondo i costumi locali.

L’11 novembre 1869 nasce a Napoli Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro, l’erede al trono, battezzato con il nome dei due Nonni e del Patrono della città. La scelta del luogo natale è una felice mossa politica che conquista l’entusiasmo del popolo napoletano. Il 23 gennaio 1871 la Famiglia reale entra in Roma e Margherita, malgrado la pioggia battente, fa scoprire la carrozza perché il popolo possa vedere i Principi con il piccolo Vittorio. Il 14 aprile dello stesso anno tiene il primo ricevimento al Quirinale, già sede dei Papi e non “avvezzo” alle riunioni mondane, in onore della Principessa d’AssiaCarrel. Iniziano qui i fasti del “margheritismo”. Margherita fonda un salotto, tra i più ricerca-

ti della Capitale, frequentato da artisti, musicisti, poeti. Fra questi, dal 1878, diventerà assiduo frequentatore Giosuè Carducci, considerato, allora, il più grande poeta vivente che dedicherà a Margherita la ben nota ode “Alla Regina d’Italia. Onde venisti? Quali a noi secoli/ si bella e mite, ti tramandarono? /Fra i canti de’ sacri poeti / Dove, un giorno, o regina, ti vidi?”. A poco a poco anche l’aristocrazia nera che, fedele al Papato in segno di lutto per la presa di Roma si veste di nero, inizia a partecipare ai ricevimenti di Margherita. La stampa evidenzia le toilettes, dà risalto agli abiti, ai cappelli, alle torte ed un settimanale, fondato dai fratelli Traves, viene intitolato “Margherita”.

Il 9 gennaio 1878 muore Vittorio Emanuele II: Umberto è proclamato Re e Margherita di Savoia-Genova diviene la prima Regina d’Italia. Inizia il periodo più impegnativo della vita della nuova Regina: intense attività sociali affiancano quelle benefiche, tipiche di tutte le Signore di Casa Savoia. Margherita assume un esplicito impegno a favore della donna e del bambino in relazione al mondo del lavoro. Come fatto veramente all’avanguardia, rispetto alla mentalità del tempo, firma con altre nobildonne, una petizione al Parlamento per il voto alle donne. Purtroppo non ottenne l’esito sperato: i tempi e la mentalità non sono ancora maturi! Si interessa della condizione dei lavoratori, della loro alfabetizzazione.

Le Industrie Femminili Italiane si fanno conoscere anche a livello internazionale partecipando a fiere importanti come la Mostra di Milano del 1906. Anche le Suore della Consolata di Torino collaborano, in terra di missione, all’esecuzione, con le donne locali, di manufatti di notevole pregio. Ancora Margherita appoggia un progetto di Mons. Murando per ottenere una Legge a tutela del lavoro dei minori e riesce, con il coinvolgimento di tante personalità politiche, culturali e religiose della Società torinese, a far approvare, nel 1886, una Legge che stabilisce che non possono essere impegnati in lavori manuali e faticosi bambini al di sotto dei 7 anni e, in miniera, al di sotto dei 12 anni.

La Regina è sostenuta nella sua azione di apertura ai problemi dei meno abbienti da un progetto politico che aveva avuto origine nella promulgazione dello Statuto da parte di Re Carlo Alberto, Statuto che aveva dato pari dignità a tutte le comunità religiose dello Stato, introducendo il concetto di uguali diritti di tutti i cittadini. In ogni caso, tutti gli interventi della Regina Margherita accelerano i processi di evoluzione economica e civile dell’epoca. Nel luglio 1900 Re Umberto I, che già aveva subito altri attentati falliti a Foggia, a Napoli da parte di Giovanni Passanante, a Roma, nel 1897, da parte di Pietro Acciarino, viene assassinato a Monza per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, giunto appositamente da Paterson dove si era costituito il centro anarchico più importante di tutti gli Stati Uniti. Si disse che finanziatrice del regicidio fosse stata Maria Sofia di Baviera, l’“aquiletta bavara” di d’Annunzio, sorella di Sissi Imperatrice d’Austria, sposa di Francesco II di Borbone, per vendicare la pretesa “usurpazione”, da parte dei Savoia, del Regno delle Due Sicilie. Verrà proclamato Re il figlio, con il titolo di Vittorio Emanuele III e Regina, Elena PetrovicNiegos, Principessa del Montenegro sua sposa. La Regina Madre trascorrerà ancora molti anni della sua vita tra il Castello Savoia a Gressoney-St. Jean, in Val d’A osta, di fronte al suo amato Monte Rosa sul quale aveva inaugurato il Rifugio a lei intitolato, e la Villa di Bordighera dove vivrà fino al 4 gennaio 1926. Sarà la prima Regina d’Italia - per ora unica sepolta nel Pantheon. ■


ITALIA REALE - 8/2013

13

G.V.R.

Domenico Giglio

LA BATTAGLIA DI LEPANTO

ALBERTO BECHI LUSERNA

442 anni or sono, il 7 ottobre 1571 la Flotta cristiana sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’Imperatore Carlo V e fratellastro del Re di Spagna Filippo II, nelle acque di Lepanto sconfiggeva la flotta musulmana che si accingeva alla conquista dell’Occidente.

vvicinandoci alla data dell’8 settembre, di cui quest’anno ricorre il settantesimo anniversario dell’armistizio, è doveroso ed opportuno ricordare alcuni eventi relativi a tale data. L’episodio oggetto di questa rievocazione è il barbaro assassinio del Tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, Capo di Stato Maggiore della Divisione paracadutisti Nembo, di stanza, in Sardegna, nel Campidano. Avuta la comunicazione dell’armistizio un battaglione della Divisione ebbe una reazione di rifiuto dell’accettazione dello stesso decidendo di aggregarsi alle truppe tedesche per proseguire le ostilità. A tale notizia il comandante della Nembo, Generale Ercole Ronco, fedele al giuramento al Re e che nel dopoguerra aderì al Partito Nazionale Monarchico, divenendone a Roma un suo importante esponente ritenne necessario inviare il suo Capo di Stato Maggiore dai ribelli per convincerli a recedere dal loro ammutinamento.

EROE E MARTIRE

A

Battaglia di Lepanto (Anonimo; National Marittime Museum)

Don Giovanni d’Austria (Anonimo; Uffizi, Firenze) Fu una vittoria alla quale gli Italiani di ogni provenienza diedero un apporto essenziale e determinante. Erano italiani l’80% degli equipaggi e delle navi, e numerosi comandanti. Marcantonio Colonna, comandante della squadra pontificia, Sebastiano Veniero, comandante della flotta veneziana, Gian Andrea Doria, comandante di quella genovese. Nella battaglia si distinsero anche i romani Onorato Caetani, Duca di Sermoneta, Pompeo Colonna, Michele Borelli, Paolo e Virginio Orsini, ed i siciliani Ugo Paternò, Rinaldo Naro e Carlo Marello. Rifulse l’eroismo di Alessandro Farnese, Principe di Parma, di Francesco Maria della Rovere, Principe di Urbino, del perugino Ruggero degli Oddi, il quale riprese la nave capitana della flotta pontificia che era stata conquistata dai turchi, del napoletano Giulio Carafa e del mi-

lanese Gabrio Serbelloni. Il palermitano Giovanni di Cardona, comandante dell’avanguardia della flotta cristiana riuscì ad evitare l’aggiramento da parte dei turchi affrontando e poi ponendo in fuga sedici galere nemiche. A ricordo della storica impresa venne eretta una statua di bronzo del Comandante supremo cristiano, tuttora esistente, davanti alla Chiesa del-

ultrasecolare di vasti territori corrispondenti a gran parte delle attuali Spagna, ex Jugoslavia, Albania, Bulgaria, Grecia, ecc. Per non parlare del massacro degli Armeni perpetrato dopo la fine della Prima guerra mondiale e delle attuali persecuzioni dei cristiani in molti Stati governati dagli integralisti. E’ bene che questi fatti siano ricordati, perché come dice il proverbio

Galea veneziana l’Annunziata dei Catalani di Messina.

“chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”.

Come si vede l’islamismo ha sempre tentato di diffondersi con qualsiasi mezzo, facendo ricorso alla forza tutte le volte che ne ha avuto la possibilità.

Ne consegue che i rapporti con gli Stati musulmani devono essere fondati nel reciproco rispetto e che il trattamento degli extracomunitari di religione maomettana, deve corrispondere al trattamento riservato ai cristiani nelle Nazioni rette da governi islamici. ■

Del resto ne fanno fede la distruzione dei Regni Crociati e dell’Impero di Bisanzio e l’occupazione

Battaglia di Lepanto (Andrea Vicentino; Palazzo Ducale, Venezia)

Così il Colonnello Bechi Luserna, il 10 settembre 1943, su un’auto di servizio, con due reali carabinieri raggiunse il gruppo verso Macomer e, fermato dai ribelli ad un posto di blocco istituito sulla statale Carlo Felice, dove oggi sorge in ricordo un cippo , in località “Castigadu”, fu barbaramente ucciso da una raffica di mitra, insieme con uno dei carabinieri, mentre cercava di parlare con i paracadutisti sovversivi, ed il suo corpo, chiuso in un sacco fu successivamente gettato in mare dai suoi uccisori, alle Bocche di Bonifacio. Terminava così tragicamente, per mano fratricida, la carriera di uno dei più brillanti Ufficiali del Regio Esercito, insignito di quattro Medaglie di Bronzo al Valor Militare, per le sue azioni in Libia, in Etiopia e ad

El Alamein, con la Divisione paracadutisti Folgore, di cui narrò le vicende in un suo scritto “I Ragazzi della Folgore“ , da cui è stata poi tratta l’epigrafe che si trova nel Sacrario Militare Italiano di El Alamein, dove si recarono, in doveroso omaggio, il Re, Vittorio Emanuele III, durante il suo esilio in Egitto, insieme con il figlio, Re Umberto II, anche Lui ormai esiliato: “Fra le sabbie non più deserte - son qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi. - Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dello stesso nemico, essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna, - il cammino dell’onore e della gloria. - Viandante, arrestati e riverisci. - Dio degli Eserciti, - accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo del cielo che riserbi ai martiri ed agli Eroi ”. L’Esercito ha giustamente ricordato Alberto Bechi Luserna intitolando al suo nome la Caserma di Macomer, attualmente sede del quinto Reggimento del Genio Guastatori, appartenente alla Brigata Sassari e recentemente il 28 maggio 2010 il locale Lions Club di Macomer, con grande sensibilità e coerenza con i propri valori fondamentali, ha donato un busto, in pietra basaltica, sorretto da una colonna,

con l’effigie del martire, esposto ad un lato dell’ingresso principale della Caserma. Il miglior suggello alla figura di Alberto Bechi Luserna, esempio fulgido di fedeltà al giuramento al Re, è la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferitagli alla memoria: “Ufficiale di elevate qualità morali ed intellettuali, più volte decorato al valore, Capo di S.M. di una divisione di paracadutisti, all’atto dell’armistizio, fedele al giuramento prestato ed animato solo da inestinguibile fede e da completa dedizione alla Patria, assumeva senza esitazione e contro le insidie e le prepotenze tedesche, il nuovo posto di combattimento. Venuto a conoscenza che uno dei reparti dipendenti, sobillati da alcuni facinorosi, si era affiancato ai tedeschi, si recava con esigua scorta e attraverso una zona insidiata da mezzi blindati nemici, presso il reparto stesso per richiamarlo al dovere. Affrontato con le armi in pugno dai più accesi istigatori del movimento sedizioso, non desisteva dal suo nobile intento, finchè, colpito, cadeva in mezzo a coloro che Egli aveva tentato di ricondurre sulla via del dovere e dell’onore. Coronava così, col cosciente sacrificio della vita, la propria esistenza di valoroso soldato, continuatore di una gloriosa tradizione familiare di eroismo. Sardegna, 10 settembre 1943”. ■


ITALIA REALE - 8/2013

14

Pagina a cura di Franco Ceccarelli RINNOVAMENTO Se nella repubblica italiana c’è voluta, con le elezioni del 2013, una mezza rivoluzione (avvenuta in gran parte grazie al web) per “svecchiare”, finalmente, un parlamento ormai gerontocratico che, di conseguenza, garantiva l’elezione di capi dello Stato già gravati da un’età altrettanto veneranda (fatta l’eccezione dell’appena 57enne Francesco Cossiga) stride, in tale contesto, il contrasto con quel che accade nelle non poche Monarchie europee oggi esistenti. Anche nel Regno Unito, in Spagna, in Belgio, in Danimarca, in Svezia, in Norvegia, per dirne solo alcune, i rispettivi Sovrani iniziano a sentire i loro anni (partendo dalla ormai 87enne Elisabetta II, per giungere al “giovane” 66enne Carlo Gustavo XVI di Svezia). Ma qui il problema del “ricambio” non si è mai posto. Se infatti la Regina d’Inghilterra comincia a sentire il peso degli anni, è stato quasi automatico che il giovanissimo nipote William abbia avuto sempre più deleghe per rappresentare la Sovrana nelle attività ufficiali. Lo stesso in Spagna, dove l’ormai stanco e appannato Juan Carlos è sovente sostituito dal 45enne Principe ereditario Filippo che, accompagnato dalla moglie Letizia, sta incontrando sempre maggiori consensi; o in Norvegia, dove il Principe ereditario Haakon Magnus, classe 1973, porta nel mondo l’immagine del suo Paese, invece del padre, il 75enne Harald V, piuttosto acciaccato. E così lo stesso accade in Belgio (dove la Monarchia ha tenuto in piedi l’unità del Paese nei due anni in cui la classe politica non è riuscita a darsi un governo) con il Principe ereditario Filippo, classe 1960, che supporta l’ormai ottantenne Re Alberto II nel suo lavoro, in Danimarca, con il 35enne Principe Federico, in Svezia, con la giovane Victoria ed in Olanda, dove il Principe Guglielmo il 30 aprile ha avvicendato la madre, Regina Beatrice, nel ruolo di Sovrano dei Paesi Bassi. Insomma una continuità istituzionale, nel rinnovamento, propria del

sistema monarchico, indiscutibilmente apprezzabile, in particolare nei momenti di crisi, morale e politica, che colpiscono questo o quel Paese. ■

OLANDA Alla fine dello scorso mese di marzo S.A.R. la Principessa Maxima d’Olanda (dal 30 aprile Regina consorte d’Olanda per la salita al Trono del marito, Principe Guglielmo Alessandro), ha effettuato una visita nella Capitale italiana nella sua veste di rappresentante del Segretario generale dell’ONU, quale delegato per le questioni afferenti la Finanza e lo Sviluppo. Durante la visita durata

finanziamenti, ha anche sostenuto, devono poter essere garantiti a coloro che sono inabili al lavoro, e comunque destinati ad un importante incremento dei volumi produttivi delle derrate. A margine dei lavori Maxima d’Olanda ha avuto colloqui con il Direttore Generale della FAO, Da Silva. Dal settembre 20 09, la Principessa, ora Regina, è anche rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU, Ban KiMoon. ■

BELGIO Prima di diventare il nuovo Re del Belgio a seguito dell’abdicazione del padre Re Alberto II, nel suo costante impegno teso a promuovere e far conoscere l’immagine del Belgio nel Mondo, il Principe Filippo ha visitato ufficialmente l’Australia. Il Principe ha iniziato il viaggio nel grande Paese dell’Oceania dalla città di Perth, soprattutto per rafforzare i legami economici e commerciali tra i due Paesi.

Regina Maxima d’Olanda due giorni, la Principessa olandese si è incontrata con i responsabili della F.A.O., dell’Organizzazione Mondiale per lo sviluppo dell’Agricoltura e con i responsabili del Progetto per lo sviluppo della produzione del cibo nel mondo. Gli incontri si sono tenuti nella sede della F.A.O., l’organizzazione voluta da S.M. il Re Vittorio Emanuele III al principio dello scorso secolo e che rappresenta, indiscutibilmente, una delle maggiori glorie del regno di questo Sovrano. In tale sede la Principessa ha partecipato al seminario “Inclusive Finance, Challenges and Opportunities: The Rome-based Agencies Perspective”. Scopo dell’incontro era individuare sistemi per trovare nuove vie per combattere la fame e la povertà, grazie alle semplificazioni per l’accesso ai piccoli finanziamenti. Nel corso del proprio intervento la Principessa ha evidenziato l’importanza della disponibilità di finanziamenti per le micro imprese, per combattere la fame e la malnutrizione. I

Durante tale missione, durata circa due settimane, il Principe ha guidato una delegazione di oltre 140 persone, composta da esponenti del Governo di Bruxelles e, soprattutto, da rappresentanti di varie imprese belghe. L’evento era stato organizzato dall’Agenzia Belga per il Commercio Estero, unitamente con la con Awex, Flanders Investment&Trade, e la Bruxelles Invest & Export. Fortemente sostenuta dalla Casa Reale, la delegazione commerciale ha visitato, dopo Perth, anche Sydney, Canberra e Melbourne.

Re Filippo del Belgio Oltre agli esponenti economici, hanno fatto parte della delegazione esponenti della celebre Università di Lovanio, che ha avviato contatti con le Università dell’Australia Occidentale e la Curtin University, per sottoscrivere accordi di cooperazione nei settori dell’agro-alimenta-

re, la tecnologia fisioterapica, l’informazione e la comunicazione, l’audiologia, le scienze marine e le relazioni internazionali. Dopo l’Australia, il Principe ha raggiunto anche la Nuova Zelanda, visitandone la capitale, Wellington. Al fine di ridurre i costi economici dei viaggi all’estero, considerando la particolare congiuntura economica globale, la Famiglia Reale ha convenuto con il Governo che, d’ora in poi, sarà solo un esponente della Casa Reale ad accompagnare le missioni estere. ■

GIORDANIA Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania ha effettuato una visita ufficiale di due giorni nel Regno del Bahrein. Il Re giunto nella capitale Manama, ha incontrato Re Hamad bin Isa al Khalifa. Nel corso degli incontri sono stati affrontati vari

trato il Principe ereditario, Sheikh Tamim Bin Hamad Al Thani, e il ministro Sheikh Hamad Bin Nasser Al Thani. Sono importanti, sotto ogni aspetto, questi incontri tra i Sovrani delle moderate e filo occidentali monarchie arabe che, sempre di più, dimostrano di essere bastioni

ROMANIA Lo scorso 1 aprile S.A.R. il Principe Nicola di Romania ha compiuto 28 anni. Nato nel 1985 in Svizzera, dove la Famiglia Reale di Romania era in esilio, è il figlio primogenito di Robin MedforthMills e di S.A.R. la Principessa Elena, seconda figlia di Re Michele I di Romania.

Principe Nicola di Romania Il 30 dicembre 2007 S.M. il Re Michele - che dal matrimonio con la Regina Anna di Borbone Parma aveva avuto quattro figlie femmine - aveva modificato lo Statuto della Casa Reale, permettendo così al giovanissimo Nicola di assumere il titolo di “Principe di Romania” ed inserendolo nella linea ufficiale della successione, ove oggi si colloca al terzo posto, dopo la zia, Principessa Margherita, primogenita di Michele e della madre Elena. Nella stessa occasione il Sovrano romeno aveva anche chiesto al Parlamento di Bucarest di abolire la Legge Salica che, in forza della Costituzione romena del 1923, ove venisse decisa la restaurazione della Monarchia, stabilisce l’accesso al Trono solo per i discendenti maschi. Una speranza per la Romania. ■

Re Hamad bin Isa al Khalifa e Re Abdullah II temi, tra i quali, principalmente quelli inerenti i rapporti bilaterali tra i due Paesi e la gravissima crisi siriana, che vede impegnata in prima fila la Giordania nell’assistenza ai profughi in fuga da quel Paese. I due Sovrani sono quindi partiti per Doha, in Qatar, dove hanno partecipato al 24° vertice arabo, dedicato in particolare alla grave situazione in Siria. Qui hanno incon-

fondamentali per la stabilità di quella tormentata Regione, specialmente se si confrontano le loro situazioni con quelle della pletora di repubbliche e repubblichette, troppo spesso in mano a fanatici estremisti o a governi deboli e sempre più impotenti contro le masse popolari giunte alla fine della loro sopportazione, per motivi sia economici che, soprattutto politici. ■

OMAN

MAROCCO

Su richiesta del Governo britannico i Principi di Galles, Carlo e Camilla, hanno effettuato una visita ufficiale di nove giorni nel Regno di Giordania, nell’Emirato del Qatar, nel Regno dell’Arabia Saudita e nel Sultanato di Oman, dove si sono trattenuti per due giorni.Tutti questi Paesi nel corso della loro storia hanno avuto strettissimi rapporti con la Corona inglese che, in alcuni casi, li ha amministrati per molti decenni. Tale il caso dell’Oman, indipendente dalla Gran Bretagna dal 1970. Il Principe Carlo è giunto a Muscat, capitale dello Stato, proveniente da Gedda, in Arabia Saudita.

Sua Maestà il Re Mohammed VI ha compiuto un lungo tour diplomatico negli Stati africani che si affacciano sull’oceano atlantico, iniziando dal Senegal e proseguendo nella Costa d’Avorio, per giungere in Gabon dove è stato ricevuto, nella capitale Libreville, dal Presidente Ali Bongo Ondimba.

In particolare il Principe di Galles - che è noto per la sua sensibilità “ecologista” - ha voluto visitare alcune realizzazioni preposte allo sfruttamento delle ridotte risorse idriche del Paese, finalizzato all’irrigazione di terreni agricoli. ■

La visita del Re, che è a c a po di una delle Nazioni più stabili e pacifiche dell’Africa, in Paesi afflitti da gravissimi problemi economici e sociali, rappresenta un contribut o importante, considerando il ruolo svolto dal Marocco nell’ambito delle Nazioni islamiche moderate, che ha saputo creare, grazie soprattutto al ruolo fondamentale della Monarchia, un sistema di pacific a convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei, che deve essere additato quale esempio da seguire. ■


ITALIA REALE - 8/2013

15

F.C.

PROFILI DI REALI PRINCIPESSA EUIMIN DI COREA na figura molto interessante e quasi misconosciuta in occidente è l’ultima Principessa Ereditaria del Regno di Corea, Masako Nashimoto, nata cittadina giapponese, a Tokio, il 4 novembre 1901. Figlia del Principe Nashimoto Morimasa e della Principessa Itsuko del Giappone era cugina prima della futura Imperatrice Kojun (consorte del futuro imperatore Hiro Ito). Ebbe, ovviamente, la tradizionale formazione delle giovani aristocratiche nipponiche della sua epoca e, per un certo periodo, si ritenne potesse diventare la futura sposa dell’allora Principe ereditario Hiro Ito. Uno dei motivi per cui non venne prescelta per tale altissimo ruolo fu che incomprensibilmente si nutrivano dubbi sulla possibilità che potesse generare un erede per il Trono del Crisantemo, per una sua presunta infertilità. Ciò nonostante le si aprì la possibilità di un matrimonio degno del suo rango allorché venne prescelta quale sposa per il Principe ereditario al trono di Corea,Yi Un, il quale risiedeva in Giappone, per motivi di studio. Occorre qui una piccola digressione. Il Principe Yi Un era nato nel 1897 a Seul, settimo figlio dell’Imperatore Sunjong di Corea, ultimo Sovrano effettivamente regnante in quel Paese.

U

Nel 1910 il Giappone aveva definitivamente posto fine all’indipendenza dell’Impero coreano occupandolo ma, già nel dicembre 1907, il governo di Tokio aveva preteso, tra l’altro, che il Principe Yi Un risiedesse a Tokio, formalmente, per “motivi di studio” ma, in pratica, quale ostaggio politico nei confronti di eventuali tentativi di rivolta in Corea. Venne fatto iscrivere all’Accademia Imperiale dell’Esercito, ricevendo una moderna istruzione tecnica e militare. Riprendendo il discorso iniziale, alla fine del 1919 iniziarono i contatti con la pur deposta Famiglia

Reale Coreana, finalizzati al matrimonio dei due giovani. La Principessa aveva appena terminato gli studi in una delle più prestigiose scuole femminili di Tokio - riservata alle esponenti della Famiglia Imperiale e della più alta aristocrazia ricevendo un’ottima educazione, ed era quindi pronta per le nozze. Un accordo tra le famiglie venne ben presto raggiunto e il 28 Aprile 1920 il matrimonio venne celebrato a Tokio. La cerimonia si svolse nel così detto “Palazzo del Re di Corea”, l’edificio destinato dagli occupanti giapponesi, sin dal 1910, ad ospitare la Famiglia Reale di Seul. Dopo le nozze la giovane Principessa venne ufficialmente investita del titolo di “Sua Altezza Reale la Principessa della Corona Euimin di Corea”. Ben presto le voci sulla sua “infertilità” vennero smentite dai fatti allorché, già il 18 agosto 1921, vedeva la luce il Principe Jin, primo figlio della coppia. Purtroppo l’anno successivo il bambino moriva, proprio durante l’assenza dei genitori, impegnati in una visita in Corea. Solo molti anni dopo, il 29 dicembre 1931, nasceva il loro secondo figlio, Principe Gu. Nel 1931, ormai da cinque anni il ruolo della Principessa Euimin era mutato, in seguito alla morte dell’Imperatore Sunjong, avvenuta il 10 giugno 1926. Da evidenziare che i Sovrani coreani, dopo la detronizzazione, erano stati “retrocessi” dagli occupanti nipponici dal loro titolo “imperiale” a “semplici” Re, probabilmente per evitare qualunque tipo di accostamento con il Sovrano del Giappone che, ieri come oggi, mantiene il titolo di Imperatore. Pertanto la Principessa Euimin era diventata, formalmente, Regina di Corea. Però, dal momento che il marito non era mai stato incoronato, in molti negli anni successivi continuarono a riferirsi alla coppia come se fossero sempre solo Principi della Corona.

Nel 1945 la Corea venne occupata dalle truppe americane ma mentre la parte meridionale del Paese restò nell’orbita occidentale, quella settentrionale, occupata dalle truppe russe, cadde ben presto totalmente nell’orbita sovietica. Di qui la nascita dei due Stati coreani che, ancora oggi, si dividono quella penisola.

In quegli anni il Principe prestava servizio nell’esercito imperiale Nipponico, inizialmente quale comandante del 59° Reggimento di Fanteria e, successivamente, della 51^ Divisione di Fanteria; prestò anche servizio nell’Aviazione dell’Esercito (in Giappone, all’epoca, l’Aeronautica non era arma autonoma, ma dipendeva da Esercito e Marina), raggiungendo il grado di Comandante della 1^ Armata Aerea dell’Esercito. Successivamente venne assegnato quale docente al Collegio Militare divenendo poi, durante il conflitto, membro del Supremo Consiglio di Guerra. La Principessa seguì sempre il Consorte in tutte le sue attività militari ma, oltre al supporto dato allo sposo, la giovane Principessa giapponese imparò a conoscere, amare ed apprezzare il popolo, la storia e la cultura coreana. In particolare, nei limiti delle possibilità, tentò sempre di aiutare anche materialmente la popolazione coreana che soffriva immensamente le privazioni derivanti dal conflitto in corso. Con la fine del conflitto e la resa del Giappone, grandissimi cambiamenti intervennero nella vita dei due Principi.

Se nell’animo dell’esule Famiglia Reale Coreana si era affacciata la speranza di una restaurazione (del resto la Monarchia era stata abbattuta dagli occupanti giapponesi e nessuno aveva sentito, al riguardo, il popolo), questa cadde ben presto. Infatti gli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di procedere a riconoscere i diritti dei Sovrani anche perché, bene o male, i Reali di Corea avevano militato nell’armata Imperiale giapponese. Pertanto il nuovo governo coreano abolì immediatamente tutti i titoli ereditari e operò la cancellazione di ogni riferimento al periodo monarchico. Naturalmente, anche in questo caso, senza alcuna consultazione del popolo. Ciò nonostante il fatto che fossero ancora ben avvertibili, nell’opinione pubblica, i sentimenti di attaccamento alla Dinastia che per secoli aveva garantito l’indipendenza del Paese. Per di più il neo eletto presidente della repubblica, Syngman Rhee, rifiutò la richiesta del Pretendente al Trono, che era ancora in Giappone, di potere almeno trasferire la residenza in Corea. Era vivo, infatti, il timore che il popolo potesse seguire il Principe - una volta che questi fosse tornato in Patria - nella restaurazione della Monarchia. Furono anni assai difficili per i due Principi ed i loro figli. Il Giappone era stato devastato dal conflitto ed occupato dagli Americani. Inoltre, poiché la Corea era ormai separata dal Giappone e lo aveva respinto, non avevano nemmeno una

vera a propria cittadinanza, ed erano considerati semplicemente “coreani residenti in Giappone”. Anche la loro condizione economica era divenuta preoccupante e ormai si trovavano sulla soglia di una vera e propria semi-povertà. Vissero però sempre con la massima dignità quegli anni, confidando che un giorno sarebbero stati finalmente in grado di poter tornare nella loro Patria. Un primo cenno di nuova speranza venne nel 1960, allorché il governo coreano propose al Principe Yi Un di divenire ambasciatore della repubblica a Londra, ma il Principe non accettò. Era comunque un passo avanti e, nel novembre del 1963, finalmente, il nuovo presidente coreano, Chung - Hee, volle che i due Principi tornassero in quello che, ad ogni effetto, era il loro Paese. Purtroppo per il Principe Yi la gioia del rientro venne limitata dalla gravissima trombosi che lo aveva colpito poco prima di rientrare. Giunse egualmente a Seul, dove fu ricoverato nell’ospedale “Santa Maria”. Il resto della Famiglia elesse a propria residenza il Palazzo di Changdeok, antica residenza imperiale della Capitale. I restanti anni della sua vita sino alla morte l’1 maggio 1970, il Pretendente li trascorse in ospedale, sempre assistito dalla Consorte che in quegli anni sviluppò ancor di più il suo già innato senso di pietà nei confronti dei sofferenti. Dopo la morte del Consorte, con il figlio ormai adulto, la Principessa Euimin volle dedicare la sua vita all’assistenza del prossimo, in particolare di coloro che la malattia aveva reso inabili sia fisicamente che mentalmente. Tutto ciò, fatto sempre in memoria del defunto marito. Per lei, nata Principessa giapponese, non fu facile superare molti dei pregiudizi che larga parte della popolazione nutriva verso i giapponesi in genere, ma il suo umile lavoro e la semplicità dei gesti e degli atti di vita poterono, infine, farla apprezzare dalla pubblica opinione, specialmente per il suo lavoro a favore del prossimo.

In particolare ciò avvenne quando la Principessa aprì un ospedale specializzato nell’assistenza di pazienti colpiti da paralisi. Successivamente riuscì ad inaugurare anche due scuole per la riabilitazione dei portatori di handicap. In tale modo, con gli anni, tutti i pregiudizi nei suoi confronti vennero man mano a cadere mentre aumentava, a dismisura, un vera e propria adorazione popolare per l’umiltà e la sua dedizione a favore del prossimo sofferente, tanto da venir chiamata “madre degli handicappati”. Il 30 aprile 1989, all’età di 87 anni, la Principessa moriva per un male incurabile nel salone Nakseon del palazzo di Changdeok, dove abitava e dove morivano un tempo gli Imperatori di Corea. Per la sua grande popolarità e per il grandissimo lavoro svolto, il governo sud coreano volle onorarla con un funerale “semi di Stato”, alla presenza di altissime personalità coreane, nonché dei Principi Mikasa del Giappone. Venne sepolta a fianco dell’amato marito, a Seul. ■

CORTE DEI CONTI Il Procuratore regionale del Lazio della Corte dei Conti, Dr. Raffaele De Dominicis, in una conferenza stampa a conclusione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario ha affermato che da alcune consulenze si può rilevare che le Agenzie di rating con i loro consigli sballati sono costate allo Stato Italiano 120 milioni di euro. Si riuscirà a far pagare a tali Agenzie il grave danno causato all’economia italiana? ■

ATROCITÀ NAZISTE E’ prevista per il 2025 la pubblicazione della cosiddetta “Enciclopedia dei campi e dei ghetti”, che nei suoi 7 volumi presenterà una mappa completa dei lager nazisti che dalla Germania si estesero in tutta l’Europa e che dovrebbero ammontare a circa 42.000; le persone in essi imprigionate oscillerebbero tra 15 e 20 milioni, con 11-12 milioni che vi persero la vita. ■


ITALIA REALE - 8/2013

16

CASELLA POSTALE N. 1

CI MANCHERÀ IL CORAGGIO? Caro Vittucci Righini, il nostro candidato a Sindaco di Roma Dott. Angelo Novellino ha avuto 809 voti. Non sono molti, ma raggiungono l’1% dei voti, il che è molto, se consideriamo che: - in pratica non abbiamo fatto campagna elettorale: niente comizi, eccetto quello di “chiusura” (che è stato anche di “apertura”), niente cene con 100200 invitati in prestigiosi ristoranti, niente, per quel che so, mail-list con centinaia di destinatari, da martellare giorno per giorno - in pratica quindi gli 809 voti sono i nostri voti, di monarchici operativi. Come prima uscita non è andata male. Dovremmo però, a mio modesto giudizio, fare alcune riflessioni per il futuro, ormai che siamo in campo con una nostra lista e lo saremo anche in futuro. Dobbiamo essere all’altezza delle nostre tradizioni, anche per poter puntare con decisione alla realizzazione di un nostro sogno - credo di tutti noi - e cioè di una restaurazione legataria della Monarchia in Italia, sotto lo Scudo crociato della nostra amata Casa Savoia. Cosa dovremmo fare per realizzare i nostri sogni? Non è facile da predire, ma una cosa è certa: oggi seguiamo tutti una stra-

da che non porta da nessuna parte. Mi spiego meglio: conosco all’incirca quattro strutture monarchiche, tutte di alto prestigio e di alta efficienza, però nei fatti “la Messa noi ce la cantiamo e noi ce la rispondiamo”. Cioè nessuna delle strutture a me note ha un’apertura alla cd “sociale civile”, che è in grado di esprimere potenzialmente circa 40 milioni di voti. Ci sono oggi degli esperti di Scienza delle Comunicazioni che sono in grado di fruire, con molta eleganza ed efficienza, delle moderne tecnologie. Com’è riuscito Beppe Grillo (con tutte le mie personali notevoli riserve sulla sua personalità) a farsi votare da circa un italiano su quattro? Egli ha usato le moderne tecnologie con una faccia di bronzo ed una dialettica distruttiva, anche fatta di parolacce, che noi non abbiamo e non avremo mai. Ma noi per realizzare i nostri sogni dovremo, anzi dobbiamo, farci votare da 2 italiani su 4. Come si sa, sognare non è vietato da alcuna legge. Ma talora i sogni non sono realizzabili, soprattutto se non si ha il coraggio di provare. Ci mancherà il coraggio? Deficit nobis animus? Credo di no. Un caro saluto da un grande sognatore (e mi viene in mente Edgardo Sogno), onore a lui. Ciao. Prof. Giuseppe Chirico (Roma)

MAGISTRA VITAE? Egregio Direttore, prendendo in prestito dal “De Oratore” di Cicerone l’epiteto dato alla Storia, la scuola è stata definita

GIOVEDÌ MONARCHICI A TORINO Le riunioni hanno luogo in una sala della Caffetteria Madama di Via Madama Cristina 27, sempre nel terzo giovedì del mese e precisamente: - Giovedì 19 settembre 2013, ore 17,30. - Giovedì 17 ottobre 2013, ore 17,30. Le riunioni (che non si tengono in agosto) sono aperte ad iscritti e simpatizzanti per discutere i programmi di attività.

“Maestra della vita” perché mira a insegnare, con gli ammaestramenti del passato, a regolarci per il futuro e l’avvenire. Ma oggi, tale epiteto è ancora valido? D’istinto è il caso di dire no e va aggiunto che l’epocale sconvolgimento sovversivo del famigerato ’68, continua a far sentire le dannosissime sue conseguenze. Padre Casalegno, notissimo salesiano, docente esperto nella decifrazione dei geroglifici al Museo Egizio, era solito dire che 68 è un brutto numero: a Torino è quello di una linea che porta al cimitero! Ma, scherzi a parte, l’attuale situazione scolastica generale è abbastanza difficoltosa, sotto vari aspetti, compreso quello della sicurezza che lascia parecchio a desiderare, anzi preoccupa parecchio, ma la nuova Ministra Carrozza (un cognome che è tutto un bel programma) ha assicurato il massimo suo interessamento e c’è, allora da auspicare che alle promesse seguano i fatti. Inoltre, a mio avviso, bisognerebbe intervenire per ridurre considerevolmente iniziative e attività varie, magari interessanti, ma che finiscono col togliere tempo prezioso alla normale didattica. E, altresì, è precipuo compito della scuola, la formazione etica e morale dando rilievo al valore del rispetto per il prossimo, al senso unitario della Patria, all’impegno nel compimento del proprio dovere. Purtroppo, se i muri e le facciate di case, palazzi ed edifici pubblici (compresi parecchi istituti) risultano imbrattati vergognosamente, c’è anche una corresponsabilità da parte di cattivi maestri che generano pessimi discepoli. Sarebbe opportuno far leggere le pagine più significative della magnifica opera pedagogica di Quintiliano, intitolata “Institutio Oratoria” in lingua italiana. Alla gioventù monarchica potrebbe essere affidato il compito di promuovere e organizzare incontri e riunioni su temi e problemi d’attualità sociale ed educativa, evidenziando l’interesse dei Monarchici nei riguardi di tutto ciò che concerne l’educazione e lo sviluppo culturale e spirituale dei giovani in modo sano. Cordiali saluti. Prof. Renato Cesarò (Nichelino - TO) ■

R.V.R.

LAVORI IN FUNE

CAFONAL so di vestire. Dopo la bandana, che ha sostituito in taluni casi il cappello imponendo un’aria di trascuratezza, ecco l’abbandono anche in occasioni ufficiali ed in incontri tra governanti e capi di Stato, di quell’ornamento maschile semplice ma decorativo, da secoli assurto a simbolo di un corret-

gli insulti che si scambiano i politici ci stiamo purtroppo abituando, dimentichi dei tempi in cui mai e poi mai il dirigente di un partito si sarebbe permesso di rivolgersi ad un avversario contestandolo non già nel pensiero, bensì deridendolo sulle facoltà mentali o sulle tare fisiche.

A

“Potenti” e trasandati to vestire, che è la cravatta. Quanto tempo dovrà ancora passare prima che i “magnifici” personaggi ai quali i popoli della terra affidano i propri destini, si decidano ad abbandonare negli incontri ufficiali di Stato i calzoni lunghi a favore di più comodi mutandoni o, sull’esempio del precursore Umberto Bossi, giacca e camicia a favore di trasandate canottiere? ■

La repubblica ci ha portato anche questo e la rilassatezza dei costumi, il menefreghismo mentale, l’abiura alla dignità ed al rispetto dovuto anche a chi non la pensa come noi, l’aver trasformato la democrazia in demagogia, ci porta sovente a sorridere anziché indignarci. Dopo questo primo passo gradito in particolare ai cafoni, eccoci al secondo: via la cravatta e così il modo corretto e rispetto-

Esiste la possibilità di eseguire lavori in situazioni a forte esposizione, con l’ausilio di tecniche alpinistiche. Questo genere di lavori, denominati “Lavori in fune” è disciplinato dal D.L.S.G. n. 235 dell’8 luglio 2003, in attuazione della direttiva 20 0 1/ 45/CE. Pertanto è un metodo di lavoro disciplinato dalla legge in cui nulla è lasciato al caso; la sua applicazione principale trova spazio ogni qualvolta sia antieconomico o impossibile utilizzare i normali dispositivi di sicurezza collettivi o le piattaforme aeree. Esempi di lavori che si possono eseguire: posa sensori, operazioni di disgaggio e bonifica, posa linee vita, rimozioni di parti pericolanti, ripristini coperture a seguito eventi naturali, pulizie grondaie, posa dissuasori volatili, rimozione ghiaccio e neve su coperture, ecc. La sicurezza degli operatori è garantita dall’ausilio di funi, attrezzature e tecniche adeguate. Tra gli specialisti dei “Lavori in fune” il monarchico Domenico Druetta, Corso G. Matteotti 34, 10062 Luserna San Giovanni (TO). ■

IL GIUOCO DI LETI Sostituendo ad ogni numero una lettera (a numero uguale: lettera uguale) otterrete una citazione di Ugo Foscolo da: “Ultime lettere di Jacopo Ortis”. 1 2 - 3 4 3 3 1 - 1 - 5 6 7 8 1 - 9 10 - 11 7 12 4 3 10 - 13 14 1 - 4 10 15 1 2 1 8 7 15 5 16 7 - 12 1 - 3 16 7 - 8 10 16 3 6: - 1 - 5 10 16 9 1 - 16 9 7 16 10 15 6 2 12 6 10, - 14’ - 4 2 1 11 7 16 8 6 14 1 3 6’ – 16 9 7 - 8 7 16 11 7 - 7 1 - 15 10 14 3 1 - 16 9 7 - 17 16 1 13 6 2 10.

Soluzione 1

2

de “Il Giuoco di Leti” pubblicato sul numero di Luglio 2013

4

5

6

7

8

E T T A 2 C L AM I T A 3 I L E T 4 C C A L AR E 5 U OME T R I 6 R T I O E 7 A T P NO 8 T E PO L O 9 O R E L E’ T 10 F ONDAME 11 P O E O L I C 12 O N E E X A 1

L A P I D A R I

3

9

10 11 12 13 14 15 16 17 18

T T O I MO OC A C R H C C I I RA G T N T A A OK

A L E P O C A L E

S AA S OG I L I N DRO D L I N OND RG E E NE A ANC

B B AMO CO OS A N E’ A A D I A T D A V I I V ORA


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.