Giornale della Sezione ANA Monte Grappa n 105 di Febbraio 2016

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POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2, DBC VICENZA - CONTIENE INSERTO REDAZIONALE

QUADRIMESTRALE DELLA SEZIONE A.N.A. “MONTE GRAPPA” DI BASSANO DEL GRAPPA ANNO XXXV - N. 105 - FEBBRAIO 2016


Sul Ponte di Bassano

il saluto del presidente

Identità perduta e perdente di Giuseppe Rugolo

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In gentile concessione Andrea Pavan Fotografo. Foto retrocopertina gentile concessione Ceccon.

PERIODICO QUADRIMESTRALE DELLA SEZIONE ANA “MONTE GRAPPA” DI BASSANO DEL GRAPPA Anno XXXV - N. 105 - Febbraio 2016 Direttore Editoriale: Giuseppe Rugolo Direttore Responsabile: Gianfranco Cavallin Comitato di Redazione: Piero Demeneghi - Fidenzio Grego Alfeo Guadagnin - Gianni Idrio Alberto Strobbe - Gianantonio Codemo Alessandro Ferraris - Alessandro Dissegna Dario Canesso - Francesca Cavedagna Direzione, Redazione, Amministrazione: Sezione A.N.A. “Monte Grappa” Via Angarano, 2 36061 Bassano del Grappa Stampa: Laboratorio Grafico BST Via Lanzarini, 25/b - Romano d'Ezzelino (VI) www.graficabst.com Autorizzazione del Tribunale di Bassano del Grappa n. 2/ 81 Reg. P. - 9/4/ 81 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Vicenza Tassa pagata - Taxe perçue E-mail: redazione@anamontegrappa.it Sito della Sezione: www.anamontegrappa.it

SOMMARIO • Identità perduta e perdente • Osteria della Grottella • Canti, preghiera e cappelli alpini... • Racconti alpini • Dal museo: le corazze antischegge • Ma siamo davvero in grado di giudicare!? • 1° Raduno degli Alpini in Europa • Perin: tornato a baita • Cieli Rossi. Bassano in guerra • Eccidi sul Grappa • Calendario manifestazioni 2016 • Consegna piastrina di Tiberio Mores • Riemergono le trincee • Riservisti della Bassa Baviera • Festa del Ringraziamento RDS Inserto staccabile su Francesi in Italia

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dentità significa riconoscersi nella famiglia, nelle tradizioni, nei luoghi delle origini e di conseguenza della memoria. È fuori di dubbio che stiamo vivendo un momento epocale di grandi mutamenti che non deve trovarci impreparati o ancor peggio, passivamente inerti e sempre più spesso rinunciatari e disposti ad abdicare se non altro alle tradizioni. Aprirsi al nuovo che avanza non significa assolutamente svendere il valore del nostro passato e pensare di attingervi non è da anacronistici reazionari ma da saggi che fanno dell’esperienza, positiva o negativa che sia, il tesoro personale, il bagaglio di viaggio a cui ricorrere nei momenti del bisogno. È sotto gli occhi di tutti l’incertezza e lo sbandamento sociale che colpisce il mondo occidentale, Italia compresa, per cui con tempismo perlomeno sospetto vengono messi in discussione quei valori sia laici che cristiani che per secoli sono stati fondamento della nostra società. Balza all’occhio e infastidisce, quando a metterne in discussione l’assoluto valore sia, purtroppo, chi in questa società ci è nato, cresciuto e ne gode i frutti. Infastidisce che si possano sacrificare sul falso altare del multiculturalismo e dell’accoglienza (precetti che cristianamente NESSUNO mette in discussione!), millenni di civiltà e solanco tradizioni, conquistate anche attraverso dolorosi e sanguinosi processi storici. È tempo che ci diciamo le cose in faccia senza falsi pudori, chiamandole ognuna con il proprio nome senza alcuna ipocrisia. Nessuno e dico nessuno rinnega la sacralità dell’ospitalità, purché in nome della stessa non si metta in discussione, se non addirittura si vada a ledere il comune sentire di ogni popolo identificato nei suoi precetti laici, religiosi e anche di semplici tradizioni che, comunque, ne sono la spina dorsale. Il dover rinunciare a celebrare anche uno solo dei riti che hanno accompagnato la storia dell’occidente in generale e dell’Italia in particolare, segnandone in modo profondo e indelebile il cammino attraverso i secoli, significa sputare in faccia alla nostra stessa identità. L’ospitalità è sacra e indiscutibile ma non può essere unilaterale per cui chi accoglie si trova ad avere solo doveri e più nessun diritto vedendosi spogliare anche delle semplici e innocue tradizioni. A me hanno insegnato (e per mio vanto ne faccio uso sistematico) che quando si entra in casa altrui ci si presenta con una semplice parola: “Permesso?” e con tutte le conseguenze comportamentali che la stessa comprende nella sua accezione. E fa specie che certi pruriti nascano al nostro interno riuscendo a mettere in discussione gesti e rituali che hanno accompagnato, dal tempo dei tempi, le nostre comunità scandendone la vita. Si vogliono rinnegare le nostre origini, anche cristiane, tentando di cancellare i simboli più umili quali un presepio, un Cristo in croce, addirittura un “Signore delle cime” da non potersi più cantare in chiesa. Sono frastornato, non so più cosa dire né pensare, la mia mente vuole ribellarsi a tutto questo, il mio cuore “crede” in quello che mi hanno insegnato i miei cari; penso a mia nonna che con fede incrollabile, quando ero bambino, mi insegnava a pregare e non si terminava se non con il “Salve o Regina…”, ma adesso improvvisamente mi sembra che tutto stia per dissolversi e messo in discussione. Non è che con la forzata laicizzazione in nome di una ancor più fantomatica pluralità l’accogliere acquisti merito maggiore. A me sembra piuttosto un tarlo che, nato nel ventre molle di questa società, così tanto evoluta e modernizzata ma altrettanto debole e insicura, ne sta scavando le carni flaccide, per avere abdicato ignominiosamente sul fronte del comune sentire, della passione di essere popolo, dell’orgoglio di Patria; parola desueta e ancor più ripudiata da tanti, troppi italiani, e nel cui significato recondito sono impressi i geni del nostro popolo, la sua storia e la sua evoluzione, e che per nessun motivo al mondo può diventare merce di scambio per e in nome di alcuna libertà altrui. È la sicurezza nelle istituzioni unita alla coscienza di appartenere a un’unica grande

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storia che fanno sentire parte integrante di una nazione democratica e generosa ogni cittadino che, cosciente di esserne parte integrante, deve (dovrebbe?)sapere anteporre sempre il senso del dovere alla pretesa del rendiconto personale. La storia degli alpini, in guerra prima e nell’Associazione Nazionale Alpini poi, si è sempre nutrita dell’orgoglio dell’appartenenza, del senso di responsabilità, del rispetto per le istituzioni. Coltiviamo l’orgoglio di essere Associazione Nazionale Alpini e riconoscerci nei suoi precetti fondanti, simbolicamente espressi e sintetizzati dal cappello, con tutto quello che lo stesso rappresenta. Ci accompagni ogni giorno la responsabilità dell’essere non solo cittadini ma anche alpini, comprendendo il grande ruolo che ci viene da tutti riconosciuto, proprio in virtù della serietà e dell’onestà con cui ci siamo sempre mossi. Responsabilità significa rispetto per chi si confronta quotidianamente con le nostre attività facendo attenzione alla sensibilità altrui e alle altrui opinioni, senza però svendere mai la nostra generosità e il nostro impegno, ricordando da quanto dolore e da quanta determinazione è iniziata la nostra storia. Determinati nei nostri precetti di alpino, sensibili sempre e comunque per le emergenze e il volontariato nel sociale, ma altrettanto

attenti alle inevitabili speculazioni che, immancabili sono sempre in agguato ai danni della nostra gratuita generosità. Quanto avevano visto lontano i nostri Padri fondatori professando l’A.N.A. “apartitica” per statuto! Viviamo bene il tempo che il destino ci concede, orgogliosi del privilegio di poter indossare quel copricapo un po' strano ma responsabilizzati da tutto quello che in esso è rappresentato… e credetemi… non è poca cosa! Questo è il tempo delle difficoltà; i “vortici della tormenta” rischiano di farci sbandare, il piede rischia di non posarsi sempre sicuro, perché “i crepacci insidiosi” si presentano quotidianamente e sistematicamente vengono messe in discussione “le nostre armi” con cui abbiamo costruito scuole, asili, case e chiese in Italia e nel mondo e in nome delle quali raccogliamo cibo per i bisognosi e portiamo conforto a chi in difficoltà ma, confortati dalla certezza che “la Madre di Dio, candida più della neve…” conoscendo “ogni anelito e ogni sofferenza di tutti gli alpini…” saprà essere la nostra stella polare. Senza presunzione ma con altrettanta fermezza prendiamo coscienza che la nostra Preghiera è un tesoro di inestimabile valore. Che sia la nostra Bibbia! Un abbraccio alpino a tutti voi.

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tre! A chi avesse fatto una scommessa sulla riuscita del nostro periodico possiamo dire che la cosa è avvenuta in modo abbastanza soffice e piacevole. Certo, ci sono state, come in tutte le cose, alcune leggere difficoltà da superare per migliorare la conoscenza di ciascuno di noi e tra noi. Ma la sensazione che provo, grazie anche alla serie di notizie che si accavallano e ci sommergono in questi giorni, è che si sta apprezzando la possibilità di trovare una voce per ciascuno da sistemare nel coro che si alza nel mondo alpino della nostra sezione, che, ricordiamolo, è fatta di uomini (e donne) appartenenti a diverse zone, estrazioni, ceti sociali. Non potremo accontentare tutti, per ragioni di spazio, ma cercheremo di farlo nel tempo, scusandoci per inconvenienti che possono capitare quando si lavora ad un prodotto complesso e pieno di sfaccettature, come è un giornale. Per di più un giornale che può contare solo su tre uscite all'anno. Per ragioni logistiche, ma soprattutto economiche. A questo punto debbo ringraziare in modo particolare i bravissimi redattori che mi affiancano e portano pazienza quando tarpo loro le ali che sarebbero pronte a dispiegarsi su un lungo e bellissimo volo che tende a fare ammirare su pagine e pagine una parte della complessa realtà che ci circonda. Siamo tutti d'accordo ormai sul fatto che i lettori amano la brevità ed essenzialità delle notizie condite possibilmente con foto. E cercheremo di accontentarli, senza nulla togliere alle sottolineature doverose che marcano la nostra appartenenza ad un mondo che deve anche essere intriso di solidarietà e lavoro gratuito. Gianfranco Cavallin

Caserma Monte Grappa Caserma Monte Grappa ed i reparti che vi si sono avvicendati Proseguiamo l'informazione sommaria riguardante la Caserma, grazie alla collaborazione del maresciallo Cesare Pasquale. Chi volesse saperne di più aspetti che funzioni il sito che si sta allestendo e potrà poi accedere ad esso per arricchire le proprie conoscenze sui reparti che vi son stati acquartierati. Il 29° reggimento di artiglieria campale costituito nel gennaio 1915 a Chievo aveva in sé tre gruppi, uno dei quali venne destinato a Bassano. Il Reggimento venne disciolto il 1 agosto 1920 e ricostituito il 1 ottobre 1926 e assunse poi varie denominazioni.

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una pagina di storia

Osteria della Grottella di Fidenzio Grego

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oco a nord dell'abitato di Rivalta, in comune di San Nazario a ridosso del versante sinistro della Valbrenta, si trova la località Grottella. Questo è il termine con cui si indica una specie di covolo ricavato asportando una falda della parete rocciosa tra l’antica strada postale e la montagna. Grazie alla presenza di una piccola sorgente d'acqua che da sempre sgorga in quel posto, venne costruito un riparo con la vendita di vino e birra poi trasformato nel tempo in un'osteria (censita nel catasto napoleonico sin dal 1812). La vasca esterna ricavata nella roccia consentiva l'abbeveraggio degli animali. La diligenza che collegava Primolano a Padova sostava due volte al giorno in questo luogo dopo aver cambiato i cavalli allo stallo di Bassano. L'osteria della Grottella mantenne la prerogativa di stazione di posta e continuò ad essere punto di ritrovo finché non venne coinvolta e travolta dalle vicende belliche della Grande Guerra. Da osteria divenne un posto avanzato di prima linea. Quanto fosse importante e determinante questo settore lo si può desumere dalla comunicazione che il Comando Truppe Altipiano, Gen. Ricci Armani inviò il 14 novembre 1917 al Gen. Ferrari comandante del XX Corpo d'Armata; “Il Comando Supremo ordina che il nodo delle Mellette e lo sbarramento di Val Brenta debbono essere tenuti a costo di qualunque possibile e immaginabile sacrificio” aggiungendo alla fine “ricordi alle

Alla conclusione del conflitto, la Valle si troverà sprofondata in una crisi economica e sociale che travolgerà anche il destino del fabbricato non più stazione di posta, non più avamposto militare né osteria. Il Gruppo Grotte Giara in collaborazione con “i fioi dea Valbrenta” ha progettato il recupero della Grottella che altrimenti andava incontro ad un triste destino riservato alle cose che hanno perso la propria funzione. Con una serie di interventi mirati al consolidamento e drenaggio della struttura, all'asportazione del materiale ingombrante, pulizia dell'area circostante, sistemazione degli spazi interni, l'antica osteria ha ritrovato lo splendore di una volta. Un’attenzione particolare è stata rivolta alla costruzione di un solaio tra il primo ed il secondo piano utilizzando vecchie travi e tavolato di recupero posati con i fori originali nello stesso posto. Oggi l'edificio, consiste in un piano terra con soffitto a volta suddiviso

in due stanze, dalle quali si entra ad un primo piano tramite una scala curva esterna incavata nella grotta. Da qui parte una galleria che passava sotto a quella ferroviaria, ora opportunamente murata dove si intravedono i resti di due telai che ricoperti di panni imbevuti di acqua sarebbero stati, in caso di attacco, una valida difesa contro i gas asfissianti. Da due bocche sul muro fuoriesce un flusso d’acqua, il quale controllato da una serie di ingegnose canalette, confluisce in una vasca interna (2,50 m. x 1,20 m.) che si presume fosse adibita a mantenere freschi vino e birra. L’acqua in eccesso defluisce attraverso una breve condotta verso la vasca esterna. Dal primo piano si accede tramite una scala verticale al secondo piano. Da una stanzetta sotto roccia parte una cengia dalla quale si può arrivare a delle postazioni retrostanti. A nord dell'edificio sono ancora evidenti due sezioni per mitragliatrice il cui raggio di fuoco copriva un'ampia zona della Valle. Dallo stesso lato c'è l'imbocco di un tunnel che portava dentro la galleria del treno denominata “Grottella”. All'interno di questa galleria erano presenti ulteriori cunicoli che avevano negli anni 1917-18 funzioni di ricovero e/o deposito di materiale bellico. Questa struttura opportunamente reclamizzata potrebbe essere inserita in una rete di testimonianze diffuse nel territorio della Valle del Brenta come esempio di ingegnosità e di architettura rurale. Il merito di tutto ciò va esteso a tutte quelle persone che hanno dedicato il loro tempo per valorizzare e rendere questo sito interessante dal punto di vista storico.

sue truppe che su questa linea si vince o si muore, indietro non si va'”. Fu proprio qui che si bloccò l'avanzata delle truppe austro-ungariche che superarono il 24 novembre lo sbarramento della Lupa arrestandosi sul primo ordine di reticolati posizionati a un centinaio di metri a nord della sorgente. Così riportavano i corrispondenti di guerra dei maggiori quotidiani italiani: …l'esercito austro-ungarico arrivò fino alla Grottella dove vi era quella muraglia di nostri soldati che il Bollettino di guerra chiama lo sbarramento di San Marino. Poi ancora altre testimonianze riportate nella cronistoria parrocchiale della Curazia di San Marino: “...tale località fu grande e tragico teatro di operazioni guerresche e subito dopo la guerra si trovavano soldati morti da ogni lato, venivano raccolti ed inviati ai cimiteri militari. Sul Col della Grottella furono trovati sei cadaveri sepolti a fior di terra, quattro italiani e due tedeschi”.

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l'opinione

Canti, preghiera e cappelli alpini in chiesa di Piero Demeneghi

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i recente abbiamo sentito parlare di divieti di cantare, in cerimonie religiose, qualche motivo (anche molto noto) della nostra tradizione alpina, di recitare la Preghiera dell'Alpino e di calzare il cappello con la penna in chiesa. I fatti si sono verificati in occasione di funerali soprattutto, ma anche non, laddove l'officiante lo ha ritenuto doveroso invocando l'inopportunità del momento o le disposizioni in materia di liturgia. Non sono mancate rimostranze da parte di soci ANA o di semplici cittadini con tanto di articoli sui quotidiani a cui hanno fatto seguito pure strumentalizzazioni politiche. Leggo in data 28 aprile 2014 un articolo di Giovanni Lugaresi, tratto da un sito internet, in cui si riferisce che, in una cittadina veneta, il parroco vieta al coro di cantare Signore delle cime, la preghiera così toccante e commovente del maestro Bepi De Marzi, durante una cerimonia funebre, nonostante fosse stato richiesto dai familiari del defunto in ottemperanza a un suo desiderio. Non è dato di sapere se le motivazioni del diniego siano dovute a prescrizioni di carattere liturgico o meno. In ogni caso ci risulta assai difficile non cogliere in quel canto un contenuto così ricco di pietas da renderlo a tutti gli effetti un canto religioso, divenuto universalmente noto e tradotto in diverse lingue. Per di più esso solitamente conclude la messa del sabato sera celebrata dall'Ordinario militare e/o dal vescovo della città in cui si tiene l'Adunata Nazionale degli Alpini. Questo divieto desta ancora più sconcerto se si pensa che spesso, in chiesa, è dato di ascoltare di tutto e di più. E il di più non è certo quell'opera d'arte che si chiama canto gregoriano. Ci tocca invece di sentire certe canzonette, accompagnate da relativo schitarramento, che uno il quale se ne intende, come il maestro Muti, ha definito semplicemente orrende. Senza contare che anche chi scrive ha partecipato a messe che non hanno nulla da invidiare a uno show, nella più totale anarchia liturgica. Trovo poi in alcuni quotidiani locali la notizia della censura alla nostra Preghiera dell'Alpino avvenuta in data 15 agosto 2015, in occasione della messa per la festa dell'Assunta al passo S. Boldo, in una chiesetta che, tra l'altro, era stata costruita proprio dalle penne nere. Oggetto di censura, a quanto è dato di sapere, era il passo che suona così: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana”. Al di là delle polemiche montate anche dall'intervento di voci politiche, la censura o la modifica del testo di una preghiera andrebbe concordata piuttosto che imposta. Quello della nostra preghiera risale al 1949 quando furono tolti i riferimenti, ormai del tutto fuori luogo, all'epoca fascista, ma era anche un momento in cui lo scontro ideologico politico tra est e ovest era quanto mai vivo in quel contesto storico, tanto è vero che, per i militari, il testo è stato ulteriormente modificato nel 1985. A suscitare la richiesta di censura, naturalmente rifiutata dagli Alpini, sarebbero state quelle parole armi e contro, a detta del celebrante inopportune in un frangente in cui assistiamo all'arrivo di masse umane dai paesi afroasiatici in fuga da guerre e tirannie e contro le quali tuttavia nessuno pensa di imbracciare le armi se non quelle di fede e amore di cui la stessa preghiera parla poco sopra. A noi però, che scriviamo dopo i tragici fatti di Parigi del 13 novembre scorso ad opera del terrorismo islamico, pare che quel

passo sia tornato prepotentemente opportuno. E' proprio così fuori luogo invocare per le armi di quanti sono preposti alla tutela del nostro Paese e dell'Europa intera la forza di difenderci contro un nemico che ci vuole eliminare – stando ai suoi deliranti proclami – per il semplice fatto di ritenerci infedeli? O in ossequio al politicamente corretto, tanto di moda quanto imbelle, o in nome di chissà quale dialogo, dobbiamo lasciare mano libera al terrorismo? Ai buonisti e ai pacifisti in servizio permanente effettivo l'ardua risposta! Per concludere con lo spiacevole episodio della preghiera censurata, forse un po' di buon senso e di sano spirito di discernimento poteva evitare inutili polemiche e pretesti a strumentalizzazioni di parte. Un ultimo fatto ancor più recente, accaduto in quel di Vicenza e che ha gettato sconcerto tra i nostri soci, è stato il divieto imposto da un parroco agli Alpini, durante una cerimonia funebre, di tenere in chiesa cappello in testa e gagliardetti. La motivazione, pur giusta in linea di massima, sosteneva che, in chiesa, per rispetto a Nostro Signore, si sta a capo scoperto. Nella fattispecie non sarebbe stato difficile arrivare ad un utile compromesso consentendo agli Alpini portatori di gagliardetto di presenziare con il cappello per rendere omaggio al defunto e invitando gli altri a toglierlo. Del resto non è difficile vedere in cerimonie solenni, ad esempio, i carabinieri in alta uniforme mantenere per tutta la durata il copricapo che fa parte della loro divisa. Tra l'altro, chi ha qualche anno in più ricorda che un pontefice amatissimo come San Giovanni Paolo II, all'Adunata Nazionale di Roma del 1979, chiese espressamente di poter calzare il cappello con la penna al momento di impartire la benedizione apostolica agli Alpini presenti in Piazza San Pietro. Ne faceva memoria in un numero dell'Alpino del 2005, anno della morte di quel grande Pontefice, il generale Giorgio Donati, già comandante della Cadore, il quale glielo aveva prestato per l'occasione e, con immensa gratitudine, se l'era visto restituire dal Papa in persona. Ma anche recentemente, l'attuale papa Francesco, pure lui amatissimo dalla gente, ha voluto farsi ritrarre con il cappello alpino in testa. Alla luce di questi fatti, riesce difficile pensare ad una mancanza di rispetto a Nostro Signore il fatto che l'alpino con cappello e gagliardetto Gli renda omaggio nel momento più solenne di una messa, come la consacrazione. Fortunatamente la stragrande maggioranza dei celebranti non solleva obiezioni di fronte a canti, preghiere e simboli che definiscono la nostra identità e probabilmente meno rumore e un po' di buon senso possono evitare inutili polemiche e strumentalizzazioni di parte estranee all'autentico spirito alpino.

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testimonianze

Racconti alpini così, senza pretese di Alberto Strobbe

VITA VISSUTA ALLA CASERMA MONTEGRAPPA SIGNORSI' SIGNOR TENENTE

billina «vedrete!!!». Bussano al mio ufficio ed io con voce tonante rispondo «avanti». I tre sergentini AUC entrano e si mettono in un attenti approssimativo. Io non li degno di uno sguardo, intento in cose più importanti quali, credo, pulirmi le unghie con un cerino. Marco fa loro degli occhiacci significativi, poi urla con tutto il fiato che ha in corpo «attenti». I tre, spaventati dall’urlaccio, scattano sbattendo i tacchi. Io, allora, sollevo gli occhi, strapazzo Marco per il suo modo inurbano di trattare i nostri nuovi arrivati che invito con un sorriso cordiale a rilassarsi sul riposo. I poveracci non fanno in tempo ad eseguire il bonario invito, che cambiando repentinamente faccia li strapazzo con un tono in falsetto: «State sull’attenti. Chi vi ha dato il permesso di mettervi sul riposo?». Uno dei tre, evidentemente il più intraprendente, tenta un timido «E’ stato lei, tenente». Ciò basta a farmi partire per la tangente «Stia punito! Signor Tenente, per lei. E poi parli solo e se sarà interrogato». Vedo che il lavoro ai fianchi fatto dai miei “najoni” prima di ammetterli al mio cospetto sta dando i suoi frutti. Questi cominciano davvero a realizzare di essere finiti nelle mani di un pazzoide. A scombussolarli ancor di più, come nulla fosse, riprendo il mio più amabile sorriso e li invito a mettersi sul riposo. Cosa che nessuno esegue per timore di quel che ne potrebbe scaturire. E’ ovvio che a tal punto mi incazzo perché i miei ordini non vengono prontamente eseguiti e sfogo le mie ire funeste su Marco che si era permesso un sorrisetto. «Sottotenente» lo apostrofo, per rimarcare la differenza di status della sua unica stelletta dalle mie due, «si faccia 10 flessioni con un braccio solo». Occorre dire a questo punto che avevo scoperto, giunti a nostra volta, una vita prima, al reggimento, che Marco aveva un’abilità più unica che rara di saper fare le flessioni (amabilmente chiamate “pince”) con un braccio solo. Come ci riuscisse è sempre stato per me un mistero: ma nella realtà dei fatti per lui era quasi uno scherzo. Marco con un’espressione da condannato alla forca si accinge ad eseguire l’ordine sotto lo sguardo allibito dei poveri malcapitati. Intanto io ne approfitto per comminare punizioni a raffica per i più futili motivi a tutti i miei artiglieri che, come da copione, si trovano “per caso” a passare per il mio ufficio. Finite le pince, non degno Marco di uno sguardo e sibilando tra i denti dico «Pappamolle! Io esigo ben altro dai miei Artiglieri. Lorsignori, son sicuro che vorranno adesso farci vedere come si fanno delle vere flessioni con un braccio solo, a me e a questo smidollato!». Dire panico quello che leggevo nei loro occhi è ancora un eufemismo. Già ri-scattati sull’attenti («quando parlo io dovete scat-tareeee!!!») vedo che si cercano con le code degli occhi, incerti se dire qualcosa, preoccupati di peggiorare una già precaria situazione. Provvidenzialmente per loro, come da copione, entra in scena Artenio, con un saluto assolutamente perfetto, da manuale, che io immediatamente strapazzo indegnamente annunciando ai tre sventurati con ostentata fierezza: «Lo vedete quello lì? Non vedrà mai la stelletta da ufficiale. Ci ho ben pensato io a fargliela perdere, perché non sa ancora salutare come si deve». A questo punto mi rendo conto di aver forse un pochino esagerato. I visi che ho di fronte sembrano ormai prossimi ad un colpo apoplettico. I tre fanno vistosamente fatica a respirare. L’affanno sta per travolgerli. Mosso a pietà, riprendo il mio fare bonario, tranquillo, da fratello maggiore. Spiego, quindi, che la nostra è una grande famiglia, dove ci vogliamo tutti un sacco di bene, come appena dimostrato. Poi torno alla importantissima operazione che stavo facendo al loro ingresso, riabbassando gli occhi sul cerino ormai inservibile per la cura delle mie unghie, alla ricerca di un suo sostituto. E loro sempre sull’attenti senza fiatare. Poi, con il mio miglior sorriso, dico «Signori, ancora una cosa: se avete ancora un minuto da dedicarmi, Vi invito caldamente a pensare… alla STECCA!!!». A questo punto, il panico dei loro occhi è - se possibile - ancora maggiore. «Ma come fa questo firmaiolo a parlare di stecca? Ma chi è

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ancavano due settimane o poco più al congedo. Con Marco, mio frate di una naja vissuta assieme sin dal primo momento, cercavamo il modo di far passare gli ultimi interminabili giorni. Eravamo entrambi al comando di una batteria: io della 50ª, la motorizzata del Gruppo, dall’emblematico nomignolo di “Fantasma” che la diceva lunga sull’effettivo organico su cui potevo disporre, lui per assenza del comandante effettivo di una delle due batterie someggiate, la “Nobile” 37ª. Per di più, l’altra batteria someggiata, la 38ª, era in escursione. Eravamo in pratica i padroni della Caserma Monte Grappa di Bassano. Si era nel 1971 ed aprile era alle porte e con il suo arrivo anche quella tanto sospirata libertà che negli anni avvenire avremmo avuto modo di ridimensionare, ampiamente rivalutando quell’ultima grande vacanza che fu per noi il periodo della vita militare. Ma questo apparteneva al futuro. Ufficiale di picchetto era un nostro “figlio”, di cui ricordo che veniva designato con il nome di “Tubo Foca”: quale ne fosse il motivo, che ora sfugge alla mia labile memoria, era senz’altro significativo del suo modo di rapportarsi con noi, Forza Assente. L’occasione ghiotta ci venne improvvisamente servita, come si suol dire, su un piatto d’argento. Un fonogramma arrivato in maggiorità - e immediatamente da radio scarpa segnalato ai due aspiranti borghesi - segnala l’arrivo dei “pezzi di ricambio”, ovvero dei sergenti AUC di non so più quanti corsi dopo, destinati a rimpinguare le esigue fila delle nostre batterie. Con Marco basta un’occhiata. Le parole non servono. Avvisiamo il “Tubo Foca” che i nuovi giunti (gli arrivati eravamo solo noi, ormai in vista del traguardo finale) devono prima di tutto, prima di vedere alcun ufficiale, sottufficiale o graduato di truppa, financo un mulo, essere tradotti nella mia fureria, per far conoscenza con il “Signor Tenente” che è “ansioso” di dar loro il benvenuto. Con una velocità ed una determinazione degne di maggiori traguardi, concordiamo che io sarei stato il Signor Tenente, un po’ schizofrenico, Marco il mio umile e slecchignoso subalterno, Artenio, mio sergente AUC e meraviglioso amico, sarebbe stata la vittima alla quale io avevo fatto perdere la stelletta da sottotenente, il mio furiere Francesco praticamente avrebbe strisciato ai miei piedi, come pure i pochi intimi della batteria quel giorno presenti che avrebbero a turno ricevuto montagne di “cacca“ e giorni di CPR a non finire. Mancavano solo i particolari: uno fu rapidamente risolto con un volontario che applicò al mio giubbetto una seconda stella. A ripensarci adesso, in quell’occasione ho fortemente, se scoperto, rischiato di finire a Gaeta o a Peschiera (allora sede dei penitenziari militari), a mia scelta. Forza Assente lo eravamo, evidentemente, anche nel cervello. Ma come fare per il cappello? Marco ha una folgorazione: «Credo che il mio Comandante tenga un cappello di riserva da qualche parte». Detto fatto parte e dopo pochi minuti torna con il trofeo, con le due sbarrette sulla greca. E’ fatta. Il cappello da tenente viene messo con i gradi bene in mostra sulla mia scrivania; un rapido ripasso delle parti e la sceneggiata è pronta. Con perfetto tempismo, “Tubo Foca” chiama in fureria avvisando che i nuovi sergentini sono appena giunti. Un’ultima occhiata alla scena: tutto è a posto, compresa la luce del sole che filtra giusta giusta sugli occhi di chi si mettesse di fronte alla mia scrivania. Marco è umilmente e untuosamente sull’attenti, tutti gli altri tremano vistosamente scambiandosi occhiate impaurite, sottovoce avvisando i tre malcapitati, in procinto di essere ammessi al mio cospetto che di peggio non gli poteva capitare. Alla angosciata domanda «perché» la risposta è si-

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testimonianze

quello assegnato a me quando realizza che il mio giubbetto ha una solo stelletta, che il mio cappello ha una sola greca: ma la cosa buffa è che fino al giorno, vicinissimo ormai, del mio congedo, questo mio pezzo di ricambio era assolutamente convinto che stessi bluffando ora nelle mie vesti di sottotenente, io che per lui ero e probabilmente sarò ancora, dopo oltre quarant’anni, il “Signor Tenente”.

questo qui?». Li congedo e vengono accompagnati ai loro alloggi, ancora debitamente catechizzati dai miei che hanno il compito di far loro da balia. Passano alcuni giorni. La vita di caserma torna alla normalità. Alla 37ª rientra il Comandante titolare e trova il suo secondo cappello, ovviamente, al suo posto. Pure la 38ª rientra dalla sua uscita. Ed i tre vengono assegnati ognuno ad una batteria. Ho ancora negli occhi lo sconcerto di

Convenzioni A.N.A.

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on il tesseramento 2016 arrivano tanti vantaggi per i soci! Come consueto in questi mesi tutti i Gruppi sono impegnati con il rinnovo del tesseramento per i propri soci Alpini e Amici. Dal 2016 essere tesserato ANA avrà, per i soci della Sezione Monte Grappa, un valore in più. La Sezione ha deciso di istituire una Commissione che ha l’incarico di concludere delle Convenzioni a vantaggio dei soci che diano diritto a degli sconti presso varie strutture commerciali e non. Per iniziare siamo lieti di comunicare che dal 1° Gennaio 2016 saranno già operative due convenzioni. La prima conclusa con i magazzini Nico che dà diritto ad uno sconto del 7% su abbigliamento uomo, donna e bambino, scarpe e prodotti per la casa. Sconto che non potrà essere cumulato alle promozioni in corso. Basta esibire la tessera ANA con il bollino dell’anno 2016 e verrà rilasciata ai Soci la Nico Card che contiene già le condizioni di sconto pattuite. Chi fosse già in possesso della Nico Card potrà richiedere l’adeguamento delle condizioni portando con se la Nico card e la tessera ANA. La seconda convenzione è stata conclusa con la ditta Ipermercato Battocchio che dà diritto ad uno sconto del 2% su tutti i prodotti in esposizione e può essere cumulato anche con le promozioni in atto. Basterà esibire la tessera ANA. Questo è solo l’inizio infatti la Commissione continuerà ad esplorare possibili accordi con altre realtà per aggiungere agevolazioni in modo costante. Sono stati contattati gommisti, assicurazioni, negozi sportivi e di arredamento. Se qualche socio, per contatti o conoscenze, volesse se-

gnalare alla Commissioni il nominativo di qualche attività commerciale, ristorante o negozio, lo può fare contattando il Vice Presidente Alessandro Ferraris responsabile della Commissione.

Sono in corso di conclusione altre convenzioni di cui daremo notizia ai soci attraverso comunicazioni via mail e nel prossimo numero del notiziario. Tra l'altro una anche con la ditta Listrop.

Un augurio dal Canada dal capogruppo Giorgio Menegon di Sudbury (Ontario) con il riconoscimento del nostro periodico sezionale come elemento di coesione tra gli alpini migrati.

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Sul Ponte di Bassano

dal museo

Le armi della Prima Guerra Mondiale: Le corazze antischegge di Gabriele Peruzzo

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llo scoppiare della Prima Guerra Mondiale tutti gli eserciti cominciarono a studiare, produrre e utilizzare corazze metalliche, poiché i reparti di fanteria di tutti gli stati non disponevano di protezioni valide contro il fuoco nemico. Il 16 giugno 1915 il comando supremo del Regio Esercito Italiano stabiliva, con circolare n. 496 P.R.S., la creazione di piccole unità tagliafili dette successivamente “compagnie della morte” a causa delle gravi perdite a cui erano soggette, composte da 6 genieri dotati di tubi esplosivi e pinze taglia reticolati ed equipaggiati con il “completo Farina“. Questo completo era costituito da un elmo e una corazza. A protezione del petto, si indossava la corazza, composta da un pettorale trapezoidale di dimensione 30 cm per 40 cm circa, realizzata con 5 strati di lamiera di acciaio al nichel-cromo e spessore totale di 30 mm, e 2 spallacci di spessore 24 mm, il tutto fissato al corpo del soldato con cinghie di canapa. Il peso totale era di circa 9250 g, distribuita in quantità molto limitate solo a fine ottobre 1915, il fabbricante ne garantiva la protezione contro palle calibro 6,5 mm del nostro fucile Mod. 1891 sparate da non meno di 125 m…!!! Personalmente ho avuto l’occasione di visionare diverse corazze Farina con vistosi fori passanti di 8 mm (palle di ordinanza Austriaca) a dimostrazione della poca protezione offerta. Altro tipo di corazza costruita dalla Ditta Farina fu la corazza “Corsi”, ideata al fine di proteggere i soldati al fronte nella parte toracica del corpo. Questa corazza era ben costruita e, nonostante il suo ingombro e peso, la sua maggiore caratteristica era quella di essere molto versatile e poco fastidiosa quando indossata e non limitante nei movimenti. Era

La Corsi oltre ad essere acquistata dal Regio Esercito Italiano ed in qualche esemplare dagli eserciti Alleati, fu soprattutto oggetto di interesse dei singoli soldati o delle relative famiglie che la acquistarono privatamente per spedirla al caro congiunto direttamente al fronte. La ditta Ansaldo di Genova realizzò su licenza Francese, lo scudo pettorale “Daigre”. Confezionato in due modelli, il primo chiamato anche modello alto o scudo Ansaldo, era costituito da un piastrone realizzato in acciaio ricoperto da feltro attorno al quale era presente una esterna in tela molto robusta. Grazie a cinghie interne poteva essere fissato al petto o impugnato come vero e proprio scudo. Il secondo tipo, molto più diffuso e usato, aveva le stesse caratteristiche costruttive e si differenziava per la minor lunghezza della parte inferiore che si presentava tronca. Un cavalletto pieghevole permetteva di appoggiarlo al terreno per poter sparare al riparo o di utilizzarlo sul parapetto della trincea. Di concezione modernissima, il corpetto corazzato “Fariselli” prodotto dalla “Compagnia Astori” di Milano, era costituito da un trittico di piastre di acciaio contenute nelle tasche di un panciotto realizzato in robusta tela dal peso complessivo di 7500 g, veniva messo a protezione del solo torace. Prodotto nazionale ben realizzato, suscitò l’interesse dell’Esercito Inglese che ne acquistò circa 200 esemplari utilizzati nelle operazioni sul fronte Francese. Da segnalare lo scudo-corazza Ansaldo realizzato e testato nel 1918 ma rimasto allo stadio di semplice prototipo. Costruito con acciaio al nichel-cromo in 4 taglie con peso dai 7300 g ai 9000 g, grazie a 2 piedini pieghevoli e girevoli poteva essere usato come scudo dietro al quale il soldato poteva fare fuoco attraverso una feritoia a sportellino scorrevole, oppure utilizzarlo come scudo toracico fissabile con apposite cinghie. L’uso delle corazze, comunque, apparve ben presto inadeguato negli attacchi delle fanterie. Questo principalmente a causa del peso e dell’impaccio che causavano queste protezioni indossate dal combattente impegnato allo spasimo nella corsa verso le postazioni nemiche. Nel nostro museo Sezionale conserviamo un modello pesante di origine Tedesca. Questo genere di protezione molto limitante nei movimenti, era distribuito in gran numero ai reparti di prima linea e soprattutto alle Sturmtruppen.

costruita da una piastra pettorale, tre addominali e una inguinale, unite fra di loro da cinghie di canapa e cuoio per assicurare il massimo della stabilità della protezione ed era indossabile indifferentemente sopra o sotto la giacca della divisa. Il peso variava a seconda del modello dai 3300 g ai 6500 g, unico grande difetto la scarsa durata delle cinghie di fissaggio. La ditta produttrice la garantiva contro colpi di armi bianche, pallottole di piombo sparate anche a distanza ravvicinata e palle shrapnel. Venne anche rilasciato un certificato redatto in data 19 giugno 1915 dal Presidente del tiro a segno di Barlassina che garantiva il buon esito delle prove balistiche.

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Sul Ponte di Bassano

Ma siamo davvero in grado di giudicare!? Possibile contributo ai giovani per una riflessione di Gianantonio Codemo

“Non si dovrebbe parlare della guerra se non la si è vissuta e riflettuta: solo così si arriva a capire che la guerra è uno stato, una condizione morale che appartiene agli uomini e alla loro natura. Prima di gridare “abbasso la guerra” bisogna aver inteso tante cose. Dire “pace! pace!” e non andar oltre, è parlare da ingenui perché non si tiene conto e non si considera ciò che è più importante e chiarisce tutto e cioè che lo spirito della guerra è semplicemente l'uomo così com'esso è fatto. Non è che l'uomo divenga preda della guerra e cada per così dire sotto il suo dominio, ma è la guerra che gli appartiene ed è attributo della sua stessa natura.” (Riflessione dell'autore tratta da “NOI COMBATTENTI a Caporetto e al Piave - Discorso sulla guerra”) di Alberto Genova - edizioni Canova – novembre 1968. Il testo menzionato raccoglie una quantità di testimonianze di autori diversi, 47 per la precisione, reduci della Grande Guerra che, dopo parecchio tempo (50 anni), hanno pensato all'utilità forse ancor prima della responsabilità, di riportare le proprie vicende trascorse durante quel periodo bellico. Non passa inosservato che la prima edizione fu stampata nel '68, quando ormai i fatti, oltremodo drammatici, ma anche il vivere quotidiano in prima linea o nelle retrovie, permeato di passioni, affetti, rabbie, amicizie, contrasti e quant'altro dei momenti di maturata gioventù, si erano sedimentate e macerate, comunque in qualche modo avevano trovato sofferta sepoltura nei ricordi. Ebbene, la breve parte del testo appena citato e trascritto, mi ha non poco colpito, tant'è che l'ho dovuta leggere e rileggere più volte per cercare di coglierne il significato più umano che l'autore, con tanta enfasi, ha voluto mettere in risalto come per giustificarne l'evento. A rincarar la dose, come si suol dire, ci si mette pure Benedetto Croce che nel “Saggio sulla filosofia dello Jacobi” affermava “la guerra appartiene necessariamente all'esistenza e mantenersi a resistere non è possibile senz'assalto e ciò che non resiste non ha consistenza”. Ma cosa c'è di umano nella guerra, quando esplicitata con armi, ha lo scopo di uccidere l'uomo! Probabilmente questa potrebbe passare come una riflessione contraddittoria e semplicistica se riferita al testo, ma nel contempo non risulta facile accettarla considerando i pur vari “Credo” con i quali siamo stati cresciuti e che nello specifico condannano comunque, inequivocabilmente la guerra da qualsiasi angolatura la si guardi. È opportuno “andar oltre” sollecita l'autore, ma dove oltre: le trite e ritrite cause, il ridondante irredentismo, le conquiste territoriali, la superficialità degli interventisti, le ricche classi sociali che ne intravedevano opportunità, i giovani intellettuali sazi di ogni bene, la volontà di riscatto,

l'Unità d'Italia, il Sacro Tricolore e qualcos'altro ancora... Aggiungiamoci pure che la diplomazia italiana dell'epoca non brillasse di fervida strategia politico-diplomatica e nemmeno quella europea si distinguesse per acume tattico, men che meno per l'accertamento realistico delle proprie capacità militari, sia dal punto di vista delle forze umane e dei mezzi, sia per quel che concerne le tattiche dell'”Arte Militare”, tant'è che ciascuno dei contendenti era certo della propria vittoria, per di più in tempi assai brevi. No, pure queste motivazioni non giustificano ancora l'affermazione riportata in epigrafe dall'autore. Proseguendo ancora oltre allora: oggi sembrano superate le barriere fisiche statali, ma anche sociali, politiche, delle tradizioni, della religione, della lingua e mettiamoci anche della storia, in virtù del raggiungimento di ideali comunitari, per transitare fra nazioni diverse senza pretesa di documenti, parlare correntemente lingue comunitarie, meglio se universali, sottostare a regole politiche ed economiche comuni e, tra l'altro, professare la propria fede in maniera sommessa, anzi più precisamente: “per non offendere le altre confessioni”... Salvo poi fare repentina retro marcia quando, come in questi giorni, accadono i fattacci. Allora tutto questo si rimette in discussione, si riprendono le leggi restrittive, si annullano gli accordi, ci si punta il dito verso…, qualcuno si dichiara in guerra con qualcun'altro. Poi ci sono e ci saranno i morti, le stragi assurde, funerali e lacrime anche oltremodo pubblicizzate senza rispetto. Alla fine il mondo non è più lo stesso. Inizia un'altra epoca e così via fino…, fino alla prossima guerra. Ma questa storia l'abbiamo già vissuta, ma questa è la storia. Sta a vedere che l'autore ha davvero ragione! Non me ne vogliano gli ”storici” che, trascorrendo i loro anni di appassionata ricerca a valutare i fatti e cercare di dare risposte, facilmente saranno in grado di giustificare quegli eventi, basta guardare gli innumerevoli servizi, testi, reportage che quotidianamente prolificano in tutti i mezzi di comunicazione; …o più opportunamente ignorino quanto sopra. Il mio monito è riferito al “giudicare” che molto spesso sfugge ai più, con discorsi ridondanti auto celebrativi, manifestazioni di piazza prossime più a folcloristici cortei che non alle commemorazioni, magari contornate da striscioni e variopinti-improbabili stendardi, dove è facile trovare anche giovani inneggianti, spesso per emulazione, appartenenza, ideologismi…, ma scarso approfondito giudizio. Ernesto Galli della Loggia in un articolo di qualche tempo fa affermava: “…di non giudicare meccanicamente le cose di ieri con il metro di oggi. Ai milioni di morti della Grande Guerra e al loro sacrificio almeno questo lo dovremmo”. Non ho risposte quindi a tal proposito e forse non ci sono, ma ciò non ci esime dalla seria e prioritaria disponibilità ad approfondire e tentare di immedesimarci con quei combattenti. Allora, forse, il citato dell'autore potrebbe trovare una qualche giustificazione e di conseguenza il respingere la guerra e ricercare con ogni mezzo la pace, se pur precaria, potrebbe avere un senso più cosciente.

Nastrino della medaglia di cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto concessa a tutti i combattenti della 1a Guerra Mondiale legge 263/1968

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Sul Ponte di Bassano

1° Raduno degli Alpini in Europa "ERA GIUSTO ESSERE PRESENTI" Gruppo Giovani Sez. Monte Grappa

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essere presenti per ricordare, con la curiosità di visitare un Paese per noi nuovo e anche mossi da un senso di orgoglio per poter partecipare al 1° Raduno Europeo. Sulla strada di casa ripensando ai racconti di vita dei minatori, alle storie delle loro famiglie e ai luoghi della loro memoria, ci siamo guardati e quasi all’unisono abbiamo concluso dicendo: “era giusto essere presenti”.

o scorso 3 e 4 ottobre 2015 si è svolto a Marcinelle (Belgio) il 1° Raduno degli Alpini in Europa. L'evento organizzato in concomitanza con il decimo anniversario della deposizione di una Lapide Commemorativa presso il sito minerario ormai dismesso di Bois du Cazier (Patrimonio Dell’Unesco) in ricordo dei minatori morti nel tragico incidente dell'8 agosto del 1956 di cui 136 nostri connazionali molti di essi Alpini. Citando le parole del discorso del Presidente Favero fatto durante la Cerimonia: “era giusto essere presenti” e “si doveva essere presenti” La Sezione Monte Grappa ha risposto Presente! Due delegazioni hanno raggiunto Marcinelle con itinerari diversi e forse anche spinti da motivazioni diverse. Una Delegazione ha scortato il Vessillo Sezionale e ha vissuto in modo più sentito la celebrazione. Probabilmente perché gli Alpini di questa delegazione, per età, hanno più vivida memoria di quando, nel primo dopo guerra, amici, parenti e compaesani “lasciarono la loro terra d'origine per dare un senso non solo alla loro vita ma alla vita della loro famiglia”, magari proprio lì a Marcinelle hanno portato con sé i loro ricordi e ne hanno voluto fare memoria. Dall'altra una Delegazione di Noi Giovani, che non ha dovuto soffrire le stesse pene grazie al sacrificio di chi li ha preceduti. Ma allo stesso modo ne hanno condiviso e vogliono condividerne la memoria e per questo hanno deciso di essere presenti e ricordare. Con l’occasione Noi Giovani mossi anche da curiosità abbiamo fatto tappa a Bruxelles, quale centro delle istituzioni europee, visitando il Museo Reale di Storia Militare, che spazia dal periodo Napoleonico ai

Col Fenilon di Francesca Cavedagna

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li alpini di Solagna riportano la croce sul cippo di Col Fenilon “Era nostro dovere farlo, è stato un lavoro immenso che ci ha riempito i cuori di soddisfazione. Lo dovevamo alla memoria dei nostri caduti”. Il forte vento che ha battuto sul Grappa lo scorso anno l’aveva fatta cadere, spezzandola di netto alla base, ma quel simbolo non poteva non essere ricostruito: la croce di oltre cinque metri di altezza aveva sempre rappresentato un monumento irrinunciabile per il monte sacro alla Patria. Quel cippo, inaugurato nel 1950 dal cardinale di Venezia Carlo Agostini, in onore dei caduti di tutte le guerre, negli anni ha subito più di un attacco. Nel ’56 ignoti hanno profanato la croce benedetta, poi immediatamente riparata dai volontari, nell’88 il monumento è stato completamente ristrutturato dagli alpini, ed è rimasto così fino allo scorso anno quando durante un brutto temporale la croce con struttura in legno è stata spezzata dal basamento in marmo. Gli alpini si son subito dati da fare per sostituirla, ma per raggiungere l’obiettivo era necessario trovare gli sponsor e tutti i permessi. Il lavoro è stato intenso, durato diversi mesi, ma finalmente il risultato è stato raggiunto e Col Fenilon adesso è di nuovo un simbolo del Grappa. Finalmente, il cippo è tornato completo e un a croce tutta nuova, costruita in acciaio zincato fatto apposta per durare nel tempo, è stata riposizionata dal Gruppo Ana di Solagna, insieme ai volontari di Romano, ai fanti e ai volontari dell’Associazione Amici del Grappa. La croce, portata in cima divisa in due parti, è stata saldata direttamente sul Col Fenilon, poi fissata al basamento. I lavori hanno coinvolto una decina di volontari e si sono svolti in tempi record: appena due ore. “Siamo davvero orgogliosi di aver ridato al cippo la sua croce e il decoro che merita – spiega Giulio Nervo, Presidente del Gruppo Alpini Solagna – Abbiamo lavorato un anno per raggiungere questo risultato, ma era un obiettivo importante da raggiungere e dovuto alla memoria di tutti i caduti”. L’inaugurazione ufficiale è prevista per la prossima primavera, con una cerimonia solenne alla quale parteciperanno tutte le associazioni dei volontari coinvolti insieme alle autorità civili e militari del territorio.

giorni nostri passando per le due Guerre Mondiali; con estremo stupore ed orgoglio ci siamo soffermati a lungo davanti alla vetrina che conserva le uniformi storiche degli Alpini. Sempre a Bruxelles molto interessante l’Atomium, costruito per l'Expo del 1958, simbolo di Bruxelles e di un'Europa che aspirava ad un futuro di armonia, progresso e pace necessarie al nostro sviluppo. Proseguendo per la strada verso Marcinelle abbiamo visitato il museo che ricorda la famosa Battaglia di Waterloo, della quale quest’anno ricorre il bicentenario (era 17-18 giugno 1815), e la collina artificiale, che ricorda i tumuli sepolcrali, da dove troneggia un Leone di pietra. Siamo partiti per questa avventura con la convinzione che dovevamo

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Perin: tornato a baita

Alla riscoperta del Grappa

di Francesca Cavedagna

di Gianni Idrio

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i è conclusa la stagione 2015 delle visite guidate a Cima Grappa con un lusinghiero risultato. Si è trattato di un anno assai impegnativo, dovuto al fatto che siamo ormai entrati nel vivo delle commemorazioni del Centenario. Nell’arco di 7 mesi - da marzo ad ottobre – si sono alternate 40 comitive, tra scolaresche e gruppi di adulti, nei siti storici del Grappa. Numerosissime le classi delle scuole del territorio – 24 – per un totale di 92 classi e 2000 allievi (+ 27% rispetto al 2014), che hanno visto coinvolti ben 23 diversi accompagnatori ai quali vanno aggiunti gruppi di adulti (alpini o di diversa estrazione) per un totale di altre 850 persone. A tutti coloro che si sono prodigati, con qualsiasi tempo, a seguire i vari gruppi vada un sincero grazie.

ommemorare le spoglie mortali di un alpino tornato a casa, per ricordare tutti i morti e i dispersi della Grande Guerra. Lo scorso giugno a San Michele, frazione di Bassano, con un una cerimonia solenne, a cui hanno partecipato le massime cariche militari, civili e associazionistiche, si è reso onore ai resti dell’alpino Pietro Perin, ritrovato dai famigliari dopo 70 anni dal decesso. Perin, classe 1916, partì nel ‘42 nel 6° Reggimento Alpini per il fronte jugoslavo. L'8 settembre del ‘43 fu fatto prigioniero dai tedeschi e rinchiuso nel campo di prigionia di Gorlitz, nella Bassa Slesia polacca, dove morì il 12 maggio 1944 e fu inumato nel cimitero militare di Bielany. La sua famiglia da allora non ne seppe più nulla fino allo scorso anno, quando, grazie alle ricerche dello storico veronese Roberto Zamboni, la salma venne individuata e finalmente riportata a casa. Alle celebrazioni, insieme a tutta la comunità di San Michele e ai famigliari che hanno reso omaggio a Perin, erano presenti anche il Presidente Nazionale Ana Sebastiano Favero, il Presidente della Sezione Monte Grappa Giuseppe Rugolo, il sindaco di Bassano Riccardo Poletto, la senatrice Rosanna Filippin, il Tenente Colonnello Gianmarco Di Leo, poi i vessilli e i labari delle associazioni combattentistiche e d’arma. La cerimonia religiosa è stata officiata dal parroco di San Michele don Valerio Vestrini e dal mons. Angelo Bazzari, Presidente della Fondazione “Don Carlo Gnocchi”, il parroco che fu cappellano degli alpini in Russia, a cui è stato dedicato un cippo. Tonante e commosso l’intervento del Presidente Ana Sebastiano Favero. “Sono qui a nome di tutti gli alpini d’Italia, per rendere onore a due alpini, Perin e don Gnocchi, che rappresentano i nostri valori più veri, quelli che sentiamo nel cuore e che dobbiamo continuare a seguire. Voglio riportare le parole di papa Francesco, che ieri da Sarajevo incitava i fedeli a una pratica fondamentale, ripetendola tre volte: memoria, memoria, memoria. E’ questa la parola che i morti di tutti le guerre ci gridano con forza, ed nostro dovere rispettare la loro volontà, per non rendere vano il loro sacrificio.” I resti di Pietro Perin riposeranno temporaneamente al cimitero di Angarano in attesa della sistemazione definitiva al Tempio Ossario.

Indubbiamente questi dati sono testimoni di una forte ripresa di interesse per la storia da parte di tutti. Fa piacere, però, che soprattutto le scuole e gli insegnanti abbiano incrementato la loro presenza sul Sacro Monte, perché proprio a loro deve andare rivolto il messaggio di fiducia e pacifica convivenza, che i drammatici fatti di questi mesi sembrano mettere in dubbio. Il Grappa è stato teatro di aspre battaglie e di eccidi, sia nella prima che nella seconda guerra mondiale. Perché questo non si ripeta più è giusto che sul Grappa si salga e si mediti, senza condizionamenti politici, che sono sempre di parte, in qualche maniera. Già si preannuncia un 2016 ancor più ricco di iniziative e ricorrenze, che coinvolgeranno tutte le risorse umane della Sezione, ma… gli Alpini non hanno paura.

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Sul Ponte di Bassano

Cieli Rossi. Bassano in guerra dal sito web "Sole e Luna Production"

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unedì 14 dicembre 2015 è stato proiettato in sala Da Ponte a Bassano del Grappa il documentario di guerra “Cieli rossi. Bassano in guerra”. Cieli Rossi è la prima produzione nazionale sul conflitto ad essere stata supervisionata, dal principio alla fine della lavorazione, da un ente universitario. Fin dall’inizio della lavorazione, infatti, la casa di produzione Sole&Luna Production di Mussolente ha chiesto il sostegno scientifico del Comitato dell’Ateneo di Padova per il Centenario della Grande Guerra. La stipula di una convenzione ad hoc ha assicurato che il Comitato certificasse l’utilizzo rigoroso delle fonti d’archivio e la pertinenza della loro lettura, e che fornisse inoltre una consulenza relativa a specifici passaggi del documentario. La decisione di tenere la prima proiezione sul territorio nazionale a Padova è stata dunque il riconoscimento del ruolo centrale che l’Università ha giocato nella genesi di un prodotto destinato alla divulgazione storica al largo pubblico, allo stesso tempo efficace sotto il profilo comunicativo e scientificamente di altissimo livello. Il lavoro, profondo e curato, frutto di due anni di ricerche e studi, offre una visione inedita sui quattro anni del Primo Conflitto Mondiale, un conflitto che ha cambiato per sempre il mondo intero, con la morte di milioni di persone. Il Veneto, anche se per molti versi oscurato dalle vicende delle grandi “spallate” offensive di Cadorna fino al disastro di Caporetto, fu il territorio più segnato dall’impatto della guerra mondiale. In Veneto si combatté dal primo all’ultimo giorno del conflitto. Veneti furono i primi profughi causati dalla guerra; in Veneto, sul massiccio del Grappa, si combatté l’ultima battaglia di retroguardia che fermò l’offensiva austro-tedesca nel dicembre 1917 e venne iniziata la battaglia finale che avrebbe portato gli Italiani a Vittorio Veneto nel novembre 1918. Il Grappa, l’Ortigara e l’Altopiano di Asiago, ma soprattutto la città di Bassano occupano un posto centrale e determinante in questa ricostruzione storica. In un’ora e mezza di narrazione serrata, basata sulla riscoperta di straordinari filmati inediti (ritenuti in larga parte perduti), di una vasta selezione di documenti d’archivio e di fonti a stampa dell’epoca, il concatenarsi degli eventi militari viene intrecciato alle vicissitudini della popolazione civile, testimone silenziosa del pesante impatto che la guerra moderna ebbe sulle città e sul paesaggio della regione. Le riprese sono state effettuate tra Bassano del Grappa, l'Altopiano di Asiago e il Massiccio del Grappa che a tutt'oggi mostra ai suoi visitatori

i crateri e le ferite lasciati dalle esplosioni delle bombe, dei cannoni e delle granate Il documentario, che narra la Grande Guerra attraverso il massacro di uomini e di luoghi, è il frutto dello studio dei diari d'epoca e della selezione di materiale fotografico esclusivo ai quali gli autori e i registi hanno aggiunto suggestive immagini video realizzate sul fronte, con la fondamentale consulenza militare del Colonnello Gianni Bellò, del pro-

fessor Marco Mondini e con le preziose informazioni sulla logistica del professor Gianni Idrio. Protagonisti del racconto sono gli uomini che, stremati e reduci da Caporetto, erano impegnati a salvare la Patria, le proprie case a pochi chilometri dal fronte. Il loro sacrificio salvò la Pianura Padana e l'Italia intera, nel momento in cui Bassano Veneto da tranquilla cittadina di confine si trasformò in simbolo delle sofferenze e degli orrori della guerra, rimanendo per interminabili giorni sotto il tiro costante dell'artiglieria nemica e dei bombardamenti aerei. "Cieli rossi. Bassano in guerra" è un'immagine fotografica, quella che restò per sempre impressa negli occhi dei pochi civili rimasti a presidiare la cittadina di Bassano ed è dedicata a tutti quei soldati sepolti nel Sacrario Militare di Cima Grappa che poco più che ventenni persero la vita in nome della propria Patria. Il documentario "Cieli Rossi, Bassano in guerra", è prodotto da Sole e Luna ed è stato scritto e diretto da Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon. La colonna sonora, scritta sulle immagini, è del veronese Federico Mosconi, e fonde i suoni della natura con armonie musicali nuove, regalando così un'esperienza d'ascolto unica e suggestiva. Oltre al sostegno della Regione Veneto - Fondo Regionale per il cinema e l'audiovisivo e con la collaborazione della Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Hanno, inoltre, contribuito, l’Associazione Nazionale Alpini, il Comitato d’Ateneo per il Centenario della Grande Guerra dell’Università degli Studi di Padova, il Comitato Regionale Veneto per il Centenario della Grande Guerra, l’Unione Montana del Grappa, l’Unione Montana Valbrenta, la Provincia di Vicenza, la Provincia di Treviso, il Comune di Bassano del Grappa, il Comune di Asiago, il Comune di Mussolente, l’Associazione “Musei all’aperto 1915/18 – Grande Guerra sul Monte Grappa”. Il DVD del documentario è prenotabile presso la segreteria della Sezione Ana Monte Grappa. Il ricavato è interamente devoluto alla Sezione.

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LA GRANDE GUERRA Francesi in Italia di Alfeo Guadagnin I primi aiuti che gli alleati anglo-francesi mandarono in Italia, furono delle batterie di artiglieria che giunsero nel nostro Paese nella primavera del 1917. Il loro utilizzo fu strettamente legato all’offensiva che il Regio Esercito sferrò tra il maggio ed il luglio dello stesso anno sia sull’Isonzo, dando vita alla Decima Battaglia, sia sul settore dell’Altopiano di Asiago nell’Operazione K, meglio conosciuta come la Battaglia dell’Ortigara. Pare sia stato il “fuoco corto” di alcune batterie francesi il 10 giugno 1917 a mietere dolorose perdite in morti e feriti, ai fanti della Brigata Sassari ammassati sulle proprie trincee in attesa di sferrare l’attacco sulle munitissime posizioni austriache di Monte Zebio. Morire sotto il cosiddetto “fuoco amico” fu comunque una tragica consuetudine per tutti gli eserciti belligeranti in ogni conflitto, divenendo uno dei più consueti “incidenti di percorso”. Per alleggerire la pressione nemica sul fronte occidentale gli Alleati chiesero costantemente al Comando Supremo italiano di agire offensivamente sui propri confini, ma nonostante le rassicurazioni di Cadorna le operazioni sul nostro versante stagnarono in una guerra di posizione e di difesa. Il nostro Comandante Supremo promise nuove offensive attuabili solamente nella primavera del 1918, provocando la sdegnata reazione dei vertici Alleati che richiesero la restituzione Foto ricordo a Cavaso del Tomba. Su g.c. Floriano Sartor immediata delle loro artiglierie, la cui utilizzazione sarebbe servita alla propria causa sul vasto fronte franco-belga. Cadorna reagì in malo modo e forse fu questo uno dei motivi che incrinarono irrimediabilmente il rapporto tra gli Alti Comandi Alleati ed il nostro condottiero, poi pochi mesi dopo, il 24 ottobre dello stesso 1917, avvenne lo sfondamento del fronte dell’Isonzo a Caporetto e la ritirata dapprima sul Tagliamento e poi sul Piave. Il “Generalissimo” finì sulla graticola, ma trovò il tempo di distribuire colpe a chiunque e riservò agli Alleati un’ultima stoccata, accusando la mancanza dei circa 200 pezzi anglo-francesi ritirati nel settembre precedente e tanto utili nella disperata difesa. Comunque fu lo stesso Cadorna chiedere il 26 ottobre l’aiuto alleato e sia francesi che inglesi risposero all’appello, inviando truppe e mezzi sul nostro fronte, anche se con riserva. Il 30 ottobre i primi convogli francesi partirono con destinazione Italia, trasferendo dal fronte occidentale la X Armata comandata dal Genera-

le Duchene, formata dai Corpi d’Armata XII (Generale Nourisson) e XXXI (Generale Rozée d’Infreville) a cui si aggiunsero altri reparti autonomi. Il movimento dell’intero Corpo di Spedizione francese sotto il Comando del Generale Groudecourt, sostituito dopo breve tempo dal Generale Fayolle, fu imponente e nell’arco di tempo necessario allo spostamento, che durò dal 30 ottobre all’8 dicembre, passarono le Alpi ben 847 treni, trasferendo sul nostro fronte 160.000 uomini, circa 50.000 quadrupedi, più di 600 pezzi di artiglieria, nonché materiale logistico e medico, oltre a 10 squadriglie di aviazione che seguirono le proprie truppe. Il più importante campo di aviazione francese si collocò a Nove, coprendo con i propri velivoli la zona dell’Altopiano di Asiago. Anche i britannici del BEF (British Expeditionary Force) sotto il comando del Generale Plumer, seguirono le truppe transalpine portando in Italia due Corpi d’Armata, l’XI ed il XIV con altri 130.00 uomini e 25.000 quadrupedi, oltre 400 pezzi d’artiglieria e 5 squadriglie di aeroplani. Completato il trasporto in suolo italiano la X Armata francese poté contare sul XII C.A. (Divisioni 23ª e 24ª), il XXXI C.A. (Divisioni 64ª e 65ª) e le Divisioni di Chasseurs des Alpes (gli alpini francesi) 46ª e 47ª. Le truppe francesi si fermarono sul lago di Garda nelle province di Brescia e Verona e gli inglesi nel mantovano in attesa di sviluppi sul delicato momento del fronte italiano. Cadorna confortato dalla presenza alleata, chiese l’immediato schieramento in linea dei reparti anglo-francesi, ma subì una prima doccia fredda quando i Comandi cobelligeranti si opposero alla sua richiesta. Secondo il Capo di Stato Maggiore francese, Maresciallo Foch e del suo collega britannico Generale Robertson, il Regio Esercito era in grado di operare autonomamente senza l’aiuto dei loro eserciti. Foch in particolare sosteneva che delle quattro Armate italiane schierate lungo il fronte ossia la I sugli AltiIl Maresciallo Ferdinand Foch piani, la IV in Cadore e poi sul Grappa, la III sul Carso (successivamente sul Piave) e la II sull’Isonzo, solamente quest’ultima non fosse in grado di combattere perché annientata. Esclusivamente nel malaugurato caso che il fronte del Piave fosse crollato e si fosse creato un nuovo sbarramento difensivo sul Mincio-Po, francesi ed inglesi avrebbero mobilitato in prima linea le loro truppe. Rimanevano diversi punti da chiarire da parte dei governi Alleati con il nostro, e la prima riunione interalleata si tenne a Rapallo il 6 e 7 novembre 1917. I rappresentanti dei governi Orlando per l’Italia, Painlevè per la Francia e Lloyd George per l’Inghilterra con le proprie delegazioni, stabilirono le modalità degli aiuti da parte alleata, ma la condizione principale che transalpini e britannici posero, fu la sostituzione di Cadorna da Capo di Stato Maggiore italiano, colpevole della disfatta sull’Isonzo. L’8 novembre la riunione si trasferì a Peschiera del Garda e Painlevè,


Lloyd George ed il nostro Orlando, incontrarono Re Vittorio Emanuele III mentre l’ignaro “Generalissimo”, rimase a Treviso a gestire la delicata situazione, delegando la presenza al suo Sottocapo, Generale Porro. Lo stesso giorno il Re lo sostituì con Armando Diaz. Ottenuto il risultato richiesto, gli Alleati non modificarono il loro atteggiamento continuando a negare il consenso all'impiego di proprie truppe e all'utilizzo delle loro artiglierie. Gli italiani affrontarono il nemico sul Grappa, sul Piave e sull’Altopiano di Asiago, contenendo gli assalti e rispondendo alle critiche alleate con atti di coraggio, dimostrando che l’Esercito non era sconfitto ma in grado di reagire con fermezza. Alla fine di novembre l’offensiva austro-tedesca fu bloccata senza l’aiuto degli Alleati; a quel punto sia francesi che inglesi, arrivati in Italia come “salvatori della Patria”, si trovarono nell’imbarazzante situazione di “truppe di rincalzo”. La loro immagine ne sarebbe uscita nettamente sminuita nei confronti del nostro Esercito, dato erroneamente per spacciato. Il Generale inglese Plumer si offrì di sostituire le logore truppe del Regio Esercito sul fronte, cogliendo di sorpresa il collega francese Foch, che dovette giocoforza adeguarsi ed offrire malvolentieri il proprio contributo. Diaz accettò volentieri la proposta alleata poiché le nostre truppe avevano necessario bisogno di essere ricostruite e un avvicendamento con reparti freschi, dopo un mese di feroci battaglie era indispensabile, ma chiese fermamente ed ottenne, malgrado le resistenze francesi, che il Comando delle truppe straniere restasse italiano. Gli inglesi si schierarono sul Montello, i francesi inviarono il XXXI C.A. sul fronte del Tomba sostituendo nei primi giorni di dicembre il IX C.A. italiano praticamente annientato, ma eroicamente saldo sulla linea TombaMonfenera. In prima linea si schierarono le Divisioni 65ª e 47ª Chasseurs des Alpes, lasciando in riserva nell’Asolano la 64ª Divisione di fanteria e ricevendo in supporto dal Comando Supremo italiano la Brigata Alpi (51° e 52° fanteria).

Monte Tomba

Il Monte Tomba ed il Monfenera furono teatro di scontri sanguinosi tra il 18 ed il 22 novembre, quando i tedeschi della Divisione Jager, prima e l’Alpenkorps bavarese, poi, riuscirono ad aver ragione delle truppe italiane della 17ª Divisione del IX C.A., conquistando le posizioni dominanti dei due monti. Gli italiani si asserragliarono in contropendenza nelle posizioni sottostanti, cercando invano nei giorni seguenti di riconquistare il territorio perduto, ma ai primi di dicembre cedettero ai francesi una situazione di assoluta stabilità. Da parte nemica il possesso delle due quote non rappresentò nessun vantaggio perché l’artiglieria italiana, padrona delle quote sovrastanti ed in particolare di Monte Palon, iniziò a rovesciare valanghe di fuoco sulle trincee avversarie ad ogni minimo movimento. La presenza di truppe nemiche sulla vetta del Tomba, restò in ogni caso un problema rappresentato dalla possibilità tedesca di controllare le linee italo-francesi della pianura trevigiana; nacque dunque la necessità di riprendere possesso delle posizioni dominanti. Fino a quel momento tra francesi e austro-tedeschi ci furono solo

scaramucce tra pattuglie e scambi di colpi tra artiglierie che causarono comunque vittime, tra le quali il Comandante del 5° Gruppo Chasseurs des Alpes, Colonnello François Bel, caduto il 13 dicembre. Sulle pendici del Tomba fu posato, ed è tuttora presente, un monumento in onore del prode Ufficiale. Verso la fine di dicembre le truppe tedesche dell’Alpenkorps iniziarono l’avvicendamento con la 50ª Divisione di fanteria austro-ungarica, fino a quel momento in riserva e composta quasi nella sua totalità da rumeni, ruteni e ungheresi, e tale movimento venne notato dagli osservatori alleati. Le artiglierie alleate iniziarono un fuoco continuo e metodico su truppe in arrivo ed in partenza dando modo al Comando francese di intuire che il momento adatto per l’attacco era giunto. Il 26 dicembre i pezzi cominciarono a martellare sia il Tomba che il Monfenera 24 ore su 24 fino al giorno 30, data designata per l’attacco.

Ufficiali italiani e francesi sulle linee del M. Tomba

Il mattino del 30 dicembre l’artiglieria alleata sconvolse le difese con tutti i calibri a disposizione, a cui quella nemica tentò senza successo di rispondere. Alle 16,00 tre battaglioni di Chasseurs des Alpes, il 70° ad ovest del fronte d’attacco, il 115° al centro ed il 51° ad ovest, scattarono all’attacco mentre la propria artiglieria allungò il tiro sulle vie di accesso nemiche e sulla Valle del Piave. In mezz’ora Monte Tomba fu in mano delle truppe francesi che sommarono nell’azione 54 morti e 205 feriti, mentre da parte austro-ungarica le perdite furono pesantissime con circa 500 morti, un numero molto alto ma imprecisato di feriti e lasciando in mano dei transalpini quasi 1400 prigionieri. Per i nostri alleati d’oltralpe fu una grande vittoria, che la stampa francese enfatizzò soprattutto nei confronti di quegli italiani che avevano rischiato di compromettere il conflitto. L’azione fu in realtà un gioiello per preparazione sia da parte degli Alti Comandi, sia dai comandanti di battaglione e di compagnia; fu ugualmente eseguito alla perfezione da soldati esperti, motivati e coraggiosi, ma è doveroso fare alcune precisazioni. Gli italiani si attestarono sul Tomba e sul Monfenera a circa metà novembre dopo la tragica ritirata di Caporetto, ritrovandosi in un ambiente sconosciuto, privo quasi nella sua totalità di difese, con poca e disorientata artiglieria e confrontandosi con un nemico forte e deciso come le truppe tedesche delle Divisioni Jager e dell’Alpenkorps. I soldati italiani della 17ª Divisione cedettero solamente quando fu impossibile tenere la posizione, ma le perdite da loro inflitte ai tedeschi furono talmente forti che i germanici dovettero arrestarsi. Gli atti di coraggio non si contarono ed i nostri soldati non si sottrassero al loro dovere; alcune batterie da montagna si trovarono gli attaccanti nemici a pochi metri e gli artiglieri dopo aver sparato “ad alzo zero” ossia ad altezza uomo, contrattaccarono alla baionetta, sacrificandosi sui pezzi. Un mese dopo gli avversari erano stato fermati, le difese erano costruite, la situazione stabilizzata e per l’attacco francese sul Tomba, furono


messi a disposizione le artiglierie complete del XXXI C.A. francese, del XVIII C.A. italiano e del XIV C.A. inglese del Montello, oltre squadriglie alleate con compiti di osservazione, caccia e bombardamento. Centinaia di bocche da fuoco per un fronte di poco più di 3 km, osservazione che il Generale Tettoni, Comandante del XVIII C.A. obiettò con il Comando Supremo, ma le sue rimostranze vennero contenute per evitare polemiche inadeguate verso un alleato il cui aiuto poteva essere ancora determinante. La ragion di Stato consigliò di tenere un atteggiamento estremamente positivo nei confronti dei nostri “cugini”, malgrado le loro continue esternazioni di arroganza e superiorità nei nostri confronti. Se durante la permanenza in Italia i “poilus”, i “pelosi” (soprannome che si erano dati i soldati francesi) familiarizzarono con la popolazione civile, ben diverso fu il rapporto con i nostri soldati. Gli atteggiamenti di strafottenza che i francesi dimostrarono da sempre verso i militari italiani, definiti paurosi, impreparati e naturalmente mafiosi, furono l’occasione per lo scaturire di risse anche violente. Nel marzo del 1918 la X Armata francese ritornò in patria per controbattere l’offensiva tedesca denominata “di primavera” nel nord della Francia e nelle Fiandre; lasciarono l’Italia il XXXI C.A., le Divisioni 46ª e 47ª, seguiti anche dalle Divisioni inglesi 5ª e 41ª e dal II C.A. italiano. Il Generale Nourisson sostituì il collega Maistre al comando del Corpo di Spedizione in Italia solamente per tre giorni, dopodiché venne avvicendato dal Generale Jean Cesar Graziani, che terrà l’incarico fino al termine del conflitto. Restò solamente il XII C.A. a rappresentare il contingente transalpino, forte delle Divisioni 23ª e 24ª, che salirono sull’Altopiano di Asiago, schierandosi in prima linea su un fronte per la verità abbastanza ristretto, della lunghezza di circa 3 chilometri.

pedì al nemico di proseguire, ed un secondo che isolò i rincalzi in fase di avanzata, provocando loro fortissime perdite e catturando con un veloce contrattacco del 78° fanteria, centinaia di prigionieri. Molto più difficili, sia per l’entità delle truppe nemiche che per l’estensione del fronte, la difesa dei settori italiano ed inglese, in cui il nemico riuscì in parte ad ottenere parziali risultati che però non mantenne se non in minima parte. Il 16 giugno la battaglia poté dirsi virtualmente chiusa e a fine mese gli italiani ripresero le porzioni di terreno perse il primo giorno dell’offensiva, mentre truppe francesi salirono su Cima Echar in supporto al XIII C.A. italiano. Nei mesi successivi le truppe del Generale Graziani attuarono una serie di colpi di mano a nord est di Asiago, nelle borgate Zocchi, Stellar, Bertigo e sul Monte Sisemol, con lo scopo di procurare perdite al nemico e catturare prigionieri. Questi “blitz” notturni crearono in particolare tensione tra le truppe austro-ungariche e le gesta dei “poilus” vennero pubblicate sia dalla stampa d’oltralpe che da quella di casa nostra, ignorando operazioni simili se non uguali, condotte soprattutto dal 52° Reparto d’Assalto “Fiamme Verdi”, i cui arditi erano prevalentemente dei paesi di Gallio, Asiago, Foza. Ci si avviò verso l’autunno e in vista dell’offensiva di ottobre, tanto richiesta dai nostri alleati anglo-francesi, il XII C.A. francese venne smembrato; la 24ª Divisione rimase di presidio sull’Altopiano nelle medesime posizioni e la 23ª che venne trasferita sul fronte del Piave.

Poilus in marcia

Capitello Pennar

La prima linea si snodava da M. Tondo-Pennar (periferia est di Asiago)Fratta dove alla propria sinistra si collegava con il settore inglese, molto più ampio che terminava sui monti Zovetto e Magnaboschi, nei pressi di Cesuna. Alla destra delle posizioni francesi c’erano gli italiani del XIII C.A. che presidiavano il settore dei Tre Monti (Valbella, Col d’Echele e Col del Rosso) e del XX C.A. che occupavano un territorio impervio a cavallo della Valbrenta. I francesi attrezzarono sapientemente le retrovie in particolare a Camporossignolo, Turcio, Mosca e Conco, dove installarono artiglierie, depositi, comandi, ospedali e cimiteri. Nella battaglia del Soltizio del 15 giugno del 1918, l’ultima offensiva dell’Impero Asburgico, le posizioni francesi vennero attaccate da truppe delle Divisioni austro-ungariche 16ª e 42ª Honved, in particolare nelle difese di Capitello Pennar. I “poilus”, ai primi colpi del tambureggiante fuoco d’artiglieria nemica, adottarono lo stratagemma di abbandonare le trincee, permettendo agli ungheresi della 42ª Honved di prendervi possesso. A quel punto scatenarono un primo fuoco di sbarramento che im-

Il Comando Supremo italiano ipotizzò la creazione di una nuova Armata composta da reparti inglesi e francesi, ma a chi affidare il comando? Foch premette per porre alla guida dell’unità il Generale Graziani, Robertson naturalmente puntò su Lord Cavan. Salomonicamente Diaz decise di creare due Armate: la XII italo-francese con tre Divisioni italiane (24ª, e 70ª del I Corpo d’Armata e 52ª) e la 24ª francese sotto il comando del Generale Graziani e la X con due Divisioni inglesi (7ª e 23ª) e due italiane (37ª e 23ª), presieduta dal generale Cavan. La XII Armata ebbe l’ordine di attraversare il Piave a Pederobba con le Divisioni 23ª francese e 52ª italiana composta da truppe alpine e seguire il movimento della IV Armata del Grappa, con il I C.A. e risalire le due sponde del fiume. Nella notte tra il 26 ed il 27 ottobre i battaglioni Bassano, Verona ed un battaglione del 107° Reggimento francese passarono il Piave costruendo una testa di ponte, subendo violenti contrattacchi nemici e sottoposti ad un pesante fuoco d’artiglieria che distrusse sistematicamente i ponti che il Genio italo-francese costruì in situazioni estremamente difficili. Gradualmente riuscirono a guadagnare terreno e ad alleggerire la pressione, mentre i Reggimenti 107° e 138° con il battaglione Stelvio riuscirono a raggiungere la riva opposta. Con l’aiuto dell’artiglieria le truppe alleate conquistarono il 29 ottobre,


le importanti posizioni di Monte Perlo e Monte Pianar, catturando prigionieri e materiali, mentre il nemico era sempre più in evidente difficoltà. Le Divisioni alleate il giorno 30 superarono il Piave e i francesi iniziarono la risalita verso il Feltrino con i Reggimenti 78° e 138°. Sull’Altopiano la 24ª Divisione aggregata al XIII C.A. italiano si mise all’inseguimento delle truppe austro-ungariche in fuga e si attestò su M. Longara, sopra il paese di Gallio. Mentre le truppe inglesi continuarono l’avanzata verso il Friuli, le truppe francesi, dell’Altopiano e del Piave, vennero ritirate dal fronte e posizionate in pianura, specie nella zona tra Montebelluna e Castelfranco in

Il cimitero italo-francese di Conco. Su g.c. Tipografia Bonomo Asiago

attesa dell’epilogo del conflitto che arrivò il 4 novembre. Sciolta la XII Armata, il XII C.A. venne ricompattato con le sue due Divisioni e ritornò in patria nel febbraio del 1919. Tracciando un bilancio sull’impegno francese in Italia, si deve riconoscere che questo, al pari di quello inglese, servì particolarmente per il morale che esercitò sulle nostre truppe che non si sentirono abbandonate dagli alleati, ma trovarono il supporto di truppe ben preparate, smaliziate e coraggiose. Sotto il profilo militare invece, l'intervento francese fu indubbiamente utile ma non determinante, data l’esiguità delle truppe che composero il Corpo di Spedizione, e l’obiettiva certezza che poche Divisioni non potessero influire sulle sorti di una guerra. Reduci dai carnai di Verdun e della Somme, per i francesi, il fronte italiano fu senza dubbio un banco di prova più agevole. Tuttavia al termine del conflitto, la stampa anglo-francese amplificò esageratamente i meriti delle proprie truppe a discapito di quelle italiane. Analizzando le perdite alleate in Italia durante la Battaglia del Solstizio di metà giugno, i dati parlano chiaro con 86.000 italiani tra morti e feriti, contro i 2700 complessivi di inglesi e francesi. In un anno di collaborazione sul fronte italiano, cioè dall’arrivo in Patria degli alleati, le fonti ufficiali italiane stimarono che le truppe del Regio Esercito contarono 182.840 uomini fuori combattimento tra morti (57.920) e feriti (124.920), gli inglesi 6100 (1025 morti e 5075 feriti) ed i francesi 2782 (480 morti e 2302 feriti). Le pubblicazioni del primo dopo guerra furono però imprecise, perché stimarono tra i morti francesi solo quelli raccolti sui campi di battaglia, omettendo i decessi avvenuti nei tantissimi ospedali da campo per ferite e malattie. Un conteggio più reale anche se approssimativo, porta sul migliaio la cifra dei caduti francesi in terra italiana. Molte volte ci si dimentica che in Francia combatterono anche le nostre truppe del II Corpo d’Armata del Generale Alberico Albricci, donando alla causa 4375 morti e 6395 feriti, un numero elevatissimo che dimostra il grande spirito di sacrificio dei nostri soldati in terra straniera. Sulla piccola sommità del piccolo paese di Bligny, nel Dipartimento della Marna, sorge il Cimitero Militare italiano che conserva i resti di 3453 nostri soldati, in particolare delle Brigate Alpi, Salerno, Brescia e Napoli. Al termine del conflitto, i campi di battaglia come pure le retrovie in cui

erano presenti ospedali militari, erano disseminati di cimiteri più o meno grandi, dalle migliaia a poche decine di tombe. I circa 1000 soldati francesi caduti in Italia vennero sepolti in varie località: Cavaso del Tomba, Castelfranco Veneto, Vicenza, Brescia, S. Vito di Valdobbiadene, Montecchio Maggiore, Marostica e molti altri. Il più grande fu il cimitero italo-francese di Conco che raccolse le salme dei soldati d’oltralpe caduti durante la lunga permanenza delle truppe sull’Altopiano, accogliendo 2424 militari italiani (682 ignoti), 284 francesi (6 ignoti) e 76 austro-ungarici (10 ignoti). Edificato in pendenza nel Fondo Pascolon era lungo 103 metri e largo 68, con due lunghi corridoi che si intersecavano formando una croce, nel cui centro si trovava un monumento formato da una colonna “mozza” su cui era posato un “galletto” o “coq” simbolo della Francia ed una lapide che riportava: “Prodi d’Italia e di Francia - fraternamente caduti per un ideale comune - qui giacciono insieme nella medesima gloria”. Quel che resta ora quel grande camposanto sono il “galletto” che si trova nella Biblioteca del paese di Conco e l’ara votiva, collocata nel monumento ai caduti del paese. Su Monte Tomba invece, i Governi italiano e francese ipotizzarono di erigere un grande monumento in onore dei soldati d’oltralpe, conquistatori della vetta. Fu realizzato il progetto e individuato il luogo adatto per la costruzione, i lavori iniziarono ma si bloccarono quasi subito per mancanza di fondi. Si malignò (senza averne prove consistenti) che il progetto si arenò per un disimpegno italiano dopo il Trattato di Versailles in cui la nostra Nazione venne snobbata dai grandi, privandola di quelle concessioni promesse nel 1915. Su volere del Maresciallo Petain nei primi anni ’30 a suggellare la vecchia alleanza e per riunire le spoglie di tutti i caduti d’oltralpe sparse nei cimiterini del Veneto, nel luogo simbolico di Pederobba che vide il passaggio del Piave da parte dei “poilus”, venne iniziata la costruzione del Monumento Ossario dei soldati francesi nella Grande Guerra. L’architetto Camille Montagne progettò una costruzione in pietra rappresentante una muraglia, ossia la difesa che le truppe francesi opposero all’invasore, mentre di fronte alla facciata sorsero le statue di due donne sedute sulle cui ginocchia giace il corpo di un soldato. L’autore dell’opera, lo scultore Louis Leygue, volle simboleggiare le madri italiane e francesi

Il Sacrario francese a Pederobba

che sorreggono il loro figlio morto in guerra per la libertà e per la pace. Il 27 giugno 1937 venne inaugurato il Sacrario contenente le spoglie di 900 caduti francesi di cui 888 noti e 12 ignoti. Tale cerimonia avvenne alla presenza di reparti di Alpini e di Chasseurs des Alpes, di numerosissime autorità civili e militari, ma soprattutto di reduci francesi che combatterono sul Tomba, sul Sisemol, sul Piave. A distanza di vent'anni la bandiera italiana e quella francese tornavano a sventolare insieme, anche se tali intenti di pace e di fratellanza, cementati dal sacrificio e dalla morte di tanti giovani combattenti per la stessa causa, si infransero solamente tre anni dopo, quando il 10 giugno del 1940, Italia e Francia entrarono in guerra una contro l’altra.


Sul Ponte di Bassano

Eccidi sul Grappa di Armido Dissegna

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' uscita ed è stata presentata venerdì 27 novembre scorso a Borso del Grappa, su iniziativa del Gruppo Alpini di Casoni "Bortolo Busnardo", una interessante ricerca su una serie di episodi legati alla Resistenza sul Grappa e al tristemente famoso Rastrellamento nazifascista del settembre 1944. E' una pubblicazione a più mani, a cura di Lorenzo Capovilla, Federico Maistrello e Lorenzo Rossi che si soffermano su tre episodi, nei quali i militi della Legione M(ussolini) Tagliamento che rastrellavano il versante ovest del Grappa, diedero prova della loro ferocia e del loro più totale disprezzo di ogni regola di legalità e di umanità che gli eserciti in armi sono tenuti ad osservare dalla Convenzione di Ginevra in poi. A Malga Meda, a pochi Km. dalla Cima, furono fucilati, senza prove e senza processo 7 patrioti, tre dei quali minorenni, cui si aggiunse un disertore austriaco colpito alla schiena come traditore. Alla Busa delle Cavare altri cinque partigiani furono colpiti, fra loro il s.ten. Ludovico Todesco comandante della Brigata "Italia Libera Campocroce", mentre tentavano di sottrarsi alla cattura. Infine, nel pomeriggio di domenica 24 settembre '44,dopo un lauto pranzo in un locale lungo la Cadorna, i militi della Tagliamento, non esitarono a fucilare a Campo Solagna tre ex prigionieri alleati in barba alle più elementari norme della convenzione di Ginevra. C'erano degli alpini fra questi caduti per la libertà? I ricercatori ne hanno individuato almeno 4. Sono: Giuseppe Dalla Zanna, di Semonzo, classe 1923, alpino del 7° Rgt. Btg. Feltre, Ludovico Todesco,di Solagna, classe 1914, s.ten. del Corpo Guardie alla Fontiera, Antonio Cadorin, di Semonzo, classe 1924, alpino del 7° Rgt. Btg. Feltre; Mario P. Marcadella, classe 1924, di Romano d’Ezzelino, alpino dell' 11° Btg. presso la caserma Degol di Strigno. Sappiamo che l'ANPI di Treviso nel suo "Alpini trevigiani nella Resistenza", solo nella provincia di Treviso, ha contato 161 caduti alpini. Fra loro 4 medaglie d'oro, 10 medaglie d'argento, 9 di bronzo e 9 croci di guerra alla memoria. Grande è stato quindi il contributo del Corpo degli Alpini alla Liberazione del paese. "Alpini – territorio - libertà", ha sottolineato Mario Rigoni Stern, "Mi pare che gli Alpini, nati per difendere le Alpi, meglio che non altri soldati si prestino, per loro natura, a difendere la libertà. E dopo il 25 luglio e l'8 settembre 1943 gli alpini più semplici e meno acculturati capirono - con le tristi esperienze sui vari fronti - dove stava la ragione e dove il torto. Quelli che ritornarono dal fronte russo avevano anche visto gli orrori del nazismo. L'oppressione, la democrazia, la giustizia sociale erano per i più concezioni astratte; la loro rivolta un istinto naturale".

Gruppo Sportivo Alpini "Monte Grappa"

reve sintesi delle attività svolte e in programma. L’attività estiva che ha visto impegnati prevalentemente i nostri marciatori è stata intensa ed impegnativa. Domenica 30/8/2015 il Gruppo marciatori del G.S.A. Bassano coordinato da Malini Primo ha organizzato il Trofeo ANA Monte Grappa, gara individuale di marcia di regolarità che ha visto alla partenza 80 concorrenti. La gara si è disputata con partenza e arrivo in zona S. Eusebio di Bassano. Soddisfatti i concorrenti ed il comitato d’onore. Alla premiazione ha presenziato anche l’assessore allo sport di Bassano Sig. Oscar Mazzochin. Domenica 27 settembre 2015 si è disputato a Campo Croce il trofeo “Memorial Bortolo Busnardo”, gara di marcia di regolarità a coppie inserita anche nel calendario F.I.E 2015. Ventidue le squadre che si sono presentate al via. La vittoria nella categoria alpini è andata alla coppia della nostra sezione formata da Dal Broi Pietro e Rostirolla Antonio. Nella categoria aggregati ha vinto la coppia di Valdobbiadene formata da Bellò Loris e Piccolotto Luigino. Nella categoria F.I.E. la vittoria è andata alla coppia del G.A.M. di Vallio Terme formata da Leggerini Giuseppe e Lozeiro Dina. Vi è stata anche la piacevole partecipazione di una coppia “ragazzi” formata da Frison Tommaso e Silvestri Michele vincitori nella loro speciale categoria. L’organizzazione è stata precisa e puntuale, sia nel percorso che nel supporto alla gara con pranzo alpino curato dal Gruppo Alpini di Borso del Grappa. Alla premiazione ha presenziato anche il nostro Presidente Giuseppe Rugolo. I nostri marciatori hanno anche partecipato al Campionato Nazionale A.N.A. svolto il 5 luglio scorso a Graglia (Biella) dove la pattuglia capitanata da Malini Primo ha conseguito un ottimo 9° posto su 160 pattuglie al via. Il 22 e 23 settembre 2015 sei nostri marciatori hanno partecipato al campionato italiano F.I.E. per associazioni svolto a Limone Piemonte. Le gare, individuali ed a coppie, si sono rivelate molto dure. Il risultato per la sezione di Bassano è stato eccellente trovandosi al primo posto tra le sezioni venete in graduatoria. Per i nostri marciatori è stata una impegnativa trasferta di due giorni ricca di soddisfazione. Il 25 ottobre 2015 si è svolto a Marostica, organizzato dalla locale sezione, il Campionato Triveneto di Marcia di regolarità al quale hanno partecipato 22 pattuglie. La vittoria è andata alla 1ª pattuglia della sezione di Valdobbiadene. La pattuglia de G.S.A. Bassano formata da Dametto Gianni, Malini Primo e Moletta Gianni ha conseguito il 6° posto. Ottimo e molto apprezzato il percorso che si snodava da Vallonara ai monti sovrastanti. Organizzazione perfetta. In vista dell’inverno il G.S.A. Monte Grappa, settore sci, ha avviato l’attività con la tradizionale pre-sciistica che si svolge da ottobre presso la palestra delle Scuole elementari di S. VITO al martedì e venerdì, dalle 19.30 alle 20.30 e che proseguirà fino a marzo 2016. Seguiranno tutte le altre iniziative in programma quali i corsi sci per discesa e fondo e la partecipazione alle gare tra le quali le alpiniadi invernali 2016.

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Sul Ponte di Bassano

Associazione Nazionale Alpini Sezione Monte Grappa di Bassano

CALENDARIO MANIFESTAZIONI ALPINI E DONATORI DI SANGUE 2016 24 25-28 6 13 10 16-17 24 25 1 1 7 14-15 21 28 29 29 5 18-19 26 26 3 10 17 24 7 14 21 4 10 10-11 18 18 25 1-2 2 23 4 4 8 11 18

Gennaio Febbraio Marzo Marzo Aprile Aprile Aprile Aprile Maggio Maggio Maggio Maggio Maggio Maggio Maggio Maggio Giugno Giugno Giugno Giugno Luglio Luglio Luglio Luglio Agosto Agosto Agosto Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Ottobre Ottobre Ottobre Novembre Dicembre Dicembre Dicembre Dicembre

Cassola Valtellina Bassano - Angarano Sezione R.D.S. Tezze sul Brenta Vicenza Bassano Boves (Cuneo) Breganze Bassano Asti R.D.S. Sezione- S. Pietro Milano Bassano Tramonti di Sotto (PN) Gorizia Rifugio Contrin Sarezzo (BS) Cima Grappa M. Ortigara Enego Fonte Alto Cima Grappa Enego Borso del Grappa Cavaso Sezione Cassola Paluzza (Carnica) Onè di Fonte Sezione (Monte Tomba) Como Bessica di Loria R.D.S. R.D.S. Crespano Milano Sezione

Commemorazione Nikolajewka Alpiniadi invernali 40° anniversario fondazione Gruppo Alpini ed inaugurazione nuova sede Assemblea sezionale del Delegati 1a Assemblea dei Delegati R.D.S. Adunata Sezionale Monte Grappa Raduno Intersezionale Sezioni Vicentine Anniversario della Liberazione Campionato ANA di Mountain Bike Festa Mandamentale Coro Edelweiss ANA M. Grappa – Ann/le rassegna cori alpini Adunata Nazionale degli Alpini Borsa di studio Marisa Nardini Viscidi Commemorazione capitello Madonna del Don Assemblea Nazionale dei Delegati Manifestazione Tricolore in città 40° Campionato ANA di corsa in montagna a staffetta Raduno Triveneto degli Alpini Annuale pellegrinaggio 44° Campionato ANA di marcia di regolarità in montagna 20° incontro Donatori di Sangue Annuale pellegrinaggio Annuale commemorazione alla Chiesetta del Frizzon 40° fondazione Gruppo Alpini e inaugurazione nuova sede Annuale pellegrinaggio Genti Venete Annuale raduno a Malga Fossetta Commemorazione cimitero di guerra a Malga Pat Annuale pellegrinaggio al Monte Tomba Borse di studio Uti Fabris 80° anniversario fondazione Gruppo Alpini 45° Campionato di corsa in montagna 50° anniversario fondazione Gruppo Donatori di Sangue Marcia di Regolarità 4° “Memorial Bortolo Busnardo” 33° Campionato ANA tiro a segno pistola e 47° di carabina 40° anniversario fondazione Gruppo Donatori di Sangue 2a Assemblea dei delegati R.D.S. Anniversario fine della Grande Guerra Festa del Ringraziamento Donatori Commemorazione Monumento – Tradizionale sfilata alpina S. Messa in Duomo Assemblea sez.le dei capigruppo e pranzo fine anno

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Primolano - Consegnata alla figlia la piastrina dell'Alpino Tiberio Mores deceduto nella Campagna di Russia di Fidenzio Grego

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omenica 15 novembre, dopo 73 anni, è stata consegnata alla signora Leonina Erilde la piastrina di riconoscimento del papà l'Alpino Tiberio Mores deceduto nella campagna di Russia. Questo prezioso cimelio è stato rinvenuto da Juri Kobzev in una foresta a dieci chilometri da Pavlovsk località non distante da Rossoch città nota a tutti gli Alpini. L'Amministrazione Comunale di Cismon del Grappa informata di questo ritrovamento, si è attivata per la ricerca dei suoi familiari. Tiberio Mores fu chiamato alle armi nel 1940, fu inviato prima in Albania e poi nel 1942 sul fronte Russo con l'ARMIR (Armata Italiana in Russia). Apparteneva alla 62° Compagnia fucilieri del Battaglione Alpini Vicenza, che con il Battaglione L'Aquila e il Val Cismon costituivano il 9° Reggimento della Divisione Julia. A metà dicembre del 1942 il tratto di fronte tenuto dalle Divisioni Cosseria e Ravenna cedette di fronte alla pressione dell'esercito russo. Per rinforzare questa falla che avrebbe avuto effetti disastrosi per tutto il Corpo Armata Alpino dislocato nella città di Rossoch, venne spostato il 9° Reggimento Alpini che prese posizione dal 18 dicembre sul quadrumvio di Selenj Jar un crocevia che collegava quattro villaggi (Iwanowka – Komaroff – Deserowatka – Galubaja) battezzato dagli Alpini il “quadrumvio della morte”. Tra il 20 e 30 dicembre 1942 in questo settore, si registrarono una serie di inauditi scontri i quali passarono alla storia con il nome di “Battaglie di Natale” che durarono fino al 16 gennaio 1943, quando arrivò l'ordine

di ritirata. Probabilmente Tiberio Mores morì durante questi combattimenti il giorno 31 dicembre 1942 nelle vicinanze del villaggio di Ivanowka. Primolano, paese natale di Tiberio Mores, ha voluto rendere omaggio al suo caduto in guerra in occasione della giornata commemorativa a ricordo dei caduti di tutte le guerra. La cerimonia è iniziata con la celebrazione della S. Messa officiata dal Vicario Foraneo don Alberto Peron accompagnata dai canti del coro alpino Sezionale Edelweiss diretto da Flavio Gollin. Numerosa la partecipazione di gagliardetti dei Gruppi Alpini, dei Donatori di Sangue, dei Combattenti e Reduci della Valle del Brenta e dei paesi vicini. Al termine della funzione religiosa il corteo è confluito presso il Monumento dei Caduti di Primolano dove il sindaco di Cismon del Grappa Luca Ferazzoli tra la commozione dei presenti ha consegnato alla signora Erilde accompagnata dai nipoti la preziosa piastrina di riconoscimento del papà. Non possiamo sapere come sia realmente morto Tiberio Mores. La cosa più importante per i suoi famigliari è quella di riavere un suo ricordo, che ha un inestimabile valore affettivo. Una testimonianza rimasta nascosta per lunghi anni vissuta nell'incertezza di non conoscere la vera fine del loro congiunto.

Assemblea delegati e pranzo natalizio

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i è svolta il 20 dicembre l'assemblea straordinaria dei delegati che i gruppi alpini di San Zenone hanno voluto generosamente ospitare nel loro centro, grazie anche alla collaborazione del loro sindaco alpino. L'incontro è iniziato con la cerimonia ufficiale di alzabandiera vicino alla Chiesa e con un omaggio floreale al Monumento ai Caduti. Quindi i delegati si sono trasferiti per l'assemblea nella sede del centro polivalente La Roggia dotato di un parcheggio sufficiente per gli adempimenti successivi. Dopo il consueto saluto alla bandiera è iniziata la riunione. La presidenza è stata affidata al col. Fregona che ha espresso tutta la sua fierezza alpina non scevra di una vena di commozione, ribadendo l'importanza

di una vicinanza costante tra alpini in congedo e alpini in servizio. Apprezzato a rilevante l'intervento dell'assessore regionale Elena Donazzan che ha ribadito il valore di patria e onore come stella polare del nostro cammino. Trascinanti anche i discorsi di Rugolo e del Presidente Nazionale Favero sottolineati in alcuni passaggi da applausi scroscianti. Tra le notizie uscite dall'incontro merita un cenno la somma raccolta finora per il ponte degli alpini, che ha raggiunto quota 147 mila euro e continuerà fino alla conclusione dei lavori sul Ponte stesso. Un'altra importante comunicazione è stata quella data dal Presidente Nazionale Favero che ha spiegato come dal 2016 il monte Tomba sarà sede di una manifestazione alpina a livello nazionale e che ogni 5 anni, a partire dal 2017, ci saranno sul Tomba il labaro nazionale e il Presidente. Approvata all'unanimità la nuova quota per il tesseramento che sale a 18 euro. Dopo di che, a conclusione della giornata, si è scesi dalla sala riunioni al piano terra per il pranzo sociale e lo scambio di auguri

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Riemergono le tracce della Grande Guerra Gli obici da 210 al Prà’ D’Ort di Gianni Idrio

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el novembre scorso gli Alpini di Crespano, intervenuti con un folto gruppo, sono saliti fino alla località denominata Prà d’Ort a quota 1093, che domina la vallata di S. Liberale, a nord di Paderno. L’interessante iniziativa aveva non solo lo scopo di effettuare un’escursione in una zona poco frequentata del Grappa, ma anche e soprattutto una finalità storica. Per una di quelle circostanze occasionali,che tanto entusiasmano i ricercatori, erano tornate alla luce, nei mesi precedenti, fotografie e testimonianze del tutto nuove, rimaste sepolte per oltre 95 anni nelle nebbie dell’oblio. Improvvisamente, per una felice coincidenza, il nipote del ten. di artiglieria G.B. Pasquali – di Roma – si era fatto vivo con una serie di foto scattate da suo nonno, provetto fotografo, nei vari fronti dove aveva combattuto, tra cui il Prà d’Ort a due passi dalle Meatte. Mano a mano che gli Alpini di Crespano si inerpicavano lungo gli impervi sentieri del Frontal cresceva in tutti l’ammirazione per quanto era stato realizzato dal Genio militare e dall’Arma di Artiglieria in tempo di guerra. E’ emerso, così, che lì erano in funzione gli obici da 210 della 936ª batteria d’assedio, con una gittata di 8 chilometri, che sparavano sulle prime linee austriache del Solarolo, del Col dell’Orso e del Valderoa. Si trattava di pezzi del peso di ben 11 tonnellate, solo per la bocca da fuoco, a cui andavano aggiunte altre 5 tonnellate per l’affusto, il sottoaffusto e la piattaforma. I proiettili pesavano tra i 61 ed i 104 chilogrammi, a seconda della carica. Tali obici erano in grado di sparare un colpo ogni

7- 8 minuti. La domanda di tutti era come i nostri artiglieri avessero potuto portare fin lassù dei pezzi così poderosi. Tra l’altro, hanno dovuto realizzare exnovo una strada mulattiera tra il marzo e l’aprile del 1918, come da loro stessi indicato. Per di più, dopo la battaglia del Solstizio, riuscirono ad installare e far entrare in funzione una teleferica che collegava la località di S. Andrea (a quota 523) e Prà d’Ort (a quota 1093). Tale teleferica si rivelò utilissima per rifornire di bombe e di viveri le postazioni comandate dal col. Orioles. Ancor oggi, nonostante la vegetazione nel frattempo cresciuta, non è difficile distinguere le piazzole ed i rifugi in sassi usati dai nostri reparti. All’ammirazione si è aggiunta la commozione, ancora una volta, per quanto di ingegnoso ed ardimentoso ha saputo fare la generazione dei nostri nonni. A loro vada tutto il nostro rispetto.

Estate 1918. Un pezzo da 210 in postazione sotto i roccioni del Grappa

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Un fine settimana con i Riservisti della Bassa Baviera Tra il 2 e il 4 ottobre 2015 il Gruppo dei Riservisti bavaresi del distretto di Passau ha organizzato la 21° edizione della marcia militare internazionale denominata “Drei-Länder-Zweitage-Marsch”, acronimo “DLZM” e traduzione letterale “Tre nazioni, due giorni di marcia”, che percorre la zona nella quale convergono i confini di Germania, Cechia e Austria. Come lo scorso anno, in rappresentanza della Sez. A.N.A. “Monte Grap-

Da Altreichenau, passando per Frauenberg, si sale sul Dreisessel, quindi, lungo il confine che corre sulle creste del monte Plöckenstein, si arriva all’omonimo laghetto (Plöckensteinsee o Plešné jezero in lingua Ceca) ed infine all’antico villaggio boemo Hirschröhren, dove i militari cechi si sono incaricati del ristoro dei marciatori. Da qui, una ripida salita porta al confine ceco-austriaco e, attraverso

pa”, hanno partecipato alla marcia Gabriele Peruzzo, Damiano Rinaldo e Raffaele Gio Batta Zilio. Di seguito la traduzione dell’articolo che l’amico Willi Ruhstorfer, segretario del Gruppo Riservisti del distretto Dingolfing-Landau, ha pubblicato nel sito ufficiale dei Riservisti tedeschi consultabile, dato che è molto interessante e corredato di belle foto inerenti le loro attività, al seguente indirizzo: https://www.reservistenverband.de/Regional/6066666000/evewa2.ph p?d=1443983310&d=1265895653&menu=6002&newsid=31997&&glie derung=6066666000 Con gli Alpini alla DLZM. Anche quest'anno vari gruppi di Riservisti hanno affrontato una delle più dure prove fisiche loro riservate, la Drei-Länder-Zwei-Tage-Marsch. Dall’Italia, assieme a Ruggero Gnesotto, promotore dei contatti con la Bassa Baviera, sono venuti ed hanno partecipato alla marcia 3 alpini dell’amica Sezione “Monte Grappa“ di Bassano del Grappa. Sui 37 chilometri si sono cimentati anche il vice Presidente del Kreisgruppe Franz Xaver Wenzl, Hans Lex, Martin Ufert e Alois Findelsberger con la moglie Brigitte.

l'area Hochficht, nuovamente sul suolo tedesco. Dopo altri due punti di controllo e ristoro, i marciatori concludono, sempre sul luogo di partenza ad Altreichenau, un percorso, che comporta un totale di 1000 metri di dislivello. I supervisori, membri del consiglio distrettuale, Willi Ruhstorfer e Karl Langer assieme a Ruggero Gnesotto hanno potuto verificare che gli alpini ed i marciatori del Kreisgruppe avevano superato in modo eccellente la prova. Durante la serata conviviale nella caserma di Freyung c’è stato modo di discutere ampiamente sulla marcia e fraternizzare con gli altri partecipanti. I membri del consiglio direttivo e dell’ufficio provinciale dei Landes hanno dimostrato interesse per il rapporto di amicizia tra il Kreisgruppe Dingolfing-Landau e la Sezione Alpini di Bassano del Grappa ed hanno chiesto al Vice Presidente della Sezione Gabriele Peruzzo informazioni sulle attività svolte dagli alpini. Orgogliosi di aver ricevuto l’attestato di partecipazione alla marcia, i tre alpini hanno espresso il desiderio di ripetere questa esperienza anche il prossimo anno.

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Festa del Ringraziamento dei donatori di sangue

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i è svolta il 6 dicembre scorso la tradizionale Festa del Ringraziamento che è stata ospitata quest'anno a Mure di Molvena, un centro collinare in cui il contatto con la natura è evidente e ben percepibile. La Festa si è svolta all'insegna dei valori che contraddistinguono i donatori di sangue con la presenza degli alpini da una costola dei quali sono nati i donatori del Reparto bassanese, ora presieduto da Lamberto Zen. La manifestazione che ha goduto di una giornata eccezionale ha consentito al Presidente Zen di fare una breve relazione sui risultati raggiunti. Ha così potuto rassicurare l'andamento in positivo delle donazioni che in questi ultimi mesi hanno recuperato in gran parte i numeri che si erano un po' indeboliti anche a causa del nuovo sistema di prenotazione entrato in vigore di recente. Sono aumentati molto i neodonatori e si sta procedendo ai rinnovi dei capigruppo per dare spazio ai giovani entusiasti della loro missione. Ai capigruppo uscenti sono stati consegnati dei diplomi ed ai donatori che hanno raggiunto i traguardi importanti delle 71 e delle 100 donazioni sono stati consegnati gli attestati meritati.

Salviamo il Ponte

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opo la campagna per il salvataggio del Ponte che ha mobilitato tutti gli alpini della sezione ed anche di altri gruppi, sono sorte numerose le iniziative tese a raccogliere fondi. Finora siamo arrivati alla somma rispettabile di 147.000 Euro, ma la possibilità di sottoscrizione continua. Merita un cenno ed un riconoscimento, tra gli altri quella portata avanti dal socio Bortolo Zilio che ha predisposto un volume il cui ricavato viene trasferito totalmente al fondo per la ristrutturazione del Ponte. Il volume, agile e sintetico, corredato di numerose immagini e foto, è stato finan-

ziato dai notai di Bassano, Marostica, Rossano Veneto e Breganze, per cui i denaro ricavato viene riversato totalmente nelle casse della sezione alpini Monte Grappa. Il volume lo si può trovare anche nei locali accanto al Ponte che vengono tenuti aperti in orari particolari dallo stesso Autore, cui va il plauso ed il ringraziamento della nostra Sezione. Per chi voglia conoscere in breve la storia del Ponte e delle sue vicissitudini nei secoli scorsi il volume si dimostra un contributo indispensabile.

Per sostenere l'iniziativa "Aiutiamo il Ponte di Bassano" versa il tuo contributo sul C/C n. 07/000024953 intestato a: Associazione Nazionale Alpini Banca di Romano e Santa Caterina cod. IBAN: IT24 N 083 0960 1610 0700 0024 953

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Longa di Schiavon

Breganze

a regione Friuli-Venezia Giulia ricorda i caduti con una medaglia. Anche i caduti di Longa di Schiavon anzi meglio i loro parenti, potranno contare su un ricordo concreto della Grande Guerra, una medaglia commemorativa che la Regione Friuli ha deciso di coniare e di consegnare a chi ne facesse richiesta. Gli alpini del Gruppo di Longa si sono attivati e con il consigliere sezionale Giacomo Bonora in testa hanno preso accordi per la cerimonia di consegna avvenuta il 7 novembre scorso a Villanova di Judrio. C'è stato un grande abbraccio tra alpini di Longa e alpini di Villanova nella sede di questi ultimi, dopo di che hanno sfilato insieme fino al monumento ai caduti del paese friulano, dove ha avuto luogo la parte ufficiale e più commovente della cerimonia. C'è stata quindi la lettura dei nomi dei caduti i cui parenti hanno fatto richiesta di assegnazione della medaglia commemorativa e ad ogni nome pronunciato veniva dato un rintocco di campana. Il consigliere Bonora ha ritirato così le due medaglie spettanti a due suoi prozii, il soldato Pietro Correzzola ed il fratello di questi Ernesto Correzzola. Il primo, era un ragazzo del '99 (alpino del 6°) deceduto il 10 giugno 1917 in seguito ad una fucilata che lo aveva raggiunto al petto sull'Ortigara. Il fratello Ernesto, più anziano di due anni, era inquadrato nella fanteria, ed aveva perduto la vita in modo simile ma oltre un mese più tardi, a quota 95, il 28 luglio 1917. Gli alpini di Longa si sono ripromessi di ricambiare l'ospitalità ricevuta dai colleghi di Villanova di Judrio.

Camminando sui sentieri della Grande Guerra Monte Grappa

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l 24 e il 25 Settembre 2015 le classi 5ª A e B dell’Istituto scolastico “Andrea Scotton” ad indirizzo meccanico e la classe 4ª F ad indirizzo moda hanno aderito ad un interessantissimo progetto promosso dagli Alpini di Breganze Sezione Monte Grappa. Il loro obiettivo, era di farci conoscere e ricordare la storia della grande guerra camminando attraverso i sentieri percorsi cento anni fa dai nostri soldati e, visionando i luoghi più significativi del massiccio del Grappa. Il progetto parte già dalla mattina del 23 a scuola. Attraverso la spiegazione di particolari aspetti della guerra forniteci dall’alpino Massimo Valerio ed ascoltando i ricordi di guerra dell’alpino onorario sig. Armido Cogo, reduce dai campi di lavoro tedeschi, siamo stati introdotti vivamente nei meandri della Guerra. Il coro di Breganze ha poi sottolineato con alcuni canti la tragedia del ‘15/’18. Il giorno seguente siamo partiti per Cima Grappa. Fermandoci a Col Campeggia per una breve sosta abbiamo visitato le gallerie e le grotte a ferro di cavallo che avevano diverse funzionalità come quella di riparare i soldati feriti o come alloggiamento. Finito il percorso riprendiamo il pullman alla volta di Cima Grappa dove, una volta divisi in gruppi, insieme agli Alpini visitiamo la Galleria Vittorio Emanuele, la Via Eroica e il Museo Cima Grappa pieno di ricordi e attrezzature legate alla guerra. Tra queste il mitico 91. Dopo aver pranzato a sacco, abbiamo continuato la visita del Monte Grappa quasi fino al tramonto e visto cose molto particolari come l’osservatorio, la base NATO e anche un Bunker. Trascorsa una serata tra buon mangiare qualche bicchiere di vino e delle cante alpine, il giorno successivo abbiamo percorso le Meatte, il sentiero nel bosco seguendo la trincea lungo tutto il monte e successivamente abbiamo visitato Val delle Mure. Il pomeriggio ci siamo trasferiti a piedi dalla bellissima malga Vecia a Cima Grappa dove il pullman della sezione Ana di Bassano ci aspettava per il ritorno a casa. Se lo scopo della trasferta era quello di farci capire la vita di quei giovani soldati che eroicamente si sono immolati… possiamo dire: - Obiettivo raggiunto! Ci siamo portati a casa tante sensazioni, pensieri che sapremo rielaborare in classe e soprattutto la consapevolezza che la GUERRA è l’azione più tremendamente insensata che l’uomo ancora non sa evitarsi. Grazie agli Alpini che ci hanno accompagnato… alla prossima! A firma dei ragazzi di 5ª A/B meccanici e 4ª F moda.

Destina il 5 per mille alla Sezione Alpini "Monte Grappa" di Bassano del Grappa per le attività di volontariato e promozione sociale. Nella Dichiarazione dei Redditi indica il Codice Fiscale

82000950244

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Sul Ponte di Bassano

Valrovina

San Marco

Centenario inizio della Grande Guerra

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ra i tanti presepi che in questo periodo arricchiscono il nostro Paese merita una citazione particolare quello allestito, da anni, grazie alla buona volontà ed allo spirito innovativo ed alpino della famiglia Merlo. Da molti anni il presepe è un simbolo di pace e fratellanza che viene allestito in quella casa di via Velo di Bassano dove abita la famiglia. Con il passare degli anni si perfeziona sempre più e i fratelli Adolfo ed Alfredo ad un certo punto capiscono che per potere condividere questo piacere debbono fare una passo avanti. E questo avviene con l'arruolamento nella grande famiglia alpina del Gruppo San Marco che ha già in sé segni di "internazionalità". Il presepe ora è dotato di quasi una quarantina di figure in movimento ed ogni anno diventa più ampio a più bello. La foto che pubblichiamo ne rappresenta uno scorcio significativo.

l 2015 è un anno particolare in quanto si fa memoria del Centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, un far memoria di un triste evento che ha lasciato un segno indelebile nelle nostre terre e che deve far riflettere, ed è in occasione di questo avvenimento che varie Associazioni di Valrovina hanno voluto far memoria con una serie di iniziative organizzate nel mese di maggio. Si è iniziato con un segno tangibile per l’intera Comunità, la pulizia e la completa ristrutturazione del Monumento ai Caduti, per arrivare alla cerimonia commemorativa del 24 maggio curata dai Gruppi Alpini, Donatori di Sangue e Aido del paese. Per l’occasione sono stati coinvolti anche gli alunni della Scuola Primaria, le nuove generazione, il nostro futuro, con la ricerca dei ruolini militari di qualche parente caduto in Guerra ed in particolare è stato mostrato il ruolino del primo caduto di Valrovina il 29 agosto del 1915.

Gruppo di Artiglieria da Montagna Pieve di Cadore (1975-2015). A quarant’anni dal congedo, il 31 ottobre alla Caserma S. Zeno si sono ritrovati gli artiglieri delle batterie: BCS, 37a, 38a e 50a del Gruppo Pieve di Cadore.

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Sul Ponte di Bassano

Avvenimenti

SAN MICHELE: il 13 novembre 2015 Giorgio Fietta e Isetta Novelletto hanno celebrato il 50° di matrimonio.

POVE DEL GRAPPA: Nereo Ferraro e Fernanda Puglierin nel 50° del loro matrimonio.

BELVEDERE DI TEZZE: 60° anniversario di matrimonio per Francesco Bizzotto (più vecchio alpino del Gruppo e Presidente Sez. Combattenti e Reduci) e Maria Berti.

SANTA CROCE: Mario Simonetto e Maria Palmira Gnoato, hanno festeggiato i 55 anni di matrimonio.

ROSSANO VENETO: 50 anni di matrimonio per Ilario Gastaldello e Maria Sonda (Pierina).

PAGNANO: 50° di matrimonio per Giorgio Tessaro e Antonia Piccolotto.

Il 3 ottobre 2015 a Cavaso del Tomba hanno festeggiato il matrimonio dell'alpino Luca Rech e Sabrina Savio, la figlia Arianna, gli amici e i parenti tutti. Nella foto sono presenti anche il papà della sposa Emanuele Savio, il fratello della sposa Stefano Savio e il papà dello sposo Gino Rech.

ROSSANO VENETO: il reduce Francesco Strappazzon con il genero e l'ex capogruppo Campagnolo.

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Avvenimenti

ONE' DI FONTE: battesimo di Ettore Padovan, VALSTAGNA: è nato Alessandro. Nella foto con il E’ nata Noemi, figlia di Stefano Zannoni e di figlio di Mattia ed Elena Visintin. Nella foto con papà Filippo Lazzarotto e il nonno Renato vice- Elisa Dal Nevo. capogruppo. Eccola orgogliosa tra gli Alpini il giorno del suo il nonno Enzo, gli zii Angelo, Paolo ed Egidio. battesimo, in braccio al nonno Diego del Gruppo di Romano. A destra il nonno Angelo del Gruppo di Crespano e a sinistra il padrino Bruno del Gruppo di San Zenone.

STROPPARI DI TEZZE SUL BRENTA: l'alpino Livio ONE' DI FONTE: è nata Anna figlia di Denis e CASELLA D'ASOLO: il capogruppo Gianni Marcolin Simioni festeggia la sua prima nipotina Nicole. nipote di Giuseppe Favero, soci del Gruppo. con il nipotino Pietro nato il 19 marzo. E' nato Alex, nipote di Sibellin Adriano socio del L'8 agosto la famiglia si è ulteriormente allargata con l'arrivo di Sasha. Gruppo.

In occasione del decimo anniversario dell'inaugurazione della sede alpini di Rosà, i nonni alpini: Pin Marino, consigliere sezionale e del Gruppo di Rosà e Martini Luciano socio del Gruppo di Rossano Veneto assieme ai nipotini Filippo e Sveva.

ROSA': Gaborin Giuseppe nel giorno del suo 98° compleanno assieme al suo capogruppo di Rosà Sez. Monte Grappa Mario Baggio, Luca Baggio capogruppo Cusinati di Rosà, il Pres. Combattenti Domenico Amabilia, Giuseppe Baggio e Leonardo Cidonio.

Da sinistra Tarcisio Baggio, del 7° alpini con il compagno di naja a Pieve di Cadore dal '62 al '63 Enrico Righetti, si sono incontrati con grande festa a Castiglion dei Pepoli.

CASELLA D'ASOLO: è nato Simone figlio del socio Moreno Zanesco.

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Sono andati avanti: alle famiglie degli scomparsi le più sentite condoglianze. Gen. Giardino

Breganze

Breganze

Breganze

Cà Rainati

Cà Rainati

Francesco Milani classe 1932

Italo Frello classe 1937

Giovanni Lavarda classe 1932

Stefano Uderzo classe 1965

Alfonso Chemello classe 1921

Aldo Zen classe 1953

Conco

Crespano

Mussolente

Onè di Fonte

Onè di Fonte

Onè di Fonte

Pietro Bruno Dalle Nogare classe 1922

Angelo Perocco classe 1930

Adriano Moretto classe 1951

Giuseppe "Piero" Gazzola classe 1941

Martino Guerra classe 1932

Onè dil'alpino Fonte Onè1930, di delFonte PEROCCO ANGELO, classe gruppo di CRESPANO n

Lino Filippin classe 1938

Pagnano

Romano d'Ezz.

Rosà

Rosà

Mariano Bresolin classe 1955

Giuseppe Bordignon classe 1935

Pietro Livio Bordignon classe 1928

Giuseppe Mascotto classe 1929

Marco Zamperoni classe 1977

Valerio Feltracco classe 1942

Rossano Veneto

Solagna

Stroppari

Marco Baggio classe 1931

Sebastiano Andolfatto classe 1918

Domenico Facchinello classe 1937

Valstagna Matteo Cavalli, figlio e nipote di alpini ha voluto, per scelta, assaporare il gusto della naja breve, transitando poi, con hagrande Figlio e nipote di alpini voluto, per scelta, assa poi, connella grandefamiglia entusiasmo nella famiglia alpina entusiasmo alpina generosamente ed attivame nte. Strappato alla vit valstagnese con laqualità qualeche ha locollaper le grandi hanno contraddistint posto tra le penneed nere a tutto tondo. boratoungenerosamente attivamente. Strappato alla vita a soli 32 anni è rimasto nel ricordo di tutti per le grandi qualità che lo hanno contraddistinto e fatto riconoscere. Merita quindi un posto tra le penne nere a tutto tondo.

Australia Cavaliere Vittorio Pellizzer, nato a Cavaso del Tomba, classe 1931, trasferitosi in Australia nel 1955 è stato il fondatore e il primo presidente della Sezione AITM di Dimbulah, Mareeba. Conosciuto e attivo come Presidente dell'Associazione Nazionale Alpini del Nord Queensland, ha svolto questo incarico con grande dedizione per oltre 40 anni.

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