Umauns Sainza Amur Sun Ervas Sainza Flur

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edizioni

Andrea Aschedamini different.photography

9 788899 347017

UMAUNS SAINZA AMUR SUN ERVAS SAINZA FLUR

different.photography

Andrea Aschedamini

ISBN 978-88-99347-01-7



different.photography


© immagini 2015 DIFFERENT.PHOTOGRAPHY Andrea Aschedamini e Cristina Locatelli www.differentphotography.it © testi VALERIO AMBIVERI www.valerioambiveri.org concept ed impaginazione DIFFERENT.PHOTOGRAPHY traduzioni GISELA JAAGER consulenza editoriale DANIELE CLARIZIA ricerca energetica ROBERTO ZUCCHETTI Finito di stampare presso la Litografia Solari s.r.l. Peschiera Borromeo (MI), nel novembre 2015 printed in Italy www.litografiasolari.it edizioni

Alpes società cooperativa 20068 Peschiera Borromeo (MI) via Liberazione, 27 p.iva e c.f. 02247390228 www.alpesorg.com info@alpesorg.com ISBN: 978-88-99347-01-7

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Introduzione Le montagne non hanno pareti “Canterò la mia canzone agli spazi sconfinati Canterò il mio cuore al mare infinito Canterò le mie visioni alle montagne alte come il cielo Canterò la mia canzone a chi è libero A chi è libero” (“The song is over” di Pete Townshend, da The Who - Who’s next, 1971) “Non diventi mai grande”. (Keith Richards) “Si direbbe che il quadro dei miei giorni come le regioni di montagna, si componga di materiali diversi agglomerati alla rinfusa.... In questa difformità̀, in questo disordine, percepisco la presenza di un individuo, ma si direbbe sia stata la forza delle circostanze a tracciarne il profilo; e le sue fattezze si confondono come quelle di un’immagine che si riflette nell’acqua.” (Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano trad. di L. Sansoni Mazzolani, Einaudi 1981)

Nell’affanno di cercare le parole giuste per introdurre questo bellissimo lavoro di sguardi

sul paesaggio alpino, nella momentanea o permanente (poco importa) incapacità di leggere così tanta bellezza senza rovinarla con la solita sfarzosa introduzione descrittiva, efficace quanto arida, mi è tornato in mente l’articolo di Buzzati Leggerete questa introduzione? pubblicato nel luglio del 1958 dal Corriere della Sera, che iniziava proprio con il dubbio del grande scrittore sull’utilità delle introduzioni nei libri. Lo scritto “introduceva” proprio un’introduzione, quella dedicata al nuovo libro dell’alpinista Cesare Maestri e tagliava subito la testa al toro (o la corda all’arrampicatore) dichiarando la propria scarsa affinità con le prefazioni: “Premetto che non scrivo questa introduzione volentieri. Non si scrivono volentieri cose che in partenza sappiamo che pochi o nessuno leggeranno. Che cose inutili, le introduzioni. Io, per esempio, da quando sono nato, non ho mai letto l’introduzione di un libro e mi ci sono trovato benissimo; credo anche di averne avuto vantaggi alla salute. Cesare Maestri, figurarsi, è perfettamente d’accordo con me. Ma ci sono gli usi e costumi. E gli editori alle introduzioni sono affezionati, bisogna anche capirli, loro sono preoccupati di usare al pubblico tutti i riguardi possibili”. E poi proseguiva contraddicendosi un poco, dichiarando quindi che tutto sommato per l’amico alpinista si poteva anche fare un’eccezione: “Al lettore insomma può interessare conoscere, prima di cominciare a leggerlo, i motivi per cui un libro merita di essere letto”. Con la paura di peccare di irriverenza, dichiaro che ho sempre amato introdurre un lavoro editoriale perché è già un modo per leggerne i significati e ritagliarne i contorni. E poi introdurre qualcosa, una persona, un quadro, una mostra artistica o appunto un libro, significa potersi avvicinare ad esso prima degli altri e questo può essere al tempo stesso un rischio e un privilegio. Un rischio perché tuo sarà il primo riscontro dello svelamento dei tanti paesaggi contenuti in ogni libro perché - ogni libro - si rivela di per sé già come un paesaggio. E vedere per primo questo paesaggio può anche condizionarti. Non sei solo un lettore, sei di più (o di meno: è lo stesso). Un privilegio perché le immagini di un libro come questo sveleranno anticipatamente la complicità con il paesaggio di chi, il fotografo, ha deciso di non uscire astrattamente dall’ambiente che sta inquadrando ma, piuttosto, ha deciso di entrarvi per rimanerci, testimoniandone i tratti per quello che sono, senza cercare illusorie dimensioni invisibili o peggio ancora restituendo le usuali vedute folcloristiche per regalare al lettore una conferma sulla bellezza, l’ennesima, del paesaggio alpino. Il paesaggio può apparire indistintamente bello o brutto, possiamo anche decidere di attribuire a ciò che vediamo del contesto che ci circonda, non importa se ne siamo una parte stanziale o se ne siamo parte solo per pochi attimi, delle qualità oppure possiamo anche decidere che questo paesaggio non ci appartenga più. È uguale.

Il paesaggio rimarrà sempre lo stesso, anche quando cambierà e diventerà un altro paesaggio poiché si costituisce semplicemente come lo spazio della nostra vita, dove abbiamo deciso di stare, di risiedere e quindi di abitare; per questo scriverlo non significa semplicemente descriverlo: a che serve descrivere il nostro spazio vitale se non lo sappiamo raccontare? E solo se abitiamo un luogo lo possiamo raccontare. È questo che fanno i fotografi, i musicisti e gli artisti in generale: non si limitano a raccontare i luoghi ma li abitano, anche solo per pochi istanti. Per questo è importante dare voce al paesaggio che, ricordiamolo ancora una volta, non è un luogo né una sensazione e tanto meno un panorama ma è la nostra stessa vita che raccoglie tutte le voci presenti in ogni luogo, tutte quante, nessuna esclusa. Da questo punto di vista siamo abituati a vedere e a sentir raccontare il paesaggio alpino come se fosse di uno statico fondale scenico, un diorama ottocentesco, dove non accade più nulla, non può accadere più nulla, un luogo fermo e fermato dove, come nel sanatorio di Davos di Mann, il tempo non esiste, proprio perché si è fermato dove lo abbiamo lasciato, perché ci fa comodo e ci dà conforto ricordare le nostre, care e vecchie creste alpine innevate. Sempre le stesse. Montagne bianchissime e quindi accessibilissime (a tutti ovviamente), vette lontane ma vicine, boschi altissimi, manti nevosi, laghi ghiacciati. Tutte immagini che parlano della montagna della memoria e che però, purtroppo, non rivelano alcuno sguardo (sul) futuro. Proprio in montagna, dove sono nati primati e record poiché fu il primo luogo scelto dall’uomo per sperimentare le proprie scoperte, installare in quota le attrezzature scientifiche o altissimi ripetitori e dove il coraggio dell’ingegneria umana ha spinto in avanti il limite della natura, contrapponendogli ogni sorta di sfida statica nella costruzione dei bacini artificiali o delle prime ardite funivie, mettendo in crisi la millenaria esperienza degli abitanti abituati a richiedere una conferma continua al proprio equilibrio fisico, minacciato dalle forze dinamiche di un paesaggio tutto sviluppato in verticale. Dunque la montagna e tutti i paesaggi alpini sono già un pezzo di futuro proprio perché si svelano come un’evoluzione della nostra memoria. Una montagna occupa sempre il solito posto e, proprio per questo, non si ripete mai. Il nostro sguardo su di essa ci appartiene quanto ci appartiene ogni sguardo sui luoghi che decidiamo di abitare: città, mare, campagna, montagna, sono tutti luoghi “uguali” nel senso che non sono alternativi fra di loro ma fanno parte del nostro essere abitanti di un luogo. La montagna non è quindi l’alternativa alla città. E viceversa. E gli sguardi di Andrea ce lo rivelano perché non entrano nel paesaggio contrapponendosi ad esso, non esercitano alcuna indagine sociologica né cercano di raccontare il bello a tutti i costi, perché ogni immagine non è un’eredità né un semplice pezzo di paesaggio ma contiene già tutto il paesaggio del luogo che inquadra. Soprattutto quello che non si vede, ma c’è. Queste immagini ci aiutano non solo a vedere ma anche ad intravedere una montagna in cui si aprono molteplici varchi nel paesaggio provocati dalle immagini che a loro volta provocano in noi uno sdoppiamento della realtà, aprendo la duplice valenza del vedere un paesaggio che diventa un vero cosmo, lontano ed immenso, ma vicino e così già “vicino”: il privilegio di Andrea coincide con il nostro. Continueremo ad abitare le montagne, ne sono sicuro. Luciano Bolzoni Milano, 29 ottobre 2015

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Einführung Le montagne non hanno pareti I’ll sing my song to the wide open spaces sing my heart out to the infinite sea sing my visions to the sky high mountains sing my song to the free to the free” (Pete Townshend: “The song is over”, Album “Who’s next”, 1971) “You never stop growing up”. (Keith Richards) “Le paysage de mes jours semble se composer, comme les régions de montagne, de matériaux divers entassés pêle-mêle.…Je perçois bien dans cette diversité, dans ce désordre, la présence d’une personne, mais sa forme semble presque toujours tracée par la pression des circonstances; ses traits se brouillent comme une image reflétée sur l’eau.” (aus : Marguerite Yourcenar, Memoires d’Hadrien, Plon, 1951)

Bei dem Bemühen, eine passende Einleitung zu diesem bemerkenswerten Buch über die Alpenlandschaft zu finden, die über die übliche trockene Inhaltsangabe hinausgeht und der Schönheit des Buches keinen Abbruch tut, kam mir der Artikel von Buzzati „Werdet ihr diese Einleitung lesen?“ in den Sinn, den der „Corriere della sera“ im Juli 1958 veröffentlicht hatte und in dem der bedeutende Schriftsteller die Nützlichkeit von Bucheinleitungen überhaupt in Frage stellte. Buzzati leitete seinen Artikel ausgerechnet– Ironie des Schicksals- mit einer Einleitung zu dem neuen Buch des Bergsteigers Cesare Maestri ein und kam gleich zur Sache, indem er aus seiner mangelnden Sympathie für Vorworte kein Hehl machte: „Ich gebe zu, dass ich diese Einleitung nur ungern schreibe. Man schreibt nicht gern etwas, wovon man von vornherein weiß, dass es nur wenige lesen werden, vorausgesetzt, dass es überhaupt jemand liest. Unnützer Kram diese Einleitungen. Ich, zum Beispiel. habe in meinem ganzen Leben noch keine Einleitung zu einem Buch gelesen und es ist mir dabei bestens ergangen. Ich glaube auch, dass es für meine Gesundheit von Vorteil war. Cesare Maestri stimmt darin völlig mit mir überein. Aber da sind die Sitten und Gebräuche. Und Herausgeber hängen nun mal an Einleitungen, man muss sie verstehen, sie sind bemüht, ihrem Publikum allen nur erdenklichen Respekt entgegenzubringen“. Er behauptete weiter, sich allerdings etwas widersprechend, dass er für seinen Bergsteigerfreund schon mal eine Ausnahme machen könne: „Schließlich interessiert es den Leser, noch bevor er mit dem Lesen beginnt, die Gründe zu erfahren, weshalb ein Buch wert ist, gelesen zu werden“. Mit der Befürchtung, respektlos zu erscheinen, behaupte ich, dass es mir immer Freude gemacht hat, ein Werk einzuleiten, weil man so schon in Umrissen etwas über seine Aussage erfahren kann. Ein Bild, eine Ausstellung oder eben ein Buch vorstellen heißt, sich vor allen anderen damit auseinandersetzen, was sowohl ein Risiko als auch ein Privileg sein kann. Es ist insofern ein Risiko, als sich einem als Erstem die vielfachen Aspekte enthüllen, die in einem Buch enthalten sind. Jedes Buch ist ja an sich wie eine Landschaft und diese Landschaft als Erster zu betrachten, kann auch eine Beeinflussung bedeuten. Man ist ja nicht nur Leser, sondern mehr (oder auch weniger. Es bleibt sich gleich). Es ist ein Privileg, weil einem die Bilder eines Buches wie die des vorliegenden schon im Voraus die enge Beziehung des Fotografen zur Landschaft bewusst machen, eines Fotografen, der sich der Landschaft, die er aufnimmt, nicht entzieht, sondern beschlossen hat, in sie einzudringen und sich dort aufzuhalten, um ihre Wesenszüge so darzustellen, wie sie sind. Er beabsichtigt nicht, etwas nicht Vorhandenes illusorisch darzustellen oder – was noch schlimmer wäre – die üblichen folkloristischen Ansichten wiederzugeben, um dem Leser damit zum xten Mal die Schönheit der Alpenlandschaft zu bestätigen. Eine Landschaft kann schön oder auch hässlich erscheinen. Wir können unserer Umgebung auch Attribute hinzufügen, egal ob wir ein fester Bestandteil oder nur für wenige Augenblicke ein Teil davon sind. Wir können auch beschließen, dass diese Umgebung nicht mehr zu uns

gehören soll. Es macht keinen Unterschied. Eine Landschaft kann dieselbe bleiben oder sich verändern. Entscheidend ist, dass sie als unser Lebensraum aufgefasst wird, als etwas, was wir erleben. Wer über eine Landschaft schreibt, kann sich deshalb nicht damit begnügen, sie zu beschreiben. Was nützt es, einen Lebensraum zu beschreiben, wenn man nichts davon zu erzählen hat? Nur wenn man ihn erlebt, kann man davon erzählen, und das gerade tun die Fotografen, die Musiker, die Künstler im Allgemeinen. Deshalb ist es so wichtig, einer Landschaft Stimme zu verleihen. Um es noch einmal ausdrücklich zu sagen: Landschaft ist an keinen bestimmten Ort und noch weniger an ein bestimmtes Panorama gebunden, sie ist vielmehr das Leben selbst, das alle an einem beliebigen Ort vorhandenen Stimmen in sich aufnimmt, alle, ohne Ausnahme. Wir sind es gewohnt, die Alpenlandschaft als einen unbeweglichen Hintergrund eines Bühnenbildes zu betrachten, als ein Diorama des 19. Jahrhunderts, wo nichts mehr passiert, nichts mehr passieren darf, wo die Zeit wie in dem Davoser Sanatorium in Thomas Manns „Zauberberg“ nicht existiert, weil sie stillsteht, wo wir sie angehalten haben. Es ist ja so bequem und tröstlich, unsere lieben alten schneebedeckten Berggipfel als ewig unverändert anzusehen. Strahlend weiße und (selbstverständlich allen) leicht zugängliche Berge, ferne und doch so nahe Gipfel, schneebedeckte hohe Tannenwälder, vereiste Seen. All das sind Bilder der Alpenlandschaft, wie wir sie im Gedächtnis haben, nur leider fehlt jeder Blick auf die Zukunft und das gerade dort, wo der Mensch die ersten Spitzenleistungen und Rekorde erzielt hat, seine Erfindungen ausprobiert und wissenschaftliche Geräte und Relaisstationen installiert hat und wo mutige Ingenieure die natürlichen Grenzen nach vorne verlegt haben und ihnen mit dem Bau künstlicher Seen und kühner Seilbahnen jede Art statischer Herausforderung entgegengestellt haben. Dadurch ist jedoch gleichzeitig die tausendjährige Erfahrung der Bewohner in Frage gestellt, die ihr physisches Gleichgewicht von der Dynamik einer ausschließlich vertikal ausgerichteten Entwicklung bedroht sehen. Das Gebirge und die gesamte Alpenlandschaft sind insofern schon ein Stück Zukunft, als sie uns die Evolution unseres Gedächtnisses vor Augen halten. Gebirge bleiben immer an derselben Stelle stehen und wiederholen sich deshalb nie. Der Blick darauf gehört zu uns so wie jeder Blick auf die Räume, die wir erleben wollen. Stadt, Meer, Land, Gebirge, alles sind „gleichwertige“ Räume in dem Sinne, dass sie keine Alternative zueinander darstellen, sondern vielmehr zu uns als lebende Wesen in einem Raum gehören. Das Gebirge ist folglich keine Alternative zur Stadt und umgekehrt. Andreas Blick macht es uns deutlich. Er dringt in die Landschaft, stellt sich ihr nicht gegenüber. Er will sie nicht gesellschaftlich erforschen und auch nicht auf alle Kosten nur ihre schöne Seite zeigen. Jedes einzelne Bild ist kein Vermächtnis und auch nicht einfach ein Landschaftsausschnitt, sondern enthält schon alles, was die Landschaft ausmacht, vor allem auch das, was man nicht sieht, was aber dennoch vorhanden ist. Die Bilder gewähren uns nicht nur einen Blick auf die Landschaft, sondern vielfache Einblicke in die Landschaft, so dass sie sich uns in ihrer Realität einerseits als ferner immenser Lebensraum enthüllt, uns aber gerade dadurch (schon) ganz nahe steht. Andreas Privileg stimmt mit unserem überein. Wir werden diese Gebirgslandschaft weiterhin erleben wollen. Daran besteht kein Zweifel. Luciano Bolzoni Milano, 29 oktober 2015

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Eccolo, il serpente abbarbicato alla parete impossibile, ogni volta a chiedersi se da lì si passa, ma è all’ultima curva di Salecina che si ripete l’emozione. Tutto si apre: luce, spazi piani, respiro profondo, auto che non arranca, i primi passeggiatori senza fretta. E alla vista della Schweizerhaus ti senti in un altro mondo. Al ritorno, nello stesso punto, il saluto rituale esce con un sospiro: grazie Engadina, ogni volta ci regali momenti di energia e bellezza.

Da ist sie wieder die Straße, die sich, an eine scheinbar unbezwingbare Felswand geklammert, in Serpentinen hinaufwindet. Jedes Mal fragt man sich, ob man es überhaupt schafft, dort hochzukommen, aber nach der letzten Kurve bei Salecina hat man wieder denselben überwältigenden Eindruck. Alles liegt offen vor einem, dehnt sich zu Licht überfluteten Ebenen. Man holt tief Atem. Kein mühsam hinaufkriechendes Auto mehr, statt dessen die ersten gemächlich dahinschlendernden Spaziergänger. Angesichts des Hotels Schweizerhause fühlt man sich in eine andere Welt versetzt. Auf dem Rückweg begleitet an derselben Stelle ein sehnsuchtsvoller Seufzer den rituellen Abschiedsgruß: Gedankt sei dir, Engadin, dafür, dass du uns jedes Mal Lebenskraft und Schönheit bescherst.

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Non possiamo perdere, come ogni anno, lo spettacolo fugace dei pochi giorni d’autunno dove tra i boschi e le radure i vegetali imitano i metalli. È ovunque oro, bronzo, rame, tra bagliori di acciaio e fondi scuri di ferro, grigi di piombo e ossidi variegati. Tra breve il dominio del bianco a ridisegnare totalmente il paesaggio.

Wir können uns das jährliche kurze Schauspiel der wenigen Herbsttage nicht entgehen lassen, an denen die Natur in Wald und Lichtungen mit metallenen Farbtönen wetteifert. Überall leuchtet es gold-, bronze- und kupferfarben, dazwischen funkelt es wie Stahl, eisen- und bleigraue Farbtöne bilden mit vielfältigen Oxydationsnuancen die dunkle Grundierung. Schon bald wird das Weiß das gesamte Landschaftsbild allein beherrschen.

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È stato durante le riprese del prologo autunnale del nostro film che ci siamo trovati ad assistere alla cerimonia funebre nel piccolo cimitero a lato della chiesetta di Sils-Baselgia. Per pudore e rispetto abbiamo spento la videocamera, gli stradini che pavimentavano il marciapiede hanno interrotto il lavoro e un silenzio di altri tempi ha riempito lo spazio; compostezza, solitudine, mestizia aulica, una scena senza tempo, profonda e vivida come il riflesso scuro nelle acque immobili del lago dei cembri e degli abeti tra il fuoco dei larici.

Noch während wir mit den Aufnahmen für den herbstlichen Prolog unseres Film beschäftigt waren, wohnten wir zufällig einer Bestattungszeremonie auf dem kleinen Friedhof neben der Kirche von Sils-Baselgia bei. Aus pietätvollem Respekt haben wir unsere Videokamera ausgeschaltet. Die Straßenarbeiter, die dabei waren, den Bürgersteig zu pflastern, hielten mit ihrer Arbeit inne, und eine heutzutage völlig ungewohnte Stille breitete sich aus. Gebührendes Schweigen, Einsamkeit, schlichte Erhabenheit formten ein tiefgehendes, starkes, zeitloses Bild, vergleichbar dem Spiegelbild der dunklen Zirbelkiefern, Tannen und feuerroten Lärchen in dem stillen Wasser des Sees.

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Nomi dei proprietari, proverbi, figure apotropaiche, semplici decorazioni, date e simboli di appartenenza, tutto sgraffito sui muri delle casone possenti, piantate solidamente a sfidare i rigori di un clima e di una vita estremi, a dichiarare con orgoglio e allegria il significato di una presenza ammirevole.

Besitzernamen, Sprichwörter, Unheil abwehrende Figuren, einfache Dekorationen, Daten und gesellschaftliche Zugehörigkeitssymbole zieren die Mauern der stattlichen, fest im Boden verankerten Häuser, die dem strengen Klima und den harten Lebensbedingungen die Stirn bieten und mit Stolz und Frohsinn die Bedeutung einer bewunderungswürdigen Präsenz bezeugen.

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Passaggi sul filo del crepaccio, alba che vivifica a ridosso della vetta, difficoltà per le rocce vetrate dal ghiaccio, scendendo dallo Spinas a cercare una spaccatura per conficcare una piccozza a mo’ di ex voto. Proprio in fronte al Bernina, proprio la piccozza che lo ha salito tra le mani del nostro mentore: aiuto l’amico ad avvitare una piccola targa con un pensiero per la sua giovane moglie morta. Piango, non so se per l’emozione di trovarmi su quelle cime o per i ricordi delle persone o per la potenza da vertigine dei luoghi. L’abbraccio degli amici che attendono il ritorno è più ristoratore dei panini con la bresaola e dell’abbandono degli scarponi che dopo tante ore ti hanno bucato i piedi. Forse un giorno ritorneremo a vedere se quella piccozza con la targhetta è ancora là.

Enge Passagen führen scharf an Felsspalten vorbei, der Tagesanbruch in Gipfelnähe gibt neuen Ansporn, vereiste Felsblöcke bereiten Schwierigkeiten. Beim Herabsteigen vom Spinas suchen wir nach einem Spalt in den wir einen Pickel nach Art eines Ex-voto hineinschlagen können. Genau dem Bernina gegenüber helfe ich meinem Freund, an dem Pickel, den unser Mentor beim Besteigen eben dieses Berges in den Händen gehalten hatte, eine kleine Gedenktafel an seine jung verstorbene Frau anzubringen. Ich kann die Tränen nicht zurückhalten. Ich weiß nicht, ob ich aus Erregung darüber weine, dass ich mich auf diesen Bergspitzen befinde, oder ob es die Erinnerung an die Personen oder die Schwindel erregende Gewalt der Berglandschaft ist, die mich dazu veranlasst. Die Umarmung der Freunde, die auf unsere Rückkehr warten, ist wohltuender als die Brötchen mit dem Bündner Fleisch und das Loswerden der Bergschuhe, die unsere Füße nach so vielen Stunden wund gerieben haben. Vielleicht werden wir eines Tages zurückkehren, um zu sehen, ob der Pickel mit der Gedenktafel noch da ist.

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Il freddo intenso è così piacevole, la luce così abbagliante, i colori così vividi, l’aria così cristallina che sembra irresistibile per tutti passeggiare sulla neve. Un continuo incrociarsi di colorate giacche a vento, pellicce, berretti e nuvolette di fiato condensato che anima i camminamenti fino agli ultimi raggi di tramonti violacei e alle prime luci delle finestre che promettono caldo e zuppa d’orzo.

Die intensive Kälte ist so wohltuend frisch, das Licht so strahlend hell, die Luft so kristallklar und die Farben sind so kräftig, dass niemand einem Spaziergang im Schnee widerstehen kann. Immer wieder trifft man auf bunte Windjacken, Pelze und Mützen; kleine Atemwölkchen beleben die Spazierwege, bis die Sonne violett untergeht und die ersten Lichter hinter den Fensterscheiben angehen, gemütliche Wärme und Graupensuppe versprechend.

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Galaverna abbondante, spesso nebbie lungo il Gelgia e un silenzio profondo, il clima che ogni inverno ci accoglie nella piana di Rona, comune a molti altri luoghi se non fosse per quei cinque edifici di cemento armato, identici, allineati, spettrali: emanano un’inquietudine percepibile che ci ha ispirato i pensieri più lugubri e misteriosi. Poco oltre il profumo di sterco caldo di vacca ci rassicura.

Sehr viel Raureif, oft auch Nebel längs der Gelgia, tiefe Stille. Solches Klima findet man jedes Jahr in Piana di Rona, das eine Ortschaft wie viele andere wäre, wenn sich dort nicht fünf gespenstisch aussehende absolut gleichartige Betonbauten aneinander reihen würden. Von ihnen geht etwas Beängstigendes aus, das in uns die düstersten, geheimnisvollsten Vorstellungen erweckt. Ein Stückchen weiter wirkt sich jedoch der Geruch von warmem Kuhmist beruhigend auf unsere Gemüter aus.

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La vecchia aquila ripetutamente ci punta, vola a pochi metri dalle nostre teste, vediamo il piumaggio marrone ondeggiare al vento, gli artigli e gli occhi. Protezione dei due novellotti volteggianti più in alto? Jupiter irritato o benedicente? Invasione di territorio inopportuna? Il belvedere sulla val Fedox scenario di un attacco a due escursionisti; per evitare il ridicolo tengo a portata di mano il bastone da passeggio.

Der alte Adler fixiert uns mehrmals. Er fliegt nur wenige Meter über unseren Köpfen. Wir sehen, wie sich sein braunes Gefieder im Wind bewegt, sehen seine Krallen und Augen. Beschützt er die beiden Jungtiere, die in größerer Höhe schweben? Ist er ein erzürnter oder gütiger Jupiter? Hält er uns für unwillkommene Invasoren seines Territoriums? Sollte der Aussichtspunkt auf das Fedoztal etwa das Szenarium eines Angriffs auf zwei Bergwanderer abgeben? Ich will mich nicht lächerlich machen, halte aber meinen Spazierstock griffbereit in der Hand.

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Fanno sorridere gli chaffeurs in livrea a bordo di Rolls vintage o che piantonano le halls degli alberghi storici; varia umanità alla ricerca di una tipicità desueta. Altra cosa quando si ha la fortuna di entrare in case perfettamente conservate nel tempo, dove il tipico è l’autentico e il profumo dei legni resinosi, del formaggio, del latte, del fieno impregna ancora l’aria.

Man kann nicht umhin, die Chauffeure in Livree zu belächeln, die sich an Bord alter Rolls-Royce befinden oder die Eingangshallen der historischen Hotels bewachen. Sie gehören zu der Sorte von Menschen, die stets auf der Suche nach etwas Ungebräuchlichem, Typischem sind. Anders verhält es sich, wenn man das Glück hat, die Häuser betreten zu können, die sich im Laufe der Zeit in perfektem Zustand erhalten haben, in denen das Typische authentisch ist und der Geruch von harzigem Holz, Käse, Milch und Heu nach wie vor die Luft erfüllt.

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Seguire le piste scegliendo in base al vento più che alla meta, e andare, andare, andare, spingendo ritmicamente sul velluto perfetto della neve battuta; un po’ incoscienti perché c’è la sicurezza di trovare una stazioncina calda e un treno rosso che ci riporta indietro.

Wir suchen die Pisten eher nach der Windrichtung als nach unserem Ziel aus und bewegen uns mit rhythmischem Abstoßen auf der glatten Schneefläche weiter und weiter. Es fehlt uns nicht an Leichtsinn, schließlich haben wir ja die Gewissheit, bald eine kleine warme Bahnhofsstation und ein rotes Züglein zu finden, das uns zurückbringt.

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Certo, sede del divertimentificio alpino europeo, patria di ogni sport praticabile fino alla bizzarria; cavalli e cavalli-vapore di bolidi rombanti sulla neve, teiere scivolanti, percorsi per ogni tipo di mezzo, gambe, zampe, ruote, tavole, stecche di legno, barche, aquiloni, punte metalliche, tutto rigorosamente ordinato, segnalato, predisposto. Che invidia, sembra che nulla stoni, ogni infrastruttura si inserisce con discrezione, nemmeno i piloni e i cavi che addobbano i pendii riescono a farti storcere il naso.

Zweifellos ist das Engadin das alpine Vergnügungszentrum Europas, die Heimat jeder praktizierbaren Sportart bis hin zu Absonderlichkeiten. Man findet echte Pferde und pferdeähnlich schnaubende Bolide, die über den Schnee sausen, hinunterschlitternde Teekessel, Pisten für jegliche Bewegungsart, für Beine, Pfoten, Räder, Bretter, Holzstöcke, Boote, Winddrachen, Metallstäbe, alles streng geordnet, mit genauen Hinweisen versehen, bestens vorbereitet. Man stellt voller Neid fest: alles scheint zu stimmen, jede Infrastruktur passt sich diskret an, selbst die Pfeiler und Kabel an den Abhängen lassen kein Naserümpfen zu.

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Strano crocevia tra punti cardinali, orografia privilegiata che assembla pianura e laghi tra gli alti monti, valli che si diramano a indicare le molteplici direttive degli scambi e degli intrecci. Curioso il luogo dove la goccia d’acqua potrà raggiungere tre mari agli antipodi, secondo se verrà accolta dall’alveo del rigagnolo che alimenterà i tre grandi fiumi d’Europa.

Im Engadin kreuzen sich auf ungewöhnliche Weise die vier Himmelsrichtungen. Es ist eine besonders begünstigte Gebirgslandschaft aus Ebene, Seen und hohen Bergen. Die viel verzweigten Täler weisen auf starken Austausch und enge Verflechtung hin. Es ist eine seltsame Vorstellung, dass hier ein Tropfen Wasser drei weit voneinander entfernte Meere erreichen kann, wenn er in dem Rinnsal endet, das sich dann in drei große europäische Flüsse verwandelt.

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Tra il verde intenso punteggiato di viola, giallo e bianco, il torrente pomeridiano tuona impetuoso al massimo del suo carico. Un’acqua densa bianca e grigia come il siero per la mascherpa, torrente dove non si beve. E nonostante lo spettacolo di tanto impeto e forza, un po’ dispiace pensare che il ghiacciaio perde i suoi strati. Una invocazione assurda nasce nella mente: fermati, torna a crescere, non fondere così in fretta. Un tonfo al cuore pensare che solo pochi anni fa eravamo sotto la “grotta” di ghiaccio formata al terminale del Morterasch ed ora non c’è che una crepacciata molti metri più a monte. Razionalmente si constata che la natura ha i suoi corsi, ma è spaventoso leggere i cartelli che via via segnalano il fronte dei ghiacci negli anni, sia qui che al Forno, bisogna rimontare la valle per chilometri!

In der sattgrünen, lila, gelb und weiß gesprenkelten Almlandschaft donnert der Wildbach zu Tal. Nachmittags schwillt er beängstigend an. Seine weiß-grau schäumende Wassermasse erinnert an die Molke zur Herstellung des „Mascherpa“ (die örtliche Bezeichnung für einen quarkähnlichen Frischkäse). Trotz des überwältigenden Schauspiels der Naturgewalt stellt man bedauernd fest, dass der Morteratschgletscher mehr und mehr an Volumen verliert. Im Geiste möchte man den absurden Appell machen: Halt inne! Nimm wieder zu! Schmilz doch, bitte, nicht so schnell! Es tut dem Herzen weh, wenn man bedenkt, dass wir noch vor wenigen Jahren in der „Eishöhle“ waren, die sich an der Gletscherzunge des Morteratsch gebildet hatte, und dass jetzt viele Meter höher nur noch ein Gletscherbruch zu sehen ist. Vernunftgemäß macht man die Feststellung, dass die Natur ihren Lauf nimmt, aber man erschrickt, wenn man die Schilder liest, die den Rückzug der Gletschergrenze während der letzten Jahre hier am Morteratsch als auch am Forno angeben. Man muss jetzt das Tal mehrere Kilometer hochsteigen, um sie zu erreichen.

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Ci sono dei nomi di luoghi che suonano alle nostre orecchie come mieli esotici: non so più se amo S-chanf, Chamues-ch, Zuoz, Maloja, Zernez, Sils-Maria, per le case, per i paesaggi o per il suono del loro nome.

Es gibt Ortsnamen, die in unseren Ohren wie exotische Honigsorten klingen. Ich weiß nicht recht, ob ich S-chanf, Chamues-ch, Zuoz, Maloja, Zernez, Sils Maria wegen ihrer Häuser und ihrer Landschaft oder eher wegen ihrer Namen so liebe.

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SarĂ per Segantini negli occhi e Zarathustra nel cuore che spesso percorriamo normali sentieri di montagna con gambe tremanti e farfalle nello stomaco, al pensiero di calpestare le stesse pietre e vedere gli stessi profili di punte aguzze, morbidi prati e abbacinanti lingue di ghiacci.

Sei es, weil wir Segantini vor Augen und Zarathustra im Herzen haben, dass wir uns oft auf gängigen Bergpfaden mit zitternden Beinen und Schmetterlingen im Bauch bewegen bei dem Gedanken, dieselben Steine zu betreten und dieselben scharfen Bergspitzen, weichen Wiesen und blendend weiĂ&#x;en Gletscherzungen zu betrachten.

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A Vicosoprano si vive un’atmosfera lugubre, tra la meraviglia architettonica di pietre grigie non ci abbandona il lamento dei supplizi di streghe che quei vicoli hanno conosciuto. Suggestioni della storia? Visioni distorte da letterature? Il testimone più potente che rinnova il terrore sono i volti scavati, tagliuzzati, invariabilmente grigi dei personaggi dipinti da Giacometti, che aveva lo studio nel paese attiguo.

In Vicosoprano umgibt einen eine unheimliche Atmosphäre. Inmitten der architektonischen Wunderwerke aus grauem Stein verfolgen einen die qualvollen Klagelaute der Hexen, die in den engen Gässchen zu Hause waren. Handelt es sich um historische Beeinflussung oder eher um literarisch bedingte Visionen? Das beeindruckendste Zeugnis für das Fortleben des Grauens sind die hohlwangigen, scharf geschnittenen Gesichter der gleichbleibend grauen Gestalten auf den Gemälden von Giacometti, der in dem angrenzenden Dorf sein Atelier hatte.

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Il gioco di scommettere sulla temperatura che troveremo allo Julier pass è una consuetudine; il termometro dell’auto scende progressivamente al salire dei tornanti e ai meno ventinove ci si chiede se quello sia il limite oltre il quale l’apparecchio si spinge a misurare. La vista degli immensi scenari bianchi, che si aprono senza asperità e con grande variazione di curve e di tonalità, ci incanta ogni volta che scendiamo alla “nostra” Bivio. Nostra perché enclave di lingua italiana, nostra perché confluenza delle strade che i romani percorrevano, nostra perché ci alloggiamo, ma anche perché siamo affezionati al negozietto del pane e del latte, al calore delle braccia gentili e della piccola spa che ci accoglie, al negozio di abbigliamento più stupefacente e improbabile. Nostra perché d’inverno il suo bosco spesso ci trova come unici frequentatori, così come le case di Barscheinz o la panchina al belvedere del Mott o della Marmorera.

Die Wette um die Temperatur, die uns am Julierpass erwarten wird, ist für uns schon eine Gewohnheitssache. Das Thermometer fällt mit dem Ansteigen der kurvenreichen Strecke und bei minus neunundzwanzig Grad stellt sich die Frage, ob das Messgerät damit seinen Grenzwert erreicht hat. Der Anblick der immensen weißen Landschaft, die sich mit vielfachen Biegungen und Farbnuancen vor uns ausbreitet, ohne schroff und abweisend zu wirken, bezaubert uns jedes Mal, wenn wir zu „unserem“ Bivio hinunterfahren. Ich nenne es „unser“ Bivio, weil es eine Enklave der italienischen Sprache bildet, weil dort die Straßen zusammentreffen, die schon die Römer benutzt haben, weil wir dort Unterkunft finden, aber auch weil wir an dem kleinen Brot- und Milchladen hängen, an den warmherzigen Menschen und der kleinen Gesellschaft, die uns aufnimmt, an dem Bekleidungsgeschäft mit seinen verblüffenden, unmöglichen Angeboten. Es ist „unser“ Bivio, weil wir im Winter oft als Einzige seinen Wald aufsuchen. Dasselbe gilt auch für die Häuser von Barscheinz und das Bänkchen auf dem Aussichtspunkt von Motta oder Marmorera.

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Immagini/luoghi - Abbildungen/Orte

p. 6-7

‘Maloja snake’, Passo del Maloja, Maloja, 2015

p. 78-79

‘Langlauf’, Sankt Moritz, 2013

p. 8-9

‘Barca e isola’, Plaun la Lej, 2015

p. 80-81

‘Verso il Roccabella’, Piz Roccabella, 2014

p. 10-11

‘Belvedere’, Silvaplana, 2015

p. 82-83

‘Salita nel bosco’, Grevasalvas, 2014

p. 12-13

‘Larici’, Maloja, 2014

p. 84-85

‘Salita/discesa’, Diavolezza, 2014

p. 14-15

’Subaru No Limits’, Bondo, 2014

p. 86-87

‘Pilone’, Bivio, 2014

p. 16-17

’Bosco’, Casaccia, 2014

p. 88-89

‘Divieto/permesso’, Sankt Moritz, 2013

p. 18-19

’Cimitero’, Soglio, 2012

p. 90

‘Riflesso’, Sils, 2015

p. 20-21

‘L’isola dei morti’, Sils Baselgia, 2015

p. 91

‘Privat’, Sils, 2015

p. 22-23

‘Legame’, Sils Maria, 2015

p. 92-93

‘Verso la Val Fex’, Sils, 2015

p. 24-25

‘Hotel Waldhaus’, Sils Maria, 2015

p. 94-95

‘Cayenne’, Bivio, 2014

p. 26-27

‘Traccia’, Bivio, 2013

p. 96-97

‘Trasporto elettrico’, Val Tgaoretga, 2013

p. 28-29

‘La persona da lei desiderata non è raggiungibile’, Bivio, 2013

p. 98-99

‘Spartiacque’, Val Bregaglia, 2014

p. 30-31

‘Voust entrer da buna glüna’, Susauna, 2015

p. 100

‘Ghiaccio e pietra’, Bivio 2014

p. 32

‘Archiettura’, Casaccia, 2014

p. 101

‘Lago Lunghin’, 2014

p. 32-33

‘Deo non dante nihil valet labor ergo’, Coltura, Stampai, 2014

p. 102-103 ‘Pizzo Badile’, Val Bregaglia, 2014

p. 34-35

‘Chesa’, Sils Maria, 2015

p. 104-105 ‘Diga dell’Albigna’, Val Bregaglia, 2014

p. 36

‘Finestra’, Susauna, 2015

p. 106-107 ‘Fusione’, Val Morteratsch, 2013

p. 37

‘Anno Domini 1713’, Susauna, 2015

p. 108-109 ‘Il Morterasch’, Val Morteratsch, 2012

p. 38-39

‘Crepaccio’, Diavolezza, 2014

p. 110-111 ‘Siero’, Val Morteratsch, 2013

p. 40-41

‘Piz Palü, 2014

p. 112-113 ‘Baite’, Bivio, 2014

p. 42-43

‘Ghiacciaio’, Val Roseg, 2013

p. 114

‘Neve e legno’, Grevasalvas 2014

p. 44-45

‘Camminamenti’, Plaun da Lej, Maloja, 2014

p. 115

‘Facciata’, Grevasalvas, 2014

p. 46-47

‘Discesa’, Ghiacciaio del Morteratsch, 2014

p. 116-117 ‘Entrata’, Sils Maria, 2014

p. 48-49

‘Sky line’, Pass Lunghin, 2014

p. 118-119 ‘Amicizia’, Alp Flix, 2013

p. 50-51

‘Bunker’, Rona, 2014

p. 120-121 ’Chiuso il martedì’, Bondo, 2014

p. 53

‘Ski’, Rona, 2014

p. 122-123 ’Vista’, Val Morteratsch, 2013

p. 54

‘Melotte’, Bivio, 2014

p. 124-125 ’Biancograt’, Piz Bernina, 2013

p. 54-55

‘Stalla’, Bivio, 2014

p. 127

p. 56-57

‘Barscheinz’, Bivio, 2014

p. 128-129 ’Piz Roseg’, 2013

p. 58-59

‘Volo’, Val Fedoz, 2014

p. 130-131 ’S-graffito’, Vicosoprano, 2015

p. 60-61

‘Lingua di ghiaccio’, Ghiacciaio del Roseg, 2013

p. 132

p. 62-63

‘Escursionisti’, Val Roseg, 2013

p. 132-133 ’Ch. Weidmann’, Vicosoprano, 2015

p. 64-65

‘Architetture’, Sankt Moritz, 2015

p. 134-135 ’Passo del Giulio’, Julier Pass, 2015

p. 66

‘Camminamento’, Sankt Moritz, 2015

p. 136-137 ’Bianco-nero’, Val d’Agnel, 2015

p. 67

‘Polo viewer’, Sankt Moritz, 2015

p. 138-139 ’Bivio-Stalla’, Bivio, 2014

p. 68-69

‘Milano’, Sankt Moritz, 2015

p. 140-141 ’Slitta’, Bivio, 2014

p. 70 ‘Negozio vintage’, Sankt Moritz, 2015

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p. 71

‘Grizzly’, Sankt Moritz, 2015

p. 72-73

‘Falegname’, Susauna, 2015

p. 74-75

‘Hürlimann’, Susauna, 2015

p. 76-77

‘Riparo’, Bivio, 2014

‘Quatr’ass’, Lago Lunghin, 2014

’Porta’, Vicosoprano, 2015



edizioni

Andrea Aschedamini different.photography

9 788899 347017

UMAUNS SAINZA AMUR SUN ERVAS SAINZA FLUR

different.photography

Andrea Aschedamini

ISBN 978-88-99347-01-7


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