intorno alla terra nuova viaggio circolare
dedica.ai viaggatori
intorno alla terra nuova viaggio circolare
Dicono che nell’isola, un lembo di terra
portarsi appresso, come dice Magris –
che sarebbe disabitata se non fosse per
quelli scritti dagli autori del luogo, che
una corrente calda dell’oceano, si abbia
si leggono per capire meglio la realtà
ancora il senso della morte – che nelle
sconosciuta in cui si inoltra, e quelli
città del continente abbiamo smarrito,
scritti da autori arrivati da lontano,
esorcizzandolo – e per converso quello
sapendone poco, e che si leggono
della vita. Dicono che sia una terra di
per capire come un altro ha guardato
contrasti forti, come se il mondo fosse
quei luoghi per la prima volta – se ne
all’inizio della propria esistenza e il
aggiunge un altro: un racconto speciale
magma non si fosse ancora raffreddato,
che chi è partito per scoprire conserva
e scorresse in superficie come una
negli occhi, una soggettiva piena di
rivoluzione silenziosa. Dicono, ancora,
luci e colori che s’offre ai viaggiatori
che si tratti di un territorio dai contorni
sedentari come una narrazione orale,
frastagliati, ma netti sull’orizzonte
come un pranzo tra amici, in cui le
come le linee essenziali che segnano
immagini sono un invito al viaggio,
appena le strade.
a fingerci capitani e camminatori,
Lo sguardo corre in circolo, nella breve
esploratori e aedi, o anche soltanto
stagione di luce, su un paesaggio aspro,
Allegri Compagni contro cui la risacca
sugli spigoli vivi dei gatti delle nevi, e
si frange, perché tutti «siamo gli uni per
si accompagna alle (poche) parole di
gli altri dei pellegrini che, per strade
viaggiatori e isolani, alle associazioni
diverse, cercano con fatica di arrivare
di idee che ciascuno può suggerirsi: ai
all’appuntamento fissato» (A. de Saint
due tipi di libri che un viaggiatore può
Exupery).
«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini, non si allontanano mai dal loro destino, e senza saper perché, dicono sempre: “Andiamo”!» (Charles Baudelaire, Il viaggio, 1857)
«Navigai, nel mese di febbraio dell’anno 1477, un centinaio di leghe oltre Thule, la cui parte meridionale dista dall’equinozio settantatre gradi; non sessantatre, come dicono alcuni, e non all’interno della linea che comprende l’occidente, come afferma Tolomeo, ma molto più a occidente. E a quest’isola, grande come l’Inghilterra, vanno gli inglesi coi loro commerci, specialmente quelli di Bristol, e quando io vi andai il mare non era ghiacciato» (Cristoforo Colombo, in B. de Las Casas, Historia de las Indias, I, c. 3)
«Tu stavi in piedi dove portò l’onda il cervo dei rostri nello stretto, mentre io sedevo dove la vela menava al porto la prua vermiglia» (La saga di Ragnarr, XI-XII sec.)
«I teatri si svuotano. È mezzanotte sulle facciate dei caratteri s’infiammano. l’enigma delle lettere senza risposta sprofonda nel freddo scintillio» (Tomas Tranströmer, Den stora gåtan [Il grande mistero], 2011)
«Sennonché le sirene possiedono un’arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio. Non è avvenuto, no, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. Nessun mortale può resistere al sentimento di averle sconfitte con la propria forza e al travolgente orgoglio che ne deriva» (F. Kafka, Il silenzio delle sirene, 1917)
«La luce apparve sopra la collina e si sentì
in pietra mentre si chinava, e Berto e Maso
un forte cinguettio fra i rami. Guglielmo
si immobilizzarono come rocce mentre lo
non parlò più perché rimase fermo, mutato
guardavano. E sono rimasti lì fino a oggi, tutti
soli, a meno che gli uccelli non si posino su di
tornano della materia pietrosa di cui sono
loro; difatti i troll, come forse sapete, debbono
fatti e non si muovono piڝ (J.R.R. Tolkien,
trovarsi sotto terra prima dell’alba, altrimenti
The hobbit, or There and Back Again, 1937)
«Le lettere che ci scambiamo con la posta elettronica finiscono in niente in pochi anni, e ci sentiamo rodere dal pensiero, dalla sensazione che stiamo spezzando quel filo, che arriva a noi ma non va oltre, che stiamo creando un vuoto che non sarà più colmato. […] Ci sentiamo in colpa perché non leggiamo abbastanza, perché parliamo troppo poco con gli amici, perché trascorriamo troppo poco tempo con i figli, con i vecchi. Siamo sempre in movimento invece di fermarci ad ascoltare la pioggia, bere una tazza di caffè, scaldare un petto. E non scriviamo mai lettere. E invece succede qui da noi, che viviamo lontano dalla statale 1, che ci si sieda a scrivere lettere e poi le si porti all’ufficio postale. Così […] siamo pervasi da una sensazione
piacevole,
come
il
ricordo
di quando bevevamo la Coca cola con la cannuccia di liquerizia, o di quando andavamo al Museo Nazionale o a trovare la vecchia zia, abbiamo dimostrato lealtà al passato» (J.K. Stefánsson, Sumarljós, og svo kemur nóttin [Luce d’estate, ed è subito notte], 2005)
«Erodoto, infatti, va alla scoperta dei suoi
finché non la si è confrontata con le altre.
mondi con l’entusiasmo e la passione di un
Ecco perché Erodoto, dopo aver scoperto la
bambino. La sua scoperta principale è che i
cultura degli altri come uno specchio nel quale
mondi sono molti e tutti diversi. Che sono tutti
rifletterci per comprenderci meglio, ogni
importanti e che bisogna conoscerli, poiché
mattina, instancabilmente, torna a rimettersi
le altre culture sono specchi che riflettono la
in viaggio»
nostra, permettendoci di capire meglio noi
(R. Kapuscinski, Podròze Z Herodotem [In
stessi. È impossibile definire la propria identità
viaggio con Erodoto], 2004)
«Il vento, da qualsiasi parte tirasse, sempre
terraferma, in un giorno di vento e di acque
aria di mare recava, salata come se si fosse
alte, ho udito il Roost strepitare come il rombo
a bordo di una nave; il gabbiano abbondava […]
di una battaglia là dove lambisce il Aros e ho
tanto quanto la pernice bianca; e ogniqualvolta
udito le potenti e spaventose voci dei frangenti
la via si alzava un poco, l’occhio si accendeva
che noi chiamiamo i Merry Men»
del luccichio del mare. Dal bel mezzo della
(R.L. Stevenson, I Merry Men, 1882)
«Papà si mette il basco, lo indossa ogni volta
arriva la mia vista: gli uccelli sono appollaiati
che deve guidare per lunghe distanze, fuori
a distanze regolari sulle cuspidi di lava viola
città. Guida molto al di sotto del limite di
che, strato dopo strato, sembrano conficcarsi
velocità; dopo l’incidente non supera mai i
nelle venature dell’alba come le note sulla
quaranta all’ora. Attraversa le frastagliate
partitura di una sinfonia malinconica, in
distese di lava così lentamente che posso
crescendo»
osservare il paesaggio con calma, fin dove
(A.A. Ólafsdóttir, Rosa candida, 2012)
«Al di là dell’oscurità e del mistero di quella
gettò una cima alla goletta che attraccò a
manovra, Harvey percepì la terra che stava
una banchina silenziosa, fiancheggiata da
per proteggerlo di nuovo con il respiro di
grandi tettorie di ferro di dove emanavano
migliaia di persone addormentate, il profumo
folate d’aria calda e viziata, poi si fermò,
del suolo bagnato dalla pioggia [...]. In quel
silenziosa. Allora, Harvey sedette vicino alla
momento, il cuore di Harvey ritto vicino
barra del timone, singhiozzando come se
all’albero di trinchetto cominciò a palpitare
gli si spezzasse il cuore […] e finché l’ufficio
violentemente e la gola gli si strinse. Sentì un
telegrafico non aprì ed egli potè spedire un
custode russare da un battello faro incastrato
telegramma ai suoi genitori, si sentì il ragazzo
in un angolo scuro dove brillavano, ai due lati,
più solo di tutta l’America»
due lanterne. Qualcuno si svegliò brontolando,
(R. Kipling, Capitani coraggiosi, 1897)
«Un susseguirsi senza fine di ghiacciai e
l’oceano, che qui si stendeva in tutta la
vette, delle quali più d’una s’impennacchiava
sua maestà, pareva una continuazione di
di sottili fumate. Le ondulazioni di queste
quelle cime tondeggianti. Il mio sguardo non
montagne a non più finire e che gli strati
riusciva più a capire dove finisse la terra e
nevosi sembravano rendere spumeggianti,
dove incominciassero i flutti»
mi ricordavano la superficie di un mare
(J. Verne, Voyage au centre de la Terre,
in tempesta. Se mi volgevo a occidente,
1864)
«Posata sulla cornice ultima del mondo,
stanchezza, e lasciatasi sfilare accanto
a un passo dalla fine del mare, la locanda
le compagne di viaggio avesse deciso
Almayer lasciava che il buio, anche quella
di fermarsi su quell’accenno di collina,
sera, ammutolisse a poco a poco i colori dei
arrendendosi
suoi muri: e della terra tutta e dell’oceano
chinando il capo e aspettando la fine. Così
intero. Pareva – lì, così solitaria – come
era la locanda Almayer. Aveva quella
dimenticata. Quasi che una processione di
bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la
locande, di ogni genere e età, fosse passata
limpidezza delle cose deboli. E la solitudine,
un giorno da lì, costeggiando il mare, e
perfetta, di ciò che si è perduto»
tra tutte se ne fosse staccata, una, per la
(A. Baricco, Oceano mare, 1993)
alla
propria
debolezza,
«Preferisco […] il cielo stellato al soffitto, preferisco il sentiero oscuro e difficoltoso verso l’ignoto alla strada asfaltata, e la pace profonda del selvaggio allo scontento generato dalle città. Disapprovi dunque che io resti qui dove sento di appartenere ed essere tutt’uno col mondo?» (E. Ruess, Lettera al fratello Waldo, 1934, in J. Krakauer, Into the wild [Nelle terre estreme], 1997)
«Un po’ più in là, nella zona più esposta e più ventosa, si trovava il cantiere navale vero e proprio; gli operai si aggiravano nella puzza di catrame e tra i trucioli freschi di rovere, l’aria risuonava dei colpi d’ascia e di martello dei carpentieri. Il cantiere era composto da alcuni laboratori sparsi per fabbricare bozzelli, affusti dei cannoni e intagliare il legno, e da alcune baracche dove si faceva bollire il catrame, la pece e il bitume. Le navi venivano costruite sulla nuda battigia dove restavano a lungo simili a balene arenate mentre i gabbiani argentati volteggiavano intorno alle loro carcasse protese verso il cielo» (T. Hansen, Il Capitano Jens Munk, 1965)
«Sono rimasto a guardare fino al crepuscolo, non loro che si allontanavano, ma il mare e l’orizzonte infinito. Avevo nostalgia, dopo tutto. Di un’esistenza senza restrizioni, come l’avevo vissuta, di un esistenza che aveva un domani, che sembrava non avere una fine, né un punto fermo, al massimo una virgola qua e là, un attimo di respiro, e, per il resto, solo vita e movimento» (B. Larsson, La vera storia del pirata Long John Silver, 1995)
«Essere soli. Essere totalmente soli su una costa praticamente deserta, tagliati fuori dal resto del mondo. Dipendere dalle proprie capacità,
dalla
propria
volontà,
essere
padroni e servitori di se stessi: non erano cose che Anton Pedersen si fosse realmente prospetatto quando aveva fatto domanda per un posto di cacciatore di pelli presso l’ufficio della Compagnia» (J. Riel, En arktisk safari og andre skrøner [Safari artico], 1974)
«- Si ricorda? Ne abbiamo parlato ieri.
acclimarsi!
Quando si è diventati creature di terraferma…
- sì, signor Ballested. Quando sono liberi.
non si ritrova più la via del mare. E della vita
- è la piena responsabilità, cara Ellida.
marina.
- Proprio così.
- Tale e quale la mia sirena!
Il vapore inglese passa silenziosamente sul
- Sì, press’a poco.
fiordo. La musica echeggia vicina.»
- Con la differenza però che la sirena ne
(H. Ibsen, Fruen fra Havet [La donna del
muore. Gli uomini invece […] riescono ad
mare], 1888)
«L’estate è al massimo del suo splendore appena prima dell’autunno. Per questo le belle storie cominciano quando è ancora estate e gli uccelli cantano e il sole diffonde i suoi caldi raggi su terra e mare. Così comincia anche la storia della giovane Rannveig, la buona figlia del prevosto, che si era allora finalmente decisa a partire per l’estero e che in quel giorno di fine estate andava a portare i suoi saluti in giro per il paese, mentre gli scogli si levavano sullo specchio luccicante dell’acqua come castelli splendenti in un miraggio» (H. Laxness, Ungfrúin góda og húsid [L’onore della casa], 1933)
«Avanzano verso nord. Progrediscono a malapena e non vedono niente, nemmeno quella donna che forse non è una donna, ma un’allucinazione generata dalla stanchezza, dalla fame e dalla sete. Jens ha ragione, la mente umana è un mistero, un mistero più profondo dell’oceano ed è impossibile dire che cosa sia capace di generare. È ovvio che il ragazzo non ha visto una morta! I morti non vagano per i monti, né nel sole dell’estate né nell’inclemenza dell’inverno, anche se adesso dovremmo essere in primavera, solo che qui in Islanda a dirla tutta la primavera non arriva mai, quella gioia non la conosciamo, c’è l’inverno e poi viene un’estate esitante, in mezzo non c’è altro» (J.K. Stefánsson, Harmur englanna [La tristezza degli angeli], 2009)
«Perché il viaggio – nel mondo e sulla carta – è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo» (C. Magris, L’infinito viaggiare, 2005)
«La giornata era perfetta, […] ogni goccia che volava nell’aria diventava una gemma, e lo Spray, balzando avanti, ne strappava al mare una collana dopo l’altra, gettandole via ogni volta. […] E lessi nel mare che il suo angelo custode si era imbarcato e che ci avrebbe accompagnato nel nostro viaggio» (J. Slocum, Il giro del mondo di un navigatore solitario, 1895)
«Alla luce del giorno, oltre le distese di ghiaccio alla deriva, vedevamo risplendere vette e ghiacciai, mentre la sera e per tutta la notte, quando il sole si abbassava incendiando il cielo, la selvaggia bellezza dello scenario raggiungeva il suo apice. Durante il giorno, dalla coffa spesso capitava che il cannocchiale si volgesse a ovest e non c’è da stupirsi che la fantasia di un giovane si sentisse irresistibilmente attratta dalle bellezze e dai misteri di quel mondo sconosciuto» (F. Nansen, The First Crossing of Greenland [Nel cuore della Groenlandia], 1890)
«Il mare davanti agli occhi, e le nuvole
nell’interminabile inverno subartico? Io sono
scure, basse. Il circolo polare artico non
in un lungo corridoio di neve o sto soltanto
troppo distante, ma neanche troppo vicino.
facendo ritorno alla mia casetta di legno, alla
Percepire l’assenza di confini è ancora più
sicurezza degli alberi e delle vele, all’idea
semplice, ancora più deflagrante, è come una
che la navigazione può anche fermarsi, ma
bomba luminosa. Ma il mare è quello a nord,
la nave no? Cosa conta davvero, la rotta o
oppure quello è solo un cielo scuro? E la luce
percorrerla?»
è solo quella, solo uno spicchio di visibilità
(D. Sapienza, I diari di Rubha Hunish, 2004)
«Adesso che sono giunto alla fine della mia impresa, mi rendo conto di quanto poco io sia stato in grado di descrivere, perché i pensieri che mi incombevano addosso sono tali da trovare espressione nell’anima piuttosto che sulle labbra. Se, tuttavia, sono, in una certa misura, riuscito a raccontare la storia di due uomini e dodici cani che hanno camminato nella neve, strisciato sul ghiaccio, riposato in una tenda solitaria, e sono rimasti esposti ai venti; se anche una sola volta sono riuscito a descrivere debolmente le impressioni prodotte da ciò che si vede là fuori nella distesa infinita, nella tempesta e sotto il sole, avrò fatto qualcosa di più che aggiungere alla mappa pochi chilometri di terra più a nord del “Collinson’s Farthest”» (R. Amundsen, The North West Passage, 1908)
«Questo clima, questi viaggi, e l’apparire delle terre all’aurora; le nuove isole che spuntano dai banchi delle nebbie mattutine; e nuovi approdi boscosi, e nuovi allarmi di temporali e risacche: tutta la storia della mia vita è per me più bella di qualsiasi poema» (R.L. Stevenson, Letters, II)
«E le grandi piane sono per sempre dove i
il burrone a ferro di cavallo,
freddi pesci sono cacciati e in ogni luogo;
lo sbocco di vapore di una fenditura
lievi uccelli svolazzano e si ostentano;
della roccia, e rocce, e cascate che spazzano
sotto la borbottante bandiera chi ama
le rocce, e tra le rocce uccelli.
le isole può vedere alla fine, debolmente,
[...] È questa un’isola e tuttavia irreale.
la sua speranza limitata;
E gli amori tenaci dei suoi morti possono
e s’avvicina al bagliore dei ghiacciai,
essere acquistati da coloro che i sogni accusano
agli sterili monti immaturi [...].
d’essere per dispetto vivi»
Trovi qui dunque il cittadino meraviglie naturali:
(W.H. Auden, Lettere dall’Islanda, 1937)
“Intorno alla nuova terra” è un “viaggio circolare” da Reykjavik a Reykjavik,
in
Islanda, nell’estate 2013. Fotografie riprese con iPhone tramite l’app Hipstamatic, senza post produzione. Non esistono due volumi uguali. Ogni copertina ha un’immagine differente dalle altre. Ricerca antologica a cura di Daniele Clarizia (daniele.clarizia@educatt.it). Fotografia, concept e impaginazione di Cristina Locatelli (adv@cristinalocatelli.it) e Andrea Aschedamini (asche@andreaaschedamini.com). Finito di stampare presso la Litografia Solari (info@litografiasolari.it) di Peschiera Borromeo, Milano, nel dicembre 2013.