IL TRUST ovvero caratteristiche ed applicabilità del Trust nell’ordinamento giuridico Italiano
Una relazione di: Andrea Bernasconi Corso di Servizi Giuridici Università degli Studi E-‐campus Disciplina: Diritto di Famiglia Relatore: Ch.ma Prof.ssa Paola Todini
Il trust è un istituto nato nei paesi di common law e fino a poco tempo fa una peculiare caratteristica degli stessi. Costituito tramite la giurisdizione di equity, ovvero quella forma di integrazione del diritto giurisprudenziale disponibile e vigente in tali paesi (UK e Commonwealth soprattutto) è finalizzato a regolare diversi tipi di rapporti giuridici di natura patrimoniale, con un utilizzo prevalente rivolto alla protezione dei patrimoni personali erga omnes, al controllo dei patrimoni stessi, e, molto frequentemente, viene utilizzato anche ai fini di una più ordinata successione (specie in quei paesi - come l’Italia ove vigono divieti di patti successori) , oltre ovviamente a fini prettamente fiscali. Molto spesso si è ritenuto, specie in quei paesi come l’Italia in cui l’istituto non è direttamente disciplinato, che esso fosse uno strumento utilizzato per fini illeciti, ma molti esempi indicano che la realtà è ben diversa: il patrimonio della Corona Inglese infatti è un esempio di trust di rilevante importanza economica, che per la sua propria natura dimostra gli intenti assolutamente legittimi che l’istituto si prefigge di ottenere. Altro esempio è rappresentato dalla peculiare figura del “blind trust” cui l’ordinamento Statunitense impone al Presidente di affidare la gestione dell’intero proprio patrimonio personale durante l’espletamento del mandato, presidenziale al fine di evitare qualsivoglia triste esempio di conflitto di interessi (a tal fine si ricorda che il Presidente USA ha a sua disposizione poteri infinitamente più incisivi di quelli concessi da sistemi parlamentari quali il sistema Italiano). In queste poche righe cercheremo di analizzare l’applicabilità e l’efficacia dell’istituto del trust con fini successori in Italia, paese in cui come è noto vige una fortissima tutela legale nei confronti degli eredi necessari (tutela rappresentata sia dalla c.d. “quota di legittima”, che dal divieto di patti successori, e altro ancora). Non essendo un istituto previsto e disposto dalla vigente normativa Italiana, che di fatto si limita semplicemente a tollerarlo (vedi infra) ed essendo comunque un istituto originato dalla necessità di maggiore dettaglio (come tutti gli istituti di equity nati in sistemi di common law) il trust non prevede delle rigide forme per la sua redazione, lasciando ai relatori ogni più ampia libertà circa contenuti e modalità di applicazione, fatte sempre salve le disposizioni di legge vigenti nei singoli paesi. Figure tipiche di un trust sono generalmente rappresentabili in tre/quattro ruoli ben distinti tra loro, ovvero:
il disponente (settlor), ovvero colui che promuove ed istituisce il trust conferendo a quello stesso dei beni mobiliari o immobiliari precedentemente nella propria disponibilità. L’amministratore (trustee), ovvero colui che è chiamato a gestire i beni oggetto del trust, conservandoli separatamente dai propri, seguendo pedissequamente le indicazioni e le regole poste dal disponente all’interno del contratto stesso. Il/i benificiario/i (beneficary), ovvero coloro nell’interesse dei quali il trust per mezzo dell’amministratore produce frutti, e/o i destinatari finali dei beni oggetto del contratto una volta che questo stesso sarà esaurito (quasi nessun ordinamento infatti ammette una durata sempiterna del trust) Il guardiano (protector) è la quarta figura che può essere facoltativamente inserita nel trust, la sua funzione è di controllare che il trustee espleti le sue funzioni coerentemente con le regole stabilite dal disponente e nel pieno interesse del patrimonio affidatogli. Tale figura ha senso solo in caso di istituzione di trust di elevato valore, poiché essendo il trustee selezionato direttamente dal disponente, appare evidente il rapporto di fiducia che lega le due figure. Tuttavia, può essere necessario istituire tale funzione, poiché alcune giurisdizioni, preoccupate dalla possibile istituzione di trust simulati, richiedono che tale figura esista, rendendo difatto impossibile l’istituzione di un trust in cui settlor e trustee siano rappresentati dalla stessa persona. E’ tuttavia possibile che alcune di queste figure ricadano sulla stessa persona, senza alcun problema, come ad esempio nel caso in cui un disponente sia anche amministratore del suo trust. Questo caso è molto frequente quando si vuole proteggere il patrimonio dall’aggressione di eventuali creditori esterni, svincolando la proprietà dei beni dall’effettiva gestione posta in essere dal loro “ex” proprietario. Come anticipato sopra, il diritto civile italiano non prevede l’istituto del trust, e nemmeno un sistema di norme equitative, ciononostante tale situazione di fatto non è di ostacolo all'utilizzo del trust, che viene invece legittimato nell'ordinamento giuridico italiano a seguito dell'adesione dell'Italia alla Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, resa esecutiva dalla l. 364 del 16 ottobre 1989 in vigore dal 1 gennaio 1992. La giurisprudenza costituita da numerose sentenze di svariati
tribunali Italiani di vario grado, rende pacifica l’asserzione secondo la quale il trust sia legittimato a produrre i suoi effetti nel sistema giuridico Italiano, con particolare riguardo al cosiddetto trust interno, quello cioè che presenta quale unico elemento di estraneità rispetto all'ordinamento italiano la legge regolatrice, che, data la più volte ricordata mancanza di norme specifiche in materia all’interno del nostro ordinamento, deve essere necessariamente straniera (generalmente inglese). Come detto in premessa, nel diritto italiano l'istituto del trust può trovare ampia applicazione per finalità quali gestioni fiduciarie, passaggi generazionali di beni ed aziende familiari, destinazioni di beni a finalità caritatevoli, protezione patrimoniale e altre ancora. I vantaggi sono evidenti soprattutto se valutati sulla scorta della flessibilità di tale istituto rispetto ai tradizionali e noti strumenti tipici del diritto italiano, senza contare i possibili vantaggi economici. Mentre la scarsa consapevolezza dei giuristi italiani circa la sua esistenza e le sue peculiarità lo rendono poco diffuso e destinato a tutelare solo interessi di nicchia o di notevole portata economica, proprio per i vantaggi di cui sopra, il trust potrebbe costituire una valida alternativa di massa all’utilizzo di strumenti giuridici più tradizionali, noti e diffusi. Spesso infatti viene accomunato al mandato fiduciario tipico dei paesi di civil law, in realtà invece ci sono molte differenze tra gli stessi: la prima che balza agli occhi è che il fiduciario non è realmente proprietario dei beni affidatigli, che si obbliga ab origine e per tutta la durata del mandato ad obbedire pedissequamente agli ordini impartiti dal suo fiduciante, ivi incluso quello restituire i beni stessi in conseguenza di una cessazione anticipata (anche unilaterale) del mandato stesso. Nel trust invece la proprietà dei beni ricade sul trustee pienamente, ed egli quindi è vincolato in qualsivoglia sua azione solo ed esclusivamente dalle disposizioni originarie contenute nell’atto costitutivo del trust stesso, e può quindi esercitare ogni tipo di azione ordinaria o straordinaria, e quindi alienare, affittare, dare in garanzia, o in permuta qualsiasi bene contenuto nel trust, almeno fino a quando queste azioni siano compatibili con le disposizioni originali e con gli interessi dei beneficiari. Unica cosa che il trustee non può fare in nessun caso è distruggere il bene oggetto del trust, che si è impegnato a conservare per tutta la durata del contratto e a rendere fruttuoso. Tale vincolo è inteso in termini economici più che fisici, poiché una
profonda ristrutturazione di un immobile costituito in trust, che portasse ad un suo abbattimento e successiva ricostruzione finalizzata a valorizzare il patrimonio e a migliorarne i frutti nel lungo termine, sarebbe sicuramente accettabile (tranne nel caso in cui fosse esplicitamente vietato nell’atto costitutivo o ritenuto lesivo degli interessi dei beneficiari). L’istituto da quindi un corpo preciso ad un rapporto fiduciario che normalmente sarebbe costituito al di fuori della legge, dando quindi allo stesso una tutela in senso giurisdizionale. Posto che il trust può essere istituito anche mediante testamento, il trust è sicuramente più simile all’istituto del fedecommesso, che viene utilizzato in caso di eredi incapaci o minori. Fini ed utilizzi dei trust possono essere i più disparati, posto che esso può essere definito come intestazione qualificata e temporanea di uno o più beni costituenti un patrimonio. In questo senso la parola “trust” assume un significato simile alla nostra “negozio giuridico”. Alcuni degli usi più frequenti corrispondono ai seguenti fini: a) protezione dei beni: permettendo il trust una sorta di segregazione e separazione dei beni dal patrimonio di origine, questo è uno dei fini più diffusi nei casi in cui sia necessario mantenere le redditività derivanti - ad esempio - da un patrimonio immobiliare, evitando di esporre lo stesso a rischi di sequestro come ad esempio quelli possibilmente derivanti dalla professione medica e dall’attività imprenditoriale o ancora da comportamenti personali rischiosi o patogeni quali la dipendenza da agenti tossici o dal gioco d’azzardo. Il patrimonio conferito risulterà infatti intangibile e isolato da qualsivoglia evento sfortunato che possa accadere a qualsivoglia protagonista del trust stesso. b) Necessità di riservatezza: posto che quanto stabilito nel trust può essere vincolato a riservatezza, anche questo fine può essere in alcuni casi motivo sufficiente alla sua istituzione, in modo da utilizzarlo come strumento di controllo “anonimo” di società o enti e come base per operazioni di ottimizzazione fiscale. Resta da sottolineare che questo genere di trust, non potendo comunque essere vietati, sono fortemente disincentivati da molti ordinamenti, che li rendono soggetti a particolari gravami fiscali (come in Italia), e che - ovviamente -
ogni uso di qualsivoglia strumento finalizzato alla evasione od elusione fiscale è contrario alle norme di legge e quindi sanzionabile. c) Tutela dei minori e dei diversamente abili: come già accennato sopra, il trust può essere costituito come valida alternativa all’istituto del fedecommesso, in modo da tutelare gli interessi di eredi di un patrimonio che si trovino temporaneamente in condizione inadatta a gestirlo (quali un erede minorenne), o che non siano in grado di gestirlo sine die, come nel caso di una persona diversamente abile e/o incapace di intendere. d) Tutela del patrimonio per finalità successorie: ovvero quando il trust viene costituito (sia come contratto mortis causae che come contratto inter vivos) al fine di tutelare il patrimonio da uno o più eredi che per quanto siano oggettivamente capaci di ricevere lo stesso non godano della piena fiducia del disponente, che può quindi decidere di affidare il controllo di una azienda ad una persona di sua fiducia - anche esterna all’asse ereditario - che decida solo in un secondo tempo (e quindi ad esempio anni dopo la morte del disponente) e secondo specifici criteri chi sia l’erede meritorio di ricevere il bene costituito in trust, agevolando la liquidazione di tutti gli altri aventi diritto evitando di passare per via giurisdizionale (anche se ovviamente i diritti di tutti gli eredi necessari sono sempre garantiti dalla legge). e) Fini fiscali: nonostante il trust permetta molto spesso alcuni benefici fiscali, questo non può essere l’unico motivo alla base della sua istituzione, poiché in tal caso sarebbe considerato illecito e sanzionato dai vari ordinamenti. Giova ricordare che la regolamentazione fiscale dei trust varia da ordinamento ad ordinamento, di solito con particolari gravami ricadenti su quei trust c.d. “opachi” (ovvero quelli utilizzati per nascondere la reale proprietà di beni). In generale, essendosi il titolare originario privato della titolarietà dei beni, la tassazione viene a ricadere sul trust stesso, oltre che sui redditi dei beneficiari, proprio come accade per il conferimento di beni in società di comodo. I trust del Regno Unito possono essere in forma anonima, ma sono comunque esenti da tassazione. Diversamente i trust istituiti mediante la normativa del Liechtenstein sono esenti da tassazione. In Italia, infine, i trust
sono considerati soggetti IRES qualora non siano rintracciabili i loro beneficiari, che altrimenti sono direttamente tassati mediante l’opportuna applicazione della rispettiva aliquota IRPEF. f) Altri fini: intenti benefici, ad esempio la devoluzione di parte dei frutti di un patrimonio a una comunità di persone, e quindi gli utili derivanti dalla metà delle azioni di una azienda agli operai della stessa. Investimenti o forme pensionistiche possono essere infatti facilmente considerate come una derivazione dei trust funds di origine anglosassone. Sono ormai numerose le sentenze della giurisprudenza italiana ed europea che analizzano l’istituzione di trust, e nessuna di queste ha evidenziato situazioni contra legem, cosa che certifica ulteriormente qualora fosse necessario - la accettazione dell’istituto all’interno dell’ordinamento giuridico Italiano e di quelle altre nazioni non proprietarie di questo istituto, non solo in termini di diritto, ma anche di fatto.
BIBLIOGRAFIA: E.Calò : “dal Probate al family trust” Milano Giuffrè editore “Vita Notarile” #2/2010 pagg 955 e seguenti G. Lonero “Il Trust quale strumento alternativo al testamento” Cap. V www.wikipedia.it