Recensione del Saggio: "Spazio Pubblico. Declino, difesa, riconquista", a cura di Fabrizio Bottini.

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Aperture Ancora Piano Casa Francesco Sbetti, p. 3

Agenda Federalismo, ascoltiamo i Sindaci Luciano Cariddi, p. 4

Città e spazio pubblico a cura di Mario Spada, p. 7 Costruire la sfera pubblica Enrico Cicalò, p. 9 Il progetto metamorfosi a Torino Mauro Giudice, Giacomo Leonardi, p. 11 Lo spazio pubblico nel waterfront della Spezia Daniele Virgilio, Andrea Vergano, p. 13 Gli spazi pubblici nei Comuni minori dell’Emilia-Romagna Luciano Vecchi, p. 16 Agrigento: ipotesi di riqualificazione Teresa Cilona, Giuseppe Riccobene, p. 18 I piani di quartiere a Roma Paolo Colarossi, p. 20 Il futuro capolinea della linea tranviaria 8 a Roma Federico Blasevich, p. 22 Roma. Raccontare Villa de Sanctis Carlotta Fioretti, Marcella Iannuzzi, p. 24

Indice Indice Decennale della Convenzione europea del paesaggio

una finestra su: Johannesburg

a cura di Emanuela Morelli, p. 41

a cura di Marco Cremaschi, p. 67

Ancora lontani dalla Convenzione europea Attilia Peano, p. 43

Gli stadi di sviluppo di Johannesburg Alice Siragusa, p. 67

Paesaggio e convenzione europea Lionella Scazzosi, p. 46

La ciità nel pallone Alice Siragusa, p. 69

Buon compleanno convenzione Cinzia Gandolfi, p. 48

Opinioni e confronti

Piano e paesaggio Silvia Viviani, p. 50

Sgravi fiscali due punto zero e altro Anonimo Ministeriale, p. 72

Rassegna

Urbanistica e pianificazione fra crisi e innovazione Romano Fistola, p. 74

L’esperienza emiliana per la sicurezza urbana Giovanni Virgilio, p. 53

Energie

Programma Jessica: moltiplicatore dello sviluppo urbano Mariarosaria Rosa, p. 55 Santiago di Compostela: riqualificazione urbana e ambientale Francesca Lotta, p. 57

La pianificazione in Provincia di Varese

Masterplan di Bolzano Francesco Sbetti, p. 28

a cura di Elena Campo, p. 59 Alla ricerca di prospettive virtuose Patrizia Buzzi, Luca Imberti, p. 59 Elasticità, il rapporto tra Ptcp e Pgt, p. 61

La porta sud di Roma Errico Stravato, p. 35 Riqualificare sulla terraferma di Venezia Sandro Mattiuzzi, p. 37

a cura di Stefano Pareglio, p. 76

L’Inu XXVII Congresso, p. 77

Assurb

a cura di Paolo Ortelli, p. 27

Torino. Infrastrutture e riqualificazione urbana Angelica Ciocchetti, p. 33

Scelte sostenibili e valorizzazoi delle aree perilacuali Intervista a Daria Mercandelli e Claudio Scilleri, p. 65 Fruibilità e accessibilità Intervista a Claudio Scilleri, p. 66

Costruire sul costruito

Genova. L’esperienza del nuovo Piano Urbanistico Comunale Anna Iole Corsi, p. 31

Opportunità per il Pgt di Sesto Calende, p. 64

Compensazioni e premialità per il Pgt di Arcisate, p. 61 Valutazione ambientale e scelta di Piano Intervista a Roberto Pozzi, p. 62 Identità per il Pgt di Malmesso, p. 63

a cura di Giuseppe De Luca, p. 81

Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 84


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Libri e altro a cura di Ruben Baiocco Fabrizio Bottini (a cura di), Spazio pubblico. Declino, d i f e s a , r i c o n q u i s t a, Ediesse, 2010, pp. 275, ill. col. e b/n, euro 15,00 Il libro Spazio pubblico. Declino, difesa, riconquista, concentra l’attenzione sull’indebolimento simbolico e operativo della sfera pubblica, operata a più livelli di governo, a vantaggio di una privatizzazione destrutturante del suolo urbano, la quale ha generato, anche in Italia, quei caratteri di frammentarietà, impersonalità ed individualismo che caratterizzano molte delle società urbane contemporanee. Il libro raccoglie interventi di autori che hanno preso parte a vario titolo alla Scuola estiva di Eddyburg (vedi www.eedyburg.it), animata da Edoardo Salzano, la cui edizione del 2009 è stata dedicata proprio al tema dello spazio pubblico. Le tesi proposte per affrontare il tema, seppur differenti negli approcci, sono concordi nell’assumere criticamente una sorta di scacco cui sono sottoposte le istituzioni preposte al Info

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governo del territorio rispetto alle forze private che agiscono in virtù della massimizzazione del reddito, monetizzando il territorio e quindi usando il suolo come una risorsa esclusivamente privata. Ciò si misura sia sul piano degli effetti, con il declino dello spazio pubblico come luogo rappresentativo della città, sia sostenendo la necessità di una difesa di questo non sempre garantita dalla legislazione e dalle amministrazioni, indicando anche strategie e casi virtuosi, sia prospettando una vera e propria riconquista, che non potrà non prendere le mosse che da un cambiamento culturale e politico (e quindi anche tecnico) nei confronti dei beni comuni, suolo (in generale) e spazio pubblico. Come ben evidenziato nell’introduzione di Fabrizio Bottini, il testo si articola in tre parti. Nella prima parte, dopo aver definito il concetto di spazio pubblico, si analizzano attentamente le cause che, nella società del capitalismo e del neoliberalismo, hanno portato alla destrutturazione e al conseguente declino della sfera pubblica (Ilaria Boniburini, Oscar Mancini e

Antonietta Mazzette), dimostrando che la progressiva riduzione di uno spazio pubblico accessibile ed inclusivo, capace di produrre sfera pubblica, cerniera tra città e società, e la conseguente proliferazione di spazi privati ad uso pubblico per la vita collettiva (su tutti shopping malls e open air centres), limitano la possibilità di esercitare una cittadinanza completa, minacciando il diritto al dissenso, la tolleranza e l’equità, valori principali della democrazia. Paola Somma illumina brillantemente il lettore affermando che gli amministratori locali (e spesso anche quelli sovralocali), associando la parola declino al concetto di spazio pubblico, non fanno altro che diffondere l’immagine dello spazio pubblico come sinonimo di degrado, spreco ed insicurezza, acquisendo consenso da parte della cittadinanza e dando il via al processo di svendita del patrimonio pubblico, come se si trattasse della benefica liberazione da un onere improduttivo (lo spazio pubblico, appunto). Le conseguenti politiche urbanistiche dunque, ripudiato il riformismo e l’idea di città come luogo e patrimonio collettivo, si compiacciono in un ruolo imprenditoriale che le trasforma in promotrici della mercificazione dello spazio. Nel suo saggio Maria Cristina Gibelli sostiene che la frammentazione dello spazio pubblico, il suo divenire una sfera ostile ed impersonale, con conseguente perdita dei suoi originari requisiti di

accessibilità ed inclusione, porta ad una situazione di morte non solo dello spazio pubblico, ma addirittura della città. É dunque necessaria innanzitutto una difesa della sfera pubblica, tesi sostenuta nella seconda parte del libro. Significativi i casi di studio riportati, quali il progetto Fori a Roma, il PTCP della Provincia di Bologna (contributo a sostegno dell’importanza della pianificazione territoriale provinciale nell’organizzazione del sistema dei servizi e di un sistema urbano d’area vasta policentrico) e l’ “esurbio” metropolitano “alla milanese” (quest’ultimo discusso da Fabrizio Bottini) per mettere in luce le ambiguità e anche i rischi di politiche urbane volte a rinegoziare il ruolo dello spazio pubblico. Il dibattito a più voci, terza e ultima parte, prende le mosse da una riflessione sugli standard urbanistici, tramite i quali è stato affermato e per la prima volta regolamentato il diritto di ogni cittadino a disporre di una quantità adeguata di spazi pubblici e di uso pubblico per le esigenze della vita collettiva. Si insiste sul concetto di riconquista della sfera pubblica, una riconquista che non può prescindere dalla sensibilizzazione delle persone, possibile solamente lavorando sulle loro idee, conoscenze e consapevolezze, sostenendo, incoraggiando e promuovendo azioni dal basso per difendere i beni comuni là dove sono minacciati, per poi conquistarne di nuovi. Il caso dell’area MACRICO a


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Urbanistica INFORMAZIONI Caserta è posto all’attenzione come un esempio virtuoso e ricco di potenzialità, che associato ad altre esperienze di comitati e associazioni (fra i quali si ricordano AltroVe (rete dei comitati veneti), la rete dei comuni virtuosi, ecc) e alle testimonianze raccolte di organizzazioni nate ed attive a Torino, Roma, Giulianova, Padova, Napoli, Lombardia, Bologna e Venezia, costituiscono già un ricco patrimonio di difesa e riconquista dello spazio pubblico da cui attingere e ripartire. Importante il contributo finale di Edoardo Salzano, il quale, dopo aver ribadito il ruolo di cerniera dello spazio pubblico tra città e società, conclude che per riconquistare la sfera pubblica è necessario intervenire sul campo della politica, ricostruendola, e sugli organi istituzionali, riaffermando le pratiche della collaborazione e cooperazione tra i comuni, province e regioni, storicamente rivelatesi vincenti, per le quali un ben attrezzato universo di associazionismo e di comitati, che definiamo più in generale “cittadinanza attiva”, costituisce uno sprone necessario e vitale. Andrea Carosi Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo Bollati, Torino, 2010, 344 pagine, euro 19,00 Il progetto locale è uno dei libri più significativi della produzione disciplinare italiana degli ultimi anni. Un giudizio netto, senza pretesa di oggettività, che rispecchia un atteggiamento che il libro

incoraggia. È un libro rieditato in edizione accresciuta nel 2010, dopo 10 anni dalla sua prima uscita: è stato ben tradotto in francese (Mardaga, 2003) e inglese (Zed Books, 2005, una traduzione un poco timida titolata The Urban Village). Uscirà nel 2011 (Edicions UPC) in Spagna e sud America con il titolo El proyecto local. Hacia una conciencia del lugar. Il libro ha avuto molte recensioni in tutte le sue versioni, e questa più che una recensione, è il tentativo di misurarne l’attualità. È un libro importante poiché si pone domande importanti, e le aggredisce con coerenza, con una argomentazione assertiva convincente e coinvolgente. Mantiene la struttura e la complessità della precedente edizione, pur arricchita da molti nuovi riferimenti a pratiche e a riflessioni. Magnaghi spinge verso il superamento della forma-metropoli pervasiva, che crea nuove povertà da sviluppo, verso quell’approccio “territorialista” che, organizzando i soggetti del cambiamento entro una rete articolata e varia di “luoghi”, muova finalmente verso il territorio, un giacimento sedimentato di patrimoni che occorre avere la forza di rimettere in valore attraverso una proposta politica. Questo testo è divenuto in qualche modo il manifesto riconosciuto di tale approccio: l’autosostenibilità delle scelte di trasformazione è legata indissolubilmente a come queste scelte si formano e si esplicitano nei tanti contesti dove l’atto dell’abitare si dispiega intenzionalmente nel suo pieno rapporto con il luogo. Il libro ritorna con un

sottotitolo: “Verso la coscienza di luogo”, che rende la volontà dell’autore di non fare bilanci ma piuttosto di muovere in avanti la ricerca e l’azione. In questo senso, è un testo di movimento, poiché è essenzialmente (come si dice nell’epilogo, un altro termine introdotto nella nuova versione) una “proposta politica di globalizzazione dal basso”. Il libro non è esente da critiche. Non è “facile”, nel senso che la scrittura non concede niente alla semplificazione e i concetti sono insistentemente ripetuti, in una azione di continua specificazione. La lingua al primo approccio appare quasi gergale, alcuni termini rischiano di suonare desueti al giovane lettore, rimandando ad un universo di riferimento che affonda le sue radici negli anni ‘60 e ‘70 del XX° secolo. Ma questa è una patina che scorre subito via, lavata dalla forza della concatenazione logica e da un rigore del pensiero che presto si afferma e ottiene attenzione. La struttura stessa del libro è ardita. È un racconto che coglie tutti i segni del disfacimento del modello di sviluppo contemporaneo, “ipertrofico” e “topofagico”, senza nessun cedimento nostalgico. Il libro infatti sollecita continuamente la ricerca di una utopia giusta, e di una azione disciplinare che deve abbracciare con convinzione l’idea di dover cambiare dal basso e radicalmente il mondo: un desiderio che gran parte dell’ambiente disciplinare ha smesso di rincorrere. Tra le caratteristiche di questo pensiero c’è l’utilizzo declinato al futuro della

storia (un uso non sempre benvisto dagli storici), interpretata in senso territoriale come un insieme di pratiche esercitate dagli abitanti su particolari contesti, che occorre codificare e delle quali occorre appropriarsi per utilizzarle come uno dei materiali del progetto. La storia è fatta di presenze vive, dunque, che sono rese attuali e sono interpellate insieme ai contemporanei per darci ragione sulla direzione che vogliamo dare al cambiamento. È un intelligente recupero progettuale di tutte quelle “genti vive” di sereniana memoria, che hanno fatto il paesaggio. Questo particolare uso del passato e della storia, una particolare attenzione alle periferie e ai sud del mondo, alla “giusta dimensione” come critica all’aberrazione della formametropoli, la tendenza ad un municipalismo intelligente e solidale, la pianificazione come processo mai fermo, mai compiuto, la responsabilità del ricorso all’utopia, quella rappresentazione del mondo che Magnaghi compiva già nel 2000, è oggi più vivida e vicina di allora. L’accelerazione dei fenomeni legati al cattivo sviluppo globalizzato, ci ha ulteriormente avvicinato a quel testo, e lo ha reso più attuale. Il mondo ha perseverato nell’ignorare le tante voci, tra le quali la stessa voce di Magnaghi, che aveva in qualche modo previsto la piega che avrebbe preso l’inizio del nuovo millennio, rispondendo in maniera drammaticamente inadeguata al grido di allarme proveniente dalla periferia dell’impero, che a volte è dentro l’impero Info

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