Ma si va davvero così giù di testa, quando ci si innamora? di Gianni Balduzzi (2009) (Email scritta dopo aver letto una delle prime stesure di "Per favore non chiamatelo amore". Qui pubblicata con il suo gentile consenso)
Ho appena finito di leggere il romanzo. Dopo le peripezie dentro e fuori l’anima di Francesco, che mi è stato subito caro, ho un solo aggettivo che mi frulla per la testa: demenzialeee!!! Terminata la lunga serie di EEE, che risuona come una lunga eco/ronzio di un’ape dentro un bagno vuoto, preciso che l’aggettivo non ha alcuna connotazione negativa. Anzi: il racconto ha avuto per me il sapore agrodolce dei nonsense, dei racconti che ti prendono per mano e ti portano dove vogliono loro, nonostante le tue resistenze e il tentativo di prendere le distanze dai nichilisti pesantemente 1
intrippati, che all’inizio sembrano quasi macchie scure senza volto alcuno, poi piano piano acquistano invece il sorriso, quasi cinico, di chi adesso pensa: ne succederanno delle belle! Pardon, dei bei casini! È stato molto intrigante seguire Francesco nelle sue peregrinazioni, incontrare i diversi personaggi, alcuni dei quali sembra che siano stati messi lì come icone e metafore del nostro crescente disagio di fronte a ciò che succede. Assieme a Francesco, anche per motivi affettivi, il personaggio che mi è piaciuto di più è Stanko, perché in qualche modo mi ricorda il terrore di una guerra tanto lontana, che appariva quasi dimenticata per sempre, ma che invece ogni tanto ricompare con il terrore, ovattato dalla lontananza nel tempo e dal fatto di essere sopravissuti, dei soffitti e dei muri che ti 2
crollano attorno e del collo di bottiglia che ti ritrovi in mano perché il resto è stato distrutto dai calcinacci caduti. Le paure di un tempo sono state, forse, una delle motivazioni che mi ha spinto a lottare, a fare progetti, a “impegnarmi”, come si diceva un tempo, ma sono anche ricordi di esperienze vissute, con tutta la loro drammaticità diretta ed immediata. Qui, sembra che ai personaggi manchi qualsiasi zoccolo “storico”. Io ho vissuto il 68, con le sue contraddizioni ma anche con le sue speranze e le sue utopie, con tutta la sua carica ideologica: questi personaggi hanno vissuto la caduta del muro, con la enfatizzazione della caduta delle ideologie che, invece, sono cadute solo da una parte, e l’altra, non è meno pericolosa e opprimente, “sanglante” è il termine che mi viene in mente e non so ben tradurre in italiano. 3
Il confronto/scontro di ideologie è la povertà dei personaggi, tutti chiusi nel loro nichilismo individualistico; forse Lisa è l’unico simbolo di un andare oltre, anche se non mi sembra che superi il piano dell’individualità. Per questo, personaggi e situazioni, proprio perché mi è sembrato di avvertire dietro di loro una specie di cinico sorriso, sembrano lontani, pazzi, demenziali, appunto, eppure parlano di delusioni, di difficoltà di cercare e trovare una propria dimensione, la propria anima, in un tempo in cui è difficile trovare valori di riferimento, anche per noi che vorremmo far parlare il passato, ma non solo come una cosa che non c’è più, come qualcosa che sta alla base, senza il quale non riesci a comprendere il perché di certe sitazioni. Mi chiedo: qual è la “vita normale”? Quella di chi si adagia nel tempo e smette 4
di inseguire i propri sogni? O di chi diventa maturo e deve fare la “persona seria”, con tutti i compromessi e le ambiguità che ciò comporta? E concludo con un ultima domanda: ma si va davvero così giù di testa, quando ci si innamora? andreavelluto.com
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