Angelo Renzi
BREVE STORIA ILLUSTRATA DEL PALAZZO BISIGNANO ALLA BARRA DI NAPOLI
La Barra di Napoli, 2019
SOMMARIO Gaspare Roomer Donna Marianna Aniello Falcone Gli affreschi di Aniello Falcone Masaniello Il conte di Penaranda Ippolita Pignatelli La villa ai Bisignano Vincenzo Petagna Michele Tenòre Tommaso Sanseverino di Bisignano L’ultimo dei Bisignano: Luigi III La lapide posta nel 1876 L’archivio nella torre – La scuola media Giulio Rodinò di Miglione Bibliografia
GASPARE ROOMER
“Coraggioso e fortunato mercante, ma anche inesauribile sovvenitore di istituzioni pie e generose, e intelligente mecenàte”, nato ad Anversa nelle Fiandre-Belgio intorno al 1590 e morto a Napoli il 3 aprile 1674, intorno al 1620 fece costruire in Barra questa villa, nella quale “servito da una corte numerosa, riceveva con splendidezza i Viceré e i più grandi signori del Regno”. Il Roomer apparteneva alla categoria, generalmente odiata, degli “arrendatori” (cioè, coloro che riscuotevano le tasse per conto dei Viceré spagnoli) e probabilmente scelse la Barra per insediarvi la sua “villa di rappresentanza” anche perché sapeva che qui non vi era alcuno che potesse avere risentimenti nei suoi confronti, essendo il Casale esente da gran parte della tassazione. Può ritenersi altresì probabile, anche se non sicuramente documentata, l’ipotesi avanzata dallo storico di Barra Pasquale Cozzolino nel 1889, che anche la prima villa di Barra, quella Duecentesca dei de’ Coczis (in seguito distrutta dalle eruzioni del Vesuvio) fosse situata proprio in questo luogo, scelto poi dal ricco mercante fiammingo per edificarvi il suo palazzo.
DONNA MARIANNA (1606-1646)
La villa del “borghese” Gaspare Roomer venne scelta quale residenza di Maria Anna d’Austria nel suo soggiorno napoletano, dall’8 agosto al 19 dicembre del 1630: in suo onore, furono scolpite le insegne della casa d’Asburgo (l’aquila bicipite) nei pilastrini ancor oggi visibili nella balaustra della terrazza affacciante sul cortile e sul giardino. DONNA MARIANNA era nientemeno che la sorella del re di Spagna Filippo IV: per recarsi alle sue nozze (20 febbraio 1631) con il cugino Ferdinando III d’Asburgo (1608-1657), Re d’Ungheria e futuro Imperatore del Sacro Romano Impero, avrebbe dovuto attraversare la Lombardia, nella quale però in quell’anno infieriva la peste; si decise, pertanto, di farla transitare per Napoli, dov’era allora Viceré Fernando Afàn de Ribèra, II Duca di Alcalà (1629-1631). Il soggiorno napoletano della promessa sposa, tra feste, cerimonie, incidenti di etichetta, liti per questioni di precedenza, etc. si concluse con una “Nobilissima Cavalcata che si fece a’ 19 di dicembre del 1630, nell’uscita della Serenissima Infante D. Maria d’Austria, Regina d’Ungheria”: naturalmente, la maggior parte delle spese furono a carico del Vice-regno napoletano, cioè delle popolazioni povere, che pagavano donativi e gabelle. Donna Marianna, divenuta Regina d’Ungheria e Imperatrice, morì poi a Linz (Austria), durante una gravidanza, per febbri e gravi emorragie dovute, sembra, ad un avvelenamento: la bimba che portava in grembo, Maria, nacque con taglio cesareo ma morì poco dopo: madre e figlia furono sepolte in un'unica bara.
ANIELLO FALCONE (1607-1656)
Ai tempi del Roomer, la parte centrale della facciata (lungo il Corso Sirena) era costituita solo dal piano terra, destinato ai servizi, e dal piano nobile, con una “grande galleria” e una “loggia covèrta”, con i tre mirabili archi tuttora visibili: solo i corpi laterali presentavano un secondo piano. Dalla terrazza, arricchita da una preziosa balaustra con pilastrini in piperno finemente scolpiti di gusto “fiammingo”, si coglieva simultaneamente la veduta del Vesuvio e del mare. Secondo lo storico Barrese Pasquale Cozzolino (1889), vi era persino una “cappella gentilizia, istoriata dal parmigiano Giovanni Lanfranco (1582 – 1647)”. La “grande galleria” del piano nobile era riccamente ornata e affrescata con scene bibliche (“Storie di Mosè”), opera del pittore napoletano ANIELLO FALCONE, che era in effetti grande amico (e fornitore) di Gaspare Roomer il quale, secondo la testimonianza del De Dominici, “prendeva tanto diletto delle opere e del conversare facéto e bizzarro di Aniello, che spesso lo andava a ritrovare in casa, e quando trovava ivi un dipinto di suo genio, lo comperava, benché fatto di altrui commissione”. La galleria comprendeva certamente molti dipinti, raccolti dal Roomer e poi dai Sanseverino di Bisignano: si ha testimonianza sicura, riportata da Teresa Colletta, di “un gran quadro di storie, dipinto ad olio di buona maniera dal nostro Iàcopo Cestàro (1716-1778), la cui altezza è frammezzata da due cornicioni dorati”.
GLI AFFRESCHI DI ANIELLO FALCONE Negli anni immediatamente precedenti la sollevazione di Masaniello (1647), il Roomer commissionò, al suo amico pittore Aniello Falcone, una serie di “Battaglie dalla Gerusalemme Liberata”, poi inviate nelle Fiandre ed ora perdute. Nello stesso periodo, lo incaricò di affrescare la “grande galleria” della sua villa alla Barra: gli affreschi al momento riscoperti sono i 5 comparti di una vòlta e raffigurano scene della vita di Mosé:
Ritrovamento di Mosè bambino
Il passaggio del Mar Rosso
La battaglia fra Israeliti ed Amalekiti
Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia
Il serpente di bronzo
MASANIELLO (1647)
Onofrio Palumbo – Ritratto di Masaniello
Nel 1647, durante la sollevazione di MASANIELLO, il Roomer, per sfuggire alle violenze della plebe nei confronti dei “Signori”, abbandonò il suo palazzo in Napoli e si rifugiò nella sua villa alla Barra. “Qui ebbe, il 16 luglio, la visita di un converso Carmelitano, Fra’ Savino, confidente di Masaniello, che con un ordine scritto dal segretario di questi, Marco Vitale, gli impose di consegnare 5000 zecchini per servizio di Sua Maestà. Il denaro fu subito sborsato, dietro regolare ricevuta; ma il converso, giunto al ponte della Maddalena, seppe della morte di Masaniello avvenuta proprio in quel giorno e, paventando un eguale destino, se ne fuggì a Roma col peculio. Il denaro fu poi in buona parte recuperato dal Roomer, che era stretto in vincoli di amicizia coi superiori e con parecchi padri dell’Ordine Carmelitano” (G. Ceci). Ma ben presto, dopo la ripresa dei tumulti il 21 agosto 1647, “anche la dimora alla Barra non sembrò sicura” per un ricco “arrendatore” come lui, ed egli si rifugiò in Castel Nuovo (= Maschio Angioino) insieme ad altri notabili cittadini e poi addirittura su una nave di sua proprietà al largo del golfo. La rivolta, infatti, non tardò ad estendersi anche ai Casali di Napoli. Lo storico locale Nicola Lapegna (1929) riporta i nomi di due giovani Barresi, SILVESTRO MASTROGIACOMO e RAFFAELE FISCONE, “noti per audacia e coraggio dimostrato e per la loro fedeltà e grande attaccamento a Masaniello nei sei giorni della sua dominazione”.
IL CONTE DI PENARANDA (1595-1676)
Nel 1658, GASPAR DE BRACAMONTE Y GUZMAN, III CONTE DI PENARANDA, era stato inviato da Madrid a prendere il posto, come Viceré di Napoli, di Garcia de Avellaneda y Haro, conte di Castrillo, illustre giurista dell’Università di Salamanca, che aveva governato nel periodo 1653-1658 ed aveva dunque dovuto, fra l’altro, fronteggiare la grande epidemia di peste del 1656, che uccise i 3/5 della popolazione. I rapporti fra i due notabili spagnoli non erano evidentemente molto buoni, giacché essi rifiutarono ostinatamente di incontrarsi fra di loro per la cerimonia del passaggio dei poteri: il Penaranda giunse a Napoli il 29 dicembre del 1658, ma dovette aspettare fino all’11 gennaio dell’anno seguente, in attesa che il suo predecessore sgombrasse il Palazzo Reale. In questo periodo, di epica tenzone diplomatica in punta di fioretto (in pratica, per le feste di Capodanno ed Epifania), il conte di Penaranda alloggiò nella villa del Roomer alla Barra. Don Gaspar rimase poi Viceré di Napoli fino al 1664, ed è ricordato principalmente per la costruzione della chiesa di Santa Maria del Pianto, sita sulla collina di Poggioreale, sopra una grotta, detta “degli sportiglioni” (= dei pipistrelli), che era stata usata come fossa comune per le vittime della peste del 1656.
IPPOLITA PIGNATELLI (1685-1709)
Nel corso degli anni ‘60 del Seicento, Gaspare Roomer cedette la sua villa di Barra non “al principe della Roccella Caraffa”, come erroneamente dice il Giustiniani, bensì ai marchesi d’Avalos del Vasto, in cambio di un loro palazzo costruito nel 1581 e sito in Napoli tra via Toledo e via Quercia. Così, nel 1692, il Celano menziona il palazzo “del fu Gaspare Roomer, fiammingo, ora posseduto dal marchese del Vasto, per commutazione fatta della sua casa, come si disse: questo non ha che desiderare, sì nella magnificenza delle statue come nella amenità de’ giardini”. Successivamente, intorno al 1700 secondo l’indicazione del Parrino, la villa passò a Girolamo Pignatelli (1641-1701), I prìncipe di Màrsico Nuovo (Potenza). A conferma di ciò, dai Registri parrocchiali di Barra si apprende che il 29 maggio 1706 vi si celebrarono le nozze tra la figlia di questi, Ippolita Pignatelli (1685-1709), e Francesco Spinelli (1681-1752) VII prìncipe di Scalèa. IPPOLITA PIGNATELLI era già stata sposata, il 4 giugno 1699, all’età di soli 14 anni, con Vincenzo di Capua (1660-1704), di 25 anni più anziano di lei, e ne aveva avuto due figlie: Isabella (1700-1717) e Giulia (1701-1763). Dopo di che, nel 1704, dopo 5 anni di matrimonio, Vincenzo era deceduto, e lei venne fatta risposare, due anni dopo, alla Barra, con lo Spinelli di Scalèa … ma poco dopo fu lei a morire, il 9 agosto 1709: a 24 anni di età, dopo 3 anni dal secondo matrimonio e senza aver avuto altri figli.
LA VILLA AI BISIGNANO
Villa Bisignano nella mappa del Duca di Noja (1780 circa)
Con documento datato 1° maggio 1765, Girolamo Pignatelli (1721-1777), III prìncipe di Marsico Nuovo e I prìncipe di Moliterno, cedette l’edificio di Barra a PIETRO ANTONIO II SANSEVERINO (1724-1772), conte di Chiaromonte e XI principe di Bisignano (Bisignano è un piccolo centro abitato della Sila greca, vicino ad Acri - Cosenza, in Calabria). I Bisignano restaurarono ed ingrandirono la villa del Roomer e trasformarono il giardino, già esistente, in un vero e proprio “Orto botanico”. Aggiunsero il secondo piano alla facciata del palazzo e contestualmente sopraelevarono la torre, le cui “piccole finestre ad archi, che s’affacciano sul cortile, pur mantenendo costante la loro larghezza, hanno altezze che risultano tutte diverse l’una dall’altra, seguendo una proporzione aritmetica basata sulle leggi dell’armonia musicale di ascendenza pitagorica” (F. Barbera). Secondo Filippo Barbera, il ridisegno del cortile del palazzo e la ripartizione modulare del giardino si richiamano a figure geometriche che ritroviamo in opere del filosofo nolano Giordano Bruno (1548-1600), segno del diffondersi delle idee massoniche in una parte della nobiltà napoletana, ad opera soprattutto del famoso Raimondo di Sangro, VII principe di Sansevero (1710-1771) nonché capo carismatico della Massoneria napoletana.
VINCENZO PETAGNA (1734-1810)
Vincenzo Petagna e la Sansevieria La Barra ebbe un Orto botanico ben prima che venisse fondato quello di Napoli. Il primo direttore dell’Orto del Principe di Bisignano alla Barra fu il grande botanico, medico ed entomologo VINCENZO PETAGNA (1734-1810), che fece qui le sue prime osservazioni ed esperienze sulle piante, e se ne occupò in permanenza, anche perché era “medico ordinario” di quella nobile famiglia, cosicché l’istituzione “acquistò forma di scientifico stabilimento”. Grato ai Sanseverino di Bisignano dell’ospitalità, gli dedicò il genere Sanseverinia, che poi venne mutato da Willdenow nel più noto genere Sansevieria, ancor oggi molto diffuso come pianta di appartamento. Nel 1779, il Petagna succedette a Domenico Cirillo sulla cattedra di botanica dell’Università di Napoli: “La sua scuola non mancava di studenti, che egli trattava tutti con amorevolezza e con cortesia, incoraggiando i giovani alla cognizione delle erbe, in particolare, che servir possono per l’uso della medicina”. Allievo del Petagna fu anche Michele Tenore (1780-1861).
MICHELE TENORE (1780-1861)
Successivi direttori dell’Orto di Barra furono il celebre MICHELE TENORE, allievo del Petagna, che da giovane “ne pose a stampa due copiosi cataloghi” (nel 1805 e nel 1809), e poi Giovanni Gussone (1787-1866). Dopo la catalogazione fattane da Michele Tenore nel 1805 e nel 1809, un completo elenco di tutte le piantagioni in esso contenute fu rifatto dopo l’unità d’Italia, nel 1863, in un “Inventario delle piante coltivate nell’Orto botanico di Barra”, oggi custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli. A sua volta, l’Orto botanico di Napoli fu iniziato dal re francese Giuseppe Bonaparte nel 1807, proprio dietro le insistenti richieste di Michele Tenore, e fu portato a termine nel 1817, dopo il ritorno sul trono di Ferdinando di Borbone. Michele Tenore ne fu il primo direttore e, dopo di lui, Guglielmo Gasparrini (1803-1866).
TOMMASO SANSEVERINO DI BISIGNANO (1759-1814)
Pianta del palazzo e del giardino – Il fabbricato “per le stufe delle piante”
Nell’aprile 1783, il principe Luigi II, figlio di quel Pietro Antonio II Sanseverino che aveva acquistato la villa, trovandosi in malfermo stato di salute, fece cessione dei feudi e dei titoli dei Bisignano al fratello minore Tommaso, venendo poi a morte il 1° ottobre del 1789, all’età di soli 31 anni. TOMMASO SANSEVERINO fu dunque il XIII principe di Bisignano; egli si rese benemerito della cultura ed in particolare di quella scientifica. Mentre suo padre e suo fratello erano stati solo dei colti mecenàti, egli, a contatto con il Petagna e con il giovane Michele Tenore, divenne un vero e proprio studioso di botanica: arricchì il suo giardino di Barra con piante importate da ogni dove e creò personalmente una nuova varietà di garofano (color rosso chiaro, con stelo e foglie èsili) che da lui prese il nome di garofano di Bisignano. Con la morte di Tommaso Sanseverino, il 23 settembre 1814, e la quasi contemporanea apertura dell’Orto botanico napoletano (1817), iniziò la lenta decadenza del giardino della Villa Bisignano in Barra, anche se, ereditato da PIETRO ANTONIO III (1790-1865), XIV principe della Casàta, esso rimase molto famoso per tutto l’Ottocento e, fino ad alcuni decenni fa, ancora ne durava il ricordo.
L’ULTIMO DEI BISIGNANO: LUIGI III
Figlio ed erede del già menzionato Pietro Antonio III fu LUIGI III SANSEVERINO (1823-1888), XV ed ultimo principe di Bisignano: fedele ai Borbone di Napoli, come il suo “vicino di casa”, il barone Bernardo Quaranta (1796-1867), che risiedeva in villa Finizio, si rifiutò sempre di riconoscere legittimità alla “usurpazione” compiuta dai Savoia con l’unità d’Italia (1860). Ancora nell’ottobre 1883, nel VI Congresso (tenutosi a Napoli), lo troviamo come “fautore della restaurazione borbonica” fra i dirigenti dell’Opera dei Congressi, l’organizzazione cattolica voluta da Pio IX (1846-1878), sorta nel 1874 in polemica con lo Stato italiano e in difesa dei “diritti violati” della Chiesa (l’espropriazione dello Stato pontificio e delle terre ecclesiastiche). Fu Luigi III che, nel 1876, volle restaurare il palazzo di Barra, in occasione del primo centenario dei lavori eseguiti dai Sanseverino nel periodo 1765-1776: fece apporre la lapide che tuttora si vede, forse in larvata polemica con quella che aveva collocato, due anni prima (1874) e proprio lì vicino (sul muro di villa Finizio), il Comune ormai “liberale e sabàudo” di Barra in onore di Bernardo Quaranta; ed aggiunse la merlatura traforata, di stile neo-medioevale, alla svettante torre. Luigi III non ebbe eredi maschi. La sua figlia primogenita, Maria Antonietta, sposò (il 1 febbraio 1864) Francesco Costa dei marchesi di Arielli: dal loro matrimonio, nacque Luigi Costa (1870-1939) che, con Regio Decreto del 22 ottobre 1897, fu autorizzato da Umberto I di Savoia ad aggiungere al proprio anche il cognome Sanseverino e ad assumere e trasmettere ai figli il titolo di principe di Bisignano.
LA LAPIDE POSTA NEL 1876
LA CASA, CONSUMATA DAL TEMPO E DAI FURORI DEL VICINO VESUVIO MOLTE VOLTE DANNEGGIATA,
CHE PER SE’ E PER I PROPRI DISCENDENTI ACQUISTO’, NEL CORSO DEL 18° SECOLO, PIETRO ANTONIO SANSEVERINO CONTE DI CHIAROMONTE,
LUIGI SANSEVERINO PRINCIPE DI BISIGNANO ALL’ ANTICO ARTISTICO SPLENDORE CURO’ CHE RITORNASSE, NELL’ANNO 1876, GAETANO D’ENRICO ESSENDO DIRETTORE DEI LAVORI
L’ARCHIVIO NELLA TORRE – LA SCUOLA MEDIA
Con Luigi III (1823-1888) si estinse la discendenza maschile dei principi di Bisignano, in quanto, dal suo matrimonio con Giulia Imperiali, dei principi di Francavilla, non nacquero figli maschi bensì 6 figlie femmine. Il palazzo di Barra fu ereditato dalla figlia quartogènita di Luigi III, Giuseppina Sanseverino, che andò sposa a Giovan Francesco Rodinò, barone di Miglione (18381913), e che aveva in consegna, custodito proprio nella torre della villa di Barra, il prezioso Archivio del Casato. Il barone GIULIO RODINO’ di Miglione (1875-1946), figlio di lei, volle evitare che questo Archivio andasse smembrato e stabilì che fosse custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli, laddove fu trasferito nel 1946. Il veramente prezioso “Archivio privato Sanseverino di Bisignano” (che raccoglie anche le carte Spinelli e Firrao) consta di un fondo diplomatico di 541 pergamene (la più antica è datata 2 maggio 1244) e di 457 fascicoli; vi sono conservati Diplomi, imperiali e reali, Bolle, Brevi, Capitoli e Statuti dei vari feudi, nonché miscellanee varie. Al barone Giulio Rodinò fu poi intitolata la Scuola Media Statale che aveva la sua sede nel palazzo di Barra e fu in seguito trasferita in un nuovo edificio, costruito nell’àmbito della Ricostruzione dopo il terremoto del 1980.
GIULIO RODINO’ DI MIGLIONE (1875-1946)
Il Barone GIULIO RODINO’ DI MIGLIONE (1875-1946) continuò la militanza dei suoi avi nel movimento politico dei cattolici, anche se con diverso spirito. Abbandonate del tutto le nostalgie reazionarie, fu consigliere comunale a Napoli dal 1901 al 1913, ricoprendo anche, più volte, l’incarico di assessore. Nel 1913 (le prime elezioni a suffragio “universale” … ma solo maschile), fu eletto al Parlamento, nell’ambito di quell’accordo generale fra liberali e cattolici noto come “patto Gentiloni”. Dopo la Prima guerra mondiale, partecipò alla fondazione del Partito Popolare Italiano ad opera di D. Luigi Sturzo e fu tra i firmatari dell’appello ai “liberi e forti” e del programma del Partito nel gennaio del 1919: nelle file del PPI, fu parlamentare dal 1919 al 1926, ricoprendo anche incarichi di Ministro e di Vicepresidente della Camera. Durante il Ventennio, si ritirò a vita privata e alla sua attività di avvocato finché, alla caduta del fascismo, riapparve tra le figure di maggior prestigio della rinata DC (Democrazia Cristiana), all’interno del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e dei primi Governi di unità nazionale. La morte, sopravvenuta il 16 febbraio 1946, gli impedì di partecipare alla Assemblea Costituente.
BIBLIOGRAFIA A. Venditti - R. Pane - G. Alisio - P. Di Monda - L. Santoro - “Ville vesuviane del Settecento” - ESI - Napoli, 1959. Giuseppe Ceci – “Un mercante mecenate del secolo XVII - Gaspare Roomer” in “Napoli nobilissima”, n.s. 1921, pag.161. Teresa Colletta – “La villa Sanseverino di Bisignano e il Casale napoletano della Barra”, in “Napoli nobilissima”, volume XIII, fascicolo IV, luglio-agosto 1974. Anna Giannetti e Benedetto Gravagnuolo in “I Casali di Napoli”, Ed. Laterza, Bari,1984, 1989. Nicola Del Pezzo- “I Casali di Napoli” in “Napoli nobilissima”, settembre 1892. Carla Russo – “Chiesa e comunità nella Diocesi di Napoli tra Cinque e Settecento”, Ed. Guida, Napoli, 1984. Pasquale Cozzolino – “La Barra e sue origini (nella Napoli suburbana)”, Règia Tipografia De Angelis, Napoli, 1889; Nicola Lapegna – “Origini e storia di Barra”, Napoli, 1929: entrambi ristampati a cura di Angelo Renzi, Edizioni Magna Graecia, Napoli, 1999. Pompeo Centanni – “Il nobile Casale della Barra”, Ed. Fausto Fiorentino, Napoli, 1997. Filippo Barbera - “Cultura e scienza nei giardini delle ville vesuviane”, Portici, 2007. Angelo Renzi – “La Barra di Napoli nella storia”, in www.ilportaledelsud.org/barra.htm