Aver cura della relazione per sostenere la motivazione professionale Giuliana Masera
Corso Anoss (Pc) 27 gennaio 2011
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Il tema motivazionale è assai complesso, incontrare la motivazione significa infatti incontrare un individuo in tutta la sua unicità. Per tenere la motivazione al centro delle politiche di gestione è necessario mettere l’individuo al centro: questo è il messaggio che proviene dalle “buone pratiche” per sostenere e promuovere la motivazione in organizzazione. Mettere l’individuo al centro significa anche comprendere
che
generalizzate
che
non
esistono
consentono
di
regole sostenere
univoche
e
sempre
e
ovunque la motivazione al lavoro: si tratta di volta in volta di ricercare le modalità più adeguate a corrispondere ai bisogni, ai desideri, ai progetti espressi dagli individui (da ogni singolo individuo) in funzione della loro storia personale e della storia della loro presenza in organizzazione. Se motivare significa mantenere l’individuo al centro, sarà la“forza” relazionale che l’organizzazione è in grado di esprimere a risultare fondamentale: la motivazione risulterà decisiva in quelle organizzazioni in cui sono forti (strette, aperte, autentiche, vicine) le relazioni.
Buone pratiche per motivare In organizzazione sono spesso compresenti differenti idee a proposito delle azioni da intraprendere per sostenere e promuovere le motivazioni degli individui. Alcune teorie sostengono
che il principale elemento per sostenere e
promuovere la motivazione al lavoro sia il denaro e di conseguenza investono molto tempo nella messa a punto di piani per l’assegnazione di incentivi economici. Altre teorie ritengono che le persone siano motivate da una positiva considerazione sociale e si assicurano che tutti i collaboratori abbiano l’opportunità di lavorare in gruppo e ottenere riconoscimenti pubblici. Altri ancora pensano che i lavoratori desiderino
maggiori
responsabilità
e
opportunità
per
diventare più competenti e agiscono alla fine di incrementare
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il livello di delega. I principali aspetti legati alla motivazione possono ricondursi ad alcune
tappe fondamentali: la
progettazione delle attività, la comunicazione, gli obiettivi, la valutazione, la partecipazione , l’integrazione sociale,la retribuzione, l’apprendimento, la soddisfazione, la differenza. Tra queste buone pratiche nessuna può essere considerata “necessaria e sufficiente” ovvero risolutiva: tutte possono contribuire allo scopo in misura minore o maggiore in funzione del contesto e della sua storia ma nessuna è così importante da rendere superfluo il presidio delle altre. L’analisi
di
queste
dieci
aree
di
presidio
può
essere
importante per realizzare l’analisi di un contesto di lavoro a partire dalla metafora del campo di forze suggerita da Lewin (1936) ovvero per individuare gli elementi che - in un dato contesto e in un dato momento - favoriscono oppure ostacolano l’espressione della motivazione al lavoro da parte delle persone che operano al suo interno.
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L’integrazione sociale L’integrazione sociale può costituire in organizzazione un elemento favorente la motivazione. Approfondendo le teorie di
contenuto
si
può
riconoscere
come
la
dimensione
relazionale sia ritenuta un bisogno fondamentale: Maslow parla di bisogni di affetto e di stima, Mc Clelland di affiliazione e Alderferl di relazione. Se è certo che la forza di questi bisogni è variabile a seconda delle preferenze degli individui e che il contesto di lavoro non è l’unico in cui essi possono trovare una gratificazione , è altrettanto vero che frequentemente
le
persone
si
affacciano
alla
vita
organizzativa con il desiderio di diventare membri di una comunità sociale e instaurare legami significativi con le altre persone. La socializzazione organizzativa può esser definita come “un processo
di
acquisizione
di
conoscenze,
atteggiamenti,
capacità valori e motivazioni necessari per divenire un membro a pieno titolo di organizzazione”. La socializzazione consente di diventare “socialmente competenti” all’interno del proprio contesto organizzativo : l’individuo attraverso il confronto e lo scambio con gli altri attori , interiorizza il linguaggio, la storia i costumi e la cultura della comunità lavorativa di cui fa parte. La letterature individua tre fasi del processo di socializzazione organizzativa: La pre-entrata: è la fase che precede il vero e proprio ingresso in organizzazione e lo prepara attraverso l’azione di agenzie quali la scuola, la famiglia, i gruppi giovanili , i centri per l’impiego, il sindacato. Il confronto: è la fase in cui le aspettative reciproche tra il neoassunto e l’organizzazione si misurano con la realtà. Quando la differenza è molto ampia può prodursi una brutta
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sorpresa (reality shock) che conduce al conflitto e alla rottura, mentre la flessibilità e la disponibilità del neoassunto ad adattarsi possono condurre a una positiva soluzione delle divergenze. L’inserimento: è la fase in cui si perviene a una chiarezza del
ruolo,
all’apprendimento
delle
regole
di
base
dell’organizzazione, a relazioni più ricche, all’invio di segnali tra il neoassunto e l’organizzazione per indicare la mutua accettazione. La fase di inserimento si qualifica anche per l’accesso a un più alto livello di motivazione in termini di impegno,
iniziativa,
produttività,
ambizione,
coinvolgimento,identificazione, lealtà, fedeltà, cooperazione, senso di efficacia. E importante che le organizzazioni favoriscano al massimo un esito positivo del processo di socializzazione prevedendo l’utilizzo di due principali tipi di risorse: gli agenti di socializzazione che intervengono nel corso delle attività di lavoro e le iniziative extra lavorative che favoriscono la conoscenza reciproca al di là delle relazioni formali di lavoro. Tra gli agenti di socializzazione segnalati in letteratura particolarmente importanti: Il
capo,
colui
che
presta
un’attenzione
particolare
all’individuo dimostrandosi sensibile alle sue esigenze e alle sue proposte, contribuendo all’individuazione delle modalità di lavoro più efficaci e offrendo un feedback costante e puntuale sulle prestazioni offerte; Il mentore, un collega più anziano che presidia soprattutto l’integrazione di tipo culturale, aiutando a comprendere il significato di ciò che accade e sollecitando l’espressione di risorse personali per far fronte alle difficoltà incontrate.
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I comunicatori, i formatori e i tutor,
coloro
che
gestiscono i momenti di conoscenza del contesto esterno e interno, facilitando l’apprendimento delle competenze di base richieste dall’organizzazione e offrendo supporto nello svolgimento delle attività. La iniziative extra-lavorative, fanno riferimento a quelle attività che si svolgono in ambienti esterni all’organizzazione e vedono impegnati i suoi componenti e le loro famiglie: pratiche sportive, tornei, gruppi di volontariato, banca del tempo, gite, cene, viaggi, vacanze, cinema, teatro, recitazione, musica e altre attività espressive. Anche il lavoro in gruppo è un’esperienza in grado di corrispondere alle esigenze di relazione degli individui: secondo alcuni rappresenta la “forma naturale” che il lavoro assume in organizzazione : -ri-unisce ciò che era stato separato dalla divisione dei compiti, contribuendo al recupero della significatività di ciò che si fa, - mette insieme competenze differenziate che da sole non sarebbero sufficienti a ottenere il risultato atteso; - favorisce lo scambio e il confronto tra opinioni utile per rendere più efficace la presa di decisione e la soluzione dei problemi. In sintesi il lavoro in gruppo offre un vantaggio competitivo all’organizzazione all’esperienza
e
degli
conferisce individui
intensità rendendo
relazionale il
lavoro
maggiormente gratificante e motivante. Bibliografia consultata
Quaglino G.P., Ghisleri C.G., (2004) Avere leadership, Raffaello Cortina, Milano
Quaglino G.P., (2004 a.) La vita organizzativa, Raffaello Cortina, Milano .
Sarchielli G., ( 1978) , La socializzazione al lavoro, Il Mulino, Bologna.
Denny
R.,
(2009)
Motivazione:
l’arma
vincente.
Tecniche
collaudate per sempre maggiori informazioni , Franco Angeli, Milano.
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