OFFICINA* 30

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ISSN 2532-1218

n. 30, luglio-agosto-settembre 2020

Aree interne


La montagna non toccata di Peter Schlickenrieder Peter Schlickenrieder is freelance illustrator


Stefania Mangini

Una simbiosi necessaria In Italia sono oltre 5.500 i piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti. Di questi il 70% circa può rientrare nella categoria dei borghi storici: piccoli nuclei abitati spesso localizzati in quelle che sono definite aree interne, ossia territori caratterizzati da una significativa distanza dai principali centri di offerta di servizi essenziali ma dotati di una disponibilità elevata di risorse ambientali e culturali. Molte di queste realtà, sebbene in difficoltà a causa del costante calo demografico, vivono una florida “stagione turistica” con oltre 21 milioni di arrivi e quasi 90 milioni di presenze annue (Istat, 2018). Un dato che, per quanto possa sembrare strano, non è poi così insolito, basti pensare al caso ben più noto di Venezia dove a fronte dei soli 56.000 abitanti del centro storico – per di più in costante calo – si registrano ogni anno – COVID19 permettendo – 12 milioni di turisti. Quello del turismo legato a città e paesi “antichi”, spesso in via di abbandono, è un fenomeno diffuso che non riguarda solo l’Italia e che trova nel mondo centinaia di casi, portando a sollevare alcune domande: ma perché siamo così attratti dai borghi e dalle città abbandonate? Perché spesso scegliamo questi luoghi come meta per vacanze e gite fuori porta? E come mai nonostante le molte presenze turistiche il fenomeno dell’abbandono non sembra fermarsi? Sono numerose le proposte e i progetti di riqualificazione o rigenerazione che negli ultimi decenni hanno coinvolto piccoli borghi e città in difficoltà e, quasi tutte, hanno cercato di fare leva proprio su questo aspetto, sperando che l’afflusso turistico potesse portare alla rinascita del borgo stesso. Tuttavia sono assai pochi i casi in cui ciò è davvero successo. Una dinamica apparentemente inspiegabile se non considerassimo l’altro aspetto del problema: l’abitante. Un insediamento vive delle persone che lo abitano, che se ne prendono cura, che si adoperano per mantenerlo in vita. Quando la simbiosi tra abitante e abitato perde forza e la città diviene un mero contenitore di persone, quando “l’accordo tra uomini e paesaggio viene stracciato” (Daltin M., 2019, La teoria dei paesi vuoti, p. 35) il gioco è fatto e la città, il paese o il borgo sono destinati alla morte. Risulta evidente che siamo attratti dalla bellezza, dalla quiete e dalla natura che circonda questi luoghi ma ciò non è sufficiente, se non siamo disposti a viverci, se non siamo disposti ad accettare quel patto tra uomo e natura che consentirebbe a questi luoghi di prosperare, ogni progetto è destinato a fallire e, prima o poi, il borgo entrerà a far parte delle tante città fantasma presenti sul nostro pianeta. Emilio Antoniol


Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato editoriale Letizia Goretti, Stefania Mangini Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis, Sebastiano Baggio, Matteo Basso, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Giacomo Biagi, Paolo Borin, Laura Calcagnini, Piero Campalani, Fabio Cian, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Jacopo Galli, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin, Beatrice Lerma, Elena Longhin, Michele Manigrasso, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Magda Minguzzi, Corinna Nicosia, Maurizia Onori, Damiana Paternò, Laura Pujia, Fabio Ratto Trabucco, Silvia Santato, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Ianira Vassallo, Luca Velo, Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto Redazione Martina Belmonte (copy editor), Paola Careno (impaginazione), Letizia Goretti (photo editor), Stefania Mangini (grafica), Silvia Micali (traduzioni), Arianna Mion, Libreria Marco Polo, Sofia Portinari (impaginazione) Web Emilio Antoniol Progetto grafico Margherita Ferrari

OFFICINA* “Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953

Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente N.30 luglio-agosto-settembre 2020

Aree interne

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Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Prezzo di copertina 10,00 € Prezzo abbonamento 2020 32,00 € | 4 numeri Per informazioni e curiosità www.anteferma.it edizioni@anteferma.it

OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08. Hanno collaborato a OFFICINA* 30: Vincenzo d’Abramo, Enrico Bascherini, Giorgio Bombieri, Marta Bovio, Fabrizio D’Angelo, Valerio Della Scala, Veronica De Martin, Maria Giada Di Baldassarre, Roberto Dini, Michele Gaspari, Umberto Giordani, Roberto Giordano, Andrea Iorio, Silvia Lanteri, Elena Longhin, Michele Manigrasso, Eliana Martinelli, Silvia Mercoledi, Alessandro Moretto, Elisabetta Paglia, Rete Nazionale di Giovani Ricercatori per le Aree Interne, Valentina Rossi, Chiara Scarpitti, Peter Schlickenrieder, Silvia Tedesco, Stefano Tornieri, Elisa Zoccarato.


Aree interne n. 30, luglio-agosto-settembre 2020

Aree interne

Inner Areas n•30•lug•set•2020

ISSN 2532-1218

La montagna non toccata The Untouched Mountain

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Peter Schlickenrieder

INTRODUZIONE

Le aree interne tra disuguaglianze e rigenerazione Inner Areas: Disequality and Regeneration Michele Gaspari

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Interni al margine Inners at the Margin

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Stefano Tornieri

La sfida culturale dell’Alta Irpinia The Cultural Challenge of Alta Irpinia

Riabitare Alicia Reinhabiting Alicia Roberto Giordano, Roberto Dini, Silvia Tedesco, Valerio Della Scala, Silvia Lanteri

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INFONDO

Pascoli a cura di Stefania Mangini

Il fututo ha un cuore antico The Future has an Ancient Heart Michele Manigrasso

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Rigenerazione partecipata Participatory Regeneration Eliana Martinelli

Marta Bovio

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ESPLORARE

Cronaca di un convegno Rete Nazionale di Giovani Ricercatori per le Aree Interne PORTFOLIO

I Casoni della Laguna The Lagoon’s Casoni Giorgio Bombieri IL LIBRO

La fugace bellezza dell’arte involontaria The Ephemeral Beauty of Unintentional Art Chiara Scarpitti

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I CORTI

Paesaggi architettonici Architectural Landscape Vincenzo d’Abramo

Il borgo Viano in Lunigiana The Viano Village in Lunigiana Enrico Bascherini, Silvia Mercoledi

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L’ARCHITETTO

Resilienza per le Aree Interne Resilience for Inner Areas Maria Giada Di Baldassarre

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L’Atlante dell’Architettura Rurale Rural Architecture Atlas Fabrizio D’Angelo, Alessandro Moretto

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Vivere sull’acqua Living on the Water Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato L’IMMERSIONE

Ricostruire piccole comunità di confine Reconstructing Small Border Communities Andrea Iorio

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La marginalità della montagna Mountain Marginality Umberto Giordani

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Machinic Landscapes Elena Longhin SOUVENIR

Pirati e corsari Pirates and Corsairs Letizia Goretti

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AL MICROFONO

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CELLULOSA

Internamente, Italia Italy, Internally a cura di Ariana Mion

I need a Forest Fire a cura dei Librai della Marco Polo (S)COMPOSIZIONE

Verdi prati Emilio Antoniol


Cronaca di un convegno Come nasce la Rete Nazionale di Giovani Ricercatori per le Aree Interne 22 giugno - 15 luglio 2019 Politecnico di Milano www.eccellenza.dastu.polimi.it

Nel 2014 viene lanciata la Strategia Nazionale per le Aree interne (SNAI), una politica di sostegno per lo sviluppo di aree ritenute svantaggiate e fragili. A ridosso delle azioni promosse dalla SNAI sono state sviluppate ricerche e studi con cui si è riattivato il dibattito accademico e culturale sulle Aree Interne. Come tenere traccia e mettere a sistema questo grande sforzo culturale e intellettuale che, volontariamente o meno, la SNAI ha contribuito a riaccendere nella ricerca italiana? Per rispondere a questa domanda, ambiziosa ma sfidante, abbiamo iniziato a immaginare la costruzione di una Rete Nazionale di Giovani Ricercatori per le Aree Interne1. Volevamo che la Rete avesse due caratteristiche principali. La prima è che fosse diretta a chi come noi si trovava all’inizio del suo percorso accademico, che stesse quindi svolgendo un dottorato o che lo avesse finito da massimo cinque anni. Questo rispondeva all’esigenza di instaurare un dibattito e un dialogo aperto in cui anche chi aveva meno esperienza potesse presentare la propria ricerca e le proprie riflessioni. La seconda caratteristica era la multidisciplinarietà della Rete che non doveva diventare un gruppo di categoria, ma piuttosto un’occasione in cui incrociare punti di vista e ambiti accademici che difficilmente trovano occasione di incontro. Con questi intenti, nel novembre 2019 viene lanciata una “Call for research”, diffusa capillarmente a tutti gli Atenei e Centri di Ricerca italiani, per mappare le ricerche che negli ultimi anni erano nate a ridosso della SNAI e delle Aree Interne. Questo è stato il primo passo con cui si è formata la Rete, riuscendo a raccogliere oltre 170 contributi di giovani ricercatori provenienti da tutte le regioni italiane e da ambiti disciplinari che spaziano dall’urbanistica alla geografia, dalla sociologia alle scienze economiche, dalle scienze ambientali alla giurisprudenza.

Il comitato organizzativo e i tavoli tematici del workshop

Sono le numerose adesioni che hanno condotto, nel marzo 2020, alla creazione del primo spazio virtuale di dialogo e condivisione della Rete: il gruppo Facebook “Rete Nazionale Aree Interne di Giovani Ricercatori”. Il primo incontro ufficiale della Rete si è svolto attraverso il Workshop telematico che dal 22 giugno al 15 luglio 20202 ha visto riunirsi i ricercatori attorno a dieci tavoli tematici. I tavoli hanno permesso di raccogliere i contributi sulla base dei principali temi di dibattito e interesse emersi dalla lettura delle ricerche e inerenti allo studio delle Aree Interne. Questi i temi: politiche pubbliche (italiane/internazionali) per le aree svantaggiate; sistema rurale e produzioni locali; innovazione sociale; turismo; servizi al cittadino (mobilità-sanitàistruzione-welfare sociale); spopolamento e abbandono; presidio del territorio e rischio idrogeologico; strategie di sviluppo economico, imprenditoria e industria; patrimonio architettonico e beni culturali; patrimonio naturale e risorse ambientali. È emerso un dibattito ricco e articolato che restituisce effettivamente come

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la SNAI sia riuscita a riaccendere la discussione sulle Aree Interne. I passi successivi? La consegna della mappatura e del lavoro svolto alle istituzioni che oggi si occupano del rilancio della Strategia, dal Comitato Tecnico Aree Interne al Ministero per la Coesione Territoriale. E il rilancio del lavoro di confronto e discussione che speriamo di poter realizzare in presenza il prima possibile! Il comitato organizzativo: Rossella Moscarelli e Stefano D’Armento (Dottorato in Urban Planning, Design and Policy), Benedetta Silva (Dottorato in Preservation of the Architectural Heritage), Catherine Dezio, Agim Kërçuku, Gloria Pessina e Bruna Vendemmia (Progetto Dipartimento di Eccellenza sulle Fragilità Territoriali 2018-2022). NOTE 1 - La Rete si inserisce nell’ambito del progetto DAStU, Dipartimento di Eccellenza sulle Fragilità Territoriali 2018-2022, con il supporto dei dottorati di ricerca in Urban Planning, Design and Policy e Preservation of the Architectural Heritage. 2 - Il workshop si sarebbe dovuto svolgere il 16-17 aprile 2020 presso il Politecnico di Milano, ma è stato annullato a causa dell’emergenza sanitaria.

ESPLORARE


AREE INTERNE A cura di Michele Gaspari. Contributi di Marta Bovio, Valerio Della Scala, Roberto Dini, Roberto Giordano, Silvia Lanteri, Michele Manigrasso, Eliana Martinelli, Silvia Tedesco, Stefano Tornieri.

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Michele Gaspari Dottore di Ricerca in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici, Università Ca’ Foscari Venezia. gasparimichele@gmail.com

Le aree interne tra disuguaglianze e rigenerazione

Inner Areas: Disequality and Regeneration

Le aree interne, cioè quelle caratterizzate da una significativa distanza dai principali centri di offerta di servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità collettiva), rappresentano circa il 60% del territorio italiano e sono abitate da più di 13 milioni di persone; tuttavia, da diversi anni, affrontano dinamiche di spopolamento e di impoverimento, in favore di una crescente concentrazione negli agglomerati urbani. Il numero 29 di OFFICINA* ha presentato soluzioni e pratiche architettoniche innovative in risposta alle fragilità delle aree densamente abitate. Al contrario, con poche lodevoli eccezioni, il dibattito sulle aree interne finora si è concentrato quasi esclusivamente sull’esaltazione del potenziale turistico o sul rafforzamento della resilienza rispetto a eventi catastrofici o rispetto alle prevedibili conseguenze dei cambiamenti climatici. Nel nostro paese, le riflessioni sul rapporto tra “città” e “campagna”, che oggi potrebbero descrivere in maniera particolarmente adeguata l’evoluzione della società, sono da sempre in secondo piano rispetto alla discussione sul disequilibrio Nord-Sud. Per dirla come Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione Territoriale e ideatore della Strategia Nazionale per le Aree Interne, “un cittadino di una valle alpina della provincia di Cuneo fa molta meno fatica a confrontarsi con un cittadino della Sila di quanta non ne faccia un cittadino di Torino con uno di Reggio Calabria”. In maniera paradossale, durante le fasi più critiche della pandemia, autorevoli commentatori hanno descritto i “piccoli borghi” come isole felici, nei quali la minore densità abitativa garantiva minori rischi di contagio, trascurando il fatto che fossero anche drammaticamente lontani dai principali presidi

The inner areas, that are those characterized by a significant distance from the essential public services (health, education, public transport), represent roughly 60% of the whole Italian territory and are inhabited by more than 13 million people; however, for several years, they have been facing depopulation and impoverishment dynamics, in favor of a growing concentration in urban agglomerations. OFFICINA* 29 issue presented solutions and innovative architectural practices in response to the fragility of densely populated areas. Conversely, with a few commendable exceptions, the debate on inner areas has so far almost exclusively focused on enhancing tourism potential or on strengthening resilience with respect to catastrophic events, such as earthquakes and floods, and to the foreseeable consequences of climate change. In our country, the reflections on the relationship between “city” and “countryside”, which today could better describe the evolution of society, have always been in the background compared to the discussion on the North-South imbalance. According to Fabrizio Barca, who served as Ministro della Coesione Territoriale and who conceived the National Strategy for Inner Areas, “a citizen of an alpine valley in the province of Cuneo finds it much less difficult to deal with a citizen of Sila than a citizen of Turin does with one of Reggio Calabria”. Paradoxically, during the most critical phases of the pandemic, authoritative commentators described the “small villages” as happy islands, in which the lower population density reduces the risk of contagion, neglecting the fact that they were also dramatically far from the main health centers and were not co-

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2019.07.15 17:02:45 51°53’08.3”N 10°25’30.0”W 117 Esistono spazi in cui il nostro sguardo viene guidato da elementi del paesaggio, siano essi di origine antropica o naturale. In questi contesti, il margine diviene quell’elemento fisico che ci preclude di poter vedere, ma allo stesso tempo ci permette di immaginare nuovi scenari possibili. Veronica De Martin

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sanitari e non fossero coperti dalla banda larga, necessaria sia per lo smart working che per la didattica a distanza. La stessa transizione ecologica, auspicata a parole da tutti e apparentemente più accessibile nelle aree interne proprio grazie al vasto patrimonio naturale (il 16% della superficie appenninica è tutelata da aree protette, un record a livello europeo), rischia di essere addirittura penalizzante in quelle zone a causa di un tessuto economico meno permeabile al cambiamento rispetto a quello delle conurbazioni. I contributi di questo numero di OFFICINA* sono frutto del dibattito ravvivato da pochi anni, anche a livello scientifico, sulle aree interne: raccontano alcune iniziative e traiettorie di sviluppo “attento ai luoghi” che stanno fiorendo letteralmente in tutta Italia. Emerge come la co-progettazione da parte di soggetti diversi (enti locali, associazioni, professionisti, artisti) sia fondamentale per l’elaborazione e l’implementazione di strategie virtuose, quali la rigenerazione del patrimonio architettonico di borghi urbani e di insediamenti rurali, la definizione di una nuova comunicazione territoriale che tenga in considerazione le dinamiche degli ecosistemi, l’istituzione e gli impatti di festival culturali in territori apparentemente poco attrattivi. Rigenerare, riattivare, riabitare: sono termini che ricorrono spesso nelle prossime pagine, e sottolineano come la relazione sia un’alternativa efficace e complementare alla concentrazione, anche dal punto di vista della gestione del territorio. Deve però essere accompagnata da nuovi e più diffusi servizi di cittadinanza: il “margine” può infatti diventare, come scrive Antonio De Rossi nel suo fondamentale volume Riabitare l’Italia, non a caso citato più volte dagli autori, “spazio del possibile, di costruzione di futuro”.*

vered by broadband, necessary for both smart working and distance learning. The ecological transition itself, reportedly desired by everyone and apparently more accessible in the inner areas thanks to the vast natural heritage (16% of the Apennine surface is protected, a record at European level), risks being even penalizing in those areas, because the economic context is less permeable to change than that of conurbations. The contributions of this issue of OFFICINA* are the result of the debate revived since few years, also at a scientific level, on the inner areas: they describe some “place-based” development initiatives and trajectories, that are literally flourishing throughout Italy. It emerges that the co-planning of different entities (local bodies, associations, practitioners, artists) is fundamental for the development and implementation of virtuous strategies, such as the regeneration of the architectural heritage of urban villages and rural settlements, the definition of a new territorial institutional communication that takes into account the dynamics of ecosystems, the institution and the impacts of cultural festivals in apparently unattractive territories. Regenerate, reactivate, re-inhabit: these are terms that often occur in the following pages, and underline how the relationship is an effective and complementary alternative to concentration, also from the point of view of land management. However, it must be accompanied by new and more widespread citizenship services: in this way the “margin” can become, as Antonio De Rossi writes in his fundamental book Riabitare l’Italia, not surprisingly mentioned several times by the authors, “space of the possible, of building the future”.*

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2019.07.15 17:06:50 51°53’08.3”N 10°25’30.0”W 117 Sono luoghi privati della loro identità, che non riescono ad assumere nuove forme dell’abitare. Il margine assume quindi un significato fisico e metaforico, di sconnessione ma allo stesso tempo di connessione, tra un interno e un esterno, tra ciò che pensiamo e ciò che vediamo. Veronica De Martin

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Stefano Tornieri Assegnista di ricerca IR.IDE, Università Iuav di Venezia. stornieri@iuav.it

Interni al margine

01. Uso e consumo di un territorio. Use and consumption of a land. Stefano Tornieri

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contraddizioni e potenzialità del Delta del Po n margine da reinventare La connotazione di territorio al margine è usualmente intesa come negativa. Questo avviene principalmente perché, nell’ottica produttiva del contemporaneo, si è soliti associare la marginalità fisica e geografica alla marginalità economica e sociale. Uscire da questa visione “gerarchica”, in cui i centri urbani galoppano in economie dinamiche e le periferie arrancano, è sempre con maggiore insistenza necessario, rivedendo con altri giudizi il concetto di marginalità. L’idea di un’Italia dei margini contrapposta all’Italia dei centri di sviluppo è un modo per invertire lo sguardo e considerare le potenzialità di sviluppo territoriale da un altro punto di vista. Rivedere il ruolo di queste aree significa anche comprendere meglio quali sono le risorse disponibili e spesso anche in questo ambito è necessario passare dai patrimoni monumentali ai patrimoni delle piccole tradizioni locali, dal patrimonio materiale fisico all’intangibile, dal consumo immediato dei prodotti alimentari alla riscoperta dei comparti slow-food, dalle escursioni di gruppo alle visite in autonomia. L’area del Delta del Po analizzata in questo saggio ha un’ulteriore particolarità, è un territorio al margine e nello stesso tempo è parte delle cosiddette aree interne, zone del paese che per scarsità di collegamenti, servizi e infrastrutture si trovano in una condizione di difficoltà e isolamento. Le mappe della SNAI, Strategia Nazionale delle Aree Interne1, offrono una nuova rappresentazione dell’Italia che se sovrapposta alla condizione orografica della penisola mostra che non v’è totale relazione tra area di montagna e condizione di area interna. In Veneto, ad esempio, vi sono zone considerate ultraperiferiche anche sulla costa adriatica, come il caso del Delta del Po. Un’area interna al margine che deve, nell’ottica dell’attrattività turistica, investire sul patrimonio naturale, sulle eccellenze gastronomiche e sulle tradizioni locali. Non è possibile però considerare che le isole di pregio naturalistico non interagiscano con il sistema socioeconomico circostante (Golinelli, 2015) pertanto le aree naturali devono essere analizzate e considerate come parte

Inners at the Margin We used to call “internal areas” some areas that are actually “internal” compared to the Italian coastline, mountains and so on. However, one of the major Italian inland areas, the Po Delta, is right on the edge, on the Adriatic coast. A dynamic territory whose adaptive capacities in terms of morphology and use represent the greatest potential often forgotten in the name of the preservation of a static image of the landscape. The scenarios linked to this territory are dynamic, from a cult place for the affirmation of Italian neorealist cinema to the territory of production, up to the most recent naturalistic tourist vocation thanks to the Unesco brand and the establishment of the Po Delta Park. What possible future could have an internal area located on the margins?* Un’ambiguità di termini porta a considerare le aree interne come i territori montani, aree effettivamente “interne” rispetto alla linea di costa italiana. Pur tuttavia una delle maggiori aree interne italiane, il Delta del Po, è proprio al margine, sulla costa Adriatica. Un territorio dinamico le cui capacità adattive in termini di morfologia e uso rappresentano le potenzialità maggiori spesso dimenticate a nome della conservazione di un’immagine statica del paesaggio. Gli immaginari legati a questo territorio sono altrettanto dinamici, da luogo cult per l’affermazione del cinema neorealista italiano a territorio della produzione, fino alla più recente vocazione turistica di stampo naturalistico grazie al marchio UNESCO e all’istituzione del Parco del Delta del Po. Quale possibile futuro per un’area interna collocata ai margini?*

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02. Concept di progetto, morfologia adattiva. Le unità territoriali composte da terreni arginati sono “paesaggi mobili” che possono mutare nel tempo sia in termini funzionali sia formali. Project concept, adaptive morphology. The territorial units composed of embankments are “mobile landscapes” that can change over time both in functional and formal terms. Stefano Tornieri

di un sistema allargato alle zone limitrofe, alla rete di relazioni invisibili, considerando anche i servizi ecosistemici destinati al benessere della collettività. La possibilità individuata da Golinelli è “superare la visione delle aree protette e dei parchi naturali come riserve che possano essere conservate immutate nel tempo al riparo dei sovrasistemi di ogni specie alla stregua dei musei ottocenteschi ma è fondamentale leggere le nuove prospettive e opportunità di interazione e di apertura relazionale a tutti gli attori del più ampio sistema socioeconomico di riferimento in un’ottica di valorizzazione sostenibile. Le componenti sistemiche devono sostenere e garantire l’agire del sistema parco e la sua valorizzazione con riferimento ai processi di integrazione e creazione di valore anche attraverso altre attività collegate come turismo,

cui le immagini svolgono un ruolo centrale, così come i siti internet che le diffondono diventando loro stessi riflessi della stessa identità (img. 01). Ambiti di sperimentazione Quali sono i fattori che danno forma al territorio deltizio e che ruolo hanno nella definizione di un immaginario oltre a quello fornito dal brand territoriale? Superando l’idea della mitigazione e della conservazione del “bene patrimoniale” in senso oggettuale il futuro dovrebbe guardare alla modificazione continua e alla comprensione della sinergia degli elementi esistenti e quindi al loro valore sistemico come forma di cura del territorio. Appare necessaria anche una sperimentazione relativa alla rappresentazione del paesaggio, tema che non può essere considerato slegato dall’interpretazione progettuale, essendo essa parte integrante della lettura degli elementi che lo costituiscono. Una nuova rappresentazione può servire per aprire nuove vie interpretative, può essere in grado di visualizzare l’invisibile, l’immateriale, sovrapporre temporalità diverse, includere varie scale percettive. L’obiettivo primario è quindi fornire gli strumenti utili per ampliare gli immaginari e fornire nuovi paradigmi progettuali, in grado di interpretare diversi modelli morfologici in una visione integrale. Il “Delta moderno”2, la porzione più esterna rispetto a una continuità della linea di costa adriatica, è l’ambito più giovane e dinamico, in apparenza una pianura immobile e piatta eppure costruita interamente da piani e argini. Gli strumenti legislativi e in generale i supporti legati alla rappresentazione dello spazio quali mappe e planimetrie, che di fatto sono parte primaria nella costruzione del nostro immaginario del Delta, ancora non registrano tali dinamismi e specificità morfologiche.

superando l’idea della mitigazione e della conservazione del “bene patrimoniale” in senso oggettuale il futuro dovrebbe guardare alla modificazione continua e alla comprensione della sinergia degli elementi esistenti e quindi al loro valore sistemico come forma di cura del territorio agricoltura e iniziative culturali”. Analogamente alle città c’è un forte investimento nella creazione del brand, considerato anche in queste zone come “frutto di un continuo e dinamico processo di costruzione nella mente del fruitore del territorio che pertanto viene influenzato dalle esperienze dai ricordi e dai giudizi espressi dagli altri fruitori con i quali entra in contatto” (Pastore, Bonetti, 2006). Un territorio complesso in

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03. Montaggio dei fotogrammi di un filmato. Una sequenza di pieni e vuoti mostra l’alternanza di argini e campi aperti. Frame editing of a movie. A sequence of full and empty spaces shows the alternation of river banks and open fields. Stefano Tornieri

Nuovi punti di vista L’approccio messo in atto si basa principalmente su una strategia descrittiva mista, da un lato l’osservazione diretta sul campo tramite registrazioni fotografiche e video, dall’altra la rielaborazione di dati preesistenti. La rielaborazione interpretativa del dato ha lo scopo di esplorare mappature per il Delta del Po che provino a oltrepassare la dimensione planimetrica, ormai preponderante nella comunicazione di questo territorio, per cercare di innescare nuove percezioni e nuovi immaginari. Si propone un’apertura verso le capacità analitico/rappresentative proprie delle Digital Humanities (come l’elaborazione grafica dei materiali digitali prodotti in un determinato luogo e tempo) in grado di connettere diverse espressioni della cultura umanistica e artistica (img. 03, 05). Tale metodologia, da considerarsi integrativa rispetto ai convenzionali apparati rappresentativi, può essere messa in atto anche utilizzando i dataset dei comuni visitatori permettendo

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una mappatura “percettiva” del luogo in grado, a volte, di individuare punti di maggior interesse. Fattori esclusi Sempre con maggior frequenza si osservano territori che attraverso diversi livelli comunicativi sentono l’esigenza di “pubblicizzarsi” all’esterno, di mostrare le eccellenze e le particolarità del paesaggio con lo scopo generico di attrarre persone, visitatori o possibili nuovi abitanti. Le amministrazioni locali si affidano pertanto a strumenti comunicativi simili a quelli utilizzati dalle aziende e in sintesi all’elaborazione di un vero e proprio brand territoriale in grado, perlomeno nelle intenzioni, di tradurre visivamente le identità complesse che un territorio esprime. Le modalità di costruzione del brand territoriale, proprio per le necessità comunicative richieste, si attuano tramite operazioni di sintesi, riduzione e a volte una “banalizzazione” della complessità. Un brand territoriale efficace, analogamente a quello di un’azienda, opera in prima

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04. La costa adriatica tra Grado e Ravenna è un bordo dinamico. Conservare questa dinamicità è una nuova prospettiva progettuale. The Adriatic coast between Grado and Ravenna is a dynamic border. Preserve this dynamism as a new design perspective. Stefano Tornieri

istanza su una selezione degli elementi del paesaggio e sulla successiva comunicazione di tali “immagini” a un target di persone il più vasto possibile. Lo scopo è costruire e fissare un immaginario comune, sintetico per apparire con immediatezza, inalterato nel tempo e tramandabile. Il problema rilevato consiste nel fatto che la costruzione di un brand territoriale avviene attraverso una selezione, necessariamente riduttiva, della complessità. Nella totalità dei casi si opera facendo leva sui cosiddetti valori identitari del territorio, le specificità locali, le tradizioni, la ricerca del prodotto tipico, dell’evento unico, dei monumenti o del patrimonio architettonico presente. Il territorio del Delta del Po mette però in crisi questa logica “di mercato” evidenziando forti contraddizioni soprattutto nella comprensione di fattori, come il concetto di patrimonio, che costruiscono il brand e che sono necessari per una visione futura. L’area umida alla foce del fiume Po sta affrontando problematiche ad ampio raggio come fenomeni di abbandono, calo demografico e pressioni ambientali sempre più forti,

come subsidenza, l’innalzamento del livello marino, nonché uno sfruttamento del suolo non sempre commisurato al contesto, come le monocolture meccanizzate e la dismissione di grandi complessi industriali per la produzione energetica. A rendere più complessa la questione v’è l’inadeguatezza degli attuali apparati normativi (si pensi alla divisione amministrativa tra area parco del Delta del Po regione Veneto, la parte in Emilia Romagna e le difficoltà realizzative del parco interregionale), degli strumenti urbanistici (PAT), dei piani di tutela (piano d’area Delta del Po), che non sono in grado di evolvere in modo sistemico al confronto con i problemi dei territori. Un ritardo legato anche all’immaginario che oggi prevale sul Delta, costruito in accordo alle regole del brand territoriale che sfrutta l’immagine del Parco del Delta del Po e il marchio MAB UNESCO. Questa impasse è superabile se si cambiano i paradigmi e i modelli su cui si basa la formazione del brand territoriale che tende necessariamente a evitare i fattori di “debolezza” o di “incontrollabilità” del paesaggio.

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05. Indagine sulla percezione visiva del paesaggio. Le parti colorate mostrano le sequenze filmate con camera posizionata ad altezza occhio umano. Survey on the visual perception of the landscape. The colored parts show the filmed sequences with the camera positioned at human eye height. Stefano Tornieri

Appunti conclusivi Alcuni fattori che sono determinanti per la morfologia del Delta del Po sono esclusi dalla “comunicazione” territoriale. Un territorio al margine che proprio per tale motivo può ripartire dalle proprie potenzialità e particolarità, rivedendo in chiave positiva fattori come la produzione agroalimentare, la straordinaria biodiversità e presenza della natura nell’ambiente pubblico, la dinamicità del paesaggio, la potenzialità trasformativa del patrimonio. 1 - La dinamicità morfologica, questione dimenticata dalle leggi di costruzione del brand, è invece capacità adattiva ai cambiamenti territoriali in atto, sia in termini fisici che sociali, e va reintegrata nell’idea di conservazione del patrimonio naturale (img. 02). Adattamento e cambiamento costante sono fattori fondamentali per evitare che le political agendas abbiano più a cuore l’immagine pittoresca dei luoghi anziché le dinamiche degli ecosistemi. 2 - La natura e rinaturalizzazione come necessità curativa per il territorio e per l’uomo. Considerare nuove modalità di convivenza con la natura e con la biodiversità significa non intenderla come un’attrazione turistica ma come nuovo mondo in cui l’uomo può trovare un benessere psicofisico vivendo in rapporto ad essa. 3 - Considerare il valore patrimoniale di sistema, ovvero individuare nelle reti e nelle connessioni tra ecosistemi e territori, paesaggi e architetture, una capacità strutturante del territorio (img. 04). La comprensione di tale “macchina idraulica” consentirebbe di percepire gli elementi tecnici presenti sul territorio come una parte necessaria al funzionamento di un territorio attivo e non un parco a tema (Ciampi, 2015). Ci si riferisce non solo alle interessanti architetture delle idrovore ma anche al congiunto di tubazioni, chiaviche, paratie, deflettori, derivatori, pozzi che sono necessari al mantenimento e all’esistenza del suolo stesso.

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4 - Integrare sia nei sistemi comunicativi sia negli strumenti urbanistici del territorio strumenti di rappresentazione che individuino sin da subito elementi di continuità del territorio e non ambiti circoscritti. L’esperimento metodologico proposto percorre la strada della rielaborazione dei dati fotografici e filmici che proprio nel Delta hanno una lunga tradizione cercando una rappresentazione del territorio in grado di far emergere rilievi, continuità vegetativa, aperture o chiusure visive, tempi di percorrenza, cromie, stagionalità e presenza umana per fare alcuni esempi.* NOTE 1 – L’agenzia demaniale per la coesione territoriale descrive così le aree interne: “L’individuazione delle Aree Interne del Paese parte da una lettura policentrica del territorio Italiano, cioè un territorio caratterizzato da una rete di comuni o aggregazioni di comuni (centri di offerta di servizi) attorno ai quali gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale”. 2 – Si considera Delta moderno la porzione di territorio che si è formata a seguito del “Taglio di Porto Viro” (1604), un intervento di deviazione del ramo principale del Po operato dalla Serenissima per evitare l’insabbiamento della laguna. BIBLIOGRAFIA - Belanger, P. (2017), “Landscape as infrastructure”, Routledge, New York. - Bertoncin, M. (2004), “Logiche Di Terre e Acque. Le Geografie Incerte Del Delta Del Po”, Cierre edizioni, Verona. - Ciampi, G. (2015), “Rinaturalizzazione: tra ri-creazione e ricreazione”, in “Limes”, disponibile su https://www.limesonline.com/rinaturalizzazione-tra-ri-creazione-e-ricreazione/87087 (ultima consultazione aprile 2020). - Fabian, L., Viganò, P. (2010), “Extreme city, climate change and the transformation of the waterscape”, Università Iuav di Venezia, Venezia. - Girot, C., Freytag, A., Kirchengast, A., Richter, D. (2013), “Topology, Landscript 3”, Jovis ed., ETH Zurich. - Golinelli, G. (2015), “Patrimonio culturale e creazione di valore. La componente naturalistica”, Wolters Kluwer Cedam, Milano. - Pastore, A., Bonetti, E. (2006), “Il brand management del territorio”, in “Sinergie”, n. 23, pp. 79-99. - Vanore, M. (2010) “Infrastrutture culturali. Percorsi di terra e d’acqua tra paesaggi e archeologie del Polesine”, Il Poligrafo, Padova. - Tornieri, S. (2019) “The Delta Po Region, a Productive and Adaptive Morphology”, in Aspa Gospodini (a cura di) “Changing Cities. Spatial, Design, Landscape&socioeconomics”, 4th International Conference, Chania, Crete Island, Greece.

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Marta Bovio Laureata in Design Sistemico presso il Politecnico di Torino. boviomarta@gmail.com

La sfida culturale dell’Alta Irpinia

01. Scorcio di Calitri. Glimpse of Calitri. Alfredo Cesarano (flickr)

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lo Sponz Fest, nuove prospettive per la valorizzazione delle aree fragili The Cultural Challenge of Alta Irpinia The contrast between rural areas and the urban environment represents an interesting key to understand the growing demand for sustainable tourism in inland areas and the dynamics that lie behind the encounter between travelers and resident communities. The essay will aim to investigate the economic and social repercussions in the Alta Irpinia area during the Sponz Fest. The festival, born as a pure provocation in the form of a peaceful but revolutionary act, aims at the clear demonstration that emptiness can become a resource if it is not left to abandonment and degradation.* La contrapposizione tra aree rurali e ambiente urbano rappresenta un’interessante chiave di lettura alla comprensione della crescente domanda di turismo sostenibile nelle aree interne e delle dinamiche che si celano dietro l’incontro tra i viaggiatori e le comunità residenti. Il saggio avrà l’obiettivo di indagare le ricadute economiche e sociali nell’area dell’Alta Irpinia in occasione dello Sponz Fest. Il festival, nato come pura provocazione sotto forma di un atto pacifico ma rivoluzionario, mira alla chiara dimostrazione che il vuoto può diventare una risorsa se non lo si lascia all’abbandono e al degrado.*

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a contrapposizione tra natura e paesaggio, tra aree rurali e ambiente urbano, rappresenta un’interessante chiave di lettura alla comprensione della crescente domanda di turismo sostenibile nelle aree interne. Il desiderio dell’uomo di recuperare il proprio rapporto con la natura genera la volontà di trovare un’alternativa all’ambiente urbano: dalle forme del turismo di massa che inducono a una violenta fruizione del paesaggio si procede sempre di più verso un turismo sostenibile e responsabile che innesca nuovi legami tra uomo e territorio con conseguente cura verso le specificità locali. A tal proposito è necessario che i progetti di sviluppo per le aree interne incoraggino questa tendenza intraprendendo interventi volti alla rigenerazione e alla rivitalizzazione dei luoghi. Inevitabilmente tali interventi dovranno essere concepiti come percorsi trasformativi che adeguino l’offerta alla domanda, rispondendo ai bisogni dei turisti e generando nuove opportunità di crescita per le comunità locali (Coccia, 2012). Approccio metodologico “Il progetto può e deve diventare un mezzo col quale i giovani possono partecipare alla trasformazione della società” (Papanek, 1973). Victor Papanek, pioniere del design sociale e sostenibile, ricorda come il compito del progettista sia quello di stimolare e coadiuvare la naturale propensione creativa (insita negli individui) attraverso il rafforzamento dei legami, delle relazioni e delle forme di cooperazione tra i membri di una comunità. A partire da tali presupposti, il presente contributo intende restituire il percorso di crescita, in termini di ricadute economiche e sociali dello Sponz Fest, mettendo in evidenza gli aspetti e gli attori coinvolti che interagiscono nel paesaggio locale produttivo modificandone i comportamenti. Il festival costituisce un caso studio di rilevante interesse perché testimonia la capacità resiliente e l’attitudine rigenerativa dei territori dell’Italia minore: l’esperienza culturale offerta concede, infatti, al territorio, un’elevata capacità

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02. Inquadramento territoriale, Calitri. Territorial context, Calitri. Alfredo Cesarano

d’attrazione turistica fungendo da connettore di risorse. Sin dalla sua prima edizione nel 2013, il festival si è posto in controtendenza rispetto all’attuale inclinazione dei turisti a cedere alla banalità dell’immediatezza, dell’immagine e del consumo, muovendosi, al contrario, lungo la linea di: recupero di memoria e identità locali, e riappropriazione e riempimento dei vuoti con contenuti culturali. Agire su un sistema territoriale significa definire le relazioni che legano le sue risorse ambientali ai fattori so-

sitivo tra gli attori locali si parla di innovazione territoriale. Radicato sui concetti di partecipazione e collaborazione, si può, dunque, definire lo Sponz Fest un progetto di innovazione territoriale (Farrel, 1999). Il caso dello Sponz Fest Lo Sponz Fest nasce sotto la direzione artistica di Vinicio Capossela, nel 2013 a Calitri (AV), piccolo borgo dell’entroterra campano, soggetto a spopolamento, insufficiente sviluppo economico e mancanza di un’adeguata offerta turistica. All’interno di tale contesto, il festival intende fornire un impulso potenzialmente rilevante per lo sviluppo locale stimolando la capacità di attrazione turistica del territorio. Il termine sponz deriva dal verbo sponzare, e, letteralmente, indica l’azione di “imbeversi, inzupparsi, rendersi fradici” come normalmente si dice del baccalà (l’unico pesce che un tempo raggiungeva i paesi dell’entroterra), che, venduto rigido e salato, richiede di essere messo in ammollo per diversi giorni per essere commestibile. Attraverso l’azione dell’inzupparsi, lo Sponz Fest dà l’occasione per riflettere sul senso di comunità e su nuove forme di relazioni sociali ed economiche. Sia per tipologia che per localizzazione degli eventi previsti, esso volge alla creazione di una rete sistemica per la fruizione turistica basata essenzialmente sulla qualità e sulla differenziazione dell’offerta. L’edizione del 2013 si era proposta come un festival di musica da sposalizio, in una realtà ancestrale in cui il matrimonio rappresentava il rito fondante e l’occasione della comunità per rinnovare e recuperare le tradizioni legate ad esso nelle forme di canti, balli e racconti orali e visivi. Nato, dunque, per dar vita ad un nuovo modo di “fare comunità”, nelle successive edizioni, si è allargato ai temi dell’unione, del rapporto con la terra, dell’incontro e del-

i programmi di sviluppo per le aree interne dovranno essere concepiti come percorsi trasformativi che generano nuove opportunità ciali e culturali; e quando il contesto è un’area segnata dal forte spopolamento, la sfida principale diventa quella di colmare il vuoto facendo in modo che le risorse endogene, naturali e storico-culturali possano diventare il fattore caratterizzante dello sviluppo locale. Per affrontare questa sfida, lo Sponz Fest ha tentato di intraprendere strategie integrate a lungo termine attraverso reti di collaborazione orizzontale tra gli stakeholders locali per lasciare segni evidenti sul territorio e generare ricchezza in termini di valori ed economia. Il progetto dell’identità del territorio passa, infatti, attraverso l’economia del territorio e si pone l’obiettivo di sviluppare numerose attività parallele per l’ottimizzazione di risorse e filiere locali, dalla produzione alla fruizione. Importante, in tale contesto, è il concetto di produzione diffusa, basata su una rete capillare di piccoli produttori, piccole botteghe di eccellenza per valorizzare mestieri, saperi e autoproduzioni (Fagnoni, 2018). Quando un’azione sul territorio incontra un feedback po-

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03. Concerto di musica classica all’Abbazia del Goleto, Sant’Angelo dei Lombardi (AV). Classical music concert at the Goleto Abbey, Sant’Angelo dei Lombardi (AV). Canio Zarrilli

04. Laboratori per bambini nelle grotte del centro storico, Calitri. Workshops for children in the caves of the historic center, Calitri. Alfredo Cesarano

lo scambio con altre culture, mantenendo, come punto di forza, il recupero dell’identità locale. Con la seconda edizione, nell’agosto 2014, l’attenzione si è focalizzata sulla storica ferrovia Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, sospesa dal 2010 e resa protagonista indiscussa del festival dal titolo Mi sono sognato il treno. In quell’occasione, i luoghi della ferrovia hanno ospitato concerti ed eventi con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e di mostrare come la poesia e la cultura possano diventare strumenti fondamentali per la rinascita economica e culturale del territorio. L’attenzione riservata alla ferrovia, insieme all’attività svolta da associazioni di volontari, ne hanno consentito la riapertura in occasione dello Sponz Fest 2016 durante il quale un convoglio d’epoca ha riattraversato i binari per la

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prima volta e per quattro giornate consecutive. Ulteriore passo in avanti rispetto all’edizione precedente ha riguardato l’ampliamento spaziale sul territorio grazie a un protocollo d’intesa firmato da 8 Comuni (Aquilonia, Andretta, Cairano, Conza della Campania, Lioni, Monteverde, Morra De Sanctis, Teora), a partire dal quale, il festival ha portato avanti un forte messaggio di festa diffusa. Le edizioni sono proseguite fino al 2019. Lontano dal frequente annientamento prodotto dall’abitudine, il festival si caratterizza per la sua collocazione nel tempo e nello spazio: la narrazione, presentata nelle forme di esperienza collettiva, avviene “all’alba”, “al tramonto”, “nel tardo pomeriggio”, “di notte”, in sentieri, boschi e grotte disseminate nel centro storico. Tutto ciò determina un senso di spaesamento che porta l’uomo a imbattersi nelle antiche

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05. Trenodìa, progetto di arte pubblica. Trenodìa, public art project. Cairano (AV), Sponz Fest 2019. Giuseppe Di Maio Fotografia

grotte di tufo che, per l’occasione, si trasformano in vinerie, teatri, concerti o tavoli di cumvrsaziun’ (i tradizionali tavoli del vino di musiche e parole). Ricadute economiche e sociali sul territorio I dati riportati sulla pagina web e diffusi dalla Confcommercio, Ciset (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica) e Google Trends, consentono di valutare i più evidenti impatti economici e sociali sul territorio prodotti dal festival. Lo Sponz Fest, proponendosi come evento di turismo cul-

un 30% proveniente da altre regioni d’Italia e dall’estero). Tale fenomeno sta determinando una crescita nel numero di alloggi su Airbnb e persuade molti esercizi commerciali locali a effettuare ristrutturazioni secondo canoni estetici all’avanguardia. Le attuali strutture ricettive di Calitri e dintorni registrano il tutto esaurito già nei mesi precedenti e non sono sufficienti a sopperire alla domanda di posti letto. Per tale ragione, il team organizzativo ha innescato, da diversi anni, forme di ospitalità spontanea da parte di privati per l’ospitalità dei turisti durante i giorni del festival. Ulteriori aspetti rilevanti nell’ambito delle ricadute sociali sul territorio è il processo di rigenerazione dei luoghi che, di anno in anno, sta coinvolgendo alcune delle stazioni ferroviarie lungo l’AvellinoRocchetta Sant’Antonio, i sentieri naturalistici e un numero consistente di grotte nel centro storico che diventano nuovi luoghi di convivialità e di incontro.

in un’area segnata dal forte spopolamento, la sfida principale diventa quella di colmare il vuoto agendo sulle risorse endogene turale, genera, per i Comuni ospitanti, un notevole incremento dei flussi turistici. L’effetto sugli aumenti degli arrivi e delle presenze nelle strutture ricettive nei giorni del festival è indice della capacità dell’evento di attrarre visitatori non solo locali, ma nazionali e internazionali (in particolare si registra un 70% di turisti provenienti da zone limitrofe e

Riflessioni conclusive I dati analizzati dimostrano che il festival, indipendentemente dal tema variabile di anno in anno, presenta una formula chiara e ben definita che si colloca sul piano nazionale e internazionale e si rende riconoscibile rispetto ad

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06. Concerto di Vinicio Capossela. Concert of Vinicio Capossela. Luigi Zannato

altre iniziative ad esso simili. Si può, pertanto, intendere lo Sponz come un’operazione ben riuscita di valorizzazione territoriale affrontata in termini sistemici, che considera cioè tutte le componenti come un “insieme costituito da più elementi interdipendenti, uniti tra loro in modo organico” (Bistagnino, 2008). L’evento del festival, nato come pura provocazione, è giunto alla chiara dimostrazione che il vuoto può diventare una risorsa se non lo si lascia all’abbandono e al degrado. Occorre, dunque, che a partire dagli spunti di riflessione proposti, si giunga alla chiara consapevolezza che esiste una concreta speranza per le aree interne. Ripercorrendo l’intervento del prof. Vito Teti, ospite durante le ultime edizioni dello Sponz Fest, il passo successivo da compiere è quello di raccogliere i frutti generati dall’evento e, a partire da essi, avere la speranza e la tenacia per ricreare un tessuto imprenditoriale di carattere agroalimentare, turistico, artigianale, facendo in modo che la vitalità del festival possa persistere durante tutto l’anno. Valorizzare il capitale territoriale, inteso come un sistema in evoluzione di risorse, che attingono dal passato e si proiettano verso il futuro, significa agire nella dimensione fisica delle cose per progettare e produrre conoscenza. Per introdurre innovazione a livello locale è necessario analizzare e comprendere quali siano le potenzialità a disposizione di un dato luogo: conoscere è progettare bene (Celaschi, 2008).*

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BIBLIOGRAFIA - Becattini, G., Sforzi, F. (a cura di) (2002), “Lezioni sullo sviluppo locale”, Rosenberg & Sellier, Torino. - Bistagnino, L. (2008), “Design per un nuovo umanesimo”, in Germak, C. (a cura di) “Uomo al centro del progetto, design per un nuovo umanesimo”, Allemandi, Torino. - Celaschi, F. (2008), “Il design come mediatore tra saperi” in Germak, C. (a cura di), “Uomo al centro del progetto”, Allemandi, Torino, pp. 19-31. - Coccia, L. (2012), “Architettura e turismo”, Franco Angeli, Milano. - Sponz Fest 2019, disponibile su www.sponzfest.it (ultima consultazione aprile 2019). - Del Bò, C. (2017), “Etica del turismo. Responsabilità, sostenibilità, equità”, Carrocci Editore, Roma. - Fagnoni, R. (2018), “Design e territorio, una relazione circolare basata sulle tracce”, in MD Journal, n. 5, pp. 16-27. disponibile su: mdj.materialdesign.it/index.php/mdj/article/ view/113 (ultima consultazione aprile 2019). - Farell, G., Thirion, S., Soto, P., Champetier, Y., Janot, J. L. (1999), “La competitività territoriale. Costruire una strategia di sviluppo territoriale alla luce dell’esperienza LEADER”, in “Innovazione in ambiente rurale”, Quaderno n. 6 - Fascicolo 1, Osservatorio europeo LEADER. - Girard, L. F. (2009), “Sviluppo sostenibile ed aree interne: quali strategie e quali valutazioni”, Aestimum, Università di Napoli. - Magnaghi, A. (2000), “Il progetto locale”, Bollati Boringhieri, Torino. - Meini, M., Di Felice, G., Nocera, R. (2017), “Mappare le risorse delle aree interne: potenzialità e criticità per la fruizione turistica”, EUT Edizioni Università di Trieste. - Mela, A., Belloni, M.C., Davico, L. (2000), “Sociologia e progettazione del territorio”, Carrocci, Roma. - Oppido, S. (2014), “La valorizzazione diffusa: il riuso del patrimonio ferroviario dismesso”, Università degli Studi di Napoli Federico II, BDC. Bollettino Del Centro Calza Bini. Disponibile su http://www.serena.unina.it/index.php/bdc/article/view/2673 (ultima consultazione aprile 2019). - Papanek, V. (1973), “Progettare per il mondo reale”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano. - Perna, T. (2016), “Segni di rinascita nelle aree interne”, in “Scienze del territorio. Strategia Nazionale delle Aree Interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, documento tecnico collegato alla bozza di Accordo di Partenariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013.

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Roberto Giordano Professore Associato, Politecnico di Torino. roberto.giordano@polito.it

Roberto Dini Ricercatore, Politecnico di Torino. roberto.dini@polito.it

Silvia Tedesco Ricercatrice, Politecnico di Torino. silvia.tedesco@polito.it

Valerio Della Scala Dottorando, Politecnico di Torino. valerio.dellascala@polito.it

Silvia Lanteri Dottoranda, Politecnico di Torino. silvia.lanteri@polito.it

Riabitare Alicia

01. Veduta del centro storico di Salemi. Salemi: view of the old town. Alessandro Depaoli

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studi e ricerche per la rigenerazione e la ricostruzione del centro storico di Salemi Reinhabiting Alicia Fifty years after the Belice earthquake, the city of Salemi, together with some Italian universities including the Politecnico di Torino, have undertaken a series of actions aimed at the revaluation of the historic city center, still abandoned and disseminated of ruins. The studies and researches already conducted aim to start a process able to shape this place as a laboratory of urban regeneration. The ultimate goal of the project is the construction of multi-scale and multi-temporal visions, in order to question some established paradigms concerning the inner areas, turning local weaknesses into opportunities for experimentation and transformation.* A cinquant’anni dal terremoto del Belice, la città di Salemi insieme ad alcune università italiane tra cui il Politecnico di Torino, ha intrapreso una serie di azioni volte alla valorizzazione del centro storico, che versa in condizioni di abbandono e spopolamento. Gli studi e le ricerche sino a oggi condotte mirano a innescare un processo che possa configurare questo luogo come laboratorio di rigenerazione urbana e architettonica. Fine ultimo del progetto qui presentato è la delineazione di scenari multiscalari e multitemporali, che mettano in discussione alcuni paradigmi ormai consolidati sulle aree interne, considerando le problematiche locali come occasioni di sperimentazione e trasformazione.*

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più di cinquant’anni dalla distruzione provocata dal terremoto del Belice, il comune di Salemi ha avviato un processo finalizzato alla rigenerazione del patrimonio architettonico e storico-culturale del borgo antico, noto come Alicia, che versa in condizioni di abbandono e sottoutilizzo. L’amministrazione comunale sta promuovendo, attraverso il coinvolgimento di scuole universitarie italiane e internazionali, l’attrattività e l’accoglienza del centro storico. Segnale evidente della volontà del centro salemitano di riattivarsi in virtù delle proprie straordinarie valenze storiche e paesaggistiche, è la firma di un protocollo d’intesa con il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino e con l’associazione WISH (World International Sicilian Heritage), il cui intento prevede la trasformazione di alcuni comparti urbani del borgo alto in luoghi destinati ad attività culturali e di ricerca. Questo contributo vuole illustrare lo scenario su cui il gruppo di ricerca del Politecnico di Torino si sta concentrando, muovendo dalla rilettura critica del tessuto urbano e dei sistemi territoriali, passando attraverso la definizione di azioni di research by design volte a una rigenerazione del costruito. La storia di Salemi: un processo di stratificazione Sovrastato dal castello normanno, il nucleo urbano è costituito da un agglomerato edilizio continuo intersecato da percorsi arabi: un sistema di sofisticati dispositivi porosi che uniscono la mobilità verticale della struttura terrazzata alla necessità di ventilazione delle vie interne. Un tessuto agglutinato sulle dorsali di un territorio collinare che nella propria configurazione rivela la stretta relazione tra azione antropica e struttura orografica, incorniciando il paesaggio agricolo circostante. In seguito al sisma del 1968 – evento che ha tragicamente segnato i destini di gran parte dei nuclei belicini, tra cui la nota Gibellina – Salemi è stata oggetto di un forte spopolamento. I crolli e la conseguente inagibilità di quasi metà

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02. La città nuova. The new town. Alessandro Depaoli

del tessuto edilizio (img. 01) hanno stimolato politiche di trasferimento della popolazione nella zona valliva, alle pendici del centro. La controversa gestione della prima e seconda emergenza post-sisma ha fortemente inciso su una tendenza emigratoria all’epoca già in essere, a Salemi come in tutta la regione circostante. Tendenza che è tuttora la principale causa del calo demografico che ha condotto a una drastica riduzione della popolazione, quasi dimezzata rispetto agli anni ’601.

zione post-sisma. La specificità del caso salemitano si deve alle intenzioni politiche dell’allora sindaco Cascio Favara, e all’opera di resistenza con cui la sua amministrazione si è opposta alla delocalizzazione dell’abitato – destino toccato ad altri centri belicini tra cui i noti casi di Gibellina, Salaparuta e Poggioreale – e all’indirizzamento delle risorse unicamente rivolto all’edificato ex-novo. La negoziazione sulle politiche di ricostruzione ha prodotto degli esiti interessanti in rapporto alla sfera giuridico-normativa, come la possibilità di ricorrere allo strumento del recupero edilizio per le operazioni di ricostruzione, e l’approvazione del piano particolareggiato nel 1978: una serie di effetti sui quali l’amministrazione locale ha costruito le proprie basi per la ricezione delle idee del Laboratorio Belice 1980. È anche grazie a questi aspetti di natura legislativa che il gruppo di Siza ha potuto perfezionare un principio d’intervento sul tessuto preesistente diventato paradigmatico nel dibattito sulla relazione antico-nuovo, il cui fondamento generale è così descritto da Collovà: “profiting from the phenomenon of the catastrophic earthquake, like a transforming energy for the future” (Collovà, Wong, 2014, p. 99). Si è così delineato il volto dell’attuale Salemi, arricchita nella sua matericità dagli interventi di ricucitura della trama urbana che hanno reso il tessuto danneggiato nuova materia di fondazione per un palinsesto urbano inedito (Croset, 1987). Eppure, nonostante il valore delle architetture prodotte – si pensi al Teatro di Francesco Venezia (img. 03), o ai progetti di sistemazione di piazza Alicia e dei percorsi che si diramano a partire dal castello, disegnati da Siza e Collovà – l’obiettivo di un parziale ripopolamento, o quantomeno dell’innesco di nuove pratiche dell’abitare nel centro storico, non è stato raggiunto. Il sobrio entusiasmo con cui sono stati accolti gli interventi degli anni ’80 si è esaurito in poco tempo, a causa anche del disallineamento emerso in poco tempo tra i valori insiti nelle operazioni progettuali, le possibilità di gestione politica delle potenzialità che le nuove architetture avevano prodotto e le

in seguito al sisma del 1968 Salemi è stata oggetto di un forte spopolamento Sullo spopolamento del centro storico hanno inciso in modo determinante anche le politiche di ricostruzione postterremoto, e in particolare il sistema insediativo adottato: il nuovo centro (img. 02) viene concepito come un nucleo costruito ex-novo, a valle del borgo storico; sviluppato attraverso una serie di blocchi residenziali attorno a una fascia centrale di servizi, un impianto radiale di edilizia sparsa fisicamente sconnessa dal tessuto antico, genera una dispersione dei valori relazionali tra spazio e tessuto sociale preesistente e un abitare sempre più “spaesato” (Tarpino, 2016). In questo contesto, tra gli anni ’80 e ’90, Salemi diviene banco di prova per una serie di interventi architettonici volti alla valorizzazione del centro storico. Sulla scia del noto Laboratorio Belice 1980 promosso da Pierluigi Nicolin, il gruppo composto dai progettisti portoghesi Álvaro Siza, Nuno Lopez e Souto de Moura, coadiuvato da Francesco Venezia e da alcuni architetti e docenti dell’Università di Palermo tra cui Roberto Collovà, Teresa La Rocca e Marcella Aprile, propone una serie di interventi volti al recupero del centro storico. Le operazioni previste dal gruppo di lavoro internazionale si inscrivono nel quadro di un nuovo programma urbanistico comunale, basato su un approccio che lo rende un caso singolare entro il panorama degli interventi di ricostru-

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analisi lacunose delle dinamiche e tendenze socio-economiche locali. Nell’ultimo decennio il comune, e in particolare il suo centro storico, è oggetto di ulteriori tentativi di valorizzazione, tanto a livello di gestione politica quanto di sviluppo socioeconomico. Dall’operazione delle case a 1 Euro, passando per la nascita di organizzazioni culturali aventi come scopo la rimessa in circuito del borgo, Salemi vive oggi un periodo di rinnovato interesse sovralocale. Non è casuale la sua inclusione nella lista dei Borghi più belli d’Italia. Inoltre il sistema di proprietà rappresenta qui una specificità rilevante: gran parte del patrimonio edilizio danneggiato dal sisma è di proprietà comunale, condizione che in passato ha limitato l’innesco di processi di riattivazione dal basso, ma che oggi favorisce l’elaborazione di nuovi scenari di trasformazione, “il momento della crisi, del trauma negato, diventa [dunque] spazio del possibile, di costruzione di futuro” (De Rossi, 2018, p. 3). Lavorare oggi sul tema della rigenerazione dei tessuti storici come quello salemitano significa innanzitutto inserirsi in un dibattito scientifico e culturale maturato negli ultimi anni sull’intero territorio italiano, rispetto al tema dei territori marginali e del progetto in aree fragili2, ragionando anche su un possibile modello di “ricerca applicata”, allo scopo di ridefinire il significato che la cultura del progetto può assumere oggigiorno nel nostro Paese, intersecando esigenze sociali, culturali, economiche e politiche. Come affermato da Ignazio Vinci all’interno di Recycle Italy3, l’investimento diffuso verso le aree interne della Sicilia – attribuibile principalmente alle politiche attuate dalla SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne) negli anni 20142020 – si rivela come “il riconoscimento di una vitalità e continuità progettuale che diversi sistemi locali hanno consolidato nel tempo” (Vinci, 2015, p. 59). Si tratta di piccoli comuni che negli ultimi decenni hanno saputo comprendere il potenziale della propria dimensione territoriale, sedimentando progettualità locali a partire talvolta dalla valorizzazione di risorse fortemente riconoscibili, come nel caso dei

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03. Scorcio del teatro progettato da Francesco Venezia e Roberto Collovà. A foreshortening of the theatre designed by Francesco Venezia and Roberto Collovà. Alessandro Depaoli

parchi e delle riserve, e talvolta dal riconoscimento di valori e potenzialità latenti risultati in una duplice dimensione d’intervento: da un lato il potenziamento del sistema locale delle produzioni, dall’altro il lavoro sull’immagine attorno a queste produzioni e ai luoghi che ne risultano investiti. Si tratta tuttavia di una cultura del progetto che investe anche la dimensione dello spazio costruito, che deve stimolare un migliore rapporto tra artificio e natura (Forlani, 2010). La ricostruzione di Salemi non può dunque prescindere da un mutuato quadro esigenziale dei futuri utenti, che influenza le scelte morfologiche e distributive, così come le soluzioni tecnologiche. A tal proposito il primo passo da compiere è la costituzione di un osservatorio/laboratorio continuo sul territorio, in grado di dialogare con la comunità locale e moltiplicare la produzione di materiali conoscitivi e interpretativi. Riprendendo le parole di Toni Casalonga (2017) “quando scompare un modo di vivere, si creano

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04. Localizzazione delle aree di progetto. Location of project sites.

vuoti, si aprono spazi che sono la prima condizione necessaria per la mutazione: così scompaiono anche gli ostacoli, e nasce la libertà di fare, la prima delle condizioni – la possibilità di fare – non nasce dalla nostalgia del passato ma dalle opportunità aperte della sua dipartita”. Ri-generare il borgo: nuove architetture e nuove socialità L’attuale condizione del centro storico di Salemi evidenzia la necessità di avviare un processo di recupero del patrimonio costruito e di incentivare iniziative volte alla promozione di un “riuso attivo” dei manufatti4. L’obiettivo alla base del lavoro sviluppato finora, sia a livello didattico che di ricerca, è la delineazione di scenari di rigenerazione urbana e la sperimentazione di nuove sinergie tra università, cittadini, amministrazione, studenti ed esperti del settore. Quello salemitano è infatti un territorio con potenzialità rilevanti in termini di crescita socio-economica e culturale; un territorio che tuttavia necessita dell’impiego di risor-

se umane ed economiche in grado di cogliere e mettere a sistema proposte e processi. Le trasformazioni spaziali che hanno interessato fino a oggi Salemi – come gran parte della regione belicina – hanno operato entro logiche di tutela estetizzanti, spesso senza coglierne le reti relazionali ed economiche locali e sovralocali, che, come detto, possono rappresentare un volano per produrre una parziale inversione della tendenza di calo demografico. Scomponendo e integrando gli spazi dell’abitare con nuovi luoghi per la ricerca e la ricettività, si può dunque stimolare la costruzione di quello che, seppur presentandosi come un sistema urbano unitario e riconoscibile, si configuri come un ibrido innovativo. I primi esiti di quest’azione accademica sono coincisi con alcune prefigurazioni progettuali, basate sull’ipotesi di nuove destinazioni d’uso legate a ricettività e attività di ricerca. Salemi è stata immaginata come un nuovo polo per accogliere studenti universitari che svolgono attività di studio sui beni architettonici e archeologici del territorio, nonché come cen-

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05. Sal ICSE: veduta prospettica complessiva e planivolumetrico. Sal ICSE: overall view and planivolumetric scheme. Irene Carrozzo, Chiara Casalegno, Ester Mukinyi Vuza Nikomba, Sara Pulvirenti

tro catalizzatore di un turismo esperienziale, legato ai percorsi tra i borghi più belli d’Italia, alla cultura e alle tradizioni locali. Studenti e docenti hanno sviluppato progetti finalizzati a mettere in luce la potenzialità di alcune aree (img. 04) all’interno del tessuto del centro storico – Piano Cascio, La Misericordia, i Giardini del Carmine e il “Rabato” San Biagio – attraverso la valorizzazione architettonica e paesaggistica, la creazione di un’accoglienza inclusiva e diversificata, la promozione del turismo sostenibile, il sostegno alle politiche di sviluppo sociale, culturale ed economico per la comunità locale. Nell’ambito dei vari progetti sviluppati, la figura 05 illustra le caratteristiche morfologiche e compositive di una delle proposte elaborate sull’area denominata “Rabato” San Biagio, che si sviluppa lungo le curve di livello del sito per garantire la continuità tra nuova edificazione e tessuto urbano esistente, ricucendo la trama urbana, garantendo la permeabi-

lità e l’accessibilità dello spazio aperto, nonché il rapporto tra borgo antico e sistema paesaggistico circostante. La realizzazione di una vasta porzione di suolo permeabile nella zona centrale non è casuale: il progetto si sviluppa in due parti ben distinte e con funzioni nettamente diverse, cucite

l’amministrazione comunale sta promuovendo l’attrattività e l’accoglienza del centro storico

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da una trama di percorsi fortemente connotati dalla presenza della vegetazione. A sinistra l’area didattica e commerciale, a destra quella residenziale. Le due zone si basano tuttavia sullo stesso principio insediativo: conservare la memoria storica della città di Salemi tramite il consolidamento delle mura esistenti, all’interno delle quali vengono inseriti i nuovi volumi.

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06. 4R Alicia: pianta della quota 0, sezione. 4R Alicia: ground floor plan, section. Gabriele Fuschino, Giuseppe Mangiola, Giulia Milani, Chloé Thullier

Ri-costruire l’ambiente costruito In parallelo una seconda attività di ricerca si è focalizzata sulla determinazione di appropriate strategie di progettazione architettoniche e tecnologico-ambientali finalizzate a soddisfare le esigenze di benessere dei nuovi utenti. Un progetto, quello per Salemi, che riscopre l’importanza di porre l’uomo al centro del progetto, subordinando le scelte morfologiche e tecnologiche al perseguimento delle condizioni di comfort termico, igrometrico e visivo degli ambienti confinati e degli spazi aperti in differenti periodi dell’anno. In questa direzione particolare attenzione è stata posta alle caratteristiche microclimatiche di sito, per modellare volumi e superfici, definire rapporti tra elementi di involucro trasparenti e opachi, selezionare stratigrafie, realizzare nicchie di comfort outdoor. Nell’area dei Giardini del Carmine, che rappresenta un contesto particolarmente complesso, connotato da preesistenze per lo più costituite da ruderi, l’impianto dell’ipotesi

progettuale 4R Alicia (img. 06) accoglie la tradizione, consolidando parte delle originarie cortine murarie, e apporta innovazione attraverso l’utilizzo di una doppia pelle costituita da sistemi di schermatura dinamici. Le aperture sono collocate in modo da sfruttare le brezze estive e una facciata in continua trasformazione durante le ore del giorno regola automaticamente l’apertura degli schermi in funzione della radiazione solare incidente. Le originarie cortine murarie sono consolidate e mantenute non solo verso la strada ma anche utilizzate per la realizzazione di spazi verdi, nicchie di comfort sfruttabili tanto nei mesi estivi quanto in quelli invernali. Ecco allora come il progetto diventa mezzo per sviluppare una riflessione che integri aspetti oggettuali e processuali, muovendosi tra la ricucitura della trama urbana, la permeabilità e l’accessibilità dello spazio aperto, il rapporto tra borgo antico e sistema agricolo-paesaggistico circostante, la riqualificazione delle aree in abbandono. Non vi è dunque solo il tema del recupero della preesisten-

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07. Il borgo antico della città di Salemi. In alto a destra, il castello normanno-svevo. The old town of Salemi. At the top right, the Norman-Swabian castle. Alessandro De Paoli

za attraverso un approccio per micro-innesti di nuovi volumi e funzioni che dialoghino con i ruderi, ma più in generale di una nuova attenzione alla qualità urbana e architettonica complessiva, al rapporto tra edifici e spazio aperto, al valore di questi luoghi in relazione alla contemporaneità. Conclusioni Il lavoro di analisi, progetto e valutazione sin qui condotto ha contribuito alla delineazione dei primi scenari di trasformazione del borgo antico (img. 07) in un centro attrattivo, vitale e attento ad alcune mutazioni della comunità locale. Le proposte sviluppate prospettano, come evidenziato, la rigenerazione e la ricostruzione di un sistema insediativo sostenibile, attento alle relazioni materiali e immateriali con il contesto, che assume i connotati di sistema replicabile sul territorio. Salemi si configura in tal senso come nodo di una rete integrata di borghi rigenerati e ricostruiti: rete che rappresenta un volano per innescare nuove opportunità di valorizzazione territoriale. Lavorare sul ripensamento delle aree interne e dei centri minori appare inoltre particolarmente significativo in questa fase di emergenza globale generata dal COVID19, che ha inaspettatamente riaperto una riflessione a scala nazionale proprio a partire dalla eco mediatica stimolata da importanti architetti come Massimiliano Fuksas, Stefano Boeri e Mario Cucinella. A questa dimensione del dibattito – forse effimera – si sono aggiunte le voci dei territori (supportati dall’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani – UNCEM) che chiedono un nuovo patto tra aree urbane forti e aree interne5. Senza trarre conclusioni affrettate rispetto agli scenari futuri che l’attuale contingenza sta delineando, è comunque evidente che anche il caso qui trattato potrà assumere una prospettiva più ampia in cui la ricostruzione dei tessuti insediativi e sociali locali guardi a geografie più estese, in un quadro di ridefinizione generale degli equilibri territoriali basati su di un nuovo rapporto sinergico tra le differenti parti del territorio.*

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NOTE 1 – Il dato fa riferimento all’elaborazione prodotta da Tuttitalia, sulla base dei censimenti Istat, sulla popolazione salemitana, disponibile alla pagina https://www.tuttitalia.it/ sicilia/65-salemi/statistiche/censimenti-popolazione/ (visionato il 25/07/2019). 2 – Per approfondire si veda la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), azione mirata al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza le aree interne del Paese. La SNAI è sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali. 3 – In linea con gli obiettivi di Horizon 2020 e con le politiche strategiche di Europe 2020, e in conformità con le indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio, Recycle Italy è una ricerca che intende esplorare le ricadute operative del processo di riciclaggio sul sistema urbano – inteso come un insieme di conoscenze e culture capaci di sviluppare e proporre sinergicamente modi, norme e regole d’intervento sul costruito – affinché questi “materiali” tornino a far parte, insieme al sistema ambientale, di un unico metabolismo. Le discipline presenti all’interno del progetto, attorno alle quali si è costruito il gruppo di lavoro, sono la progettazione architettonica e urbana (ICAR/14), l’urbanistica (ICAR/21) e l’architettura del paesaggio (ICAR/15), di concerto con altri saperi legati al processo di trasformazione del territorio (dalla tecnologia alla storia, dalla pianificazione all’agronomia). 4 – Come affermato da Vito Teti, la nostra è “una storia di abbandoni e spopolamento; la crisi in cui versano le zone interne, le rovine, le macerie, assieme alla sensibilità che si va affermando per un nuovo senso dell’abitare indicano una sola prospettiva: riguardare i luoghi, riconoscerli, averne cura. […] Avere cura è un fatto etico, morale, estetico ma anche pratico e produttivo” (Teti, 2018, p. 197). Questo il significato che si intende attribuire a “riuso attivo”, in cui il processo non inizia e non si conclude in un tempo definito, ma necessita invece di espandersi in una duplice direzione: da un lato una rilettura del passato per definire linee d’azione e i possibili scenari di sviluppo, e dall’altra un’educazione dello sguardo di chi abita questi luoghi, in grado di incidere sulle autorappresentazioni che se ne fanno, stimolando una nuova presa di coscienza e conseguente cura. 5 – Si veda ad esempio l’articolo di Cristina Nadotti “I piccoli borghi rispondono a Boeri: Lavoriamo insieme a un piano nazionale” su “La Repubblica” del 22 aprile 2020. BIBLIOGRAFIA - Casalonga, T. (2017), “Il racconto della Corsica dei piccoli paesi”, in Dialoghi Mediterranei, n.28. - Cantarella, L., Giuliano, L. (2012), “Topografia del trauma. Cahier 01. La valle del Belice, Sicilia: un’indagine territoriale”, Landform/ABADIR, Catania. - Collovà, R., Wong, L. (2014), “Taking on the shape of things. Roberto Collovà: Spirit of resilience”, in “intAR – interventions adaptives reuses”, n.5. - Croset, P.A. (1987), “Salemi e il suo territorio”, in “Casabella”, n.536. - Cagnardi A. (1981), “Belice 1980”, Marsilio, Venezia. - De Rossi, A. (2018), “L’inversione dello sguardo. Per una nuova rappresentazione territoriale del paese Italia”, in De Rossi, A. (a cura di), “Riabitare l’Italia”, Donzelli, Roma, pp. 02-17. - Fabian, L., Munarin, S. (2017), “Re-Cycle Italy. Atlante”, Letteraventidue, Siracusa. - Forlani, M.C. (a cura di) (2010), “Cultura tecnologica e progetto sostenibile. Idee e proposte ecosostenibili per i territori del sisma aquilano”, Alinea, Firenze. - Jodice, M., Venezia, F. (1984), “Salemi e il suo territorio”, Electa, Milano. - Navarra, M., Adamo, L. (a cura di) (2017), “Terre fragili. Architettura e catastrofe”, Letteraventidue, Siracusa. - Nicolin, P., et al (1983), “Dopo il terremoto”, Electa, Milano. - Tarpino, A. (2016), “Il paesaggio fragile: L’Italia vista dai margini”, Einaudi, Torino. - Teti, V. (2018), “Il sentimento dei luoghi, tra nostalgia e futuro”, in De Rossi, A. (a cura di), Riabitare l’Italia, Donzelli, Roma, pp. 191-203. - Vinci, I. (2015), “La prospettiva “rururbana” nello sviluppo regionale: risorse, opportunità e nodi per le aree interne della Sicilia”, in “Recycle Italy. Territori interni”, Aracne, Roma, pp.54-63.

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Michele Manigrasso Architetto, urbanista e paesaggista. PhD presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Pescara. michelemanigrasso@gmail.com

Il futuro ha un cuore antico

01. Vista dalla Villa comunale, ingresso, anni 50. View from the municipal villa, entrance, 1950s. Private library of Teresio Cocco

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dialogare con la storia per il rilancio di Chieti Alta The Future has an Ancient Heart The aim of this paper is to explore the conditions of the “small Italies”, that from one side represent the true identity of our country , but from the other show delays, backwardness and marginality in comparison with the competitive and propulsive central business districts. Chieti Alta is an emblematic case study to think about the relationships between the historic cities of the internal territories - in the process of growing depopulation - and coastal territories, colonized by “homologating conurbation” and by interurban infrastructure systems. With these premises, the thesis project of Luca Petruccelli is illustrated. A work that proposes the burg as “capital of the Adriatic archaeology”.* Il contributo ragiona sulle condizioni delle “Piccole Italie” che se da un lato rappresentano la vera identità del nostro Paese, dall’altro manifestano ritardi, arretratezza e marginalità rispetto ai centri propulsori e competitivi. Chieti Alta è un caso emblematico nell’aperta contesa di ruolo tra borgo medioevale, denso (e in fase di crescente spopolamento), e piana colonizzata da “conurbazione omologante” e tessuta da sistemi infrastrutturali di rango sovralocale. Con queste premesse si illustra il progetto di tesi di laurea dell’arch. Luca Petruccelli, lavoro che propone di promuovere il borgo a “capitale dell’archeologia adriatica”.*

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arginalità al centro I cambiamenti sono l’impronta del contemporaneo. Se l’immagine dell’Italia è quella di un Paese dove è molto ampio il divario tra territori competitivi e periferici, abbiamo bisogno di cambiamenti strutturali per un progetto nazionale e “generazionale” che recuperi il patrimonio sedimentato e sottoutilizzato, da adattare alle nuove esigenze, riducendo l’effettiva marginalità delle aree interne1. Tema che attraversa la storia dell’architettura e dell’urbanistica italiana del secolo scorso, e che intercetta in maestri come Giuseppe Samonà, Giancarlo de Carlo, Pier Luigi Cervellati – solo per citare alcune delle figure più note – i riferimenti di un’ampia letteratura scientifica e di un bagaglio progettuale dedicato al recupero dei centri storici. È una questione molto densa e aperta, che intercetta sfere di ragionamenti complessi e interrelati: per esempio, la dialettica sui linguaggi del passato e quelli in formazione; l’eterogeneità morfologica, sociale ed economica dei contesti italiani; i fallimenti dell’urbanistica moderna in parte testimoniati dalla fragilità territoriale diffusa, tra cui la mancanza di armonizzazione tra processi di governance, strumenti di pianificazione e loro attuazione. Il passato, anche recente, ci dimostra la fatica nel nostro Paese a portare a compimento azioni di tutela e di riuso del patrimonio storico; le difficoltà a reintrodurre, nelle logiche di funzionamento delle reti territoriali contemporanee, sistemi a velocità ridotta; a recuperare e riattivare aree in declino. Più profondamente, gli ostacoli che si incontrano a voler dare continuità alla storia, consapevoli della bellezza e dell’unicità del patrimonio che abbiamo ereditato (Albrecht, Magrin, 2017). I cambiamenti in corso stanno accrescendo le differenze tra parti di territorio, come in un mosaico di tessere più o meno attive e competitive, esacerbando i problemi in quelle realtà dove la congiuntura di più fattori facilita fenomeni di recessione ad ampio spettro: svuotano lo spazio, ne riducono le dimensioni necessarie, ne delocalizzano le funzioni, ne aumentano la vulnerabilità e il senso di insicurezza di chi

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02. Skyline di Chieti Alta, anni ’30. Skyline of Chieti Alta of the ‘30s. Private library of Teresio Cocco

lo abita. La crisi ambientale, la crisi fiscale dello stato e quella migratoria hanno accelerato quel processo di recessione che ha spinto, per esempio, Enrico Borghi, a scrivere di una sorta di “Italia in bilico”. Il territorio nazionale rispecchia un fenomeno accentuato di concentrazione della popolazione nelle aree metropolitane e nelle zone costiere, uno sviluppo preoccupante a sfavore dell’entroterra e del destino delle “Piccole Italie”: c’è una parte del Paese avviata verso un processo irreversibile di impoverimento, soprattutto perché la riduzione e l’invecchiamento della popolazione non assicurano un sufficiente ricambio generazionale (Borghi, 2017). Condizione che assume una dimensione ancor più rilevante, se riferita alla ricostruzione dei borghi devastati dal sisma (nel 2009 e nel 2016) o a porzioni di territori colpiti dagli eventi estremi sempre più frequenti. Come fa notare Antonio De Rossi nel prezioso volume Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (2018), tali condizioni di instabilità hanno acceso i riflettori sulle aree interne, ma con uno spirito nuovo rispetto al

linsesto di studi e iniziative: apparato di indagini costruito attraverso il filone di ricerca sulla sostenibilità che ha individuato come principale contesto di riflessione quello urbano, riconfermando in secondo piano quei territori marginali “lasciati indietro”2. Il bilancio che annualmente registriamo in Italia in termini di consumo di suolo3, è ricco di contraddizioni rispetto al fenomeno di abbandono e sottoutilizzo. I numeri raccontano di una tendenza paradossale che siamo invitati a invertire, aumentando le energie volte al recupero del patrimonio, nei luoghi dello scarto, tra eredità e “rovine contemporanee”, per riattivarlo dentro logiche e metabolismi territoriali. Soprattutto in quelle realtà dove proprio il riuso dell’esistente può rappresentare – oltre al senso di responsabilità verso la memoria – la chiave strategica per lo sviluppo, fino a oggi disatteso. Come analizzato da Lorenzo Fabian e Stefano Munarin all’interno della ricerca RE-Cycle Italy4, il fenomeno ha forme diverse. Una prima geografia è quella “dell’espansione senza riciclo”, ovvero quella in cui i fenomeni di abbandono e di consumo coincidono. Sono aree in cui il mercato immobiliare è stato più energico e spregiudicato e dove tali dinamiche si sono manifestate ogni qual volta un oggetto, un edificio o una porzione di territorio veniva sostituito altrove e con qualcosa di nuovo: espressione “di una crescita sempre più disaccoppiata dallo sviluppo, che ha lasciato al suolo macerie” (Lanzani, Zanfi, 2013). Se distogliamo lo sguardo dalle aree dove il consumo di suolo è stato più intenso, possiamo osservare come emerga una “geografia dell’abbandono”, laddove il numero di edifici inutilizzati è particolarmente rilevante e i processi di dismissione non si accompagnano a fenomeni di nuova costruzione. “La geografia dell’abban-

c’è una parte del Paese avviata verso un processo irreversibile di impoverimento, soprattutto perché la riduzione e l’invecchiamento della popolazione non assicurano un sufficiente ricambio generazionale passato. E questa “inversione di sguardo” è riconducibile a diversi fattori, tra cui la crisi del modello di sviluppo delle città e delle pianure, che da qualche decennio è sotto accusa per i tanti problemi, soprattutto di natura sociale e ambientale, affrontati e messi in luce da un complesso pa-

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dono mette in evidenza i territori che soffrono più di altri, si spalma diffusamente nelle aree periferiche e nelle campagne meno accessibili, ha i suoi epicentri nei borghi disabitati situati perlopiù nelle aree marginali ed interne” (Fabian, Munarin, 2017, p. 35). In una prospettiva di riscoperta, valorizzazione e rilancio di queste realtà, anche attraverso una maggiore coesione territoriale – come propone la Strategia Nazionale per le Aree Interne – emergono inevitabilmente nuove necessità di pianificazione e progetto. L’urbanistica, l’architettura e la pianificazione del paesaggio sono invitate a traguardare la costruzione di una nuova immagine di Paese, introiettando nei propri strumenti di governo la necessità di ritornare ad abitare le aree interne e di facilitarne l’accessibilità. Il quadro dei sistemi territoriali definito dalla ricerca “Itaten” (Clementi et al., 1996) negli anni ’90, oggi necessita di evolvere secondo nuovi equilibri tra coste, aree di mezzo e montagna, mitigando le “emorragie demografiche” e assecondando i cambiamenti virtuosi: nuovi turismi, innovazioni tecnologiche, diverso uso del suolo, ecc. I 22.621 centri storici del bel Paese sono al centro di questa visione: il modello urbano post-moderno, puntellato di grandi centri e sconfinate periferie, è messo in discussione e i piccoli borghi si presentano come alternative interessanti sulle quali sperimentare organizzazioni spaziali diverse (Pola, 2017), in un discorso aperto al territorio, che da esse può assumere nuove ragioni di attraversamento. Riabitare Chieti Alta tra storia e innovazione All’interno di questo filone di ricerca e di ragionamenti, un progetto molto interessante e originale è il lavoro di tesi di laurea5 dell’arch. Luca Petruccelli – che chi scrive ha seguito come correlatore di Urbanistica – vincitore dell’ultima edizione del Premio RIUSO del Consiglio Nazionale degli Architetti. Una proposta che affronta il tema della marginalità di un centro storico,

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03. Tempietti romani. Roman small temples. Private library of Teresio Cocco

04. La cisterna romana in Via Gizzi. The Roman cistern in Via Gizzi. Private library of Teresio Cocco

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05. Masterplan, con l’individuazione dei progetti puntuali. Masterplan, with the identification of the individual projects.

quello di Chieti, intrepretandolo come “città-laboratorio” capace di ristabilire equilibri virtuosi tra le diverse emergenze territoriali: tra borgo medioevale arroccato in collina, campus universitario, piana colonizzata da “conurbazione omologante” e tessuta da sistemi infrastrutturali di rango sovralocale.

vitalità dovuta dallo spopolamento da parte dei giovani: in effetti, nonostante sia conosciuto a livello nazionale come città universitaria, il borgo è escluso dai flussi degli studenti, che si muovono prevalentemente tra Pescara e Chieti Scalo, dove trovano collocazione le sedi operative. Se da un lato, la scelta di realizzare il campus nella piana (negli anni ’80) ha dato respiro alle attrezzature organizzandole all’interno di un grande parco, luogo piacevole e apprezzato da molti, d’altro canto ha giocato a sfavore del borgo che, appunto, si sta svuotando di funzioni e abitanti. Secondo Luca Petruccelli, il centro, per riscattarsi, dovrebbe rafforzare la sua specifica identità di città della cultura e dell’archeologia, anche attraverso le facoltà universitarie interessate, che potrebbero trovare più idonea collocazione nel suo tessuto, recuperando una serie di edifici di pregio,

la sfida che ci attende oggi per il destino delle aree interne marginali è farle avanzare nel contemporaneo, innovandole nella tradizione Realtà storica di particolare pregio architettonico e culturale, Chieti presenta oggi uno stato di sottoutilizzo e degrado dei suoi spazi aperti e pubblici, cui si associa la scarsa

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06. La cisterna romana: un nuovo percorso urbano-archeologico. The Roman cistern: a new urban-archaeological path. Crediti

07. Dal tessuto storico alle terme romane. Intermittenze archeologiche e continuità dei percorsi. From the historical fabric to the Roman baths. Archaeological intermittence and continuity of the paths.

oggi vacanti. La sua morfologia è sostanzialmente quella ereditata dal Medioevo, influenzata da addensamenti periferici del dopoguerra che però non hanno alterato significativamente l’impianto urbano originario. Il sito storico, frequentato fin dall’epoca protostorica, è ricco di rilevanti siti archeologici, testimonianza dell’antica presenza dei Marrucini e della Teate Romana. Questa ricchezza oggi è per lo più sommersa, conservata con soluzioni frammentarie, puntuali, poco adatte a valorizzarne il grande potenziale, sia sotto il profilo della riconoscibilità identitaria che dell’attrattività turistica. In risposta alle condizioni attuali, l’idea alla base della proposta è che il complesso palinsesto su cui è costruita la città diventi visibile e patrimonio tangibile per gli abitanti e i turisti: in particolare, le cisterne romane, spazi sotterranei unici oggi chiusi alla fruizione. Il progetto si pone come traccia per documentare e riqualificare la sintassi tra le epoche storiche, rivelando gli spazi ipogei “invisibili” (img. 02-04) e connet-

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tendoli, attraverso nuovi gates di accesso, alla città visibile (img. 03). In questo scenario, Chieti Alta è pensata come vera città universitaria e “capitale dell’archeologia adriatica”, creando inedite sinergie con Chieti Scalo, con Pescara e l’area metropolitana. Inoltre, l’introduzione degli studenti come “nuovi abitanti” del centro storico si fa volàno, non solo per l’innesco di un processo di riqualificazione fisica della città, ma anche per la gestione degli spazi e il conferimento di maggiore vitalità urbana nell’ordinario. La riconnessione dei diversi siti archeologici attraverso un sistema riconoscibile di itinerari pedonali e spazi pubblici (img. 05) è affiancata da strategie innovative per comunicare il senso del patrimonio, utilizzando i linguaggi multimediali resi possibili dalle tecnologie smart che oggi abbiamo a disposizione. In questo modo, il progetto propone un singolare parco archeologico urbano, tessuto in superficie e nelle cavità riscoperte del suolo, caratterizzato dalla presenza di un innovativo museo anche immateriale (img. 06, 07): un vero e

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08. Pianta della copertura del centro culturale. Preesistenza e nuovo intervento. Top floor of the cultural center. The existing and the new intervention. Esploso assonometrico. Il volume preesistente e il collegamento ipogeo al nuovo edificiopercorso. Axonometric explosion. The existing building and the underground connection to the new building-path.

proprio laboratorio locale alimentato da vecchi e nuovi abitanti, mirato a mettere in opera una pluralità di racconti suggestivi, anche grazie alla collaborazione del Dipartimento di Lettere e Arti dell’Università di Chieti-Pescara. Dopo aver indagato le possibilità di accedere alla quota archeologica, avanzando proposte di riqualificazione dell’intero sistema a essa connesso, il progetto approfondisce il recupero dell’Ex Caserma Bucciante, convento risalente al 1400, vacante dal 2012 e di responsabilità dell’Agenzia del Demanio. L’edificio, immerso all’interno della Villa Comunale, è interpretato come “cabina di regia” della città archeologica: si riattiva il corpo di fabbrica principale e si definisce una nuova volumetria per sostituire i manufatti prospicienti, da demolire secondo prescrizioni di piano. L’idea che rinnova il complesso è che il Dipartimento di Archeologia, oggi presente a Chieti Scalo, potrebbe spostarsi e trovare collocazione in questo nuovo polo culturale. Mentre la fabbrica esistente è destinata a ospitare anche

la nuova sede del Mibact, la biblioteca provinciale, alloggi temporanei per i ricercatori, spazi espositivi per artisti contemporanei e spazi per il co-working, nel nuovo volume si propone un centro di ricerca per il restauro archeologico, con laboratori, archivi, biblioteca/mediateca tematica, sala conferenze, ecc. Questo nuovo corpo di fabbrica è innestato, attraverso una galleria espositiva, alla quota ipogea dell’edificio preesistente (img. 08, 09); emerge come suolo abitato, sviluppa un flusso continuo di percorsi tra spazi esterni e interni, coinvolgendo i fruitori in una realtà dinamica, intrisa di storia e contemporaneità. Custodire il fuoco per produrre bellezza Progetti di rivitalizzazione delle aree interne e dei borghi dimenticati, attenti alle identità storiche ma aperti all’innovazione – proprio come questo lavoro di Luca Petruccelli – propongono interventi che “continuano la storia” di un luogo, di una città (Corajoud, 2010), aumentandone il senso

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09. Vista tridimensionale del nuovo centro culturale. 3D views of the new cultural centre.

nel territorio vasto. Incoraggiano l’ineludibile provvisorietà dei palinsesti, tra cancellazioni e riscritture, restituendo in filigrana un sapiente gioco di riflessi tra passato, presente e futuro. In altre parole, sono idee coraggiose ma necessarie, che cristallizzano, in una ramificata archeologia urbana, l’affermazione di Carlo Levi “il futuro ha un cuore antico”. La sfida che ci attende oggi per il destino delle aree interne marginali è farle avanzare nel contemporaneo, innovandole nella tradizione. Orientare verso questi luoghi l’angolo di visuale delle nostre discipline e delle politiche, per una migliore connessione e un’inedita messa in tensione con i territori metropolitani, è una questione di interesse nazionale, una necessità e un’opportunità da cogliere, e non un mero esercizio retorico. In particolare, la disponibilità di un numero rilevante di contenitori urbani, dismessi o in via di dismissione anche a seguito delle incombenti politiche di razionalizzazione degli uffici pubblici imposte dalla spending rewiew, induce a promuovere efficaci progetti di rilancio dei centri storici, associati in particolare alle nuove prospettive dell’economia e della società della conoscenza (Clementi, 2016). Si tratta di riportare l’antico al centro del progetto della modernità, secondo la lungimirante intuizione dello storico francese Le Goff (2009). La formulazione di tattiche place-based, dunque locali e commisurate alle identità dei luoghi specifici, deve compiersi all’interno di strategie olistiche di area vasta, per ricollocare le aree interne, e in special modo i borghi, in un telaio territoriale più equilibrato, interpretando in chiave contemporanea la storia come suolo fecondo per edificare il nuovo. D’altra parte, per competere in un mondo globalizzato bisogna avere radici solide: si risponde alla crisi producendo bellezza, rafforzando, allo stesso tempo, quel senso di identità che aiuta a essere protagonisti (Realacci, 2017). Perché il futuro da noi ha radici antiche e per dirla con Mahler, “tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”6.*

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NOTE 1 – Per una definizione di “aree interne” si veda Barca F., Casavola P., Lucatelli S., (a cura di) “Strategia nazionale per le Aree Interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”. 2 - Espressione utilizzata e ampiamente motivata dal sociologo Giovanni Carrosio nel suo libro “I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione”, p. 11, Donzelli Editore, Roma 2019. 3 – Si veda “Andamenti socio-demografici, uso del suolo e diversità delle Aree interne”, in Barca F., Casavola P., Lucatelli S., (a cura di) “Strategia nazionale per le aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, pp. 27-32. Inoltre, si vedano gli scenari formulati da ISPRA, ad esempio il rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, Edizione 2019. 4 – Ricerca Prin “RE-Cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio”. Coordinatore nazionale: Prof. Renato Bocchi. I principali risultati della ricerca sono disponibili su www.recycleitaly.net/ 5 – “Riqualificazione e valorizzazione dell’area archeologica di Chieti Alta e recupero dell’ex Caserma Bucciante”, tesi dell’arch. Luca Petruccelli, realizzata nel Laboratorio “Architettura Vacanti”, ambito “Progetto e Contesto”, proff. P. Misino, V. Fabietti, M. Manigrasso. Dipartimento di Architettura di Pescara. Anno accademico 2017-2018. 6 – Pensiero espresso dal compositore Gustav Mahler nel 1887. BIBLIOGRAFIA - Albrecht, B., Magrin, A. (a cura di) (2017), “Il Bel Paese. 1 Progetto X 22.621 centri storici”, Rubbettino Editore, Catanzaro. - Borghi, E. (2017), “Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale”, Donzelli Editore, Roma. - Carrosio, G. (2019), “I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione”, Donzelli Editore, Roma. - Clementi, A., Dematteis, G., Palermo, P. C. (a cura di) (1996), “Le forme del territorio italiano”, Laterza, Roma-Bari. - Clementi, A., Pozzi, C. (a cura di) (2016), “Progettare per il futuro della città. Un laboratorio per Chieti”, Quodlibet Edizioni, Macerata. - Corajoud, M. (2010), “Tutto è patrimonio”, in Andriani C. (a cura di), “Il patrimonio e l’abitare”, Donzelli Editore, Roma. - Cortesi, C., Stabile, F. R. (2009), “Centri storici minori. Progetti per il recupero della bellezza”, Gangemi Editore, Roma. - De Martiis, A., Obletter, G., Rapposelli, A. (1976), “Rete idrica e cisterne romane teatine”, Marchionne, Chieti. - De Rossi, A. (a cura di) (2018), “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”, Donzelli Editore, Roma. - Fabian, L., Munarin, S. (a cura di) (2017), “Re-cycle Italy. Atlante”, LetteraVentidue, Siracusa. - Lanzani, A., et al. (2013), “Quando l’autostrada non basta Infrastrutture, paesaggio e urbanistica nel territorio pedemontano lombardo”, Quodlibet Edizioni, Macerata. - Le Goff, J. (2009), “Il Medioevo raccontato da Jacques Le Goff”, Laterza, Roma-Bari. - Marotta, A. (a cura di) ( 2015), “Archeologie”, Quaderni di architettura dell’Ance, EdilStampa, Roma. - Pugliese, E. (2002), “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne”, il Mulino, Bologna. - Tarpino, A. (2016), “Il paesaggio fragile. L’Italia vista dai margini”, Giulio Einaudi Editore, Torino.

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Eliana Martinelli Assegnista di ricerca e docente a contratto DiDA, Università degli Studi di Firenze. eliana.martinelli@unifi.it

Rigenerazione partecipata

01. Foto dal drone. Photo from the drone. Altreluci Fotografia

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AREE INTERNE


il caso studio di Sant’Angelo Vico l’Abate Participatory Regeneration The regeneration project of Sant’Angelo Vico l’Abate, an ancient rural settlement in the Chianti region, represents an experimental pilot study included in the Strategic Plan of the Metropolitan City of Florence. The project was initially promoted by the local community, which expressed the need of reacquiring the space, memory and values of the site. “Regeneration” is seen as a reconstruction of spaces and common activities, in line with the contemporary ways of living. The design process includes the territorial, architectural and set-up scales.* Il progetto di rigenerazione di Sant’Angelo Vico l’Abate, antico insediamento rurale nel Chianti, costituisce uno studio pilota sperimentale, indicato nel Piano Strategico della Città Metropolitana di Firenze. L’iniziativa progettuale è stata intrapresa dalla comunità locale, principale promotrice del processo, che ha espresso un’esigenza di riappropriazione del luogo, in termini di spazio, memoria e valori. “Rigenerazione” è qui intesa come ricostruzione di spazi e attività collettive, in linea con i modi dell’abitare contemporaneo. Il progetto va dalla scala territoriale fino a quella architettonica e di allestimento.*

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l contesto L’esperienza di ricerca qui descritta tratta il progetto di rigenerazione di Sant’Angelo Vico l’Abate, un antico insediamento rurale di crinale nel Comune di San Casciano in Val di Pesa (FI) (img. 01). La specificità del contesto geografico e sociale e l’unicità dei fattori – insediativi e d’interesse collettivo – che lo determinano, hanno reso il progetto di rigenerazione un caso studio sperimentale. Esemplificato come progetto pilota di “Ri-abitare le aree interne” nel Piano Strategico Metropolitano 2030 della Città Metropolitana di Firenze1, esso interviene sulla messa a sistema dei vicariati periferici, posti ai margini dei territori urbanizzati e interessati da fenomeni di spopolamento. In epoca medievale, il luogo era parte integrante dei siti di incastellamento nel Chianti. Dell’antico castello, menzionato per la prima volta in un atto di donazione alla Badia Fiorentina nel 10092, oggi non vi sono più tracce, ma alcuni documenti attestano l’esistenza della chiesa extra castrum di Sant’Angelo, suffraganea della pieve di Campoli. L’attuale conformazione architettonica della chiesa, a croce latina con ampia navata, risale al periodo rinascimentale3. L’architettura dell’intero complesso si è sviluppata in maniera isotropa rispetto alla chiesa, che costituisce il perno compositivo attorno al quale si dislocano ambienti di rappresentanza e annessi con funzione agricola. All’esterno, in asse con la navata, si estende il cosiddetto “orto del prete”4, un giardino di pertinenza dove venivano coltivati essenze e ortaggi necessari per la sussistenza. L’iniziativa progettuale è stata intrapresa dalla comunità locale, principale promotrice del processo, che ha espresso un’esigenza di riappropriazione del luogo, in termini di spazio, memoria e valori. Le prime iniziative sono state mosse, in particolare, dai proprietari delle quattro aziende agricole confinanti con i terreni di Sant’Angelo, da sempre abitanti della zona. Ad essi si è affiancata la Parrocchia di Gesù Buon Pastore a Casellina, come portatrice d’interesse della comunità religiosa.

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02. Evento SlowFlowers Italy. SlowFlowers Italy event. Sant’Angelo Vico l’Abate, 2019. Associazione Sant’Angelo APS

Il progetto è attualmente in fase di realizzazione, grazie agli sforzi congiunti dei diversi attori: la proprietà, ovvero l’Istituto per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Firenze (IDSC); la comunità di riferimento, che si è istituita nell’Associazione Sant’Angelo APS; i finanziatori (Fondazione CR Firenze), che hanno scelto di supportare la ricerca in og-

Partendo da una lettura della memoria del complesso, si è arrivati alla progettazione di spazi e attività in linea con l’abitare contemporaneo, dove la dimensione locale si incontra con quella globale. In questo senso, ci si è riferiti a un modello di sviluppo “glocale”, nell’accezione di Bauman (2005): la comunità locale è riconosciuta come fondamento della società, ma deve interagire con sistemi più complessi per promuovere e risignificare il proprio patrimonio materiale e immateriale. In primis, sono state analizzate le modalità insediative del complesso rispetto alle esigenze locali, che per essere sostenibili devono essere inserite in una strategia di marketing territoriale, attraverso un quadro di azioni strutturato, che accompagni la valorizzazione del manufatto architettonico alla messa in valore del paesaggio e del contesto culturale in cui è inserito. Per questo, è stata di fondamentale importanza la scelta, da parte della comunità, di promuovere un modo di “fare agricoltura” alternativo alle coltivazioni intensive attualmente diffuse in Chianti, che sfruttano eccessivamente le risorse, in particolare le falde acquifere. L’Associazione Sant’Angelo APS è costituita in larga parte dai piccoli imprenditori delle aziende agricole limitrofe, che attuano una produzione di filiera corta, ponendo attenzione alle questioni ambientali. Un ruolo rappresentativo in questo senso è svolto dall’associazione SlowFlowers Italy, emanazione dell’omonima rete internazionale, che affianca l’Associazione nella produzione di fiori autoctoni e allestimenti floreali in maniera “sostenibile e organica, radicata al proprio territorio, nel rispetto dei ritmi stagionali” (img. 03, 04). Alla tutela dell’ambiente si accompagna quella dell’essere umano e dello “stare insieme”: l’Associazione ha intrapreso infatti anche attività di formazione, impiegando l’agricoltura come mezzo per promuovere azioni educative, riabilitative e di inclusione socio-lavorativa.

“rigenerazione” è intesa come ricostruzione di spazi e attività, in risposta a una domanda di comunità getto e i primi interventi architettonici; alcuni docenti e ricercatori afferenti ai Laboratori Regional Design e Dar_Med del Dipartimento di Architettura (DiDA) dell’Università degli Studi di Firenze, nel ruolo di facilitatori sociali ed esperti; infine, la Soprintendenza Archeologia, Beni culturali e Paesaggio, che recentemente ha mostrato interesse nel coadiuvare il percorso di rigenerazione. Quale rigenerazione? Il termine “rigenerazione” è oggi ampiamente utilizzato nella letteratura urbanistica e architettonica, risultando spesso ambiguo nella sua definizione e negli ambiti di applicazione, che ricorrono a varie scale di progetto. Nell’approccio progettuale impiegato a Sant’Angelo Vico l’Abate, “rigenerazione” è intesa come ricostruzione di attività e spazi, in risposta a una domanda di comunità. Nel processo, ancora in corso, si è cercato di intervenire dalla scala territoriale fino a quella architettonica e di allestimento, con l’obiettivo di riattivare alcuni modi del vivere comunitario (img. 02). L’intervento è stato facilitato dalla eccezionalità della comunità di riferimento, composta da persone diverse, per età e attività svolte, ma che non faticano a riconoscersi come collettività legata a quello specifico luogo.

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AREE INTERNE


Stato delle esigenze Il DiDA ha contribuito nel coordinare i diversi portatori di interesse, considerati anche portatori di una coscienza collettiva, e nel proporre soluzioni progettuali in grado di risignificare il luogo in termini culturali: lavorando a fianco dei tecnici delegati dall’IDSC, si è cercato di promuovere una nuova immagine del complesso edilizio, garantendo al contempo una adattabilità degli spazi ai possibili usi futuri. Grazie al processo partecipativo guidato dal DiDA, intrapreso nel 2018, sono state individuate diverse necessità degli stakeholders, coerenti con una complessiva idea di rigenerazione. In particolare, l’Associazione Sant’Angelo ha individuato come prioritari: la conversione di alcuni locali dell’area agricola in laboratori per la lavorazione e la trasformazione dei prodotti, per avviare e sostenere le attività connesse all’agricoltura sociale; il consolidamento dell’area della canonica e delle strutture murarie “dell’orto del prete”, al fine di poter realizzare eventi aperti al pubblico in totale sicurezza; la realizzazione di impianti di raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana, in linea con le esigenze di sostenibilità; il mantenimento della maggior parte degli usi agricoli presenti originariamente negli spazi dell’edificio, con l’obiettivo di recuperare la memoria del luogo. L’IDSC ha posto invece l’attenzione su due questioni: da un lato, la necessità di realizzare un intervento che tenga conto di una possibile riconversione dei locali in residenze temporanee, qualora in futuro venissero meno le attività previste dall’Associazione; dall’altro, l’importanza di restituire un ruolo religioso e culturale di riferimento al complesso, con l’apporto della Parrocchia di Casellina per le celebrazioni liturgiche. Dalla messa a sistema delle esigenze sopra descritte, è emersa una strategia di intervento generale che si è tradotta in progetto di architettura. Premessa essenziale è stata l’idea che la rifunzionalizzazione degli spazi dovesse partire dalla lettura del luogo, del complesso edilizio e dei suoi caratteri. Grazie a una corretta restituzione dell’impianto e

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03. Allestimento SlowFlowers Italy. SlowFlowers Italy set-up. Sant’Angelo Vico l’Abate, 2019. Associazione Sant’Angelo APS

04. Allestimento SlowFlowers Italy. SlowFlowers Italy set-up. Sant’Angelo Vico l’Abate, 2019. Associazione Sant’Angelo APS

una sua reinterpretazione critica, è stato possibile sviluppare un progetto complessivo, che si ponesse in continuità con la storia e la memoria dell’insediamento e della sua costruzione. Dalla lettura critica dell’impianto al progetto architettonico Procedendo con rilievi specifici e sopralluoghi, si è giunti a comprendere in maniera adeguata l’impianto tipologico. La struttura edilizia suggerisce che in origine fossero distinte due diverse porzioni, che corrispondevano ad altrettante destinazioni d’uso. L’ala perimetrale, con ambienti seminterrati o posti a una quota diversa da quella della chiesa,

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PROSPETTO EST

06. Progetto della pergola. Design of the pergola. Eliana Martinelli

PIANO TERRA

PIANO SEMINTERRATO

PIANO PRIMO Legenda Ricostruzioni Demolizioni

Area liturgica Area agricola Area eventi

Area polifunzionale Area ricettiva Area servizi

05. Destinazioni d’uso al piano terra, piano seminterrato e primo piano. Intended uses at the ground floor, basement and first floor. Eliana Martinelli

comprendeva perlopiù locali a servizio dell’attività agricola, adibiti alla lavorazione dei prodotti e allo stoccaggio. In corrispondenza di questi spazi, al primo piano, si trovavano altri ambienti di servizio. L’ala centrale era invece costituita dalla chiesa, dai locali liturgici e dalla canonica, comprese alcune stanze di rappresentanza. Il progetto si propone di riadibire gran parte dei locali alle destinazioni originarie, recuperando la struttura tipologica, andata persa in alcune parti, e implementando al contempo le possibilità di riconversione degli spazi (img. 05). Al piano terra gli interventi riguardano principalmente il consolidamento di alcune strutture murarie e dei solai che versano in stato di degrado, con l’obiettivo di rendere nuovamente accessibili le stanze della canonica, per ospitare eventi di promozione delle attività dell’Associazione. La chiesa e la sagrestia necessitano invece di un complessivo riallestimento, fondamentale, secondo l’IDSC, per recuperare il valore simbolico, religioso e culturale del luogo. L’apparato decorativo e liturgico sarà riprodotto sulla base delle fotografie storiche e del rilievo fotogrammetrico degli arredi originali. In particolare, è stato possibile rilevare il coro ligneo, oggi custodito nella Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio a Firenze, e alcuni antichi arredi conservati nel Museo Giuliano Ghelli di San Casciano. È prevista anche la riproduzione fotografica delle opere pittoriche che un tempo si trovavano qui: il San Michele Arcangelo di Coppo di Marcovaldo (1250 ca.), la Madonna col bambino di Ambrogio Lorenzetti (1319) e i dipinti della Scuola Fiorentina (XVII secolo) originariamente presenti nelle cappelle laterali. Di fronte alla facciata della chiesa, si propone la ricostituzione del sagrato originario in pietra serena. Per quanto riguarda “l’orto del prete”, è prioritario il consolidamento di tutta la struttura muraria di confine e il recupero delle pietre di pavimentazione che delimitavano il percorso di attraversamento centrale, nonché la demolizione dell’annesso agricolo nell’angolo sud-ovest. Poiché il muro d’ingresso all’orto costituisce il principale accesso

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AREE INTERNE


al complesso, il progetto si propone di riqualificarlo attraverso l’inserimento di una nuova struttura pergolata, di volume pari a quello demolito. Tale struttura accoglie alcuni luoghi dove sostare lungo il muro, e due ambienti chiusi alle estremità, utili per deporre le attrezzature necessarie alla manutenzione dell’orto. Al piano seminterrato viene ripristinato l’impianto distributivo originale dell’ala est: la riapertura di una serie di porte permette di connettere le fasi del processo di lavorazione dei prodotti agricoli, in linea con le necessità dell’Associazione. Sul terrazzamento esterno è prevista la realizzazione di un pergolato in pietra e legno (img. 06), che risponde a due necessità: una tipologica, di riconfigurazione di una porzione di edificio, essendo questa facciata ben visibile a valle; l’altra funzionale, poiché qui possono essere svolte alcune delle attività di elaborazione o essiccamento dei prodotti. Infine, si suggerisce il ripristino dei locali voltati sottostanti al terrazzamento, che potranno ospitare il magazzino e i bagni, completamente accessibili per i lavoratori diversamente abili impegnati nell’agricoltura sociale. Al piano primo è necessario un massiccio intervento di recupero dell’ala est, al fine di realizzare una residenza temporanea per gli ospiti coinvolti nelle attività della Parrocchia di Casellina e dell’Associazione. A questa finalità sarà destinato anche l’appartamento a nord, tuttora esistente. I locali ad ovest ospiteranno invece attività laboratoriali, di arte e allestimento, promosse da SlowFlowers Italy in collaborazione con l’Associazione. Dal complesso lavoro di ricerca progettuale si comprende l’importanza della lettura critico-interpretativa nella rigenerazione dei luoghi. Solo attraverso una ricostruzione dei caratteri tipologici, formali e culturali dell’insediamento (img. 07), effettuata in stretta collaborazione con la comunità di riferimento, è possibile innescare processi di rigenerazione di una memoria collettiva, che sia “operante” nella creazione di dinamiche sociali contemporanee.*

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07. Modello dell’edificio. Eliana Martinelli con Tommaso Reggioli e Arianna Sparnacci. Maquette. Eliana Martinelli with Tommaso Reggioli and Arianna Sparnacci. Laboratorio Fotografico di Architettura, DiDA Unifi NOTE 1 – Progetto inserito nel documento di visione strategica che riporta gli aggiornamenti prefigurati nel “Documento di indirizzo” approvato dal Consiglio Metropolitano con DCM n. 22 del 21.3.2018 “Visione 1. Accessibilità universale, Ri-abitare le aree interne”. 2 – Il nome Vicchio Abbatis denuncia il possedimento del complesso da parte dell’abate del cenobio fiorentino (Moretti et al., 1994). I resti del castello in questione, il cosiddetto Castello di Vicchiaccio, sono stati scoperti recentemente su una collina adiacente al complesso di Sant’Angelo Vico l’Abate. 3 – La nuova chiesa fu consacrata il 29 settembre 1539 (Matteuzzi, 2016). 4 – Termine con cui la comunità di riferimento ha sempre designato il giardino, andando quasi a costituire un toponimo. BIBLIOGRAFIA - Bauman, Z. (2005), “Globalizzazione e glocalizzazione”, Armando Editore, Roma. - Carocci, G. (1892), “Il Comune di San Casciano in Val di Pesa”, Tipografia della Pia Casa di Patronato, Firenze. - Chiostrini, A., Mannini, M. (1977), “Tesori del Chianti. Arte e storia del comune di San Casciano Val di Pesa”, Giorgi & Gambi Editori, Firenze. - Comitato Scientifico del Piano Strategico, Città Metropolitana di Firenze (2018), “Rinascimento Metropolitano. Piano Strategico 2030”, Nicomp L.E., Firenze. - Francovich, R. (1976), “I castelli del contado fiorentino nei secoli XII e XIII”, Clusf, Firenze. - Lingua, V., De Luca, G. (2015), “Programmare o pianificare i territori delle città metropolitane? Il caso di Firenze tra vision spaziali e processi di trasformazione economico–produttiva”, in AA.VV, “Italia ’45-’45. Radici, Condizioni, Prospettive”, Planum Publisher, Roma-Milano, pp. 233-239. - Magnaghi, A. (a cura di) (1998), “Il territorio degli abitanti. Società locali e autosostenibilità”, Dunod, Milano. - Matteuzzi, E. (2016), “Documenti per la Chiesa di Sant’Angelo a Vico l’Abate”, in “Castelli nel Chianti tra archeologia, storia e arte”, atti del Convegno tenuto il 26 settembre 2015 presso il Castello di Gabbiano, Centro di studi chiantigiani “Clante”, Firenze, pp. 47-64. - Moretti, I., Favini, A., Favini, V. (1994), “San Casciano”, Loggia de’ Lanzi, Firenze.

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Pascoli

MONTAGNA

L’ultimo Censimento Agricoltura, del 2010, ha mostrato come la pastorizia ancora oggi possa essere considerata un’attività prevalente per alcune economie e culture italiane. Pur avendo attraversato cambiamenti strutturali profondi che hanno reso necessario un ripensamento del modello organizzativo tradizionale di produzione, essa si colloca pienamente all’interno di quel processo di rinascita delle aziende contadine, per la sua capacità di occupare spazi e aree interne abbandonate, garantendo allo stesso tempo la produzione di beni di consumo e servizi e preservando paesaggio, biodiversità, tradizioni ed eredità culturali. A cura di Stefania Mangini

API

106.900

CAPRINI

247.800

BOVINI

560.000 OVINI

CONIGLI

988.000

704.900

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MILANO

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25,8% ORISTANO

23,7% NUORO SUPERFICIE PROVINCIALE DESTINATA A PASCOLO I dati espressi si riferiscono alle dieci province con le percentuali maggiori e minori FONTE: Censimento Agricoltura 2010

0,08%

0,14% NAPOLI

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da 6 a 10% più di 10%

da 4 a 6%

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MONZA E BRIANZA


Giorgio Bombieri Settore Cultura del Comune di Venezia bombieri.giorgio@gmail.com

a Laguna di Venezia, la più estesa del Mar Mediterraneo, è stata inserita nella lista del patrimonio mondiale dell’Umanità dell’UNESCO nel 1987. Dei suoi oltre 550 km2 solo l’8% sono formati da terraferma, mentre la restante superficie è composta da canali, barene e piane di marea, coperte dall’acqua solo quando c’è l’alta marea. In questi territori di margine, dove la natura domina il paesaggio, la pesca costituisce ancora oggi un’importante attività produttiva e porta con sé un vasto campionario di costruzioni informali, i Casoni, usati dai pescatori come ricovero per gli attrezzi. Realizzate con materiali poveri, di recupero e spesso di fortuna, queste costruzioni assumono configurazioni spaziali differenti nelle diverse aree lagunari, rispondendo a specifiche esigenze funzionali. Nella Laguna sud, di fronte a Pellestrina, i Casoni si stagliano su palafitte caratterizzando il paesaggio lagunare con piccole costruzioni isolate sospese sull’acqua. Nelle vicinanze di Burano e Torcello i Casoni si collocano invece sulle barene, colonizzando con piattaforme attrezzate le sponde dei canali. Nella Laguna nord, dove la pesca è ancora la principale attività economica, si trovano invece strutture di maggior dimensione che affiancano a piccoli ricoveri grandi reti sospese su alti tralicci metallici, i “bilancioni”. Queste diverse strutture sono sì descrittive dei diversi modi in cui vengono utilizzate, ma ciò che le caratterizza in modo più evidente è l’esposizione delle attrezzature da pesca che spesso finiscono per essere l’immagine stessa del ricovero. Isolate e spesso raggiungibili solo in barca, questi edifici costituiscono un patrimonio di grande valore per la Laguna, segnandone lo skyline e definendone i caratteri tipici di un’area di margine ma non per questo meno ricca di storia e tradizione.*

The Lagoon’s Casoni The Venice Lagoon, the largest in the Mediterranean Sea, was included in the UNESCO World Heritage List in 1987. The Lagoon surface is over 550 km2, of which only 8% are made up of solid ground, while the remaining surface is composed by canals, “barene” and tidal flats, covered by water only during the high tide. In these marginal areas, where nature dominates the landscape, fishing still constitutes an important productive activity and brings with it a various sample of informal buildings, the Casoni, used by fishermen as a shelter for their tools. Made with poor, recycled and often makeshift materials, these constructions have different spatial configurations in the various Lagoon areas, responding to specific functional needs. In the southern Lagoon, in front of Pellestrina, the Casoni stand out on stilts, characterizing the Lagoon landscape with small isolated buildings suspended over the water. Near Burano and Torcello the Casoni are located on the sandbanks, colonizing the edges of the canals with equipped platforms. In the northern Lagoon, where fishing is still the main economic activity, there are larger structures formed by small shelters alongside large nets suspended on high metal pylons, the “bilancioni”. These different structures are descriptive of the different ways in which they are used, but what most clearly characterizes them is the display of the fishing equipment that often end up being the very image of the shelter. Isolated and often reachable only by boat, these buildings constitute a heritage of great value for the Lagoon, marking its skyline and defining the typical characteristics of a marginal area but rich in history and tradition.*


I Casoni della Laguna


in laguna la pesca costituisce ancora oggi un’importante attività produttiva



realizzate con materiali poveri, di recupero e spesso di fortuna, queste costruzioni assumono configurazioni spaziali differenti nelle diverse aree lagunari



Venezia, Laguna Nord, estate 2018. Foto di Giorgio Bombieri, Settore Cultura del Comune di Venezia.


costruzioni isolate e spesso raggiungibili solo in barca


Chiara Scarpitti RTDa presso il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale UniCampania Vanvitelli. chiara.scarpitti@unicampania.it

Breve trattato sull’arte involontaria Gilles Clément Quodlibet, 2019

The Ephemeral Beauty of Unintentional Art. For those who know how to observe Written for the first time in 1997, published in 2019 by the Italian publisher QuodLibet, the volume brings together a selection of landscape images that have met the unique gaze of Gille Clément for over twenty years. They are spontaneous natures, unpredictable compositions, which the well-known architect has collected from all over the world, and described as a sort of initiatory game for the reader, through visionary and poetic narratives, accompanied by photographs and drawings. Through a classification into eight categories, these works of art reveal how the gaze, first and foremost, defines the beauty of the world beyond appearances.*

La fugace bellezza dell’arte involontaria Per chi sa osservare a prima stesura del Breve trattato sull’arte involontaria risale al 1997 con l’omonimo testo Traité succint de l’art involontaire. Edito nel 2014 in Francia, e pubblicato nel 2019 in Italia dalla casa editrice Quodlibet, il volume raccoglie una selezione di immagini paesaggistiche che da più di vent’anni hanno incontrato lo sguardo, del tutto singolare, di Gille Clément. Si tratta di attimi rarefatti, impressioni irripetibili, che il noto scrittore, architetto e docente dell’École Nationale Supérieure de Paysage a Versaille, ha collezionato da tutto il mondo, e descritto, come una sorta di gioco iniziatico per il lettore, attraverso narrazioni visionarie e poetiche, accompagnate da fotografie e disegni. Il tratto di Clément, rigorosamente in nero, è frantumato, leggerissimo, e restituisce grande valore allo spazio dei vuoti e a quei dettagli preziosi che, sparsi nell’ambiente, catturano la sua attenzione. La sensazione di transitorietà che emerge dai paesaggi evocati ne costituisce la bellezza, nella fugacità della loro esistenza del tutto decretata da chi li osserva. Per definirne la consistenza, l’autore afferma “considero come arte involontaria il felice risultato di una combinazione imprevista di situazioni o di oggetti organizzati conformemente alle regole d’armonia dettate dal caso”. In una “zona indefinita”, dove “il dominio della natura” e quello dell’uomo si

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incontrano, esiste lo spazio per un diverso tipo di arte che lo sguardo stesso è capace di plasmare. L’arte involontaria illustrata nel volume è transitoria, non appartiene a nessuno, né è in grado di generare profitto. “È senza peso, poiché la società non le dà peso. È un’arte senza statuto, senza discorso”, poiché nessuno se ne è mai occupato, catalogandola o studiandola. È selvaggia e indisciplinata, “si espone in fretta e subito scompare”, cercando tuttavia di resistere alle violenze che l’uomo infligge all’ambiente, ostentando ancora una volta, vita e magnificenza. Gli scenari che inquadrano queste opere d’arte inaspettate – che in parte ricordano la Land Art degli anni ’70 – sono prevalentemente luoghi disordinati e caotici, dove è possibile scorgere particolari di effimero incanto, come le città periferiche, o al contrario sono spazi desolati, quasi desertici, che fanno da sfondo minimalista alla messa in scena di oggetti stranianti, proprio come se fossero inseriti in un contesto museale che ne facilita la contemplazione. Il ruolo che assumono la luce e il vento è determinante; data la loro capacità di animare, generare movimento, far risplendere, svelare colori, ombre, secondo prospettive inconsuete. E così, la luce rivela lo scintillio di materiali abbandonati, i colori del verderame, l’argento dei legni bruciati, le ruggini, le ossidazioni e le superfici dei metalli

IL LIBRO


trasformati dal tempo. Il vento, invece, dà respiro a oggetti non identificabili, frammenti dimenticati, brandelli di plastiche “lanciate in aria, fruscianti di lieve agonia, rifiuti dell’umanità”. Attraverso una classificazione in otto categorie – che, come suggerisce l’autore, possono aumentare o ridursi secondo le sensibilità di ciascuno – queste opere d’arte si strutturano in Voli, Accumuli, Isole, Costruzioni, Erosioni, Installazioni, Tracce, Apparizioni. Tra gli ambienti illustrati emergono le risaie, le piane, gli orti, le dune, i fiumi, i deserti, i campi di girasoli. Tra gli oggetti esibiti: gli imballaggi depolimerizzati, i rifiuti rifunzionalizzati, i mucchi di scarti, gli accumuli di vetri rotti, fango, erba, sassi, barili e lamiere consumate dal sole rovente. Conglomerati totemici, simili a presenze animiste, lasciano tracce che “inscrivono la propria storia in quella, più generale, dell’evoluzione”, al contempo umana e artificiale. È in questa prospettiva, che una pietra del deserto a M’Hamid in Marocco corrisponde a “un unico letto, orientato verso nord da una pietra arrotondata più grossa di tutte le altre: un cuscino. Resti di un sonno preparato con cura nella più grande indigenza.” O ancora, riferendosi alla disposizione di particolari tronchi nella foresta australiana, “un mucchio di legname non è una cosa come un’altra. Questo, in particolare, aveva prodotto, sotto di sé, una grandissima pozzanghera nera,

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nella quale si rifletteva. [...] Vi passavano delle nuvole che da dove mi trovavo non avrei potuto altrimenti vedere”. Esortando implicitamente a coltivare quell’umana capacità di trascendere il paesaggio, nell’incipit del volume, l’autore afferma che “prima di tutto, è lo sguardo”, il motore propulsore della bellezza, di un saper osservare la realtà oltre le apparenze. L’opera di Clément appare tutta tesa verso quest’obiettivo: educare lo spettatore all’attenzione, esplorando il mondo per come è, incluse le brutture, le distorsioni, le violenze, come quelle operate dai rudi fuoristrada australiani che inconsapevolmente compiono delicate azioni di giardinaggio.* IMMAGINI - Alcuni schizzi di Gilles Clément, tratti dal libro. Australia, Namibia, Marocco.

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Paesaggi architettonici Architectural Landscape

Vincenzo d’Abramo Dottorando in Composizione Architettonica, Università Iuav di Venezia. vindabramo@gmail.com

Forme della Terra e forme dell’architettura: figurazione. Dettaglio dell’affresco Guidoriccio da Fogliano. Shapes of the Earth and shapes of the architecture: figuration. Detail of the fresco Guidoriccio da Fogliano. Simone Martini

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Il territorio della penisola italiana è costellato da tanti piccoli insediamenti che si sviluppano sulla sua superficie, testimonianza di un profondo e antico rapporto tra architettura e natura. Questa relazione risiede nella capacità dell’architettura di mettere in scena l’identità del luogo, ovvero di assumere e interpretare le forme del paesaggio che l’accoglie. Quando osserviamo un paesaggio dominato da un’antica rocca, o un borgo che si inerpica su di un declivio montuoso, percepiamo l’armonia che le forme dell’architettura hanno saputo instaurare con le forme della terra, con la forma fisica del suolo, riuscendo, attraverso la propria presenza, a esaltare le forme naturali e a entrare a far parte di quella immagine rappresentativa e identitaria di un determinato luogo. Questa idea di bellezza è in grado di oltrepassare le singolarità paesaggistiche e architettoniche, è una bellezza che sorge dall’armonia che le forme antropiche sono riuscite a istituire con il luogo originario. Un’armonia che non si basa su un processo simbiotico, ma sulla riconoscibilità e autonomia delle forme. L’architettura, seppur “generata” dalla natura, rimane riconoscibile, con le sue forme, costruita secondo le sue leggi, il suo linguaggio, rispondendo alla necessità della sua presenza. Infatti la bellezza, come ci ricorda Platone nel Simposio, è la capacità di mettere in equilibrio armonico elementi apparentemente contrastanti, come in musica le note aventi suoni diversi. Come dimostrano molti degli interventi sul territorio italiano, si sta perdendo la sensibilità verso questo delicato equilibrio figurativo e l’oblio di tale bellezza comporta una conseguenza nefasta, ovvero l’incapacità di produrre architetture capaci di intervenire, adeguatamente, su questi territori, che a causa della loro intrinseca fragilità sono continuamente sottoposti a una possibile scomparsa. Rischio sismico e idrogeologico, rischio di spopolamento, rappresentano situazioni di crisi e molti degli interventi necessari al mantenimento di questo patrimonio sono incapaci di interpretare, o peggio di riconoscere, la “felice alleanza” tra le forme della Terra e le forme architettoniche, valore ancestrale di un’identità territoriale. Per custodire tali luoghi è necessario riscoprire e conoscere il profondo segreto celato dietro le immagini di questi paesaggi. Solo osservando la relazione tra principi insediati-

BIBLIOGRAFIA - Grassi, G. (2009), “Scritti scelti. 1965-1999”, Franco Angeli, Milano. - Martí Arís, C. (2016), “La centina e l’arco. Pensiero teoria, progetto in architettura”, Christian Marinotti, Milano. - Moccia, C. (2015), “Realismo e astrazione”, Aión, Firenze. - Platone (2015), “Simposio”, in Savino, E. (a cura di), “Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone”, Mondadori, Milano, pp. 22-151.

NOTE 1 – “[…] gli elementi geografici contengono la spiegazione dell’origine della città, o, in altre parole, che costituiscono la radice etimologica dei fatti urbani”, Martí Arís, 2016. 2 – “[…] Sempre quando siamo incerti, ma proviamo slancio e aspirazione, cioè quando cerchiamo, allora soltanto noi siamo veramente creativi”, Schinkel in Grassi, 2009.

vi e forme naturali ci si accorge della sintonia che in essi è sottesa. Le città, seppur nella loro singolarità, rispondono a principi generali e comuni. Nelle forme della terra infatti, risiedono caratteristiche ripetibili ed interpretabili, e l’unicità dell’insediamento non è “invenzione” architettonica ma è assoggettamento dell’architettura a questa determinata condizione locale1. Comprendere il principio insediativo significa assumere i modi e le tecniche con cui l’architettura è capace di appropriarsi della superficie naturale, come ne interpreta l’orografia, come sia capace di esaltarne le particolarità. Se non vogliamo perdere questo patrimonio occorre tornare a riflettere sul significato ancestrale del “fondare”, su cosa significa per una architettura essere identità di un luogo. Come ci ricorda Schinkel, fare architettura significa scoprire2, continuamente, ed ora più che mai, per rendere ancora trasmissibile questa idea di bellezza, c’è bisogno di ri-scoprire le relazioni antiche e ancora attuali che legano l’architettura al suolo che l’accoglie.*



Il borgo Viano in Lunigiana The Viano Village in Lunigiana

Enrico Bascherini Docente Composizione Architettonica, scuola di Ingegneria-Università di Pisa. studiobascherini@gmail.com

Silvia Mercoledi Ingegnere libero professionista silviamercoledi@hotmail.it

Il borgo di Viano - metaprogetto. Viano Village project. Silvia Mercoledi

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Nell’ultimo libro “Riabitare l’Italia” Antonio De Rossi racconta una storia trasversale sulle aree interne e propone una visione globale per il loro recupero, quasi una rifondazione antropologica dell’abitare contemporaneo. Le radici dell’abbandono e quindi dello spopolamento, facce della stessa medaglia, vanno ricercate non solo in situazioni economiche disagiate, ma anche in altri fattori come eventi bellici, eventi calamitosi, disastri naturali o semplicemente invecchiamento dei residenti. Oggi siamo di fronte a una moltitudine di esempi di riappropriazione di queste aree interne, ovvero di piccoli o piccolissimi insediamenti che si sono trovati in condizioni di precaria situazione fisica sociale ed economica. Le problematiche dei centri minori e dei borghi non solo possono riassumersi nell’oblio urbano ma spesso anche al suo paradosso, ovvero la totale reinvenzione dello spazio storico museificandolo o spettacolarizzandolo. Forse oggi, più che nel passato, il termine resilienza può applicarsi al caso dei centri storici minori, ovvero ai nuclei in stato di abbandono che in diverse maniere riescono ad avere una seconda vita. In una visione temporale più ampia potremmo dire che è insito nella storia delle città e degli insediamenti il verificarsi di un andamento sinusoidale tra abbandono e ripopolamento. Il tema della rinascita o meglio della riappropriazione dei borghi e delle aree interne non può prescindere dal comprendere da cosa si deve rinascere, ovvero dalle cause che hanno generato la crisi dell’abbandono. Oggi sono molteplici gli esempi di ricostruzione post belliche ovvero ricostruzioni a seguito di eventi calamitosi o semplicemente riappropriazioni di luoghi abbandonati, e il tema dei borghi e delle aree interne è divenuto centrale nella ricerca scientifica e non solo. Non vi è dubbio che la rinascita e la riappropriazione non può essere semplice ricostruzione – ristrutturazione o semplice rinvenimento materico - ma tale operazione deve avere una concreta e reale sostenibilità. In questo senso vi sovviene la considerazione di Carlo Pozzi in occasione della presentazione dei progetti pilota per la ricostruzione di sette borghi minori in Abruzzo: “ristrutturare un centro storico, oggi in gran parte disabitato, anche utilizzando le più moderne tecniche ed ottenendo risultati lusinghieri dal punto di vista formale potrebbe presentare grandi limiti se l’operazione non venisse sopportata da un programma socio economico che ne preveda il riuso non in chiave

BIBLIOGRAFIA - Attili, G. (2018), “Civita di Bagnoregio: dall’abbandono alla reinvenzione turistica”, in “Territorio”, n. 86. - Salvo, S.M.C. (2018), “Fra le case e le persone. La ricostruzione post-sismica sisma nel Centro Italia”, in “Un paese ci Vuole”. - Sau, A. (2018), “La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come strumento per il rilancio delle aree interne”, in “Federalismi”, n. 3. - Pozzi, C. (2012), “Progetto Pilota”, in Clementi A., Venosa M. (a cura di), “Pianificare la ricostruzione”, Marsilio, Venezia. - De Rossi, A. (2018), “Riabiatare l’Italia”, Donzelli, Roma.

nostalgica ma interamente proiettato verso il futuro” (Pozzi, 2012). Il borgo di Viano, piccolo centro arroccato su un promontorio, rappresenta uno degli insediamenti più importanti e antichi della valle del Lucido ma come tanti altri è parzialmente abbandonato. Lo studio oltre a prendere in esame la dimensione fisica e la dimensione sociale, tenta di dettare alcune vie alternative alla dimensione economica. In particolare l’idea di un “borgo della cura” ha permesso di creare una nuova strada possibile che coniuga aspetti sociali, economici e d’interesse contingente. Per migliorare la qualità della vita è necessario riconoscere la pluralità di valori che caratterizzano il benessere dell’uomo, come vivere in un ambiente sano, sicuro, e che tuteli il patrimonio storico-culturale. I piccoli borghi e le aree interne costituiscono i luoghi ideali, dove poter creare delle realtà a misura d’uomo, che per le loro caratteristiche invitano l’utente a fruire volontariamente delle aree urbane e degli spazi verdi, elementi indicatori del comfort e della qualità della vita. In una realtà a misura d’uomo vi è la possibilità di spostarsi autonomamente, di andare a piedi o in bicicletta, di risiedere in luoghi con minor rumore e inquinamento, di sostare in aree verdi o in piazze, luoghi dove si possono coltivare relazioni sociali e rapporti umani. In Viano, tali considerazioni hanno permesso di proporre un progetto (img. 01) integrato tra uomo e spazio in cui è il borgo stesso che cura e viene curato.*


Maria Giada Di Baldassarre Dottoranda di ricerca - DICEA Università Politecnica delle Marche, Ancona. m.g.dibaldassarre@pm.univpm.it

Resilience for Inner Areas. Development Scenarios for the Appennino Alto Pesarese Anconetano The Inner Areas of Marche Region have been classified as hardly accessible rural contexts, characterized by the lack of essential services, susceptible to degradation, ageing and progressive abandonment processes. These territories are also rich in important environmental and cultural assets, which are highly diversified by nature and as a result of human transformations. The significant tangible and intangible heritage present in the area of Appennino Basso Pesarese Anconetano must be understood as a development driving force and resilience reserve.* lla fine degli anni Ottanta, l’intenso sviluppo economico italiano ha portato alla produzione di un modello territoriale diffuso e polarizzato, in cui si possono distinguere da un lato i grandi, medi e piccoli sistemi urbani, protagonisti del “miracolo economico italiano”, e dall’altro i piccoli centri, i borghi e gli insediamenti montani, che hanno sperimentato un processo di decrescita economica e demografica. Quest’ultimi oggi rappresentano oltre il 60% (Accordo di Partenariato 2014-2020, 2014) del territorio italiano, per cui la loro marginalizzazione ha assunto rilevanza nazionale. Nel 2014 l’Italia ha adottato la Strategia Nazionale per le

01. Le Aree Interne della Regione Marche. Inner Areas of Marche Region. Maria Giada Di Baldassarre

Resilienza per le Aree Interne

Scenari di sviluppo per l’Appennino Basso Pesarese Anconetano

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L'ARCHITETTO


02. Appennino Basso Pesarese Anconetano: Analisi delle infrastrutture, dell’offerta formativa e dei collegamenti con i centri ospedalieri DEA. Appennino Basso Pesarese Anconetano. Analysis of the infrastructures, of the educational offer and of the connections with the hospital DEA centers. Maria Giada Di Baldassarre

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Aree Interne (SNAI) con il fine di rilanciare lo sviluppo di queste aree, ridurre le disparità e rafforzare la coesione territoriale. Sul territorio italiano sono stati individuati i poli comunali o intercomunali, che rappresentano i centri di offerta di servizi base1, e le aree di cintura, intermedie, periferiche e ultraperiferiche, classificate in base al livello di accessibilità rispetto ai poli. Questa classificazione dei comuni nella Regione Marche ha portato alla definizione di cinque aree interne2 (img. 01) e l’area pilota di progetto selezionata è stata l’Appennino Basso Pesarese Anconetano. Situata tra le provincie di Pesaro-Urbino ed Ancona, è composta da 9 municipalità: Acqualagna, Apecchio, Arcevia, Cagli, Cantiano, Frontone, Piobbico, Sassoferrato e Serra Sant’Abbondio. Il territorio si estende per 846,15 km² e conta 32.375 residenti (Istat, 2019), per una densità demografica media di 39,67 ab/km². La marginalità di quest’area è resa evidente dalla ridotta accessibilità, dal grado lacunoso di istruzione offerto e dalla distanza media di 24,65 km dagli ospedali con sede DEA (Dipartimento d’emergenza e accettazione) (img. 02). Il carattere di fragilità è palesato dai trend di trasformazione della popolazione, infatti l’analisi dei dati Istat (2002-2019) sul capitale umano fa emergere un fenomeno di progressivo invecchiamento della popolazione, con innalzamento dell’età media da 45,52 a 48,37 anni, e il drammatico aumento della quota di popolazione over 65 a discapito delle fasce 0-14 e 15-64 anni. Inoltre dall’analisi dei flussi migratori si è registrato uno spopolamento medio del 9%, con picchi fino al 18%. La distanza fisica di queste aree periferiche dai centri propulsori e consumatori di suolo e di risorse, ne ha però preservato e tutelato alcuni valori insediativi, comunitari, paesaggistici ed identitari, che possono costituire una preziosa riserva di resilienza. La struttura insediativa è caratterizzata da piccoli centri di origine romana, centri storici medievali e borghi rurali. I caratteri identitari sono rappresentati dallo straordinario capitale culturale dei numerosi siti archeologici, del


patrimonio architettonico pubblico e religioso storico, degli iconici monumenti (img. 03). Il territorio è morfologicamente caratterizzato da medie colline che si alternano a verdeggianti prati, solcati da profonde vallate dove scorrono i corsi d’acqua3. Sono presenti aree protette, parchi naturali ed elementi paesaggistici dal valore inestimabile (img. 04). Un ulteriore valore fondamentale è rappresentato dal patrimonio intangibile della qualità dei prodotti enogastronomici, vitivinicoli e agroalimentari locali, ottenuti tramite allevamenti e coltivazioni esenti da forme di inquinamento, richiamando antiche tradizioni e pratiche agricole costudite nella memoria dei luoghi. Ad essi sono collegati itinerari turistici, reti di associazioni comunali e l’organizzazione di eventi, anche a livello internazionale4. Quest’area si configura come un ambito territoriale che, nel combinare tratti rurali, tradizioni e nuovi assetti, può sperimentare nuovi modelli di qualità della vita, legati alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, e nuove strategie di accoglienza, incentrate sulla relazione tra il territorio e la comunità locale. Intervenirvi vuol dire innanzitutto assicurare le “pre-condizioni dello sviluppo”, ossia i servizi che nella società contemporanea si qualificano come diritti di cittadinanza (sanità, istruzione, mobilità), e poi focalizzare ogni processo sulle specificità e sulle identità del territorio, sulle risorse latenti, sulle potenzialità inespresse e sul capitale umano. Le strategie da sviluppare sono rappresentate da una serie di approcci resilienti legati all’economia circolare, all’innovazione sociale e, per la specificità del contesto e dei suoi valori identitari, al branding. Il patrimonio costruito abbandonato e i vuoti urbani devono essere letti come opportunità, il cui riciclo, attraverso riqualificazione energetica, usi temporanei e coinvolgimento della popolazione, può attivare nuovi cicli di vita. L’introduzione di nuove forme di mobilità sostenibile, come le infrastrutture verdi, il trasporto elettrico on-demand, car e bike sharing, saranno alla base della riduzione dell’inqui-

namento atmosferico e dell’aumento dell’accessibilità a questi luoghi remoti. La riattivazione delle filiere corte e la riscoperta delle tecniche tradizionali, legate all’agricoltura e all’allevamento, consentiranno l’autosufficienza alimentare, la riduzione degli sprechi e il riutilizzo degli scarti a livello locale, ma anche la valorizzazione dei prodotti D.O.P., la strutturazione di laboratori di mestiere e nuove opportunità lavo-

volano di nuove dinamiche di trasformazione resiliente si riconosce che “il patrimonio culturale territoriale nella sua accezione di portatore di valori collettivi non può essere governato solo in maniera “espositiva” […] ma deve entrare con maggiore efficacia nel campo delle politiche di governo del territorio, assumendone le valenze sociali, economiche, occupazionali” (Carta, 2002), in quanto esso “è più

03. Torrione Martiniano, Cagli. Martinian Tower, Cagli. Wikicommons

rative a una scala più ampia. Questo quadro di sviluppo, sostenuto dall’implementazione delle nuove tecnologie, permette di immaginare inediti scenari turistici esperienziali, in cui il turista diviene soggetto attivo della comunità, risiedendo temporaneamente all’interno di edifici storici riconvertiti, partecipando alle attività produttive, immergendosi nei paesaggi e nelle relazioni del luogo. Per l’Appennino Basso Pesarese Anconetano, in quanto sistema di municipalità all’interno di una complessità territoriale che lo rapporta con i sistemi produttivi vallivi, con le aree urbane costiere e altre aree interne, si necessita che la resilienza venga progettata in maniera transcalare ed olistica. Sfruttando il turismo come

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che estetica o memoria: è l’espressione materiale del rapporto tra attori sociali, nonché motore dello sviluppo della società” (Perlik, 2018) e riserva di resilienza per costruire nuove risposte sociali, culturali, economiche e ambientali che permettano a questi territori di resistere ai cambiamenti della storia a lungo termine, progettando così non solo il loro presente ma anche il loro futuro.*

L'ARCHITETTO


i valori insediativi, comunitari e paesaggistici costituiscono una preziosa riserva di resilienza

NOTE 1 – Tutte le tipologie di scuole superiori, almeno un ospedale sede di Dipartimento d’Emergenza e Accettazione (DEA), una stazione ferroviaria almeno di tipo Silver. 2 – Appennino Basso Pesarese Anconetano, Ascoli Piceno, Nuovo Maceratese, Montefeltro e Alto Metauro, Alto Fermano. 3 – I fiumi Metauro, Candigliano, Burano, Bosso, Cesano, Cinisco, Misa, Sentino e il torrente Biscubio. 4 – Acqualagna e Apecchio sono certificate Città del tartufo, Cantiano è famosa per il pane di Chiaserna e per le visciole e Piobbico per il polentone alla carbonara, il bostrengo, i crostoli e il Pruspino. BIBLIOGRAFIA - Carta, M. (2002), “L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo”, FrancoAngeli/Urbanistica, Milano. - Carta, M., Ronsivalle, D. (a cura di) (2015), Territori interni, Aracne, Roma. - Cucinella, M. (a cura di) (2018), “Arcipelago italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese. Padiglione Italia alla Biennale Architettura”, Quodlibet, Macerata. - Fabian, L., Munarin, S. (a cura di) (2017), “Re-Cycle Italy Atlante”, LetteraVentidue, Siracusa. - Perlik, M. (2018), “Heritage in the Mountains-Between Public God and Commodification”, in Schröder, J., Carta, M., Hartmann, S. (a cura di) “Creative Heritage”, Jovis, Berlino, p.26. Versione originale: “Heritage is more than aesthetics or memory: it is the material expression of the relationship between social actors, as well as a driver of societal development”. - Schröder, J., Carta, M., Ferretti, M., Lino, B. (2018), “Dynamics of periphery. Atlas for emerging creative resilient habitats”, Jovis, Berlino. - Schröder, J., Carta, M., Hartmann, S. (a cura di) (2018), “Creative Heritage”, Jovis, Berlino.

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04. Gola del Furlo, Acqualagna. Gola del Furlo, Acqualagna. Wikicommons

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Fabrizio D’Angelo Dottorando in urbanistica presso Università Iuav di Venezia. fdangelo@iuav.it Alessandro Moretto Architetto presso studio Alessandro Moretto di Feltre. info@alessandromoretto.it

Rural Architecture Atlas The cultural association ISOIPSE works among the communities of Dolomites to enhance the mountain landscape and culture. Here we want to report some activities of the Atlas of Rural Architecture, a project that aims to enhance the widespread rural heritage of buildings and landscape signs. With the involvement of the communities of six small villages, we are realizing sustainable cycle- tourism activities also useful to collect historical data of contexts that are still relatively unexplored.* e isoipse rappresentano la tridimensionalità delle mappe, formando una rete grafica che avvolge un territorio montano raccontandolo e fornendo informazioni a chi deve orientarsi. È proprio con questa analogia che noi dell’Associazione-Impresa Culturale ISOIPSE ci siamo dati l’obiettivo di comprendere e raccontare il territorio dolomitico, aderendo alle sue istanze ed esigenze, asperità e dolcezze. ISOIPSE nasce a Belluno nel 2014 dall’iniziativa di un gruppo di giovani professionisti accomunati da una grande volontà: non lasciare la montagna e unire competenze per dar vita a progetti per un virtuoso sviluppo del territorio. La forza creativa del gruppo è il confronto di sguardi e saperi

di architetti, antropologi, sociologi, storici, fotografi, comunicatori ed educatori museali. In pochi anni abbiamo portato avanti progetti dal basso coinvolgendo realtà di una montagna in transizione verso forme innovative di sviluppo per territori inclini allo spopolamento, alla mancanza di capitale sociale e all’abbandono1. Il progetto dell’Atlante dell’architettura rurale Tra i progetti recenti c’è l’Atlante dell’Architettura Rurale, un “contenitore di iniziative” che ha lo scopo di valorizzare il patrimonio dell’architettura e del paesaggio rurale dell’area dolomitica. L’idea è quella di trasformare dei paesi, caratterizzati da particolari dimostra-

zioni di architettura rurale, in laboratori dove sperimentare e portare avanti ricerca sul campo con metodi scientifici (rilievi GPS, elaborazione mappe GIS, uso di risorse bibliografiche e archivistiche, interviste) atti a registrare e archiviare il patrimonio rurale tangibile e immateriale, e a sviluppare strategie di comunicazione integrata del territorio con pubblicazioni, partecipazione ad eventi e creazione di progetti per un turismo sostenibile (ad esempio percorsi cicloturistici). Abbiamo scelto di lavorare per e con il territorio, cercando di diffondere tra le comunità una maggior consapevolezza sul valore dell’architettura rurale non solo come affascinante testimonianza del passato.

01. Antichi vigneti e case “alla feltrina” nei Solivi di Fastro (Arsiè). Ancient vineyards and “alla feltrina” houses in Solivi di Fastro (Arsiè). Alessandro Moretto

L’Atlante dell’Architettura Rurale

Le esperienze di ISOIPSE per dare valore alle “terre alte”

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L'ARCHITETTO


L’idea è nata nel 2018 da un progetto didattico presso il Museo Etnografico della Provincia di Belluno che prevedeva la valorizzazione dell’archivio fotografico del geografo Elio Migliorini2 (19021988). Accompagnati da giovani tirocinanti, siamo tornati nei luoghi esplorati cinquant’anni prima per studiare l’evoluzione del paesaggio e dei manufatti. Il lavoro sul campo si è concentrato a Montagne (Val Canzoi), un piccolo nucleo oggi abitato stabilmente da una sola famiglia. Per un mese il pugno di case è stato popolato da giovani esploratori armati di GPS, macchine fotografiche e block notes che con curiosità hanno analizzato manufatti, segni del paesaggio e raccolto testimonianze. L’entusiasmo dimostrato dagli studenti, ma anche dagli stessi residenti nel condividere informazioni ed esperienze, ci ha spinto a espandere il progetto ad altri sei paesi. Paesi-laboratorio come hub del cicloturismo sostenibile Forti di questa prima esperienza, abbiamo iniziato la costruzione di un secondo progetto con l’obiettivo di creare e promuovere un itinerario cicloturistico alla riscoperta di sei paesi della Valbelluna: Col e Frontìn (Borgo Valbelluna), Meano (S.Giustina), Valli di Seren (Seren del Grappa), Solivi (Arsiè) e Montagne (Cesiomaggiore). Il progetto, nella prima fase, prevede la pubblicazione di diversi quaderni e la realizzazione di un percorso

cicloturistico attraverso i sei paesi. Ogni quaderno è corredato da testi, immagini e mappe che raccontano le ricerche fatte. La seconda fase, in corso di valutazione, prevede di ampliare le attività nei paesilaboratori creando eventi e manifestazioni per riattivare culturalmente le sei realtà. La terza fase punta a “esportare” la metodologia progettuale anche in altre realtà rurali montane, vicine o lontane. Marginalità come ricchezza I paesi indagati sono, in modo diverso, marginali rispetto al contesto circostante. Alcuni sono geograficamente isolati e quasi disabitati mentre altri, pur trovandosi nel fondovalle, soffrono “l’accerchiamento” di nuove costruzioni che stravolgono l’impianto originale e il paesaggio e portano a un’emigrazione dai

i paesi indagati sono, in modo diverso, marginali: alcuni sono geograficamente isolati mentre altri soffrono l’accerchiamento di nuove costruzioni

02. Giovani studenti intervistano gli abitanti di un paese (estate 2018). Young students interviewing inhabitants of a rural village (summer 2018). Fabrizio D’Angelo

nuclei storici alle nuove lottizzazioni. Queste condizioni di isolamento e abbandono, seppur critiche, rappresentano per noi anche un valore. La fine delle attività agricole e boschive tradizionali ha di fatto plasmato un nuovo paesaggio più ricco a livello ecosistemico e che allo stesso tempo conserva forme di coltivazione antiche valorizzabili dall’agricoltura biologica. La marginalità ha fatto sì che si conservassero poi, seppur con i segni del tempo, molte architetture rurali che oggi con una diversa consapevolezza possono essere rifunzionalizzate e valorizzate. Infine, la marginalità rispetto alle zone turistiche consolidate fa sì che questi contesti siano particolarmente attrattivi per una nuova fruizione della montagna, più consapevole e sostenibile. Capovolgere i limiti della marginalità per trarne risorse potenziali è una grande sfida che portiamo avanti proporzionando il patrimonio del passato con l’innovazione del presente.* NOTE 1 – I progetti in corso nel 2020 sono impegnati nella digitalizzazione del patrimonio culturale, nella didattica e gestione museale, in progetti di comunicazione del territorio, di promozione turistica e nelle attività laboratoriali come la costruzione di muri a secco. Per maggiori informazioni sui progetti in corso si invita a visitare la sezione Progetti alla pagina isoipse.it 2 – Il fondo raccoglie circa milleduecento scatti di dimore e paesaggi rurali che lo stesso autore ha ritratto, in particolar modo nella Valbelluna, tra il 1925 e il 1955. PER APPROFONDIRE ISOIPSE via Santa Croce 23/B - 32100 Belluno isoipse.it

03. Restituzione grafica della mappatura del paesaggio agricolo di Montagne (Val Canzoi). Result of the mapping of agricultural landscape elements in Montagne (Canzoi valley). Fabrizio D’Angelo

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Elisabetta Paglia Architetto. Collabora con Nauta 17 Architecture&Research a Rotterdam. betta.paglia@gmail.com Valentina Rossi Architetto. Lavora nel settore contract. valer0ssi@outlook.com Elisa Zoccarato Architetto. Lavora nel settore del design e della moda in zona Riviera del Brenta. zoccarato.eli@gmail.com

Living on the Water. New Water-resilient Spaces for Cotonou How can we survive in a vulnerable environment, where the urban fabric is more and more destroyed by the growth of the population and the rising waters? The project wants to answer to this question, creating a resilient environment, in which the adaptation is the key-element to build the urban space. The project, in fact, aims to build up a new water-resilient neighborhood in Cotonou, Benin, inside the informal urban fabric. The new area will be occupied by pile-dwellings. A new world between land and water, that will be connected to the informal city with new rules of urban articulation, referring however to the “τόποι” of the African architecture. At the same time a strategy of gradual adaptation to the amphibious condition is embraced, by digging navigable canals, which will take the place of the streets, modifying the buildings and recycling the waste material, in order to create a new scenario. The piledwelling will take over from the traditional housing form and the boat will become the new means of transportation.*

otonou, tra vulnerabilità e sviluppo informale Benin, Cotonou. Una città situata in Africa occidentale, lambita dalle acque dell’Oceano Atlantico e del lago Nokoué. Un ambiente fragile, in via di sviluppo, con un alto tasso di povertà, soggetto a forti piogge e inondazioni. Una città informale, una vera e propria megalopoli, così come sostenuto dal rapporto The State of African Cities di UN Habitat, l’agenzia dell’ONU che si occupa della materia, in cui le caratteristiche intrinseche dell’abitare africano, per l’effetto della politica coloniale, sono andate perdute, provocando una conseguente perdita d’identità della città.

È in questo complesso panorama che si inserisce questo progetto urbano, con un duplice scopo: da un lato, identificare i punti di forza di questa società e gli archetipi dell’architettura locale, grazie all’analisi di alcuni casistudio di riferimento come ad esempio il vicino villaggio lacustre di Ganviè, realtà anfibia che nonostante il cambiamento climatico e l’introduzione di nuovi materiali da costruzione, ha mantenuto inalterati i propri tratti distintivi in termini di organizzazione spaziale, offrendo uno spaccato urbano tradizionale e non contaminato, e dall’altro di reinterpretare tali punti in chiave moderna, per studiare un nuovo modello ecosostenibile di città,

01. Masterplan. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato

Vivere sull’acqua

Nuovi spazi anfibi per Cotonou

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L'ARCHITETTO


progettare una città resiliente, che fa dell’adattamento la chiave di costruzione dello spazio

un cluster la cui strategia possa essere applicata anche in altri contesti simili. Sin dalle prime analisi, è emerso come le forme di economia e di aggregazione, propri della società occidentale, siano differenti da quelle della società subsahariana. Se in Occidente, infatti, abbiamo un’economia e una società di tipo formale, il Benin vive di sussistenza, piccolo commercio, artigianato. L’architettura del luogo si basa sulla circolarità e sull’uso di forme organiche, legate alla tradizione millenaria del territorio che ricopre ancora una grande importanza. Gli spazi privati sono connotati dalla promiscuità, ospitano mansioni differenti e sono aperti alla socialità. Un’architettura, quindi, che si differenzia nettamente da quella di epoca colonialista, e che anzi è in forte contrasto con essa, motivo principale del dissesto urbano di Cotonou. A partire da questi concetti primari, prendono forma le due strategie medianti le quali si articola il progetto. La prima, volta a creare un nuovo assetto abitativo, la seconda invece a preservare il tessuto pre-esistente. Metamorfosi Urbana Alla progettazione ex novo, viene affiancata una più ampia strategia per il recupero del tessuto urbano esistente. La progressiva erosione della costa fa prevedere un innalzamento delle acque, in 100 anni, di circa un metro: un’intera porzione di città sarà desti-

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nata ad andare sott’acqua. Abbiamo individuato una delle aree urbane più a rischio e creato degli scenari a lungo termine, volti a trasformarne l’assetto nell’arco di 50 anni. Il progressivo adattamento alla condizione anfibia avviene attraverso lo scavo di canali navigabili, che prenderanno il posto delle strade odierne, e lo scavo degli edifici stessi, nell’ipotesi di un nuovo habitat dove la tipologia abitativa è la palafitta e il mezzo di trasporto la barca (img. 02). Questo avviene mettendo in opera una serie di azioni progettuali. Le abitazioni in lamiera, prive di fondazioni, vengono smantellate e i materiali di risulta vengono riciclati. Gli spazi derivanti da tale svuotamento vengono occupati dalla vegetazione locale, quale lisca lacustre, palma da cocco, banano. Le abitazioni in muratura vengono progressivamente svuotate del piano terra e crescono in altezza, aggregandosi tra loro mediante sistemi di scale comunicanti. Le strade carrabili diminuiscono gradualmente di dimensione, fino a scomparire, sommerse dalle acque. Viene scavato un nuovo canale navigabile, che aumenta di dimensione e di profondità nel corso degli anni, conformandosi al naturale adattamento anfibio del quartiere (img. 03). È così che, attraverso una serie di interventi leggeri e poco invasivi, conoscendo a fondo l’identità di un luogo, è possibile immaginare uno scenario totalmente nuovo, volto all’adattamento e basato sull’utilizzo consapevole delle risorse urbane. Resilienza anfibia L’area in cui si innesta la nuova porzione di città è situata a nord di Cotonou e si affaccia sul lago Nokoué. Si trova in una zona ad alto rischio idrogeologico, un’area di bordo dove città formale ed informale si incontrano. Se infatti fino a qualche isolato più a sud gli edifici seguono il reticolo ortogonale di epoca coloniale, qui l’aggregazione urbana non segue alcun tipo di regola, si insedia in modo spontaneo, caotico, priva di infrastrutture e di reti. La sfida è perciò quella di contrastare questo fenomeno con una nuova forma di città resiliente, che fa dell’a-

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Legenda Acque e canali Case in lamiera prive di fondazioni Terreno asciutto Terreno paludoso

Abitazioni collegate dai vani scala Incremento del verde Corpi scala

02. Metamorfosi urbana, stato di fatto e stato di progetto a confronto. Urban metamorphosis, current status and project status compared. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato


03. Scenari. Scenarios. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato

04. Inquadramento urbano. Urban framework. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato

dattamento la chiave di costruzione dello spazio. Per far fronte al costante innalzamento del livello dell’acqua, abbiamo pensato di costruire una città anfibia su palafitte. Questo piccolo microcosmo è pensato come totalmente indipendente e capace di vivere grazie alle risorse presenti in loco (img. 01). La microcittà si articola attorno ad un’asse pubblica centrale che ospita i servizi, ed è collegata con i quartieri limitrofi mediante nuove infrastrutture acquee e su strada e a un nuovo sistema di trasporto pubblico. Vengono studiati 40 cluster abitativi, realizzati in materiali locali, quali legno e bamboo, e in lamiera, un materiale

impermeabile, leggero e facilmente reperibile in loco. Essi sono progettati con una particolare attenzione alla ventilazione naturale e alla gestione del calore estivo, grazie all’orientamento degli ambienti in relazione ai punti cardinali, alla copertura rialzata per favorire la ventilazione naturale ed allo studio delle facciate volto a favorire la ventilazione incrociata intensificata (img. 05). Per incentivare lo sviluppo economico sostenibile vengono progettati laboratori artigianali al piano terra delle abitazioni (riprendendo così il τόπος della compenetrazione di spazio pubblico e privato) e un orto urbano coltivato dagli abitanti del luogo, vol-

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un nuovo habitat dove la tipologia abitativa è la palafitta e il mezzo di trasporto la barca

L'ARCHITETTO


05. Cluster abitativo. Residential cluster. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato

06. Vista sull’orto urbano e sul mercato. View on the community garden and on the market. Elisabetta Paglia, Valentina Rossi, Elisa Zoccarato

to all’affermazione della sovranità alimentare della comunità e al miglioramento della coesione sociale. Ciò che viene prodotto viene poi rivenduto in un ristorante e in un grande mercato coperto, per incentivare forme sostenibili di economia locale (img. 06). L’ecosistema naturale viene preservato il più possibile, con l’obiettivo di realizzare una città al 100% sostenibile. Viene previsto un sistema di compostaggio per i rifiuti organici, riutilizzati come concime agricolo naturale, e la vegetazione pre-esistente, come le grandi mangrovie, diventa parte integrante del paesaggio urbano.*

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Andrea Iorio Architetto, dottore di ricerca in Composizione architettonica. aiorio@iuav.it

Reconstructing Small Border Communities At the end of the First World War, Italy was heavily damaged in the northeastern area and in particular in the Gorizia and lower Isonzo region. While the reconstructions were hard to start, the activity of the Ufficio Provinciale Regolazioni e Architettura of Gorizia directed by Max Fabiani between 1920 and 1922 was significant. Almost hundred reconstruction plans were developed for a border and still rural territory, between Isonzo and Vipacco valleys and the Adriatic coast. The ability to keep together a strategic vision on a territorial scale and a wealth of specific urban solutions, supports the idea that “reconstruction” does not mean “restoration” of buildings, but the construction of places, where communities can return to life.* ra i molti sconvolgimenti prodotti dalla Prima guerra mondiale vi è senza dubbio l’inedito quanto devastante rapporto che quella “grande” guerra “di posizione” ebbe a instaurare con i territori che ne furono teatro: aree di confine in genere scarsamente abitate, fino a quel momento marginali, furono sconvolte da pesanti bombardamenti e dall’insediamento di migliaia di soldati, subendo effetti che si protrassero per molti anni a venire. Alla fine del conflitto l’Italia risultava pesantemente colpita nel settore

nordorientale e in particolare nella regione del goriziano e del basso Isonzo dove, tra le “spallate” offensive e la rotta di Caporetto, in pochi anni si era alternata più volte la presenza dei due eserciti contrapposti. In un mondo ancora rurale il fragile legame tra comunità e luoghi si era presto spezzato: gli abitati erano distrutti e, con campi e boschi da bonificare, venivano a mancare i tradizionali mezzi di sostentamento per le popolazioni sfollate che iniziavano a fare ritorno (img. 01). Nonostante l’urgenza, tuttavia, a ritardare l’avvio delle ricostruzioni si opponevano numerose difficoltà, sia di tipo materiale, come la penuria di materiali

edili, che formale, nella spartizione politica delle competenze2. Come talvolta accade, però, luoghi periferici discosti dalle attenzioni quanto dai dispersivi clamori delle aree maggiormente sviluppate possono rivelarsi più disponibili ad accogliere esperienze per certi versi eccezionali, dove il margine per sperimentazioni o visioni ambiziose risulta più ampio. È questo il caso dei lavori di pianificazione per la ricostruzione di goriziano e isontino, avviate nel 1920 dall’Ufficio Provinciale Regolazioni e Architettura di Gorizia3 sotto il governo illuminato del Commissariato Civile per gli Affari Autonomi della

01. Le distruzioni belliche nel piccolo abitato di Lucinico presso Gorizia. The war destruction in the small town of Lucinico near Gorizia. ERPAC – Servizio Musei e Archivi Storici, Fototeca Musei Provinciali di Gorizia

Ricostruire piccole comunità di confine

Gli abitati rurali di goriziano e isontino nei piani di ricostruzione di Max Fabiani (1920-22)1 70

L’IMMERSIONE


02. I piani di ricostruzione elaborati dall’UPRA sotto la direzione di Max Fabiani (1920-22). The reconstruction plans developed by the UPRA under the direction of Max Fabiani (1920-22). Andrea Iorio

in un mondo ancora rurale il fragile legame tra comunità e luoghi si era spezzato

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Provincia di Gorizia. Si tratta di una vicenda che, seppur concentrata in un breve arco temporale, risulta rilevante nel contesto delle ricostruzioni del primo dopoguerra, ma anche rispetto ai futuri processi di ricostruzione di altre compagini del territorio italiano, per almeno due aspetti: da un lato, una concezione strategica volta a reinquadrare le necessità contingenti entro una prospettiva di sviluppo del territorio nel lungo periodo; dall’altro, l’ampiezza del territorio coinvolto (img. 02), un’area di confine sostanzialmente marginale, composita nei caratteri nazionali dei suoi abitanti e ancora prevalentemente agricola, costellata perlopiù di piccoli abitati rurali verso i quali dimostrare un’attenzione alla qualità dello spazio urbano era cosa per nulla scontata. Due figure svolsero un ruolo cruciale nella vicenda. La prima è quella del commissario civile Luigi Pettarin, che non solo riuscì, almeno per un certo periodo, a ritagliare l’autonomia politica necessaria per l’avvio delle attività, ma fu altrettanto accorto nel definirne l’impostazione metodologica. Nel 1922, nella relazione ufficiale di rendicontazione del primo triennio, con lucide quanto inconsuete parole esplicitava così l’occasione offerta dalla tragica necessità. “La guerra, provocando distruzione di moltissimi paesi e città, ha, nel loro confronto, facilitato il lavoro di risanamento, rendendone possibile la ricostruzione secondo un progetto organico studiato”. Ma soprattutto, proseguiva, i veri obiettivi della ricostruzione non possono che essere ambiziosi e pertinaci. “Ricostruire, sì, ma non ripristinando semplicemente quanto la guerra aveva demolito, ma procedendo a una rifabbrica metodica e regolata secondo un piano organico” (Commissariato, 1922). A dare forma a tale concezione fu l’architetto Max Fabiani4: in qualità di direttore dell’UPRA elaborerà quasi un centinaio di piani di ricostruzione, per alcuni centri maggiori come Gorizia, Monfalcone5 e Gradisca, ma soprattutto per innumerevoli piccoli abitati sparsi tra valli di Isonzo e Vippacco,


03. Vippacco, Regolazione parziale, scala 1:1440. Copia eliografica colorata in originale, 42x72 cm. Vippacco, Partial regulation, scale 1:1440. Original colored heliographic copy, 42x72 cm. ERPAC – Servizio Musei e Archivi Storici, Archivio Storico Provinciale di Gorizia

nel misurarsi con realtà minute, Fabiani si dimostra capace di interpretare la natura dei luoghi

04. Castagnevizza, Regolazione parziale, scala 1:1440. Copia eliografica datata (4.VI.1921), firmata e colorata in originale, 58x53 cm. Particolare. Castagnevizza, Partial regulation, scale 1:1440. Dated (4.VI.1921), signed and original colored heliographic copy, 58x53 cm. Detail. ERPAC – Servizio Musei e Archivi Storici, Archivio Storico Provinciale di Gorizia

Collio e altopiano carsico, fino alla costa adriatica. Scorrendo i piani per questi centri minori è possibile osservare come la prospettiva di sviluppo territoriale, intesa principalmente da un punto di vista infrastrutturale, si traduca, in genere, nella razionalizzazione della maglia viaria e nell’ampliamento delle sezioni stradali, ma anche nell’introduzione di dispositivi “nuovi” per quei paesi, come ampi viali alberati (il caso più evidente a Vippacco, img. 03), che nel complesso conferiscono un respiro più urbano ad aggregati piuttosto contenuti. Eppure, questa idea di modernizzazione attraverso il riordino della rete viaria, ricorrente nel Fabiani urbanista anche nei piani per città più grandi6, si dimostra per altro attenta, nel misurarsi con realtà minute, a interpretare la natura dei luoghi, pur procedendo talvolta a nuove configurazioni. Per esempio a Castagnevizza (img. 04) la consistente ridefinizione

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degli isolati, possibile in ragione delle pesanti distruzioni subite, trova ideale punto focale nell’isolato sommitale: qui la nuova chiesa, ruotata rispetto al sedime originario, un monumento7 e altri due volumi, racchiusi da quinte arboree e due vasche d’acqua (probabilmente cisterne interrate), reinventano quel leggero rilevato che ancora oggi, pur in un assetto diverso da quanto previsto da Fabiani, domina visivamente sull’altopiano circostante. Analogamente, a Canale d’Isonzo (img. 05) la ricostruzione del piccolo centro reinterpreta il rapporto tra riva destra, dove corre la ferrovia, fiume, chiesa, piazza, strada principale e municipio entro una piccola sequenza urbana trasversale al fondovalle, costruita nella combinazione di elementi “ordinari” di articolazione del suolo, come gradini e muri di contenimento8, insieme ad aiuole, un filare e, infine, un albero isolato in posizione elevata a chiuderne la testa.

L’IMMERSIONE


ricostruire non significa ripristinare manufatti, ma costruire luoghi dove le comunità possano tornare a vivere In generale, nonostante i piani siano elaborati a una scala perlopiù tra 1:2880 e 1:1440 e possano apparire per questo abbastanza scarni, e nonostante i mezzi messi in campo siano piuttosto ridotti, Fabiani si dimostra ugualmente capace di dare vita a calibrate ricomposizioni, conducendo un lavoro scrupoloso su sistemi di spazi pubblici esigui, spesso non definiti altro che da chiesa, campanile e poche case intorno, che però sono il vero “teatro […] della vita comunitaria di ogni singolo paese” (Pozzetto, 1966, p. 212). A conferma dell’idea che, anche in contesti di questo tipo, “ricostruire” non significhi “ripristinare” dei manufatti, esattamente dov’erano e com’erano o magari vincolandone l’aspetto a ipotetici tratti tipici. Al contrario si tratta in prima istanza di costruire luoghi, cioè sistemi di relazioni tra volumi, vuoti e topografia, dove le comunità possano tornare a vivere. La vicenda si concluse prematuramente nel 1922, quando Fabiani, per ragioni di natura politica, fu bruscamente estromesso dalla direzione dell’UPRA9. È difficile, oggi, stabilire cosa sia rimasto di quei piani, in alcuni casi adottati, ma raramente riconoscibili nelle successive ricostruzioni, che presero strade altre, nel venir meno di quello sguardo ampio e allo stesso tempo puntuale dimostrato dall’architetto. Eppure – ed è triste a dirsi – anche perché tornati a una condizione marginale, prossimi a un confine che per molti anni rimarrà piuttosto teso, quei territori si sono involontariamente preservati da una più brutale espansione, come invece è avvenuto nella vicina pianura friulana.*

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05. Canale d’Isonzo, Regolazione parziale, scala 1:1440. Copia eliografica colorata in originale, 55x34 cm. Particolare. Canale d’Isonzo, Partial regulation, scale 1:1440. Original colored heliographic copy, 55x34 cm. Detail. ERPAC – Servizio Musei e Archivi Storici, Archivio Storico Provinciale di Gorizia

NOTE 1 – La presente ricerca, iniziata qualche anno fa, ha avuto come esito la curatela di una sezione tematica (Max Fabiani e piani di ricostruzione Grande guerra) all’interno della mostra “Ricostruzioni. Architettura, città, paesaggio nell’epoca delle distruzioni”, a cura di A. Ferlenga e N. Bassoli, Triennale di Milano, novembre 2018-febbraio 2019 (cfr. Iorio, 2018). Successiva occasione di approfondimento è stata offerta dalla partecipazione al convegno IFAU 2018 – 2nd International Forum on Architecture and Urbanism, dedicato ai Territori fragili (Pescara, novembre 2018) (cfr. Iorio 2019). 2 – Sulle prime attività svolte sotto l’amministrazione militare si veda Visintin (1989). Le schermaglie tra vari enti nei primi anni del governo civile sono ripercorse in Commissariato (1922, pp. 80-98) e Pozzetto (1997, pp.47-56). 3 – D’ora in poi UPRA. 4 – Max Fabiani (1865-1962). Nato nel carso sloveno (allora austriaco) da famiglia di origine italiana, ma tedesca per cultura e costumi, studiò al Politecnico di Vienna dove iniziò una fortunata carriera professionale. Legato alle figure di Olbrich e Wagner, dal 1898 fu professore al Politecnico e dal 1902 consulente personale per architettura e arte dell’erede al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando. Tornato nella sua terra d’origine già nel 1914, dal 1917, sotto l’amministrazione austriaca, dirige il Wiederaufbau (Ufficio ricostruzioni) di Gorizia e Gradisca. Rimasto anche dopo la fine del conflitto, rinunciando alla carriera viennese, nel 1920 assume, non senza difficoltà per la sua precedente attività sotto il governo austriaco, la direzione dell’UPRA fino all’ottobre 1922, quando ne viene estromesso. 5 – Per le quali si trattò più che altro di una consulenza agli Uffici tecnici comunali. 6 – Per esempio quelli per Lubiana (1895) o Bielsko-Biała (1898). 7 – Alla conclusione del conflitto in quella posizione fu effettivamente realizzato un Monumento Ossario che dopo

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la Seconda Guerra Mondiale, passato quel territorio alla Iugoslavia, sarà demolito. 8 – Questi ultimi, in verità, solo desumibili dal confronto tra i disegni di piano e l’effettiva topografia. 9 – Ancora, sulla vicenda si veda Pozzetto (1997, pp.47-56). BIBLIOGRAFIA - Commissariato per gli Affari autonomi della Provincia di Gorizia e Gradisca (1922), “Relazione sull’attività svolta nel triennio novembre 1918-dicembre 1921”, Tipografia Sociale, Gorizia, vol. I, pp. 80-107. - Iorio, A. (2018), “Ancor prima. I piani di Fabiani per la ricostruzione dopo la Prima guerra mondiale”, in Ferlenga, A., Bassoli, N. (a cura di), “Ricostruzioni. Architettura, città, paesaggio nell’epoca delle distruzioni”, Fondazione La Triennale di Milano-Silvana Editoriale, Milano, pp. 27-31. - Iorio, A. (2019), “Piccoli interventi per ricomporre un territorio. Max Fabiani e la ricostruzione del goriziano dopo la Prima guerra mondiale”, in Pignatti, L., Rovigatti, P., Angelucci, F., Villani, M. (a cura di), “IFAU18. Territori fragili. Paesaggi Città Architetture. 2nd International Forum on Architecture and Urbanism”, Gangemi, Roma, pp. 776-783. - Miani, L., Garzarolli, M. (1988), “I piani regolatori delle cittadine, dei borghi e dei paesi del bacino dell’Isonzo 1917-1922”, in Pozzetto, M. (a cura di), “Max Fabiani. Nuove frontiere dell’architettura”, Marsilio, Venezia, pp. 51-75. - Pozzetto, M. (a cura di) (1966), “Max Fabiani architetto”, Comune di Gorizia. - Pozzetto, M. (1998), “Max Fabiani”, MGS Press, Trieste. - Visintin, A. (1989), “Militari, territorio e popolazioni nella Venezia Giulia del primo dopoguerra (1918-1919). La ricostruzione dell’Isontino”, in “Esercito e città dall’Unità agli anni Trenta”, atti del convegno (Spoleto 11-14 maggio 1988), Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma, pp. 1211-1233.


Umberto Giordani Studente laurea magistrale in Architettura e Culture del Progetto, Università Iuav di Venezia. u.giordani@stud.iuav.it

Mountain Marginality Valcellina, on the edge of the Pordenone piedmont area, as many other mountain regions is facing the abandonment of residential areas. On the one hand, low human impact allowed the conservation of the territory natural characteristics, which environmental heritage policy recently acknowledged, on the other hand it didn’t allowed the socio-economic growth which happened in lowland regions. Nowadays a breakthrough is coming, a reactivation of such territories, as local development strategies aim for the revival of inner areas, considering mountain areas not a static balance for natural conservation, but a place of opportunity for a new way of development.* e condizioni delle aree interne sono sempre più rilevanti, in quanto esse dispongono di un patrimonio ambientale di pregio e di uno stile di vita che nei grandi centri urbani non si possono riscontrare. Questo tema assume particolare importanza nel Friuli-Venezia Giulia, poiché le aree montuose, corrispondenti al 43% del territorio, prevalgono su quelle di pianura (38%) e di collina (19%). La realtà qui trattata è quella della Valcellina, ampio territorio montuoso situato nel nord-ovest della regione, ai margini della pedemontana pordenonese (img. 02), che a partire

dal secondo dopoguerra ha conosciuto un forte decremento demografico che ha portato all’abbandono degli insediamenti e al degrado del territorio: i cinque Comuni compresi (Erto–Casso, Cimolais, Claut, Barcis, Andreis) sono passati dai 6.648 abitanti nel 1951 ai 2.356 nel 2011 (-64,5%, img. 04). La montagna come sistema policentrico Questo fatto è dovuto principalmente allo sviluppo economico della pianura, territorio che si predispone maggiormente all’infrastrutturazione e all’espansione urbana, che ha portato alla formazione di un nuovo stile di vita per cui la montagna non è più autosuf-

ficiente come lo era all’inizio del ’900. La morfologia del territorio montano costituisce sì un limite per l’insediamento dell’uomo ma esso non è invalicabile, come dimostra la presenza di centri abitati in quota, e anzi può tradursi in un aspetto di pregio, poiché ci si deve attenere a regole, rapporti e relazioni che in pianura difficilmente sono rispettati: la crescita caotica delle grandi città di pianura ha causato una distruzione di valore e un consumo di risorse imponenti, aspetti che oggi si cerca sempre più di contenere. Tale sviluppo accentrato, insostenibile da un punto di vista ambientale e sociale, si contrappone al sistema policentrico proprio delle aree interne, il quale

01. Zona industriale di Pinedo, tra Claut e Cimolais. Pinedo industrial area, shared by Claut and Cimolais. Google

La marginalità della montagna

Un’altra strada per la Valcellina

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L’IMMERSIONE


02. Inquadramento territoriale della Valcellina nella regione Friuli-Venezia Giulia. Territorial framework of Valcellina in Friuli-Venezia Giulia region. Umberto Giordani

mette in atto un sistema “dell’abitare diffuso” che non richiede necessariamente agli abitanti della Valcellina di trasferirsi nei grandi centri urbani, poiché la maggior parte è in grado di spostarsi (principalmente per motivi di lavoro e di studio) quotidianamente. Queste riflessioni permettono di ipotizzare una prossima rigenerazione della Valcellina, dove gli insediamenti di montagna ritornino a essere abitati e vissuti in maniera adeguata, con i servizi necessari alla popolazione e con la meritata valorizzazione. Quanto si registra accadere di questi tempi, dalla nascita di nuove realtà produttive allo sviluppo di un nuovo tipo di turismo, dimostra che la montagna non è un luogo di equilibrio statico tra la co-

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munità e il territorio bensì è un luogo che subisce, come la pianura, trasformazioni e rinnovamenti in base alle necessità dei suoi abitanti. Lo sviluppo socio-economico a scala adeguata A sostegno della tesi vi sono le attività svolte dal Consorzio per il NIP (Nucleo di Industrializzazione della Provincia di Pordenone) e dall’ente Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane (img. 05). La prima realtà, nata in seguito alla catastrofe del Vajont del 1963 con l’obiettivo di insediare attività produttive nelle aree colpite dal disastro, va oggi incontro a un rinnovamento della sua politica, secondo la legge regionale 3/2015,

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la montagna non è un luogo di equilibrio statico tra la comunità e il territorio


Prospettive per un futuro in montagna Recentemente, l’esodo sta cessando per esaurimento naturale, e questo dato potrebbe convertirsi in positivo, dal momento che la montagna è dotata di risorse naturali, utilizzabili anche come fonti rinnovabili di energia. Inoltre è significativo il fatto che si stiano affermando nuove forme di turismo

1961 ab.

1971 ab.

1981 ab.

1991 ab.

2001 ab.

2011 ab.

1951 - 2011

tramite la fornitura di servizi mirati a incentivare le attività sviluppatesi nella zona (img. 01); la seconda, istituita con la Legge Regionale 42/1996, ha sviluppato una relazione con i centri abitati contigui al territorio naturale protetto, poiché in essi hanno luogo le attività di tutela, promozione e valorizzazione che sono compatibili con gli obiettivi del Parco. Nonostante non si possa negare l’ingente decremento demografico degli ultimi decenni, dovuto principalmente all’abbandono delle pratiche della tradizione che ha portato al rimboschimento naturale e alla critica condizione di accessibilità che caratterizza in generale il territorio montano, è rilevante indicare che attraverso tali pratiche sostenibili di sviluppo socio-economico è possibile riabitare questi luoghi, e consentire così l’affermarsi di un sistema policentrico.

1951 ab.

03. Vista della zona industriale di Pinedo. Pinedo industrial area overview. Umberto Giordani

Andreis

1125

858

627

503

393

323

282

- 74,9 %

Barcis

1056

843

534

462

350

306

261

- 97,5 %

Cimolais

1092

924

607

567

489

465

421

- 61,4 %

Claut

2408

2366

1789

1577

1327

1181

1005

- 58,2 %

Erto e Casso

967

842

748

556

405

424

387

- 59,9 %

Totale

6648

5833

4305

3665

2964

2699

2356

- 64,5 %

Valcellina

04. La popolazione residente nei Comuni della Valcellina tra il 1951 e il 2011. Resident population in Valcellina municipalities between 1951 and 2011. Istat

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L’IMMERSIONE


l’ente del Parco Naturale ha sviluppato una relazione con i centri abitati contigui al territorio naturale protetto

05. Localizzazione degli attori territoriali tra Claut e Cimolais. Localisation of the territorial stakeholder in Claut and Cimolais.. Umberto Giordani

slow, basate su un legame consapevole tra ambienti urbani di pianura e di montagna, non più considerando questi ultimi come “spazio del loisir” (Corrado, 2016) al servizio dei centri di pianura. Allora è necessario riconoscere le diversità e le complessità che caratterizzano le aree interne, tenendo in considerazione la “dissipazione di valori, culture, affetti, sentimenti [perché] non sono indolori questi abbandoni” (Muzzatti, 2017), ed evitare il

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protrarsi di questo andamento disordinato che si basa sullo sviluppo accentrato della pianura. Il rilancio della Valcellina può e deve avvenire in un prossimo futuro, perché i centri abitati nelle valli meritano di essere salvati e presi come riferimento per quanto riguarda gli aspetti di compatibilità ambientale oggi ricercati.*

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Elena Longhin Architetto e urbanista, laureata in Landscape Urbanism all’Architectural Association di Londra e in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia, dove è attualmente dottoranda in Urbanistica. elonghin1@iuav.it

ra i processi della crisi ambientale in corso, l’innalzamento della temperatura climatica – la warming condition così come definita da Andreas Malm – è caratterizzata da una propulsione intrinseca, in quanto, rappresentando il crollo della storia e della natura sulla società, ne annebbia l’orizzonte (Malm 2018, p. 15). La crisi ambientale è particolarmente complessa nei territori alpini, dove procede ad un ritmo accelerato: l’aumento della temperatura ha raggiunto pressoché 2°C negli ultimi 150 anni, più del doppio che in nessun’altra parte del pianeta (Permanent Secretariat of the Alpine Convention, 2019a), spingendo a prevedere l’estinzione dei ghiacciai alpini – fonte insostituibile ed unica di acqua da millenni – entro la fine di questo secolo. Nelle Alpi il manto nevoso è in diminuzione e destinato a scomparire nei territori sotto i 1.500 m s.l.m. determinando uno spostamento a nord della linea di neve (Permanent Secretariat of the Alpine Convention, 2019b). Le conseguenze immediatamente più tangibili di queste variazioni nell’ecosistema alpino sono percepibili nei territori del turismo montano invernale; nel nord della regione Veneto,

dove le economie legate a questo tipo di attività rappresentano il 64% delle rendite annuali, le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto sono particolarmente riconoscibili. La regione conta attualmente 14 piste da sci, la cui sola metà è collocata sopra i 1.500 m s.l.m.1. Se come previsto dagli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici (2015) non sarà possibile limitare l’aumento della media globale delle temperature entro i 2°C, la copertura del manto nevoso diminuirà conseguentemente del 30%, spingendo la possibilità di praticare attività sportive solo sopra i 2.500 m s.l.m. (Sirena, 2017) (img. 02). Inoltre, alla luce del riscaldamento climatico in corso e delle condizioni di conflitto attorno alla carenza idrica, sarà impossibile produrre neve

artificiale così come accaduto nell’inverno 2019-2020. Queste condizioni interessano l’intero territorio alpino, la cui maggioranza delle infrastrutture – piste da sci, cabinovie, sistemi di captazione, stoccaggio e pompaggio delle acque e impianti di produzione della neve – si trova sotto i 1.200 m s.l.m. I conflitti attorno all’acqua sono quindi in aumento, esacerbati dalla progressiva diminuzione della sua disponibilità nei territori dell’Europa settentrionale e in particolar modo dell’Italia, dove è stata riscontrata una diminuzione dei flussi d’acqua all’interno dei sistemi fluviali (Istat, 2019; Orlando, 2019)2. Nel caso del bacino idrico del fiume Piave, che si estende dalle Alpi orientali al mare Adriatico, le concessioni idriche per l’irrigazione

01. Lago di Centro Cadore, 2019. The Lake of Central Cadore, 2019. Elena Longhin

Machinic Landscapes

La macchina territoriale nella crisi ambientale. Risorse e conflitti a nordest The territorial machine in the environmental crisis. Resources and conflicts in the northeast 78

L’IMMERSIONE


mong the many ongoing processes of environmental crisis, the warming condition has – as Malm argues - a “special inner propulsion and potential”, as “it represents history and nature falling down on society” (Malm, 2018, p. 15). The environmental crisis is particularly challenging in the Alps area, where it is occurring at a faster pace. The increase of temperature has reached almost two degrees in the past 150 years, more than double of the rest of the world (Permanent Secretariat of the Alpine Convention, 2019a). Given that that glaciers have constituted the unique replenishment of fresh water for millennia, it is quite alarming to acknowledge that they are expected to disappear by the end of the current century. The Alpine snow cover is expected to drastically decrease below an altitude of 1,500-2,000 m a.s.l. consequently resulting in the moving upwards of the snow line (Permanent Secretariat of the Alpine Convention, 2019b). The most tangible economic effect of this trend is visible on the mountain largescale infrastructures related to winter tourism. In the northern Italian Veneto region, where it represents the 64% of local income, there are currently fourteen ski facilities, whose only half slopes are above 1,500 m a.s.l.1. As envisaged by the Paris Accord, and it will not be possible to contain the increase of the average global temperature within 2°C, snow cover will drop by 30% and snow sports will be practicable only above 2,500 m a.s.l. (Sirena, 2017) (img. 02). Given the warming temperature and conflictual conditions around water scarcity, it will be impossible to produce artificial snow, as winter 2019 has proved already. This condition is going to affect the entire alpine territory, whose quarter are built under 1,200 meters. Water related conflicts are going to increase as the quantity of available water is diminishing (Istat, 2019; Orlando, 2019). Italian territories, with a few exceptions, show a drop in the flow of its waterways2. In the case of the Piave River, which spans across the Alps to the Venice Lagoon, the current water concessions for irrigation practices exceed the river water capacity3. Its entire

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222 kilometres course constitutes an extraordinary paradox of sustainable water management. It is the only river that, albeit having both two sources and two mouths, it does not flow, nor gush, nor swell or flood. As the most engineered river in Europe, it has been turned into an intricate machine which regulates the 90% of its basin waters. This technological apparatus generates the 60% of the Veneto region energy demand and the 6% of the Italian one. The remaining water – which counts only for the 10% of its original natural state – once reached the plain, is eventually imbibed by the cultivated fields at the rhythm of 99 cm/s (img. 03-04). The area of Cadore proves an interesting case to describe both the magnitude of inviable water deviations constructed

across the territory and the legacies of dam related infrastructures involving specific social formations, dynamics and conflicts. The artificial reservoir (created in the 1950s with the construction of the dam in Sottocastello) around which many touristic facilities have developed, though being manmade, has been declared – and now protected as a – landscape value. This paradoxically conflicts with the alterations provoked by seasonal discharges operated by Enel, the energy provider, which deviates different quantities of water to meet electricity and irrigation demands4. In the past twenty years, numerous outdoor facilities have developed around the lake, providing camping sites, fishing, boating and hiking infrastructures, cafes and restaurants5. The spoiled envi-

02. Carta dei ghiacciai e delle coperture nevose all’interno del bacino del fiume Piave con localizzazione delle infrastrutture sciistiche nella regione Veneto. La carta mostra le altitudini sopra i 1.500, i 2.000 e i 2.500 m s.l.m. (in gradiente di grigio). Lo zoom-in descrive la posizione del territorio urbanizzato attorno al lago di Centro Cadore. Map of current glaciers and snow cover within the Piave hydrographical basin and the localisation of the skiing infrastructure of the Veneto Region. It shows altitudes over 1.500 m.a.s.l., 2.100 m.a.s.l., and areas above 2.500 m.a.s.l. A zoom in describes the location of the Lake of Central Cadore. Dati IDTRV Regione Veneto e della Provincia di Belluno, 2019, Elena Longhin

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delle coltivazioni nella pianura eccedono la capacità idriche del fiume stesso3. Il corso del fiume, attraverso 222 km, costituisce un paradosso eccezionale di gestione sostenibile del bacino idrografico. La Piave, è l’unico fiume che, nonostante nella sua storia possa contare su due sorgenti e due foci, non scorre, non si agita né cambia portata. Classificato come il fiume più ingegnerizzato d’Europa, è infatti regolato da un’intricata macchina che gestisce il 90% delle sue acque, un apparato tecnologico che genera il 60% della richiesta energetica della regione Veneto ed il 6% di quella italiana. Le restanti acque – pari al 10% del suo stato originale – una volta raggiunta la pianura asciutta vengono anch’esse deviate e assorbite dalle coltivazioni al ritmo di 99 cm/s (img. 03-04). All’interno di questo contesto, le aree interne della regione del Cadore rappresentano un caso interessante per descrivere la magnitudine delle interminabili captazioni costruite attraverso il bacino idrografico del Piave e l’eredità dei sistemi di derivazione e stoccaggio delle acque (dighe, briglie, tubazioni, canali, centrali) che coinvolgono specifiche condizioni sociali, determinandone dinamiche e conflitti. Attorno al bacino artificiale di Pieve di Cadore, realizzato negli anni ’50 con la costruzione della diga di Sottocastello, si sono successivamente sviluppate diverse infrastrutture e attività, come aree per il campeggio, pesca, escursionismo, nautica, residenze turistiche, caffè e ristoranti4. Durante l’estate il ciclico manifestarsi del degradante vuoto rispetto al lago determinato dallo scarico delle acque richieste per l’irrigazione deteriora non solo la bellezza di un paesaggio iI cui significato si è lungamente ridefinito, ma coinvolge inevitabilmente le dinamiche socio-economiche di una valle che è riuscita lentamente ad adattarsi alla presenza artificiale del lago stesso sviluppando nuove opportunità (img. 01). A questa situazione di conflitto si è aggiunta quella delle richieste per l’installazione di impianti di mini e micro idroelettrico5, che, moltiplicando gli attorni e interessi economici sul territorio, aumenta la frammentazione dei

sistemi di monitoraggio e gestione del fiume, nonché il suo stato idrodinamico e geomorfologico. Complessivamente nell’Europa meridionale la disponibilità d’acqua è in continua diminuzione, con sempre più marcate differenze stagionali (Club Alpino Italiano, 2018). Nel contesto del regime climatico contemporaneo, la macchina territoriale composta da molteplici laghi artificiali, dighe e derivazioni imposta sul bacino idrico del Piave, ma similarmente operante in molti altri6. bacini idrici europei ed italiani, emerge come un sistema in crisi, inadeguato ad affrontare e a risolvere sia le emergenze ambientali in atto che a sostenere pratiche coerenti e sostenibili di utilizzo delle risorse idriche per la produzio-

ne di energia elettrica e per specifiche pratiche di coltivazione. Considerando l’invito di Aldo Leopold a “pensare come una montagna” per potersi avvicinare e comprendere le condizioni del territorio (Leopold, 1949), ci si interroga su quali azioni siano necessarie per attivare nuove pratiche che guardino al di là dei sistemi consolidati. Dalla lettura di questi territori emerge come sia preminente la crescente necessità di reinventare narrative, di ridiscutere le forme della produzione, di equipaggiare, spazialmente, economicamente e socialmente le aree interne montane – così cruciali per il sostentamento di quelle più densamente urbanizzate – nei confronti delle condizioni in cui si trovano e di quelle che dovranno imminentemente affrontare.*

03. Mappa dello sfruttamento idrologico del bacino del fiume Piave. La carta mostra tutti gli sbarramenti presenti all’interno del bacino (in rosso). Attraverso un’analisi idrologica, emergono quali punti di prelievo raccolgono maggiore quantità d’acqua dal territorio (pattern in azzurro). Questo dato è messo a confronto con l’effettivo potenziale di sfruttamento e produzione installati (cerchi in gradiente azzurro). Map of the water abstraction across the Piave River basin. The map shows all the barriers inside the basin (in red). Through a hydrological analysis, it describes the capacity of the abstractions to collect water from the surrounding territory (patter in blue). This data is juxtaposed with the actual exploitation and production capacity of each infrastructure’s es (circles in blue gradient). Elena Longhin

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L’IMMERSIONE


ronment resulting from the cyclical water discharge does not just deteriorate the beauty of this re-signified landscape, but damages socio-economically a valley which has slowly succeeded in turning the presence of this artificial lake into new opportunities (img. 01). These conflicts are paired with the new water abstractions for the installation of micro and mini powerplants5, which results in the fragmentation and overlap of different interests and managements over the river waters. In southern Europe water availability is generally projected to decrease, with marked seasonal differences (Club Alpino Italiano, 2018). In the context of the current climate regime, the machine in place, made of a long array of

artificial reservoirs, barrages and dams’ infrastructures - as similarly occurs in many other European and Italian hydro basins6 - appears as a system in crisis which struggles to cope with current environmental dynamics, sustain the contemporary irrigation demands and provide coherent and sustainable production practices. Paraphrasing Aldo Leopold’s classic injunction to “think like a mountain” so as to get closer to the land (Leopold, 1949), how can we move beyond consolidated systems to activate new practices and behaviours? There’s a widening need to reinvent narratives, to challenge forms of production, to equip territories spatially, economically and socially towards the changing conditions they are facing.*

04. Carta della produzione idroelettrica e agricola. La carta mostra i principali impianti e le line di distrubione dell’energia, oltre ai territori immediatamente irrigati dai principali punti di estrazione delle acque del fiume (in grigrio scuro). Map of the hydropower production and the irrigated territories across the Piave River basin. The map shows the main plants and energy distribution lines, as well as the territories immediately irrigated by the main extraction points of the river waters (in dark gray). Elena Longhin

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NOTE 1 – Questo significa che se avvenisse un incremento di 1°C, 12 delle infrastrutture attuali potranno rimanere operative (spostamento della linea di neve a 1650 m s.l.m.); nel caso di un incremento di +2°C sono 8 le infrastrutture che potranno continuare ad operare (spostamento della linea di neve a 1800 m s.l.m.); solo 2 invece nel caso di un incremento di +4°C (spostamento della linea di neve a 2100 m s.l.m.). This means that with an increase of 1°C, 12 infrastructures could remain operative (with a snow line movement to 1650 m.a.s.l.); in the case of +2°C 8 infrastructures (snow line at 1800 m.a.s.l.); only 2 in the case of an increase of 4°C (snow line at 2100 m.a.s.l.). 2 – Nel 2017 la media dei flussi annuali dei principali fiumi italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) ha registrato una diminuzione complessiva del 39.6% (Istat 2019). In 2017, the average annual flows of the main Italian rivers (Po, Adige, Arno and Tiber) recorded an overall decrease of 39.6% (Istat 2019). 3 – In estate le concessioni idriche arrivano ad estrarre 97,8 m3/s a fronte di una capacità idrica di 87 m3/s. In summer, water concessions come to extract 97.8 m3/s against a water capacity of 87 m3/s. 4 – Nuove connessioni e sentieri escursionistici si sono materializzati proprio grazie alle infrastrutture realizzate per-e-con la diga di Sottocastello, come le strade per la sua costruzione, il coronamento stesso, che serve da ponte di attraversamento del lago e della vallata, e il paramento utilizzato come parete da scalata. New road connections and hiking trails have materialised thanks to the infrastructures created for the placement of the Sottocastello dam, such as roads for its construction site, as well as its crest which provides a roadway to cross through the lake and the valley, and its wall surface which is used as a climbing wall. 5 – Iniziati con i sussidi dell’Unione Europea nel 2009. Started with European Union subsidies in 2009. 6 – Sono molti i sistemi fluviali in crisi: il bacino del fiume Ebro per esempio ha attraversato una storia di trasformazioni e sfruttamento simile a quella del bacino del fiume Piave. Nelle Alpi, i territori svizzeri e austriaci continuano ad essere alterati per lo sfruttamento idroelettrico, sia con interventi di larga che di piccola scala. “L’Atlas delle Barriere idriche”, in corso di costruzione all’interno del progetto Amber Horizon 2020, restituisce la diffusione degli sbarramenti fluviali in Europa. L’analisi di questi casi è utile soprattutto alla luce di nuove proposte di alterazione di fiumi (ancora allo stato naturale) che stanno rapidamente avvenendo dei territori dei Balcani, e in particolar modo in Albania lungo il fiume Vjosa. There are many river systems in crisis: the Ebro river basin for example has gone through a history of transformations and exploitations similar to that of the Piave river basin. In the Alps, the Swiss and Austrian territories continue to be altered due to the hydroelectric exploitation, both with large and small-scale interventions. The Barriers Atlas, under construction within the Amber Horizon 2020 project, clearly exposes the spread of river barriers in Europe. These cases analysis is especially relevant with regard to the new proposals of modification of still pristine rivers courses which are rapidly taking place in the Balkan territories, especially in Albania along the Vjosa river. BIBLIOGRAFIA - Istat (2019), “Giornata Mondiale Dell’acqua. Le Statistiche Dell’Istat sull’acqua, Anni 2015-2018”, Roma. - Leopold, L. (1949), “A Sand County Almanac”, Oxford University Press, NY. - Malm, A. (2018), “The Progress of This Storm”, Verso, London. - Orlando, S. (2019), “La Pianura Padana Nella Morsa Della Siccità”, Corriere Della Sera, 29 marzo 2019. - Permanent Secretariat of the Alpine Convention (2019a), “Climate-Neutral and Climate-Resilient Alps 2050”, (2019b) “Natural Hazard Risk Governance”, in Report on the State of the Alps Alpine Signals - Special Edition 7, Water and Water Management Issues. Vol. 2. - Sirena, T. (2017), “Dolomiti: Addio Neve e Incubo Inondazioni Categorie Argomenti”, 16 agosto 2017.


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SOUVENIR


Letizia Goretti Dottoressa di ricerca in Composizione architettonica tematica cultura visuale presso l’Università Iuav di Venezia. letizia.goretti@yahoo.it

Pirati e corsari

Plage des Corsaires, Biarritz. Nell’età di mezzo il Golfo di Biscaglia fu teatro di battaglie tra eserciti, corsari e pirati. La costa biarrote e gli edifici resistettero a lungo alle scorribande dei pirati finché, come scrisse Patrick Le Divenah in Mémoire de l’imaginaire (2011), essi furono “sconfitti dai ripetuti colpi degli assalitori marittimi, ma ancora di più, forse, da quelli, altrettanto ostinati, del nemico interno e dell’immobiliare”.*

Pirates and Corsairs

Plage des Corsaires, Biarritz. In the middle ages, the Bay of Biscay was the scene of battles between armies, corsairs and pirates. The Biarrote coast and the buildings resisted pirate raids for a long time, until, as Patrick Le Divenah wrote in Mémoire de l’imaginaire (2011), they were “defeated by the repeated blows of the maritime attackers, but even more, perhaps, by those equally obstinate of the internal enemy and the real estate”.*

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Internamente, Italia

Tra persone, politica e progresso: intervista a Mauro Daltin Arianna Mion ariannamion0@gmail.com

Italy, Internally. About people, politics and progress: interview with Mauro Daltin Italy is characterised by a large set of inner areas. In the past, political decisions were taken focusing on the developing of the urban centers, but without considering the effects within the country. Mauro Daltin makes us reflect upon the special case of abandoned hamlets in Italy. From the role of the individual to the interconnection with the environment, from the impact of architectural choices to the ambivalent notion of progress, the interview aims to focus on the status quo of Italian inner areas by value them through a narrative which, however highlights the need of a national plan.*

“Che splendida utopia cominciare a pensare al margine come a un territorio di ricerca, ai limiti come spessori e non come tratti” (Daltin, 2019). Mauro Daltin, politologo di formazione, in una delle sue ultime opere La teoria dei paesi vuoti. Viaggio tra i borghi abbandonati riempie i vuoti con i pieni di storie e narra di come la resistenza, in certe zone d’Italia, sia diventata resilienza. Affascinato dalla poesia del limite pieno, ci aiuta a comprendere più approfonditamente l’anima delle aree interne, attraverso i loro borghi, abbandonati o quasi. Ma soprattutto, ci permette di mettere in luce come paradossalmente nell’epoca di un individualismo quasi estremo, nelle aree interne, proprio l’individuo sia stato messo ai margini. Quant’è importante la persona nello sviluppo locale di un’area interna? A me, che ho fatto una riflessione narrativa sui borghi abbandonati sembra un po’ un paradosso parlare di persone. A me interessano le storie di quelle persone, di quelle comunità che ad un certo punto per una determinata ragione hanno dovuto lasciare quel determinato territorio, quella determinata area, di solito interna. E anzi parto proprio dalla storia delle persone per raccontare la geografia del luogo e per mescolarla con la Grande Storia. Se invece penso ai borghi non abbandonati, ma che hanno pochi abitanti, credo che a volte si tratti quasi di una resistenza che va aldilà di qualcosa che possiamo comprendere noi più giovani. Ad esempio, mi viene in mente Givigliana, un borgo in Val Degano, nella Carnia del Friuli-Venezia Giulia: ho scritto un libro che finiva proprio lì, ed erano in dodici, adesso sono in otto. Inoltre, gli abitanti di questo paese hanno tagliato per anni la legna del bosco e l’hanno venduta, raccogliendo 100.000 euro. Con il ricavato hanno deciso di aprire un’osteria, ristrutturando una vecchia latteria e di chiamarla “Osteria La Follia”. Credo che dietro questa esperienza, ci sia anche la voglia di creare comunità, cioè un posto fisico, dove potersi riunire, dove poter far arrivare la gente da fuori e farla accomodare, un posto che sia ospitale. Quanto la persona è stata ed è presa in considerazione dalla politica locale nella valorizzazione delle aree interne? Secondo me, il ruolo vero di una politica che abbia una visione a lungo-medio termine è quello di non far spopolare le aree interne del nostro Paese, perché questo crea un disequilibrio non solo a livello paesaggistico, ma anche tra le zone più urbanizzate e quelle meno. Inoltre potrebbe rivelarsi un processo ir-

01. Mauro Daltin

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AL MICROFONO


02. Moggessa di Qua (UD). Mauro Daltin

reversibile, dato che ogni volta che si svuota un borgo è quasi impossibile che ritorni a rinascere. Una vera politica dovrebbe non far andare via le persone, soprattutto i giovani. Non parlo solo delle aree di montagna: lo spopolamento è un fenomeno molto più vasto che ha a che fare con le pedemontane, con i territori e con le periferie delle città. Non si può prescindere in questo momento, ad esempio, dal portare la linea Internet nelle zone di montagna o nelle zone meno abitate, perché non si può pretendere che i ragazzi facciano gli eroi e che rimangano lì se non hanno neanche la possibilità di aprire una piccola società o un’attività commerciale di qualsiasi tipo, per la difficoltà di collegarsi a Internet. Ci vorrebbe una politica delle case con degli incentivi per delle ristrutturazioni e con l’abbattimento delle tasse commerciali che si creano; ci dovrebbe esser una rete di relazioni tra le diverse aree del territorio che permettano di creare delle filiere. Ma questo non avviene, invece dovrebbe essere al primo posto di qualsiasi agenda nazionale della politica. Le possibilità sarebbero enormi, ma aldilà dei singoli comuni, non vedo un piano nazionale e a volte neanche regionale. Secondo lei una riqualificazione soprattutto di tipo edilizio/architettonico, non rischia di modificare l’aspetto dell’area e di farne perdere l’identità costruita nel tempo? È un problema molto complesso, essendo difficile mantenere l’esatta identità urbanistica e architettonica di un borgo che ha molti anni e si sta spopolando. Non si può pensare di dare vita a un borgo come era esattamente tempo fa, non

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ogni volta che si svuota un borgo è quasi impossibile che ritorni a rinascere


avrebbe senso e sarebbe fuori tempo. Allora, è ovvio che ci dovrebbe essere un’architettura “gentile”, che vada ancora di più a integrarsi con quello che il borgo racconta, con la sua storia e soprattutto che rispetti il contesto in cui si trova. Però la tecnologia e il progresso devono essere messi a disposizione di tutti, perché altrimenti avremmo sempre degli abitanti di serie A e di serie B. Invece, bisognerebbe avere un equilibrio che è difficilissimo da raggiungere. La mia riflessione sui borghi abbandonati è proprio estrema, perché come si fa ad andare a recuperare un borgo che è vuoto da 50-60 anni dove la natura si è ripresa i suoi spazi?! Ci sono dei casi di rinascita ma sono pochissimi. Come commenterebbe la relazione tra progresso e area interna? Può il progresso, indirettamente, danneggiare invece che favorire il cambiamento socio-economico di un’area interna?

03. Palcoda, Tramonti di Sotto (PN). Mauro Daltin

Diciamo che è stato così soprattutto negli anni passati. Penso alle fabbriche di occhiali nel Cadore, a tantissime realtà che erano fonte di lavoro e ciò voleva dire miglioramento della qualità della vita. A tal proposito, immagino un padre che magari non ha avuto quella possibilità, che spinge il figlio ad andare a lavorare a valle. Lo comprendo perfettamente e, comprendo anche il figlio che magari prende e va, volendo provare a fare una vita migliore. Ovvio che qua si crea un salto generazionale, perché i figli vanno via quando ritengono che quella comunità non possa rispondere più alle esigenze di una vita dignitosa. Allora io credo che lì abbia inizio il declino vero di un borgo. Ritornando alla politica, una vera politica crea si la fabbrica a valle, ma dovrebbe anche regolare, alimentare e dare delle prospettive altre, come la creazione di lavori legati al terzo settore, ai servizi a società o a imprese che lavorano con l’ambiente, con il turismo. Nella ricerca di condizioni di vita migliori, perché chi si occupava della politica in passato non è intervenuto per fermare l’abbandono di gran parte delle aree interne d’Italia che si stava verificando sotto gli occhi di tutti? Nel dopoguerra o negli anni ’60-70, si è in qualche modo creata una frattura quasi insanabile ed è stata fatta una scelta, di non investire nelle aree interne del Paese, ma nei grandi centri urbani. Questo perché il destino delle aree interne, in una visione politica ristretta, ha alti costi e una redditività che si può avere a medio e lungo termine, mentre la politica dei tempi nostri vive dello scadere dei termini elettorali. Investendo soprattutto nel settore manifatturiero, nel settore

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AL MICROFONO


dell’industria anche pesante, negli anni ’70-80 è avvenuto un naturale spopolamento di queste aree. Anche se ci sono dei territori come la regione Friuli Venezia-Giulia che è riuscita in qualche modo, in molte sue aree interne, a capire che la vera economia lì era quella del vino. Inoltre, ad esempio, in Friuli VeneziaGiulia hanno inaugurato da poco la Ciclovia Alpe Adria, che parte da Salisburgo e arriva a Grado ed è frequentata da migliaia di persone. Stanno capendo che si può creare un’economia, fatta di tante piccole situazioni, che attraverso questa tipologia di turismo producono del bene anche a quelle comunità che si incrociano lungo il percorso. Sono dell’idea che la politica dovrebbe incentivare progetti così per fare in modo che le aree interne si sviluppino. L’attuale presa di coscienza sulla questione ambientale può intersecarsi con la rinascita delle aree interne, specialmente quelle di montagna (considerata la loro stretta relazione con la pianura), e influire positivamente sulle stesse? Sono molto convinto della connessione tra le aree interne, le aree costiere e le aree dei centri urbani, non penso che siano delle aree da poter dividere o che si possano fare delle politiche che non inglobano l’una e l’altra. Se noi non curiamo un bosco, non curiamo un sentiero, non curiamo i fiumi, se abbandoniamo un territorio, questo poi avrà delle ripercussioni a valle, perché è un sistema connesso che dovrebbe essere guardato nella sua intera complessità. Negli ultimi anni è iniziata ad esserci una vera sensibilità rispetto alle tematiche ambientali, ma io mi ricordo che in passato non era così e ciò ha provocato delle conseguenze devastanti. Io credo molto nei borghi abbandonati e reputo che debbano essere curati in qualche modo dai Comuni, ma ritengo che ci sia anche il dovere di narrare queste storie: le aree interne, cosa siamo stati, come hanno vissuto i nostri nonni e bisnonni, da dove veniamo. Ci può anche essere utile per le scelte da fare in futuro.* BIBLIOGRAFIA - Arminio, F. (2011), “Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia”, Mondadori, Milano. - Daltin, M. (2019), “La teoria dei paesi vuoti. Viaggio tra i borghi abbandonati”, Ediciclo Editore, Portogruaro. - Martinelli, L. (2020), “L’Italia è bella dentro. Storie di resilienza, innovazione e ritorno nelle aree interne”, Altreconomia, Milano. - Rumiz, P. (2014), “È Oriente”, Feltrinelli Editore, Milano.

04. Movada, Tramonti di Sotto (PN). Mauro Daltin

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se noi non curiamo un bosco, non curiamo un sentiero, non curiamo i fiumi, se abbandoniamo un territorio, questo poi avrà delle ripercussioni a valle, perché è un sistema connesso che dovrebbe essere guardato nella sua intera complessità


I need a Forest Fire Quattro capanne o della semplicità Leonardo Caffo Nottetempo 2020

editore Nottetempo sta dando molta attenzione al mondo vasto, non solo come giardino a uso e consumo dell’essere umano; in questo periodo abbiamo dovuto renderci conto di come la nostra presenza sia accessoria, messa in difficoltà proprio dalla montagna stessa dei nostri accessori. Leggendo i libri proposti, il numero e il significato della parola “Altro” cambia e diventa sempre più grande. Un pensatore-scrittore, un terrorista ex professore di matematica a Berkeley, un architetto pioneristico e un geniale filosofo hanno due cose in comune: la rivoluzione dei linguaggi e le prospettive della cognizione moderna del mondo e quattro

capanne. Sul lago, nel bosco, in una baia in queste dimore essenziali e archetipiche la loro vita torna a essere una forma di vita tra le altre, alberi, terra, acqua e animali, e l’essere umano si approssima a una semplicità per sottrazione. Le quattro capanne si collocano in uno spazio ibrido, filosofico e pragmatico, “parla delle vite, delle svariate vite, che ognuno di noi potrebbe trovarsi a sperimentare sapendo scegliere una strada piuttosto che un’altra. Thoreau, Kaczynski, Le Corbusier e Wittgenstein sono quattro esseri umani ma anche, e qui sta il punto centrale, quattro metafore di esistenze possibili. Il valore dell’esempio, del caso che mostra una possibilità in

a cura di

atto e non più in potenza, è quello che ho proposto di chiamare teoria “anticipazionista” nell’estetica applicata: fare ora ciò che si propone come teoria del domani. Davanti a un problema, tanto filosofico quanto architettonico o politico, queste quattro figure hanno agito in modo immediato e di conseguenza hanno dimostrato, attraverso i fatti, la realizzabilità del loro specifico progetto di vita. E qui, per adesso nascosto ma ovviamente da esplorare come si deve, emerge un altro tassello di una diversa idea di filosofia: per testare un argomento non bastano logica e verificabilità ma è necessario, ove possibile, metterne in pratica immediatamente le diverse conseguenze. Questo discende, come implicazione conversazionale, da quanto afferma Ludwig Wittgenstein nel Tractatus: “Nella logica non possono mai esservi sorprese” – dunque solo nella vita di tutti i giorni, e nelle sue pratiche, è possibile il campo di sperimentazione della filosofia (il nostro laboratorio, verrebbe da dire). E che la capanna che costruiremo insieme diventi dunque immagine di vita, e di semplicità”.*

sullo scaffale

Forest Law. Foresta giuridica Ursula Biemann e Paulo Tavares Nottetempo, 2020

Sulla pista animale Baptiste Morizot Nottetempo, 2020

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Il giardino Derek Jarman con fotografie di Howard Sooley Nottetempo, 2019

CELLULOSA


Verdi prati “Take me down to the paradise city Where the grass is green and the girls are pretty” Guns N’ Roses, Paradise City, Appetite for Destruction, 1987 Immagine di Emilio Antoniol

(S)COMPOSIZIONE



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