W.A.Ve. 2022 Workshop Architettura Venezia

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Università Iuav di Venezia

W.A.Ve. 2022 WORKSHOP

ARCHITETTURA VENEZIA

VENICE FUTURE CAMPUS

Coordinamento / Coordination

Andrea Iorio con Lucilla Calogero

Staff / Staff

Susanna Campeotto, Elena Cavallin, Mattia Cocozza, Vincenzo d’Abramo, Martina Dussin, Marco Felicioni, Claretta Mazzonetto, Elena Sofia Moretti, Alessia Sala

Staff amministrativo / Administrative staff

Lucia Basile, Federico Ferruzzi, Irene Segalla

Identità visiva / Visual identity

Leonardo Sonnoli, Irene Bacchi

Web, Social, Exhibit graphic design

Damiano Fraccaro

Riprese audiovisive / Audiovisual footage

Beppe Ferrari, Martina Dussin, Luca Pilot, Servizio fotografico e immagini Iuav

Collaborazioni / Collaborations

Iuav Abroad – Iuav Alumni R3B – Rebiennale

Ringraziamenti speciali / Special thanks

Marco Ballarin, Michel Carlana, Vittorio De Battisti Besi, Alberto Ferlenga, Jacopo Galli, Marco Marino, Daniela Ruggeri

Pubblicazione a cura di / Publication edited by Andrea Iorio, Lucilla Calogero

Progetto grafico / Graphic design

Damiano Fraccaro

Pubblicato da / Published by Anteferma Edizioni, Conegliano (TV) 979-12-5953-047-9

Università Iuav di Venezia, Venezia 978-88-3124-165-6

Stampato da / Printed by Grafiche Antiga per / for Anteferma Edizioni

Prima edizione / First Edition Marzo / March 2024

Referenze iconografiche

/ Iconographic references Tutte le foto delle esposizioni finali, escluso quando riportato diversamente, sono del Servizio fotografico e immagini Iuav

/ All photos of the final exhibitions, unless stated otherwise, are from the Servizio forografico e immagini Iuav

Le mappature alle pp. 42-51 sono a cura di / The mappings on pp. 42-51 are edited by Susanna Campeotto, Mattia Cocozza, Vincenzo d'Abramo, Marco Felicioni, Claretta Mazzonetto, Elena Sofia Moretti

Questo lavoro è distribuito sotto Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo Stesso Modo 4.0 Internazionale

W.A.VE. 2022 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA VENICE FUTURE CAMPUS

A cura di / Edited by

INDICE / CONTENTS

VERSO IL CAMPUS FUTURO

/ TOWARDS THE FUTURE CAMPUS

UN NUOVO CAMPUS PER LA CITTÀ

/ A NEW CAMPUS FOR THE CITY BENNO ALBRECHT

VENEZIA CAMPUS FUTURO

/ VENICE FUTURE CAMPUS ANDREA IORIO

DELL’INTEGRAZIONE INSOFFERENTE

/ ON IMPATIENT INTEGRATION FRANCESCO ZUDDAS

IDEA DI ARCHITETTURA. SPAZIO DELLA DIDATTICA

/ IDEA OF ARCHITECTURE. THE EDUCATIONAL SPACE TOMMASO BRIGHENTI

VENICE FUTURE CAMPUS. VIEWS FROM ABROAD

EMANUELA SORBO, ELISA BRUSEGAN, GIANLUCA SPIRONELLI, SOFIA TONELLO, MARCO TOSATO

OCCASIONI PER IL CAMPUS FUTURO

/ OPPORTUNITIES FOR THE FUTURE CAMPUS

TEMI E AREE

/ THEMES AND AREAS

IL CAMPUS E LA CITTÀ

/ THE CAMPUS AND THE CITY

IL SISTEMA SANTA MARTA

/ THE SANTA MARTA SYSTEM

AREE

PUNTUALI
PUNCTUAL
8 10
34 38 40 48 50
/
AREAS
12 16 24 32

WS1

TIZIANO AGLIERI RINELLA

WS2

ROBERTA ALBIERO

+ ARABELLA GUIDOTTO

WS3

ALDO AYMONINO + GIUSEPPE CALDAROLA

WS4

BERGMEISTERWOLF GERD BERGMEISTER +

WS5

ANDREA

WS6

RICCARDA

WS7

FERNANDA DE MAIO +

WS8

PEDRO DOMINGOS

WS9

FABIO DON + MARCO ZELLI

WS10

ECKERT NEGWER SUSELBEEK ARCHITEKTEN WOUTER SUSELBEEK

WS11

FRES ARCHITECTES

LAURENT GRAVIER + SARA MARTÍN

PER IL CAMPUS FUTURO / VISIONS FOR THE FUTURE CAMPUS
VISIONI
MICHAELA WOLF
BERTASSI
CANTARELLI
DANIELA
RUGGERI
54 56 66 76 86 96 106 116 126 136 146 156
CÁMARA

WS12

WS13

WS14

WS15

WS16

WS17

WS18

WS19

WS20

TONI GIRONÈS
CRISTIÁN IZQUIERDO LEHMANN + NICOLÒ LEWANSKI
SARA MARINI
METRO ARQUITETOS GUSTAVO CEDRONI
ENRICO MOLTENI
MONOBLOCK ALEXIS SCHÄCHTER
GUIDO MORPURGO
RODRIGO PERÉZ DE ARCE
TALLER CAPITAL JOSÉ PABLO AMBROSI + LORETA CASTRO REGUERA
MARGHERITA VANORE
JORGE VIDAL + GUILLEM PONS + BIEL SUSANNA PREMI / AWARDS 166 176 186 196 206 216 226 236 246 256 266 276
WS21
WS22

VERSO IL CAMPUS FUTURO / TOWARDS THE FUTURE CAMPUS

8 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

UN NUOVO CAMPUS PER LA CITTÀ

/ A NEW CAMPUS FOR THE CITY BENNO ALBRECHT

VENEZIA CAMPUS FUTURO

/ VENICE FUTURE CAMPUS ANDREA IORIO

DELL’INTEGRAZIONE INSOFFERENTE

/ ON IMPATIENT INTEGRATION FRANCESCO ZUDDAS

IDEA DI ARCHITETTURA. SPAZIO DELLA DIDATTICA

/ IDEA OF ARCHITECTURE. THE EDUCATIONAL SPACE TOMMASO BRIGHENTI

VENICE FUTURE CAMPUS. VIEWS FROM ABROAD

EMANUELA SORBO, ELISA BRUSEGAN, GIANLUCA SPIRONELLI, SOFIA TONELLO, MARCO TOSATO

9 VENICE FUTURE CAMPUS

UN NUOVO CAMPUS PER LA CITTÀ BENNO ALBRECHT

W.A.Ve. è giunto alla ventunesima edizione. Nato nel 2001 come Workshop di Architettura a Venezia, W.A.Ve. si è da subito distinto per la sua forma innovativa di fare e insegnare architettura nel mondo contemporaneo: ogni estate, per tre settimane, tra venti e trenta architetti e docenti di fama internazionale sono invitati a lavorare fianco a fianco con oltre mille giovani studenti dell’Università Iuav di Venezia, in una dimensione laboratoriale e collettiva che non ha eguali. Il lungo percorso intrapreso e i numeri di eccezionale rilevanza – circa 25.000 gli studenti coinvolti complessivamente, oltre 500 gli architetti e i docenti invitati, tra i quali tre Pritzker prize – ne hanno fatto un’esperienza unica nel suo genere, sicuramente il più grande workshop di architettura al mondo.

Con l’edizione 2022 W.A.Ve. ha assunto un valore e un ruolo nuovi all’interno di un ateneo in procinto di intraprendere un profondo rinnovamento, intenzionato a ridisegnare il proprio futuro come centro di riferimento per la ricerca e la didattica del progetto, ma anche la propria posizione all’interno dello straordinario contesto urbano. A partire dalla presentazione del Progetto Iuav 2021-27, ha preso avvio un processo di trasformazione che sta coinvolgendo l’intera comunità universitaria e gli spazi entro cui vive e lavora. Con l’obiettivo di rendere disponibili strutture, servizi e possibilità di relazioni sempre migliori e sempre più competitive, la visione strategica complessiva ha individuato un nodo di particolare rilevanza nel ripensamento delle strutture fisiche del campus universitario all’interno della città di Venezia. L’Università Iuav consolida così il proprio posto al centro delle grandi trasformazioni che riguarderanno le aree di Santa Marta e del porto, dove l’ateneo è uno dei principali stakeholder, partecipando attivamente alla rigenerazione delle aree periferiche della città storica.

La scelta di proporre il grande e impegnativo processo di trasformazione del campus come tema dell’edizione 2022 ha dimostrato che W.A.Ve. può essere uno straordinario strumento di esplorazione, capace di mettere in campo un forte potenziale operativo. Gli esiti prodotti, che sono presentati in questo volume, testimoniano il valore del lavoro svolto: l’ampiezza e la varietà delle visioni proposte riescono a tessere inedite trame di relazioni in una città che ha forte bisogno di ripensare le attività culturali e produttive al suo interno; le numerose declinazioni che i progetti sperimentano sono un importante bagaglio di possibili futuri, nati dalla condivisione con gli studenti, una componente fondamentale della popolazione universitaria attuale e futura; la diversità e la molteplicità dei punti di vista, infine, costituiscono un arricchimento necessario per riuscire a portare a compimento il processo. W.A.Ve. 2022 Venezia campus futuro ha rappresentato un importante passo avanti nel percorso intrapreso e rimarrà un significativo riferimento per la strada ancora da percorrere.

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A NEW CAMPUS FOR THE CITY BENNO ALBRECHT

W.A.Ve. has reached its twenty-first edition. Born in 2001 as Workshop of Architeture in Venice, W.A.Ve. immediately stood out for its innovative way of doing and teaching architecture in the contemporary world: every summer, for three weeks, between twenty and thirty internationally renowned architects and teachers are invited to work side by side with over a thousand young students of Università Iuav di Venezia, in a laboratory and collective dimension that has no equals. The long path undertaken and the exceptionality of the numbers – around 25,000 students involved in total, over 500 architects and teachers invited, including three Pritzker prize winners – have made it a unique experience: certainly the largest architectural workshop in the world.

With the 2022 edition W.A.Ve. has taken on a new value and role within a university about to undertake a profound renewal, with the intent of redesigning its future as a reference center for design research and teaching, but also its position within its extraordinary urban context. Starting from the presentation of Progetto Iuav 2021-27, a transformation process has begun that is involving the entire university community and the spaces in which it lives and works. With the aim of making structures and services increasingly better and construct larger networks of relationships, the overall strategic vision has identified a particularly important node in the rethinking of the physical structures of the university campus within the city of Venice. Università Iuav di Venezia thus consolidates its place at the center of the major transformations that will affect the areas of Santa Marta and the port, where the university is one of the main stakeholders, actively participating in the regeneration of the peripheral areas of the historic city.

The choice to propose the large and challenging process of transformation of the campus as the theme of the 2022 edition demonstrated how W.A.Ve. could be an extraordinary exploration tool, capable of unleashing strong operational potential. The results produced, which are presented in this volume, testify to the value of the work carried out: the breadth and variety of the visions proposed manage to weave new patterns of relationships in a city that has a strong need to rethink its cultural and productive activities; the numerous variations that the projects experiment with are an important showcase of possible futures, born from the continuous sharing with students, the fundamental component of the university; finally, the diversity and multiplicity of points of view constitute a necessary enrichment to be able to complete the process. W.A.Ve. 2022 Venice Future Campus represented an important step forward in the path undertaken and will remain a significant reference for the road still to be traveled.

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VENEZIA CAMPUS FUTURO ANDREA IORIO

In vent’anni W.A.Ve. ha percorso un lungo cammino, ha toccato molteplici temi e altrettanti luoghi, incrociando approcci ed esplorando differenti scenari. Di volta in volta, le questioni poste dallo sviluppo contemporaneo di città e territori hanno offerto lo spunto di riflessione. Ma sempre, gli strumenti del progetto sono stati la modalità attraverso cui comprendere e migliorare il mondo in cui viviamo, favorendo i confronti tra approcci differenti, mescolando le scale, lavorando sul mondo fisico e sugli immaginari.

Nella sua ventunesima edizione, W.A.Ve. 2022 fa ritorno a casa, nel campus universitario in cui ha sede. È questo un ritorno che può contare su occhi allenati altrove e che, ancora una volta, è arricchito da una molteplicità di punti di vista, interni ed esterni, portatori di un ampio bagaglio di esperienze vicine e lontane. Perché è nel dialogo tra le posizioni che W.A.Ve. ha sempre offerto gli esiti migliori.

W.A.Ve. 2022 è dedicato al futuro del campus universitario Iuav a Venezia. Ragioni interne, legate al riassetto della presenza universitarie nella città, hanno dato lo spunto per il tema d’anno. La necessità di una riorganizzazione generale delle sedi ha visto l’avvio di un processo volto alla deframmentazione e all’efficientamento dei rapporti tra edifici, collocazioni e funzioni. Tale processo, però, non si esaurisce in se stesso: al contrario, rappresenta una straordinaria occasione per interrogarsi sull’identità e sulla struttura intima del campus a venire. La questione, cioè, non è solo contingente: trasferire funzioni o riempire contenitori. Piuttosto si tratta di gettare le basi – in questo caso, architettoniche e spaziali – per potenziare e sviluppare le attività presenti. Ma anche, e soprattutto, per scoprire opportunità latenti nel patrimonio edilizio attuale, esplorare l’introduzione di nuovi programmi e di nuovi spazi a questi dedicati, mettere alla prova inedite relazioni tra le parti. Il termine campus, allora, richiama un’idea di ‘campo’, come quello elettromagnetico, fatto di molteplici presenze, anche composite, e mutue interazioni, a contatto o a distanza, visibili o no. La sua attivazione – meglio, la sua intensificazione – costituisce irrinunciabile condizione di ricchezza per la vita universitaria.

Il particolare contesto in cui ha sede la parte più consistente del campus, l’area di Santa Marta, è un luogo piuttosto particolare, a partire dal quale poter innescare un più ampio ragionamento sulla stessa Venezia. Santa Marta, infatti, sebbene si trovi in diretta continuità con il tessuto urbano storico e sia ugualmente caratterizzata da un rapporto multiforme con l’acqua, rimane allo stesso tempo una parte atipica della città, riconoscibilmente distinta. L’eredità che deriva dalla sua storia particolare, legata allo sviluppo industriale di questo lembo estremo della città, ci chiede oggi di confrontarci con grandi manufatti, in parte già usati dalle università, in parte dismessi, e grandi vuoti. Sono questi altrettante straordinarie occasioni di progetto, altrimenti impensabili nella città più densa e consolidata.

Allo stesso tempo, l’orizzonte di senso entro cui concepire il destino del campus interseca questioni più ampie e di più lunga prospettiva temporale. Tra i vari eventi occorsi negli ultimi anni, vari sono gli indizi di un prossimo inevitabile cambiamento per luoghi come questo: dalla pandemia che ha messo in discussione le forme della

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vita collettiva – e, con particolare intensità, quelle della vita scolastica – fino ai più recenti piani nazionali di contrasto alla crisi economica, che prevedono nuovi investimenti nello sviluppo delle infrastrutture universitarie. Il termine futuro, in questo senso, dischiude almeno due possibili direttrici. Da un lato, prende corpo come difficile eredità: quella lasciata da un lungo e non ancora del tutto chiuso stato di emergenza, che ci obbliga a immaginare un futuro inevitabilmente diverso rispetto alle tradizionali modalità didattiche e della ricerca, con necessarie ricadute anche sugli assetti spaziali. Dall’altro, nel dischiudere nuove prospettive di sviluppo per le sedi universitarie, è necessario affrontare alcuni aspetti strutturali del futuro campus. Tra questi, alcuni hanno rilevanza, potremmo dire, interna, come per esempio il sistema dei collegamenti o la distribuzione degli spazi per le attività collaterali alla didattica (come laboratori, spazi per il lavoro collettivo, spazi espositivi e per eventi). Altri aspetti, invece, riguardano il generale ripensamento delle relazioni tra università e intorno. Sarebbe possibile individuare molteplici soglie tra ciò che succede all’interno degli edifici e gli spazi aperti circostanti: oggi questi spazi esterni sono tanto ampi quanto poco attrezzati per ospitare la vita universitaria (dalla vita quotidiana degli studenti, alla possibilità di utilizzo per eventi). In questo senso, anche il lavoro su luoghi puntuali può rivelarsi strategico quando riesce a traboccare dal proprio perimetro abituale per fuoriuscire a coinvolgere l’intorno, rinegoziando o articolando quelle soglie. In questo quadro, il progetto degli spazi esterni, oggi spesso di risulta, costituisce peraltro uno straordinario banco di prova per ripensare i luoghi relazionali post pandemia.

Un aspetto di particolare rilievo, infine, è occupato dal tema dei rapporti tra campus e città intera. O meglio, i rapporti tra un’università dedicata alle culture del progetto (dall’architettura al design, dalla pianificazione alla moda) e una città che da tempo manca di progetti sul suo futuro, sul ruolo che le attività ancora presenti possono avere nella vita urbana. Questi rapporti sono oggi fragili, poco sistematici e raramente attraggono una componente culturale già presente, altrove, in città. In questo senso, il ruolo che il campus futuro potrà svolgere sta a metà strada tra la progettazione di spazi capaci di attrarre e accogliere e il loro inserimento entro più ampie sequenze urbane (prima tra tutte il rapporto con il fronte sul canale della Giudecca). Il futuro del campus urbano è allo stesso tempo radicato e aperto, punti e rete.

La sfida proposta da W.A.Ve. 2022, allora, sottintende due quesiti fondamentali: il primo riguarda le possibilità, per il progetto di architettura, di svolgere ancora un ruolo trainante, o di innesco, nei processi di trasformazione urbana; il secondo, se e come l’occasione del campus urbano potrà contribuire a delineare il futuro di Venezia.

13 VENICE FUTURE CAMPUS

VENICE FUTURE CAMPUS ANDREA IORIO

Across the last twenty years, W.A.Ve. has traveled a long road, dealing with multiple themes and as many places, crossing different approaches and exploring multiple scenarios. From time to time, the issues posed by the contemporary development of cities and territories have triggered its discussions, offering food for thought. Nevertheless, the tools of the project have always been the mode through which to understand and improve the world we live in, fostering comparisons between different approaches, mixing scales, working both on the physical world and on imaginaries.

In its 21st edition, W.A.Ve. 2022 returns home, to the university campus where it is based. And such a return can count on eyes trained elsewhere and, once again, be enriched by a multiplicity of viewpoints, both internal and external, carrying a wide range of experiences from nearby and far away. For it is in the dialogue between positions that W.A.Ve. has always offered its best outcomes.

W.A.Ve. 2022 is dedicated to the future of the Iuav university campus in Venice. Internal reasons, related to the reassessment of the presence of the university in the city, pushed toward this year’s theme. The need for a general reorganization of the school’s venues prompted a process of defragmentation aimed at a more efficient relationships between buildings, locations and functions. This process, however, does not end in itself: on the contrary, it represents an extraordinary opportunity to question the identity and intimate structure of the campus to come. The matter, in fact, is not merely contingent, nor limited to the transferring of functions or the filling of containers. Rather, it also implies laying the foundations – in this case, architectural and spatial – for enhancing and developing present activities. But also, and above all, to discover latent opportunities in the current building stock, to explore the introduction of new programs and new spaces dedicated to them, to test unprecedented relationships between the parts. The term campus, then, recalls an idea of ‘field’, like an electromagnetic one, made up of multiple presences, even composite, and mutual interactions, in contact or from a distance, visible or not. Its activation –better, its intensification – constitutes an indispensable condition of richness for the university life.

The context in which the largest part of the campus is located, the Santa Marta area, is a rather peculiar place, from which a broader reasoning about Venice itself can be triggered. Santa Marta, in fact, although in direct continuity with the historic urban fabric and equally characterized by a multifaceted relationship with water, remains at the same time an atypical part of the city, recognizably distinct. The legacy coming from its particular history, linked to the industrial development of this extreme edge of the city, asks us today to confront large artifacts, partly already used by the universities, partly disused, and large voids. These all represent extraordinary design opportunities, otherwise unthinkable in the denser, more established city.

At the same time the boundaries of meaning, within which the future of the campus must be conceived, intersect broader issues of longer time perspective. Among the various events occurred in recent years, many indicators hint at an inevitable change for places such as this: on one side, the pandemic has challenged the

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forms of collective life and, with particular intensity, those of the school life; on the other, the most recent national plans to counter the economic crisis have envisioned new investments in the development of university infrastructures. The term future, in this sense, discloses at least two possible directions. On the one hand, it embodies a difficult legacy, left by a long and not yet completely closed state of emergency, which forces us to imagine a future that inevitably differs from the traditional modes of teaching and research, bearing necessary repercussions on spatial arrangements as well. On the other hand, in unveiling new development prospects for the university’s venues, it is necessary to address some structural issues connected to the future campus. Among these, some bear more internal relevance, such as the system of connections or the distribution of spaces for other activities collateral to teaching (such as laboratories, spaces for collective work, exhibition and event spaces). Other aspects, besides, concern the general rethinking of the relationship between the university and its surroundings. Multiple thresholds could be possibly identified between what happens inside the buildings and the surrounding open areas: today these outdoor spaces are as large as they are poorly equipped to accommodate university life (from the daily life of students, to the possibility of use for events). In this sense, working on punctual places can also prove strategic if it manages to overcome its usual perimeter and encompass the surroundings, renegotiating or articulating those thresholds. In this framework, the design of outdoor spaces, now often considered as a left-over, represents an extraordinary test for rethinking post-pandemic relational places.

Finally, the relationships between the campus and the whole city frames a meaningful issue that must be addressed. Or rather, the relationships between a university dedicated to the culture of the project (from architecture to design, from planning to fashion) and a city that has long lacked plans for its future, for the role that the activities still present can play in its urban life. Today these relationships denote fragility, lack a systematic approach and rarely attract that cultural component already present, elsewhere, in the city. In this sense, the role the future campus can play lies somewhere between the design of spaces – capable of attracting or welcoming – and their insertion within broader urban sequences (first and foremost the relationship with the canale della Giudecca front). The future of the urban campus, then, is both rooted and open. It embodies both points and networks.

Thus, the challenge proposed by W.A.Ve. 2022 implies two fundamental questions: the first one concerns the possibilities for architectural design to still play a driving, or triggering, role in processes of urban transformation; the second one enquires whether and how the occasion of an urban campus will contribute to shaping the future of Venice.

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DELL’INTEGRAZIONE INSOFFERENTE FRANCESCO ZUDDAS

Nel 2016 l’associazione Young Architects Competitions promosse un concorso di idee per l’insediamento di un “campus universitario da sogno” a Poveglia, un’isola della laguna veneziana in stato di abbandono da circa cinquant’anni dopo un passato come stazione di quarantena.1 Sotto due aspetti il concorso si inseriva sul solco della storia degli insediamenti universitari, due aspetti che si intrecciano e la cui rilevanza si rinnova alla luce di attuali considerazioni che informano la coscienza collettiva e la politica. Il primo, proponendo il riuso di vecchi edifici, è l’idea che un’università si costruisce attraverso la riappropriazione e trasformazione di qualcosa che già esiste. Il secondo, sfruttando l’idea di isola, predica che l’università sia un fatto a sé, elemento che, in definitiva, sfugge all’integrazione nella società e nella città.

Come non demolire un edificio

Andiamo per ordine. Mentre scrivo queste note ricevo un’email di invito a una lezione aperta dello studio belga 51N4E. La lezione, organizzata dall’Architecture Foundation a Londra, si intitola How to not demolish a building. Non vi è titolo che più ci si dovrebbe aspettare in un tempo in cui le coscienze individuali e istituzionali sono scosse dal cambiamento climatico: l’era dell’Antropocene, quando la razza umana si accorge che i Limits to Growth proclamati cinquant’anni fa dal Club di Roma sono diventati un futuro non più prorogabile e, tra gli altri, chiama sul banco degli imputati architettura, architetti, e studenti di architettura a espiare una irrefrenabile sete di risorse. Sempre più raro è diventato assistere oggi a una presentazione di progetti studenteschi in cui non figuri la domanda, formulata più come accusa che dubbio, riguardo all’eventualità di distruggere e ricominciare. E finalmente, viene da aggiungere.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma Meccanicamente ripetuta come un mantra da milioni di studenti, oggi più che mai questa frase offre una definizione dell’architettura. Se si vogliono trovare esempi da cui imparare come mettere in atto il portato creativo dell’enunciato di Antoine-Laurent de Lavoisier, la storia dell’università, compresa quella delle università in Italia, offre un punto di partenza. Per rimanere in tempi non troppo passati e, indubbiamente, peccare di ovvietà, tornano alla mente gli interventi di Giancarlo De Carlo per le Università di Urbino e Pavia.2 Inserendo classi, docenti e studenti all’interno di vecchi muri, sia quelli istituzionali dei conventi (la facoltà di Magistero a Urbino), sia quelli popolari di vecchie strutture rurali (i poli universitari periferici proposti per Pavia), De Carlo agiva da destabilizzatore. Ciò che destabilizzava era un dibattito architettonico e urbanistico che, tra gli anni ’60 e ’70 e su scala internazionale, era principalmente impegnato a commentare gli innumerevoli nuovi insediamenti universitari, spesso celebrandoli come città di fondazione per il mondo occidentale e opportunità di crescita (si legga colonizzazione) per i paesi in via di sviluppo.3 Oltre a essere specchio del proprio tempo, e spesso agendo d’anticipo, i progetti di De Carlo mettevano in luce una caratteristica originale,

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cioè attinente a un momento di origine, dell’università: il non nascere dal nulla ma essere, invece, mutazione di istituzioni precedenti.

La conoscenza, è stato scritto, si è reincarnata varie volte nel corso della storia, ogni volta creando istituzioni che reagivano a quelle precedenti, ma al contempo ne portavano in traccia alcune caratteristiche.4 L’università è solo una di tante reincarnazioni, si dice nata in epoca medievale dal precedente più prossimo del monastero, la sua origine. Ogni reincarnazione, come ogni nuova generazione, cerca di ridefinire le sue origini, e così l’università fu fin da principio orientata a essere, in confronto al precedente monastico, istituzione più aperta e diversificata. Ma il tentativo poteva solo essere vano perché, come nota Giorgio Agamben riflettendo sul significato interconnesso di opera, principio e comando, «l’inizio non è un semplice esordio, che poi scompare in ciò che segue; al contrario, l’origine non cessa mai di iniziare, cioè di comandare e governare ciò che ha posto in essere».5 Il monastero, quindi, non poteva che sopravvivere come comando nell’università.

È vero che dalle origini medievali l’università si è a sua volta reinventata nel tempo al punto di essere trasfigurata e, sostanzialmente, ricreata in epoca moderna come istituzione di “ricerca” (l’università di Berlino di inizio Ottocento), grande macchina burocratica (la Multiversity di cui scriveva nei primi anni ’60 il rettore della University of California, Clark Kerr6), e fabbrica della conoscenza (appellativo di ovvio stampo marxista proposto dai critici della deriva di mercato dell’università in epoca di capitalismo neoliberale7). Una contraddizione di fondo, tuttavia, permane come costante nel tempo. Nell’introdurre una raccolta di saggi ormai diventata un classico sul tema del rapporto tra università e città, Thomas Bender riassumeva così questa costante:

Then as now, it was difficult to balance the ideals of disinterested pursuit of ideas with the material facts of life surrounding academics in cities. There is a constant danger of corruption, of succumbing to the lures of power and wealth. But mostly it has been a creative tension.8

Crisi

Riassunto in ambito anglosassone col sintagma “town and gown”, il rapporto conflittuale tra università e città è forse il mito che più ha alimentato storie e controstorie, progetti e controprogetti per una delle istituzioni più difficili da definire in maniera univoca. Come tutti i miti, accertarne la veridicità è impossibile, se non inutile. Ciò a cui rimanda è la constatazione che un accordo su cosa sia un’università è raggiungibile quanto una chimera. Si può dire infatti che, almeno dal Conflitto delle facoltà con cui Kant al tramonto del Settecento discuteva la riorganizzazione della conoscenza per categorie – le discipline – l’università è un’istituzione in crisi, intendendo per crisi un momento di scelta, di decisione. Il rapporto dell’università con il campo largo a cui risponde e in cui si colloca – la città ne è solo una piccola parte – è sempre in bilico, sempre sull’orlo del tracollo. Così è stato e così dovrà essere fino all’eventuale fine dell’università. La richiamata lettura secondo cui la conoscenza si reincarna temporaneamente in nuove istituzioni che, a loro volta, la riorganizzano, porta alla logica conclusione che anche l’università non sia immortale, nonostante la constatazione di Bender che «no institution in the West, save the Roman Catholic church, has persisted longer».9

E in effetti, da tempo si attende, si teme, anche si spera, nella morte dell’università. È dai tempi dei progetti di De Carlo prima richiamati, intorno al 1968, che si dibatte questo momento di passaggio, con una crescente ansia per una istituzione dichiarata in rovina,10 forse defunta, sempre meno critica.11 Proprio nel ’68 un altro architetto italiano, Guido Canella, aveva scritto che lo stato di crisi dell’università si ritrova nel suo rapporto spaziale di frontalità nei confronti del suo alter ego, la città. L’essere una “anti-città”, per Canella, era un altro modo di nominare quella tensione creativa definita da Bender; una costante storica, aggiungeva l’architetto, tanto valida nelle università urbane di matrice europea quanto in quelle suburbane di matrice americana.12 Canella aiutava a escludere il mito del campus americano,

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nato e definitosi tra il XVII e il XVIII secolo, come momento di rottura di un ipotetico paradiso scomparso in cui fosse esistito, nel passato e in ambito europeo, un rapporto di maggiore integrazione tra città e università. L’università, ovunque si trovi, è un luogo insofferente alla troppa integrazione.

Iceberg

L’anti-città universitaria di Canella, e in certa misura i progetti di De Carlo, erano motivati dallo spirito contestatorio del ’68 per cui tutto ciò che rappresentava lo stato corrente doveva essere sottoposto a giudizio. L’università si doveva aprire alla società, si diceva, ma pur mantenendo una distanza di sicurezza, si direbbe critica, dai risultati non voluti dell’appiattimento e della neutralizzazione delle contraddizioni. Su questo ancora oggi ci si interroga: come creare una situazione che si distacchi dalla realtà pur appartenendovi a pieno?

Osservando un progetto recente, l’espansione della Columbia University in un nuovo campus a Harlem, Reinhold Martin (docente nella stessa università) letteralmente scava sottoterra per trovare prove che contraddicano le apparenti e dichiarate ambizioni di trasparenza e permeabilità del progetto elaborato da Renzo Piano Building Workshop con Skidmore, Owings and Merrill. Puntando l’arco del linguaggio verso il bersaglio del consenso, il progetto scomoda il foro di romana memoria per promuovere un’immagine di università in cui molteplici pubblici attraversano liberamente un campus proclamato privo di barriere e cancelli. Muovendo lo sguardo nei sotterranei, Martin mostra come ciò che emerge sia la punta di un iceberg la cui base sommersa è un edificio unico che, ancor più del celebrato campus che McKim Mead and White progettarono per la Columbia sul finire dell’Ottocento, sembra rispettare la griglia stradale per, in realtà, colonizzarla molto più a fondo. Sul suolo, in risposta all’affermata assenza di cancelli e barriere, Martin nota come una coppia di condotti di aerazione, già firma high-tech fin dai tempi del Centre Pompidou, creino un’allegoria di ingresso, «as if the campus gate must be reproduced and even commemorated».13

Si potrebbe dire che qui si pecca di troppa ingenuità. Il sodalizio tra chi, come Piano, spesso viene visto e sfruttato come esportatore di italianità (si pensi, tra i tanti, al progetto per Central Saint Giles in centro a Londra, discusso per la sua capacità di offrire una piazza alla città), lo studio corporate americano per eccellenza che tanto ha inciso anche in ambito di progettazione di spazi universitari (SOM), e una delle maggiori istituzioni accademiche al mondo che si è costruita la propria fama anche grazie alle proprie mosse sul mercato immobiliare, non può infatti che essere intriso di slogan mirati a placare le ansie e le rabbie dei tanti residenti dispossessati dalla costruzione di un nuovo grande campus universitario. Ciò che resta è l’ulteriore prova di quell’imminente pericolo di corruzione che Bender diagnosticava come costante nella storia dell’università.

Isola

Arriviamo così alla seconda considerazione introdotta in apertura – l’università come fatto a sé – che ci riporta al concorso per Poveglia dove la decisione più estrema sembra sia stata presa: creare un’università-isola. Riflettendo sul tempo corrente di crisi climatica e rinnovati fervori nazionalisti, Jill Stoner ha osservato come l’idea di isola sia orma obsoleta. Lo è in quanto luogo dell’utopia, come natura immacolata che variamente ha dato forma all’immaginario di scrittori e registi; ed è obsoleta come luogo della distopia nazionalista, in un «political ecosystem in which lies are disguised as truth»14 e le proposte di nuovi muri fisici (Messico/USA) e ideologici (Brexit) per tenere fuori l’indesiderato e conservare il mito dell’identità nazionale si scontrano con l’incontrovertibile realtà dell’interdipendenza globale.

Irrompe di nuovo Giancarlo De Carlo, che cinquant’anni fa scriveva della nascente università di massa come non «più un’isola di guarigione culturale, [piuttosto] una trama specifica ma non necessariamente emergente di una tessitura più generale che coinvolge tutti gli aspetti e i momenti della vita associata».15 Osservando di nuovo i suoi progetti per un’università che fosse della città, che contribuisse cioè a

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1. YAC website. https://www. youngarchitectscompetitions. com/it/past-competitions/ university-island (ultimo accesso: 10 maggio 2023).

2. Francesco Zuddas, “Pretentious Equivalence: De Carlo, Woods and MatBuilding”, FA Magazine, 34 (2015): 45-65.

3. Stefan Muthesius, The Postwar University: Utopianist Campus and College. New Haven, CT, and London: Yale University Press, 2000; Francesco Zuddas, The University as Settlement Principle: Territorialising Knowledge in Late 1960s Italy. Abingdon and New York: Routledge, 2020.

dare anima alla vita associata dentro e fuori i suoi muri specializzati, che si disperdesse in un territorio urbano (dove anche la campagna era ormai parte dell’urbano), ci si trova di fronte alla crisi, a quel momento di decisione di cui si accennava prima. L’università come scelta, non in grado di offrire certezze, non ingenuamente aperta e permeabile, e sicuramente non ingannevolmente trasparente come dichiarato da tanta della più recente architettura universitaria. Senza imprescindibilmente tessere le lodi di un architetto che, come tutti, sarà dovuto scendere a patti e solcare il limite di quella corruzione morale sempre dietro l’angolo, soprattutto quando il cliente è al contempo così potente ma anche così fragile da cedere alle tentazioni mondane, quei progetti puntualizzano come un’università che sia parte di città sia lungi dall’essere il frutto di una gentile operazione senza dolore, semplice inserzione di programma. Il limite ultimo dell’integrazione rimane all’orizzonte, e lì deve rimanere come obiettivo ideale, forse non raggiungibile, ma il cui vero scopo è persistere come traguardo che risvegli le anime quando cadono nel torpore di una retorica troppo romantica o nell’eccessiva sete di potere.

L’integrazione tra università e città può esistere solo nella misura di accettare un dato di fatto che è intrinseco al fare architettura, che è l’architettura. Il fatto di operare sempre attraverso il dissenso, in qualche misura, nei confronti di ciò che si trasforma. Non tutto si accetta per ciò che è, ogni materiale si guarda con sospetto per ipotizzarne una nuova ragione d’essere. Usare l’università per attuare una tale trasformazione ha ovvie tinte simboliche che rimandano al ruolo di un’istituzione ricreata, in epoca moderna, come ragione critica della società, luogo di giudizio di conoscenze assodate e di creazione di nuovi miti. Un’istituzione sempre sull’orlo del tracollo, destinata forse a essere surclassata da qualcos’altro che la contraddirà pur mantenendone alcune delle caratteristiche. E speriamo, a pena della scomparsa di ogni ragione critica, siano le caratteristiche che oggi più stimolano il disaccordo su questa istituzione fondamentale.

4. Ian F. McNeely and Lisa Wolverton, Reinventing Knowledge: From Alexandria to the Internet. New York: W.W. Norton, 2008.

5. Giorgio Agamben, Creazione e anarchia: L’opera nell’età della religione capitalista. Vicenza: Neri Pozza, 2017: 93.

6. Clark Kerr, The Uses of the University. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1963.

7. The Edu-factory Collective, Toward a Global Autonomous University, New York: Autonomedia, 2009; Gerald Raunig, Factories of Knowledge: Industries of Creativity. Los Angeles: Semiotext, 2013.

8. Thomas Bender, “Introduction”. In Thomas Bender (a cura di), The University and the City: From Medieval Origins to the Present. New York: Oxford University Press, 1988: 5.

9. Ibid.: 4.

10. Bill Readings, The University in Ruins. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1996.

11. Douglas Spencer, The Architecture of Neoliberalism: How Contemporary Architecture Became an Instrument of Control and Compliance. New York: Bloomsbury, 2016.

12. Guido Canella, “Passé et avenir de l’anti-ville universitaire”, L’Architecture d’Aujourd’hui, 137 (1968): 16-19.

13. Reinhold Martin, “Made in Manhattanville”. In Caitlin Blanchfield (a cura di), Columbia in Manhattanville New York: Columbia Books on Architecture and the City, 2016: 130.

14. Jill Stoner, “The End of the Idea of Island: On the Extinction of True Isolation”. Literary Hub Daily, 27 September 2021. https://lithub.com/the-endof-the-idea-of-island-on-theextinction-of-true-isolation/ (ultimo accesso: 10 maggio 2023).

15. Giancarlo De Carlo (a cura di), Pianificazione e disegno delle università. Roma: Edizioni universitarie italiane, 1968: 13.

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ON IMPATIENT INTEGRATION FRANCESCO ZUDDAS

In 2016, Young Architects Competitions launched an ideas competition to settle a “dream university campus” in Poveglia, an island in the Venetian lagoon that has laid in ruins for over fifty years after a past life as a quarantine station.1 In two ways the competition brief linked to the history of university settlements; two ways that intersect and whose relevance is renewed in the light of current preoccupations that have collective and political significance. Firstly, by proposing to reuse existing built structures a reminder was sent as to how a university gets built by re-appropriating something that already exists. Secondly, by leveraging on the idea of an island the brief claimed a university to be a thing onto itself; an element that ultimately escapes integration in society and in the city.

How to not demolish a building

Let’s start with an anecdote. As I write these notes my email inbox receives an invitation to a public lecture by the Belgian office 51N4E. Organised by the Architecture Foundation in London, the lecture’s heading is How to not demolish a building. Arguably no title should be more expected in times when climate change stirs individual and collective conscience; the times of the Anthropocene, when the Limits to Growth declared by the Club of Rome fifty years ago have become a no longer deferrable future. Sitting in the dock, architecture, architects, and architecture students plead to expiate their insatiable thirst for natural resources, and it has today become increasingly common in reviews of students’ work to hear the question – to be sure, more of an accusation than the expression of a doubt – about the legitimacy of razing down to start again. Finally, we can add.

Nothing is created, nothing is destroyed, everything is changed Repeated as a mantra by million students through the years, Antoine-Laurent de Lavoisier’s principle offers today a most fitting definition of architecture. If lessons are sought as to how to put in practice the creative potential of the sentence one should look no further than the history of universities, with those in Italy offering an effective vantage point. To stay within not too remote times and, admittedly, fall prey of truism, the projects by Giancarlo De Carlo for the universities in Urbino and Pavia inevitably come to mind.2 Through the insertion of classrooms, teachers, and students within old walls spanning from the institutional ones of convents (i.e. the School of Education in Urbino) to the vernacular ones of rural buildings (i.e. the peripheral poles proposed for Pavia), De Carlo enacted a subversion. What he subverted was the international architectural and urbanistic discourse of the 1960s and 1970s and its celebration of numerous new university settlements as either the new towns for the postwar Western world or development opportunities (read colonisation) for underdeveloped countries.3 Emblematic of their times, and often capable of anticipating future trends, De Carlo’s projects shed light on an original (meaning proper of an originating moment) characteristic of universities: namely, their being born not out of nothing but through the mutation of some earlier institutions.

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It has been said that knowledge has cyclically reincarnated, each time creating new institutions that reacted to yet also carried the traces of those that preceded them. 4 The university is only one of many reincarnations, notoriously born in medieval times and bearing the traces of one of its precedents: the monastery. Acting like any new generation set to redefine its own origins, the university aimed from the outset to be a more open and diverse institution in comparison to its monastic precedent. The aim, however, could only be a vain dream because, following Giorgio Agamben’s elaborations on the interlinked meanings of work, principle and command, «the beginning is not merely debut; it is not something that disappears in what comes after it. Instead, the origin never stops beginning, that is, it never stops commanding and governing what it has originated».5 The monastery could therefore only survive as command in the university.

There is no doubt that the university has reinvented itself multiple times since its medieval origins to the point of transfiguration. Firstly, as a research institution for the modern age (the 19th century University of Berlin); then, as gigantic bureaucratic machinery (the Multiversity advocated by the University of California President, Clark Kerr, in the early 1960s6); and more recently as a factory of knowledge (to use marxist-flavoured nomenclature to critique the marketisation of the university in the neoliberal age7). A fundamental contradiction, however, remains as a constant through time. This constant was summarised by Thomas Bender in his introduction to a collection of essays that has become a classic textbook on the relations between universities and cities:

Then as now, it was difficult to balance the ideals of disinterested pursuit of ideas with the material facts of life surrounding academics in cities. There is a constant danger of corruption, of succumbing to the lures of power and wealth. But mostly it has been a creative tension.8

Crisis

Summarised with the phrase “town and gown”, the conflictive relation between university and city is arguably the myth that most widely has sparked narratives and counter-narratives, projects and counter-projects for an institution that is among the most difficult to define. As for any myth, ascertaining its truthfulness is impossible if not pointless. It can be argued that, at least since Kant’s Conflict of the Faculties at the turn of the 18th century critiqued the re-organisation of knowledge into a set of categories – the disciplines – the university is defined as an institution in crisis. This is true if the etymology of crisis is considered, as the index of a moment of choice. The relation of the university with its vast outer condition, including but not limited to the city, is constantly set on a divide; always on the brink of collapse. This is how it has been in the past, and this is how it will be until, that is, the eventual end of the university. The mentioned idea that knowledge temporarily reincarnates in new institutions that, in turn, reorganise it, leads to the logical conclusion that the university is not immortal. This is true despite Bender’s acknowledgment that «no institution in the West, save the Roman Catholic church, has persisted longer».9

As a matter of fact, the death of the university has been waited, feared, but also longed for by some for a long time. At least since around 1968, the time of those projects by De Carlo that were mentioned before, debate about its ultimate transfiguration into something else has been matched with growing anxiety towards an institution that is variously commented upon as being in ruins,10 perhaps already defunct, surely less critical than ever.11 And it was precisely in 1968 that another Italian architect, Guido Canella, wrote about how the crisis of the university finds its mirror image in the confrontational relation it entertains with its alter ego, the city. For Canella, the university was an “anti-city”, which is another name for that constant creative tension mentioned by Bender and, in the Italian architect’s opinion, one that was recurring as much in the older urban universities of European origins as in their American suburban counterparts of later origin.12 Canella critiqued the reading

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of the American campus, born and grown to maturity between the 17th and 18th century, as a sudden rupture of some mythical previous integrity between university and city that existed in a European context. He helped understand that, wherever located, the university gets irritated from too much integration.

Iceberg

Canella’s university anti-city and, to some extent, De Carlo’s projects found their ethos in the protests of 1968, a time when every pixel of the status quo was meant to be critiqued. It was said at that time that the university needed opening up to society while managing to keep some safety, or better critical distance from unwanted levelling down and neutralisation of contradictions. This is still an open question today: how to give shape to a situation that is detached from reality and yet also fully belonging to it?

Reflecting on Manhattanville, the new campus of Columbia University in Harlem, Reinhold Martin (a professor at that very institution) literally digs underground in search of evidence to contradict the self-declared ambitions of transparency and permeability of the project authored by Renzo Piano Building Workshop in collaboration with Skidmore, Owings and Merrill. Pointing the terminological bow and arrows towards a target of consensus, the project advocates the Roman Forum to promote the image of a university that allows multiple publics to freely cross a campus that is presented as devoid of barriers and gates. By moving the attention to the underground of the campus, Martin demonstrates how what emerges is but the tip of an iceberg whose submerged base is, in fact, a single large building. Even more clearly than the earlier and celebrated Columbia campus designed by McKim, Mead and White at the end of the 19th century, Manhattanville deceitfully appears to be respectful of the street grid while in reality colonising the city in a much deeper way. As a response to the claimed absence of gates and barriers, Martin notices a pair of ventilation shafts of a similar type to those first popularised as part of high-tech vocabulary by the Centre Pompidou and now placed on the New York campus grounds to offer an allegory of a gate, «as if the campus gate must be reproduced and even commemorated».13

Some could say that I might be erring on the side of the naïve here. A partnership between someone like Piano who has amply been presented and used as bearer of Italian urban values (for one, think of his Central Saint Giles project in Central London, discussed for its capacity to offer a piazza for the city); the corporate American office par excellence that much has left a mark on the history of campus design; and one of the most powerful academic institutions that built its prestige also through real estate operations – such a partnership knows possibly no escape from giving shape to discourse soaked in slogans to appease the anxiety and anger of many residents that are being dispossessed of their neighbourhood by the construction of the new campus. What remains from this story of academia in the city is further proof of that impending risk of corruption defined by Bender as a constant in the history of universities.

Island

We have thus arrived at the second topic mentioned at the start: the university as a thing onto itself. This takes us back to the competition for Poveglia where the most radical decision seems to be taken, namely the creation of a university-island. Reflecting on the current times marked by climate crisis and a renovated nationalist spirit across the globe, Jill Stoner has noticed the obsolescence of the idea of an island. The island is an obsolete idea as a place for utopia; as immaculate nature that has variously inspired the imagination of writers and movie directors. But it is also obsolete, she notices, if understood as the place for nationalist dystopias in a «political ecosystem in which lies are disguised as truth»14 and the proposals for new walls, both physical (i.e. Mexico/US border) and ideological (i.e. Brexit), that are meant to keep the undesired away and protect the myth of national identity, crash on the unquestionable reality of global interdependency.

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1. YAC website. https://www. youngarchitectscompetitions. com/it/past-competitions/ university-island (last accessed: 10 May 2023).

2. Francesco Zuddas, “Pretentious Equivalence: De Carlo, Woods and MatBuilding”, FA Magazine, 34 (2015): 45-65.

3. Stefan Muthesius, The Postwar University: Utopianist Campus and College. New Haven, CT, and London: Yale University Press, 2000; Francesco Zuddas, The University as Settlement Principle: Territorialising Knowledge in Late 1960s Italy. Abingdon and New York: Routledge, 2020.

Giancarlo De Carlo bursts into the picture again. It was him who fifty years ago wrote about the nascent mass university as «no longer an island for cultural healing, but a specific yet not necessarily emergent texture part of a wider weave that involves all aspects and times of associative life».15 Looking back at his projects for a university of the city; one that could animate collective life both inside and outside its specialist walls; and one that would ultimately dissipate in a vast urban territory that extended from city to countryside; looking back at those projects we are confronted with crisis, with that moment of choice that I previously mentioned. It is the university as a choice, something not capable of offering certainties, not naively open and permeable, and surely also not deceitfully transparent like a large part of current university architecture claims to be. Without proposing a wholesale celebration of an architect that, like any other, will indubitably have had to accept negotiation and walk the line separating from the ever-present risk of moral corruption, particularly when the client is concomitantly so powerful and so fragile to easily fall in the trap of mundane temptations, those projects underline how a university intended as a part of city is far from being the product of a painless process; far from being mere insertion of academic programme inside existing containers. Integration always lays on the horizon, and there is where it belongs as an ideal target, one that is perhaps unachievable. Its real aim is to persist in its role as a finish line that can arouse us each time we lean on the side of overly romantic rhetoric or excessive thirst for power. Integration between university and city can exist only to the extent of accepting a fact that is intrinsic to architecture; a fact that is architecture itself. It is the fact of operating always by means of some degree of dissent towards what is being transformed. Not everything is accepted for what it is, and every material is looked at with reasonable suspicion in order to find for it a new reason to exist. Using the university to put in place such type of transformation has obvious symbolic significance that touches on the role of an institution that was recreated in modern times to be society’s critical reason and a vantage point to assess consolidated knowledge and create new myths. The university is an institution always on the brink of collapse and possibly destined to be replaced by something else that will contradict it while keeping some of its characteristics. To exorcise the disappearance of any leftover critical reason, let’s hope that those that will be kept are the characteristics that today most stimulate disagreement on this fundamental institution.

4. Ian F. McNeely and Lisa Wolverton, Reinventing Knowledge: From Alexandria to the Internet. New York: W.W. Norton, 2008.

5. Giorgio Agamben, Creazione e anarchia: L’opera nell’età della religione capitalista. Vicenza: Neri Pozza, 2017: 93. My translation.

6. Clark Kerr, The Uses of the University. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1963.

7. The Edu-factory Collective, Toward a Global Autonomous University, New York: Autonomedia, 2009; Gerald Raunig, Factories of Knowledge: Industries of Creativity. Los Angeles: Semiotext, 2013.

8. Thomas Bender, “Introduction”. In Thomas Bender (edited by), The University and the City: From Medieval Origins to the Present. New York: Oxford University Press, 1988: 5.

9. Ibid.: 4.

10. Bill Readings, The University in Ruins. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1996.

11. Douglas Spencer, The Architecture of Neoliberalism: How Contemporary Architecture Became an Instrument of Control and Compliance. New York: Bloomsbury, 2016.

12. Guido Canella, “Passé et avenir de l’anti-ville universitaire”, L’Architecture d’Aujourd’hui, 137 (1968): 16-19.

13. Reinhold Martin, “Made in Manhattanville”. In Caitlin Blanchfield (edited by), Columbia in Manhattanville New York: Columbia Books on Architecture and the City, 2016: 130.

14. Jill Stoner, “The End of the Idea of Island: On the Extinction of True Isolation”. Literary Hub Daily, 27 September 2021.

https://lithub.com/the-endof-the-idea-of-island-on-theextinction-of-true-isolation/ (last accessed: 10 May 2023).

15. Giancarlo De Carlo (edited by), Pianificazione e disegno delle università. Roma: Edizioni universitarie italiane, 1968: 13. My translation.

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IDEA DI ARCHITETTURA. SPAZIO DELLA DIDATTICA

TOMMASO BRIGHENTI

La forma dello spazio architettonico è capace di portare un proprio contributo alle metodologie didattiche e non costituisce uno sfondo neutrale ma è essa stessa portatrice di una propria autonomia interpretativa, dove l’arte diventa base per l’educazione. Compito arduo da argomentare compiutamente in così poche battute, piuttosto è utile richiamare alcuni riferimenti che possono indicare traiettorie in grado di chiarire quella duplice relazione tra lo spazio fisico dell’insegnamento e l’idea di architettura maturata per mezzo di un progetto culturale che una scuola di architettura può e deve, necessariamente, avere.

Tra i progetti più conosciuti ma necessariamente menzionabili è importante partire dall’edificio della Cooper Union di New York.1 Nel 1964 un giovane John Hejduk, chiamato a insegnare alla Cooper, divenne da lì a poco uno dei principali architetti teorici del panorama mondiale. Nei suoi esercizi avviene una narrazione dello spazio che riparte dai primi concetti basilari come l’esistenza di un pilastro in rapporto tra due pilastri, tra sei pilastri e via via, affrontando il tema della relazione tra i corpi e lo spazio attraverso un carattere topologico. Accompagnare il disegno dello spazio con una narrazione significa interpretarne il senso e la sua struttura interna dal punto di vista disciplinare, tramite una serie di metafore, piuttosto che attraverso una impostazione schematica. Il discorso favolistico o analogico aiuta ad arrivare alle stesse nozioni in modo più poetico e creativo attraverso un percorso personale che stimola la sensibilità al significato delle forme e della loro vita. Nel 1974 Hejduk, chiamato a occuparsi del progetto di restauro dell’edificio ottocentesco, proporrà un “dispositivo pedagogico” progettato sulla base di uno dei suoi esercizi fondamentali, il Nine square grid problem, una applicazione quasi letterale dell’insegnare per “osmosi” attraverso una narrazione. Hejduk manterrà l’involucro esterno, il guscio, la maschera, per poi ricostruirne completamente gli interni per arrivare a dire di progettare anche quegli spazi impercettibili che stanno tra il guscio e la struttura, quella membrana che si trova tra la pelle e lo scheletro. Nell’edificio della Cooper, vengono richiamati altri pensieri architettonici che trovano posto dietro al guscio come per esempio le lecorbuseriane Villa Savoie e Villa Stein che Hejduk stesso commenterà nel suo celebre libro Mask of Medusa affermando che esse «dialogano tra loro attraverso lo spazio assiale della biblioteca [come] due piccoli edifici dentro un edificio che è dentro un edificio». Questa dimensione poetica, racchiusa in questo progetto, sarà fondamentale per Hejduk per promuovere una conoscenza ricettiva di sentimenti e sensazioni che non sono fatti razionali, ma emozioni educatrici.

È proprio dal rapporto tra poesia e architettura che – in un altro contesto –quello latinoamericano, nascerà la scuola di Valparaíso in Cile.2 Questa esperienza pedagogica e il luogo in cui viene messa in pratica possono essere considerati tra i più originali rispetto alla didattica dell’architettura e al suo spazio di insegnamento. Una scuola fondata dalla collaborazione tra il poeta argentino Godofredo Iommi e l’architetto cileno Alberto Cruz dove la poesia diventa strumento di apertura verso il mondo. La poesia, come strumento cosciente per essere consapevoli del luogo in cui si vive, un continente splendido, quello del Sud America che, come loro stessi scrivono nel loro famoso poema Amereida, è ancora tutto da scoprire e una fede

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nell’architettura, che si pone in antitesi all’insegnamento accademico e all’architettura intesa come professione, in cui l’attività artistica, la creatività, devono insorgere alle formule e alle regole tradizionali reinventando tutto ogni volta a partire dall’esperienza concreta.

Nel 1970 i docenti della scuola acquisteranno un lembo di terra a nord di Valparaíso, a Ritoque, poi denominato Ciudad Abierta, iniziando a costruire, assieme ai loro studenti, delle architetture dove lo spazio della scuola è inteso in una dimensione di arte totale e i principi pedagogici sperimentali trasmessi trovano un riscontro fisico. Un’esperienza caratterizzata da un progetto culturale fondato su un impegno di ricerca totalizzante che presuppone la collaborazione costante tra la poesia e le altre arti. In questa scuola, verrà intrapreso un percorso di maturazione in cui la ricerca di una identità latinoamericana caratterizzerà lo spazio fisico dove studenti e docenti lavorano, studiano e vivono praticando la costruzione come azione di gruppo per mezzo di risorse naturali e materiali poveri. Queste architetture diventano la prova di un’esperienza gratuita realizzata con spirito di comunità e non sono solo momento di trasmissione di una tecnica, ma assumono un valore attribuito alla pratica di un’azione disinteressata in cui l’agire cancella l’antinomia tra forma e contenuto, tra oggetto e programma al punto che quasi non esistono disegni di progetto degli edifici della Ciudad Abierta o delle piccole opere di Traversia, perché queste vengono realizzate en ronda, sul posto. Questa azione, chiamata atto e assunta come momento decisivo della loro didattica, è ciò che proviene dall’esperienza e nasce dall’osservazione per giungere alla forma come risultato espressivo di un approccio conoscitivo.

Atteggiamento identitario che in altri paesi latinoamericani ebbe una certa difficoltà a emergere, se non in casi eccezionali come, ad esempio, quello della FAU-USP l’opera di Villanova Artigas a San Paolo in Brasile.3 Questo edificio è l’espressione concreta del progetto pedagogico di Artigas, che fu anche direttore della FAU per diversi anni, dove la scuola di architettura diventa un grande laboratorio attraverso il quale la formazione di uno studente deriva da una libera commistione di arti e discipline umanistiche nel quale l’architettura, il pensiero pedagogico e l’ideologia sociale raggiungono una sintesi perfetta, espressione della chiara speranza e fiducia per un mondo migliore: «un’arma per trasformare il mondo» sosterrà lo stesso Artigas.

La FAU non ha porte e il passaggio dall’esterno verso l’interno è continuo, delimitato solo da una massiccia struttura in cemento armato che sorregge la copertura. Lo spazio pubblico entra nell’edificio e il percorso esterno si trasforma in una rampa interna, intorno alla quale si sviluppano diverse funzioni tra cui le aule, la biblioteca, la falegnameria, i laboratori e il grande salone centrale. Questa grande aula diventa una piazza al coperto per incontri, assemblee e manifestazioni pubbliche, celebre è la foto di questo spazio gremito di studenti durante una manifestazione che oltre a occupare lo spazio centrale al piano terra, si affacciano dalla rampa e dai ballatoi come in un grande teatro. La capienza di questa cavità illuminata dall’alto che nega ogni confine con l’ambiente circostante è la dimostrazione di come lo spazio diventa promotore di relazioni umane ed espressione di democrazia. «La città è una casa. La casa è una città», soleva ripetere Artigas.

Tornando in Europa, non si può non citare la facoltà di Architettura della Universidade do Porto progettata da Álvaro Siza4 in cui l’architettura è ancora considerata come arte, servizio e prodotto di carattere culturale, dove l’esercizio progettuale costituisce l’insegnamento erede di una lunga storia di tradizione di maestri in cui si insegna l’architettura partendo dai suoi esiti e il progetto, spina dorsale dell’attività didattica, diventa il punto di partenza del dibattito e motore del progetto architettonico dello spazio dell’insegnamento da cui emerge una precisa idea di architettura rispetto a un mondo implicito e condiviso di forme e figure, di riferimenti, di un retroterra artistico e letterario e in particolare di un modo di esprimersi attraverso il progetto e il disegno. Trasmissione che parte proprio dallo spazio fisico della scuola di architettura, che diventa spunto e riferimento per tutti i suoi studenti grazie al suo impianto perché l’architettura, dice Siza, è rivelazione di un «desiderio collettivo nebulosamente latente» che non può sicuramente essere insegnato, ma che è possibile «imparare a desiderarlo».

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Infine, due casi italiani, due progetti non realizzati di Guido Canella e Luciano Semerani, architetti che sono stati in grado di costruire all’interno della scuola un luogo di produzione di conoscenza. Lavori riconducibili a una presa di posizione che ha posto costantemente la città e le sue forme al centro della riflessione

Nel progetto per il nuovo insediamento del Politecnico di Milano alla Bovisa,5 presentato alla mostra Le città immaginate. Un viaggio in Italia. Nove progetti per nove città della XVII Triennale di Milano del 1987, sotto la direzione di Pierluigi Nicolin, Canella insiste sulla necessità di un’architettura finalizzata a individuare nuovi modelli di organizzazione del comportamento di una società che si vuole sviluppare, individuando i fattori che possono costruire questa trasformazione attraverso un nuovo ruolo dell’architettura per risolvere problemi sociali e politici mantenendo un rapporto inscindibile con la storia, con la città e con il suo contesto. Per Canella il programma anticipa l’oggetto e, ancora più precisamente, l’outil si sviluppa dalle potenzialità interne di un programma territoriale. Un’eredità che viene in parte da Samonà, che legava l’invenzione dell’organismo edilizio alla lettura strutturale del territorio, e in parte dal legame con la tradizione rogersiana.

La città e più precisamente la sua periferia è vista come «un organismo vivo dove azioni e reazioni risultano sempre concatenate» nella quale lo spazio dell’insegnamento universitario prende forma attraverso un’idea di architettura vista come volontà di trasformazione. Canella, immaginando di consolidare il rapporto tra città e periferia, si alimenta di molteplici riferimenti che evocano una figurazione che si lega al contesto milanese, «elementare eppure cosmica», che dal turrito incastellamento filaretiano, risale verso le ripide ed esaltanti profezie di Sant’Elia e i malinconici paesaggi di Sironi: figurazione che, come scritto nella relazione di progetto, è «tesa nell’insieme a scandire tempi improrogabili e a orientare scelte irrinunciabili pena lo scadimento di rango».

Per tornare a Venezia e concludere, nel 1998 Semerani con alcuni dei suoi collaboratori progetterà la nuova sede Iuav nell’area dei magazzini frigoriferi a San Basilio a Venezia6. In questo progetto, la forma mistilinea del perimetro nascerà principalmente dallo studio e dalla conoscenza della città di Venezia, ma anche dai sentimenti e dall’anima, ponendosi dichiaratamente in contrasto con chi sostiene che la forma deriva dalle ragioni pratiche, tecnologiche e funzionali. Semerani assume come oggetto di analisi la città, il senso della sua forma, della sua coerenza interna, la sua autenticità, ricercandone i segni che costituiscono il discorso e quelle figure che, come le parole dentro la scrittura, diventano linguaggio. Angoli acuti e ottusi prevalgono rispetto a un’ortogonalità mai presente in una città come Venezia di impianto medievale e gotico, generando forme complesse riproposte anche nella copertura che, sostenuta da pilastri di geometria esagonale, dà luce al grande vuoto centrale e alla piccola cavana che permette l’accesso dal mare.

Una ricerca, quella di Semerani, prima di tutto di carattere linguistico dove l’architettura non è più documento di una razionalità o di una tipizzazione astratta ma la ricerca di «una genesi della forma di Venezia, per attribuirne un senso» e in grado, attraverso l’efficacia del linguaggio, di trasmettere una personale visione del mondo, quel senso delle forme che si tramutano in insegnamento assumendo quel valore pedagogico che l’architettura progettata è in grado di trasmettere a chi si trova a studiare e praticare il progetto al suo interno.

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1. John Hejduk, Mask of Medusa. Works 1947-1983. New York: Rizzoli International Publications, 1989; Giuseppina Scavuzzo, “John Hejduk o la passione di imparare”. In Lamberto Amistadi, Ildebrando Clemente (a cura di), John Hejduk. Soundings 0/I, Firenze: Aión, 2015: 7-21; Tommaso Brighenti, “La ricerca di uno spazio narrativo”. In Id., Pedagogie architettoniche. Scuole, didattica, progetto Torino: Accademia University Press, 2018: 76-123.

2. Alberto Cruz, “Cooperativa Amereida, Chile”, Zodiac, 8 (1992): 188-199; Massimo Alfieri, La Ciudad Abierta. Una comunità di architetti. Roma: Dedalo, 2000; Rodrigo Pérez de Arce, Fernando Pérez Oyarzun, Valparaíso School. Open City Group. Basel: Birkhäuser, 2003; Tommaso Brighenti, “La Scuola di Valparaíso. L’osservazione, l’atto e la forma”. In Id. Pedagogie architettoniche. Scuole, didattica, progetto. Torino: Accademia University Press, 2018: 24-75

3. Marcelo Carvalho Ferraz (a cura di), Vilanova Artigas: Arquitetos Brasileiros. San Paolo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 1997; Rosa Correira de Lira, José Tavares (a cura di), Vilanova Artigas, Caminhos da arquitectura. San Paolo: Cosac Naify, 2004; Carlo Gandolfi, “Note sull’architettura brasiliana e la scuola paulista. Da Vilanova Artigas a Mendes da Rocha”. In Id., Matter of Space. Città e architettura in Paulo Mendes da Rocha. Torino: Accademia University Press, 2018: 81-105.

4. Álvaro Siza, “Il progetto come esperienza”, Domus, 746 (1993): 17; Álvaro Siza, “Sulla pedagogia”. In Id., Scritti di architettura. Milano: Skira, 1997: 28-31; AA.VV., Álvaro Siza. Tutte le opere. Milano: Electa, 1999.

5. Guido Canella, “Progetto per l’area di Bovisa a Milano, XVII Triennale di Milano”, Zodiac, 7 (1992): 200-211; Enrico Bordogna, Guido Canella. Opere e progetti Milano: Electa, 2002: 138143; Enrico Bordogna, La Scuola di Architettura Civile a Bovisa e il disegno della città. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2019; Giorgio Fiorese, Aura di Bovisa. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2022.

6. Luciano Semerani, “Concorso per una nuova sede Iuav nell’area dei magazzini frigoriferi a San Basilio, Venezia, 1998”, Zodiac, 20 (1999): 174-181; Luciano Semerani, Antonella Gallo, Giovanni Marras, “Concorso per una nuova sede Iuav nell’area dei magazzini frigoriferi di San Basilio, Venezia, 1998”. In Luca Molinari (a cura di), Semerani e Tamaro. Architetture e progetti Milano: Skira, 2000: 44-47.

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IDEA OF ARCHITECTURE. THE EDUCATIONAL SPACE TOMMASO BRIGHENTI

The form of architectural space can bring its own contribution to teaching methodologies and does not constitute a neutral background but is itself the bearer of its own interpretative autonomy, where art becomes the basis for education. In such a few lines, this is an arduous task, and one that can perhaps only be achieved by listing and briefly describing some potential references, which may indicate trajectories that could clarify the dual relationship between the physical space of teaching and the idea of architecture as developed through a cultural project that a school of architecture necessarily can and must adopt.

Among the better known projects that are necessarily worth mentioning, it is especially relevant to start with the Cooper Union building in New York.1 Invited to teach at Cooper in 1964, John Hejduk soon became one of the world's leading theoretical architects. In his exercises, a narrative of space takes place, starting from the first basic concepts such as the existence of one pillar in relation between two pillars, six pillars and so on, addressing the topic of the relationship between bodies and space through topological character. Accompanying the drawing of space with a narrative means interpreting its meaning and internal structure from a disciplinary point of view, through a series of metaphors, rather than through a schematic approach. The fable-like or analogical discourse helps to arrive at the same notions in a more poetic and creative way through a personal journey that stimulates sensitivity to the meaning of forms and their life. Called in to take charge of the restoration project of the 19th century building in 1974, Hejduk proposed a “pedagogical device” designed on the basis of one of his core exercises, the Nine square grid problem, an almost literal application of teaching by “osmosis” through narration. Hejduk will maintain the outer shell, the mask, and then completely rebuild the interior in order to even design those undetectable spaces that lie between the shell and the structure, or the membrane that is found between the skin and the skeleton. In the Cooper building, other architectural thoughts are recalled behind the shell, such as the lecorbuserians Villa Savoie and Villa Stein, which Hejduk himself commented on in his famous book Mask of Medusa, stating that they «converse with each other through the axial space of the library [like] two small buildings within a building that is within a building». Embedded in this building, this poetic dimension will be crucial for Hejduk in fostering a receptive knowledge of feelings and sensations that are not just merely rational facts but rather an emotional education.

It is precisely because of the relationship between poetry and architecture that the Valparaíso School of Architecture in Chile2 will be born in another context – that of Latin America. This pedagogical experience as well as the place where it is implemented can be considered as one of the most original in terms of architecture didactics and its teaching space. Combining poetry as a tool for opening up to the world, this School was founded by the collaboration between the Argentine poet Godofredo Iommi and the Chilean architect Alberto Cruz. Poetry, as a conscious tool to be aware of the place where one lives, a splendid continent, that of South America, which, as they themselves write in their famous poem Amereida, is yet to be discovered, and a faith in architecture, which stands in antithesis to academic

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teaching and architecture understood as a profession, in which artistic activity, creativity, must rise to the formulas and traditional rules, reinventing everything each time starting from concrete experience.

In 1970, the school’s teachers bought a strip of land north of Valparaiso, in Ritoque, later named Ciudad Abierta, and began to build, with their students, architectures where the school Space is conceived in a total art dimension and the experimental pedagogical principles conveyed are physically reflected. This experience is marked by a cultural project founded on a commitment to all-embracing research that presupposes constant collaboration between poetry and the arts. The school will engage in a maturing pathway where the search for a Latin American identity will characterise the physical space in which students and teachers will work, study and live, practising construction as a collective action using natural resources and poor materials. These architectures become the evidence of a freely given experience that is realised in a spirit of community, and not only a moment of transmission of a technique. They take on a value given to the practice of selfless action in which action overcomes the antinomy of form and content, and of object and programme to the extent that there are hardly any design drawings of the Ciudad Abierta buildings or the small Traverias works, because these are made en ronda, on site. Such action, named act and assumed as the most crucial element of learning experience, comes from experience and arises from observation to form as the expressive result of a cognitive approach.

This identitarian approach had some difficulty emerging in other Latin American countries, except in exceptional cases such as the FAU-USP’s Villanova Artigas in São Paulo, Brazil.3 This building is the concrete expression of Artigas’s pedagogical project, who was also director of the FAU for several years, whereby the school of architecture becomes a great laboratory through which the formation of a student comes from a free mingling of arts and humanities, and where architecture, pedagogical thought and societal ideology reach a perfect synthesis, an expression of clear hope and confidence for a better world: «a weapon to transform the world», Artigas himself claimed.

FAU has no doors and the passage from outside to inside is continuous, only delimited by a massive concrete structure supporting the roof. The public space enters the building, and the outside pavement is transformed into an internal ramp, around which are developed several functions including classrooms, library, carpentry, laboratories and the large central hall. This large hall becomes an indoor square for meetings, assemblies and public events. Famous is the photograph of this space packed with students during a rally, who not only occupy the central space on the ground floor, but also look out from the ramp and galleries as if in a large theatre. The capacity of this top-lit cavity that denies any boundary with its surroundings is a demonstration of how space becomes both a source of human relations and an expression of democracy. «The city is a home. The house is a city», Artigas used to repeat.

Returning to Europe, we cannot fail to mention the faculty of Architecture of the Universidade do Porto designed by Álvaro Siza.4 Here, architecture is still considered as an art, a service and a product of a cultural nature: the design exercise represents the heir to a long history of the masters’ tradition in which architecture is taught starting from its results and the project, which is the backbone of the teaching activity. Design exercise becomes both the starting point of the debate and the driving force of the architectural project of the teaching space, and from which a specific concept of architecture emerges with respect to an implicit and shared world of shapes and forms, of references, of an artistic and literary background and in particular of a way of expressing oneself through design and drawing. Transmission that starts precisely from the physical space of the school of architecture, which becomes a cue and reference for all its students thanks to its layout, because architecture, says Siza, is the revelation of a «nebulously latent collective desire» that certainly cannot be taught, but that it is possible to «learn to desire».

Finally, there are two Italian cases, two unrealised projects by Guido Canella and Luciano Semerani, both architects who were able to build a place of knowledge

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production within the school. Works that can be traced back to a stance that has consistently placed the city and its forms at the centre of reflection.

In the project for the new Politecnico di Milano building in Bovisa,5 presented at the Le città immaginate. Un viaggio in Italia. Nove progetti per nove città exhibition at the XVII Triennale di Milano in 1987, under the direction of Pierluigi Nicolin, Canella stresses the need for an architecture aimed at identifying new models of organising the behaviour of a society that wants to evolve, by identifying the elements that can generate transformations through a new role for architecture to solve social and political problems while maintaining an inseparable relationship with history, city and its context. For Canella, the programme anticipates the object and more accurately, the outil develops from the internal capabilities of a territorial programme. This inheritance comes partly from Samonà, who linked the creation of the building organism to the structural reading of the territory, and partly from the link with the Rogers tradition.

The city and more specifically its periphery is seen as «a living organism where actions and reactions are always linked» in which the space of university teaching takes shape through an idea of architecture seen as a willingness to transform. By imagining to consolidate the relationship between the city and the periphery, Canella takes advantage of multiple references that evoke figuration linked to the Milanese context – «elementary yet cosmic» – which from the turreted Filarete encastellation ascends towards the steep and exhilarating prophecies of Sant’Elia and the melancholic landscapes of Sironi, figuration which, as written in the project report, is «intended on the whole to mark out unbreakable deadlines and to orientate choices that cannot be renounced, on pain of falling in rank».

As a conclusion, back to Venice, in 1998 Semerani and some of his collaborators will design the new Iuav headquarters in the area of the magazzini frigoriferi in San Basilio in Venice6. In this project, the mixtilinear form of the perimeter will arise mainly from the study and knowledge of the city of Venice, but also from the feelings and soul, openly contrasting with those who claim that form derives from practical, technological and functional reasons. Semerani takes on the city, its sense of form, its internal coherence, its authenticity as an object of analysis, searching for the marks that constitute its discourse and those figures that become language, like words within writing. Acute and obtuse angles prevail over an orthogonality that was never present in a city like Venice with its medieval and gothic layout, generating complex forms that are also repeated in the roof which, supported by pillars of hexagonal geometry, gives light to the large central void and the small cavity that allows access from the sea.

First and foremost, it is a research of a linguistic nature in which architecture is no longer a document of a rationality or an abstract typification, but the search for «a genesis of the form of Venice in order to attribute a sense to it». Research through the efficacy of language capable of transmitting a personal vision of the world: that sense of forms that are transformed into teaching by assuming that pedagogical value that designed architecture is capable of transmitting to those who find themselves studying and practicing the project within it.

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1. John Hejduk, Mask of Medusa. Works 1947-1983. New York: Rizzoli International Publications, 1989; Giuseppina Scavuzzo, “John Hejduk o la passione di imparare”. In Lamberto Amistadi, Ildebrando Clemente (edited by), John Hejduk. Soundings 0/I, Firenze: Aión, 2015: 7-21; Tommaso Brighenti, “La ricerca di uno spazio narrativo”. In Id., Pedagogie architettoniche. Scuole, didattica, progetto. Torino: Accademia University Press, 2018: 76-123.

2. Alberto Cruz, “Cooperativa Amereida, Chile”, Zodiac, 8 (1992): 188-199; Massimo Alfieri, La Ciudad Abierta. Una comunità di architetti. Roma: Dedalo, 2000; Rodrigo Pérez de Arce, Fernando Pérez Oyarzun, Valparaíso School. Open City Group. Basel: Birkhäuser, 2003; Tommaso Brighenti, “La Scuola di Valparaíso. L’osservazione, l’atto e la forma”. In Id. Pedagogie architettoniche. Scuole, didattica, progetto. Torino: Accademia University Press, 2018: 24-75.

3. Marcelo Carvalho Ferraz (edited by), Vilanova Artigas: Arquitetos Brasileiros. San Paolo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 1997; Rosa Correira de Lira, José Tavares (edited by), Vilanova Artigas, Caminhos da arquitectura. San Paolo: Cosac Naify, 2004; Carlo Gandolfi, “Note sull’architettura brasiliana e la scuola paulista. Da Vilanova Artigas a Mendes da Rocha”. In Id., Matter of Space. Città e architettura in Paulo Mendes da Rocha. Torino: Accademia University Press, 2018: 81-105.

4. Álvaro Siza, “Il progetto come esperienza”, Domus, 746 (1993): 17; Álvaro Siza, “Sulla pedagogia”. In Id., Scritti di architettura. Milano: Skira, 1997: 28-31; AA.VV., Álvaro Siza. Tutte le opere. Milano: Electa, 1999.

5. Guido Canella, “Progetto per l’area di Bovisa a Milano, XVII Triennale di Milano”, Zodiac, 7 (1992): 200-211; Enrico Bordogna, Guido Canella. Opere e progetti Milano: Electa, 2002: 138143; Enrico Bordogna, La Scuola di Architettura Civile a Bovisa e il disegno della città. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2019; Giorgio Fiorese, Aura di Bovisa. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2022.

6. Luciano Semerani, “Concorso per una nuova sede Iuav nell’area dei magazzini frigoriferi a San Basilio, Venezia, 1998”, Zodiac, 20 (1999): 174-181; Luciano Semerani, Antonella Gallo, Giovanni Marras, “Concorso per una nuova sede Iuav nell’area dei magazzini frigoriferi di San Basilio, Venezia, 1998”. In Luca Molinari (edited by), Semerani e Tamaro. Architetture e progetti Milano: Skira, 2000: 44-47

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VENICE FUTURE CAMPUS. VIEWS FROM ABROAD EMANUELA SORBO, ELISA BRUSEGAN, GIANLUCA SPIRONELLI, SOFIA TONELLO, MARCO TOSATO

Mostra a cura di / Exhibition edited by Università Iuav di Venezia e / and Associazione Iuav Alumni

Emanuela Sorbo, Elisa Brusegan, Gianluca Spironelli, Sofia Tonello, Marco Tosato

L’esperienza universitaria degli Alumni è strettamente legata alle atmosfere di alcuni luoghi specifici del campus Iuav, come pure al suo peculiare tessuto connettivo: lo spazio urbano veneziano. Le rappresentazioni degli Alumni Abroad, raccolte sulla base di una call for sketches, interpretano i luoghi dell’ateneo e il loro rapporto con la città, visualizzandone possibili scenari futuri. Sono visioni libere, espressioni di un pensiero filtrato attraverso il quotidiano confronto con contesti culturali ‘altri’. / The university experience of the Alumni is closely linked to the atmospheres of some specific places on the Iuav campus, as well as to its peculiar connective tissue: the Venetian urban space. The representations of the Alumni Abroad, collected on the basis of a call for sketches, interpret the places of the university and their relationship with the city, visualising possible future scenarios. They are free visions, expressions of a thought filtered through daily confrontation with cultural contexts ‘abroad’.

Hanno partecipato / Participants

Andrea Bertassi, Savannah College of Art and Design, Savannah (USA); XCOOP, Rotterdam (Paesi Bassi); Alberto Collet, Bauart studio, Barcellona (Spagna); Fabio Don, Fabio Don Architect, Zurigo (Svizzera); Luca Donner, Canadian University Dubai, Dubai (EAU); Maroun El-Daccache, Lebanese American University, Beirut (Libano); Marco Ercole, Semrén & Månsson, Stoccolma (Svezia); Raimund Fein, Cottbus University, Cottbus (Germania); Manlio Michieletto, University of Rwanda, Kigali (Ruanda); Chiara Munari, London Atelier, Londra (UK); Morpho Papanikolaou Aristotle University of Thessaloniki, Salonicco (Grecia); Sara Pertile, Lopes Pertile Architects, Ponte de Lima (Portogallo); Nikos Skoutelis, Technical University of Crete, Chania (Grecia); Michele Zago, Michele Zago Architetti, Lugano (Svizzera); Marco Zelli, Marco Zelli Architect, Zurigo (Svizzera).

Comitato Scientifico Iuav Abroad / Iuav Abroad Scientific Committee Benno Albrecht, Alberto Ferlenga, Emanuela Sorbo, Elisa Brusegan

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Iuav Abroad è la rete degli Alumni Iuav che lavorano all’estero. Una comunità che condivide radici, metodologie, esperienze e parole fondative come ponti interculturali che connettono Venezia al mondo. Il network è promosso dall’Università Iuav di Venezia con la collaborazione di Iuav Alumni e intende favorire le sinergie internazionali in ambito accademico e professionale.

In occasione di W.A.Ve. 2022 l’Università Iuav di Venezia ha aperto il dibattito culturale sul futuro dei luoghi Iuav agli Alumni Abroad attraverso la promozione di due call, la prima per due posizioni di visiting professor nella cornice di W.A.Ve., la seconda per una mostra di esplorazioni progettuali connesse al tema dell’edizione.

La rete ha risposto alla call per visiting professor con trentotto candidature con una copertura su scala globale e profili curriculari di elevato spessore.1 Vincitori della call sono risultati Andrea Bertassi, del Savannah College of Art and Design, e Fabio Don + Marco Zelli, che operano a Zurigo.

La call for sketches ha avuto la finalità di selezionare esplorazioni progettuali dei colleghi Abroad basate sull’idea di interpretare e immaginare, in modo anche visionario, il futuro dei luoghi del campus Iuav e il loro rapporto con la città storica. Gli esiti della call sono stati esposti nella mostra Venice Future Campus. Views from Abroad che si è tenuta nel foyer dell’auditorium del cotonificio veneziano dal 4 al 15 luglio 2022.2 L’allestimento della mostra è stato pensato per valorizzare il tema della scala globale della rete nel contesto internazionale di W.A.Ve., nonché presentare una sistematizzazione delle attività compiute a partire dal 2016 esponendo sia gli estratti del libro Iuav Academics Abroad. Una “città analoga” per Venezia, 3 sia la mappa creata per la rete Abroad che rappresenta il database Gis della diffusione degli Alumni nel mondo.4

La mostra ha sottolineato il valore della rete anche nel periodo pandemico riunendo gli esiti dell’incontro Iuav Abroad 2021. Verum IpsUm fActVm, tenuto nell’ottobre 2021.5 Il topic del seminario rappresentava la sfida verso una attualizzazione della tradizione della scuola veneziana nello studio del dettaglio, con particolare riferimento alla figura di Carlo Scarpa e all’equilibrio tra costruzione e dispositivo. I partecipanti hanno dato letture del dettaglio interpretandolo sia come strumento di rappresentazione, sia come espressione e verifica del progetto, confrontando esperienze su scala globale in tre sessioni tematiche:

- Radici: una riflessione sulla identità della scuola Iuav nel suo approccio verso il dettaglio, ridiscussa individuando le traiettorie e i riverberi nei diversi contesti geografici e culturali;

- Verum IpsUm fActVm: un confronto sul dettaglio come elemento di valore del progetto contemporaneo e come punto di incontro tra la dimensione concettuale e quella fisica della materia;

- NEB. New European Bauhaus: un dialogo che esplorava luoghi e culture legate ad abilità artigianali e industriali, analizzate per le loro possibilità in termini di bellezza, sostenibilità e inclusione.

Gli sketches realizzati dagli Alumni Abroad – a tratto o collage – rappresentavano la parte finale di questa esplorazione del progetto misurata sui luoghi delle sedi Iuav e descrivevano il rapporto con la città, visualizzando anche possibili scenari futuri o poetiche utopie, in linea con le linee di ricerca di ciascun partecipante. La rete, nata come riunione in presenza a Venezia degli Alumni nel mondo, attraverso le lenti della pandemia si è trasformata in una comunità pensante, in cui Venezia, come modello di caleidoscopio della lettura della città, si offre come la “città invisibile” nata dal frammento e dall’incontro di diverse culture. Ogni Alumno Abroad compone questa lettura, nel suo agire quotidiano, conservando traccia di Venezia (e di Iuav) nel proprio portato formativo. La percezione di questa capacità di lavorare a scala internazionale in una misura locale è stata resa tangibile dalla mostra Venice Future Campus. Views from Abroad durante W.A.Ve: ogni filo tesse una narrazione di Venezia, in un viaggio immaginario che lega gli Alumni a Iuav.

1. Dettagli disponibili al link / Details availabla at:

https://www.iuav.it/Ateneo1/ chi-siamo/Iuav-Acade/iniziative/ Iuav-Abroa/call-wave-01.pdf

2. https://www.iuav.it/Ateneo1/ chi-siamo/Iuav-Acade/iniziative/ Iuav-Abroa/#call2

3. Emanuela Sorbo, Elisa Brusegan (a cura di / edited by), Iuav Academics Abroad. Un città “Analoga” per Venezia Siracusa: LetteraVentidue, 2020.

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4. La rete ad oggi conta più di 140 accademici e 600 professionisti con posizioni consolidate all’estero. Mappe disponibili al link / The network currently has more than 140 academics and 600 professionals with consolidated positions abroad. Maps available at:

https://www.iuav.it/Ateneo1/chisiamo/Iuav-Acade/index.htm

5. https://www.iuav.it/Ateneo1/ chi-siamo/Iuav-Acade/incontri/ Iuav-Abroa/index.htm

Iuav Abroad is the network of Iuav Alumni working abroad. A community that shares roots, methodologies, experiences and founding words as intercultural bridges connecting Venice to the world. The network is promoted by the Università Iuav di Venezia with the collaboration of Iuav Alumni and aims at fostering international synergies in the academic and professional fields.

On the occasion of W.A.Ve. 2022, Iuav opened the cultural debate on the future of Iuav places to the Alumni Abroad through the promotion of two calls: the first for two visiting professor positions within W.A.Ve, the second for an exhibition on design explorations connected to the year’s theme.

The Alumni Abroad network responded to the call for visiting professors with thirty-eight applications with global coverage and high curricular profiles.1 The winners of the call were Andrea Bertassi, from the Savannah College of Art and Design, and Fabio Don + Marco Zelli, from Zurich.

The call for sketches had the aim of selecting design explorations based on the idea of interpreting and imagining, in a visionary way too, the future of the Iuav campus places and their relationship with the historical city. The results of the call were displayed in the exhibition Venice Future Campus. Views from Abroad held in the foyer of the cotonificio veneziano auditorium from 4 to 15 July 2022.2 The setting up of the exhibition was designed to highlight the theme of the global scale of the network in the international context of W.A.Ve., as well as to present the activities carried out since 2016 by displaying both extracts from the book Iuav Academics Abroad. Una “città analoga” per Venezia, 3 as well as the map created for the Abroad network representing the Gis database of the spread of Alumni around the world.4

The exhibition underlined the value of the network also in the pandemic period by bringing together with a third event the outcomes of the meeting Iuav Abroad 2021. Verum IpsUm fActVm, held in October 2021.5 The topic of the seminar was the challenge to update the tradition of the Venetian school in the study of detail, with particular reference to the figure of Carlo Scarpa and the balance between construction and device. The participants gave readings of detail as a topic, interpreting it both as a tool of representation and as an expression and test of the project, comparing experiences on a global scale in three thematic sessions:

- Roots: a reflection on the identity of the Iuav school in its approach towards detail re-discussed by identifying the trajectories and reverberations in the different geographical and cultural contexts;

- Verum IpsUm fActVm: a discussion on detail as an element of value in contemporary design and as a meeting point between the conceptual and physical dimensions of matter;

- NEB. New European Bauhaus: a dialogue exploring places and cultures linked to craft and industrial skills, analysed for their possibilities in terms of beauty, sustainability and inclusion.

The sketches realised by the Alumni Abroad – in strokes or collages – represented the final part of this exploration of the project measured on the locations of the Iuav sites and described the relationship with the city, also visualising possible future scenarios or poetic utopias, in line with the lines of research of each participant. The network, which began as a meeting in Venice of Alumni in the world, through the lens of the pandemic, was transformed into a thinking community, in which Venice, as a model of the kaleidoscope of the reading of the city, offers itself as the “invisible city” born from the fragmentation and the encounter of different cultures. Each of the Alumini Abroad weaves this reading, in his daily actions, preserving traces of Venice (and of Iuav) in his own formative background. The perception of this ability to work on an international scale in a local measure was made tangible by the exhibition Venice Future Campus. Views from Abroad during W.A.Ve.: each thread of the network weaves a narrative of Venice, in an imaginary journey that links the Alumni to Iuav.

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OCCASIONI PER IL CAMPUS FUTURO / OPPORTUNITIES FOR THE FUTURE CAMPUS

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TEMI E AREE

/ THEMES AND AREAS

IL CAMPUS E LA CITTÀ

/ THE CAMPUS AND THE CITY

SEDI E CONNESSIONI

/ BUILDINGS AND CONNECTIONS

TEMPO LIBERO / FREE TIME

SERVIZI / FACILITIES

MUSEI E SEDI ESPOSITIVE

/ MUSEUMS AND CULTURAL SPOTS

IL SISTEMA SANTA MARTA

/ THE SANTA MARTA SYSTEM

AREE PUNTUALI

/ PUNCTUAL AREAS

37 VENICE FUTURE CAMPUS

TEMI E AREE

W.A.Ve. 2022 proponeva di ragionare sul futuro campus urbano a Venezia a partire da tre possibili orizzonti di senso. Ogni workshop era libero di assumere il punto di vista che riteneva più appropriato, decidendo di lavorare a un solo livello, scegliendo l’area strategica, o mescolando gli approcci e le scale.

Il campus e la città

Il primo livello di ragionamento corrispondeva alla scala della città storica intera.

Per quanto riguarda la sua consistenza fisica, oggi l’Università Iuav di Venezia è suddivisa tra una serie di edifici diffusi nella città. Il centro ideale è costituito dai Tolentini, dove si trovano il rettorato e il dipartimento, ma anche l’aula magna e la biblioteca. A questo si affianca la sede di Campo della Lana, che ospita gli uffici amministrativi e la segreteria studenti. La didattica è invece concentrata nei vari edifici nella zona di Santa Marta: nel cotonificio veneziano (aule di maggiori dimensioni e alcuni laboratori); nella sede delle Terese (aule minori e studioli dei docenti), recentemente ampliata tramite l’acquisizione anche del lato est del complesso; nei magazzini 6 e 7 (aule di medie dimensioni e laboratori). Altri due importanti luoghi sono palazzo Badoer (sede della Scuola di dottorato, dell’attività didattica dei master e di altri laboratori e centri studi) e Ca’ Tron (sede di mostre e polo della ricerca).

Guardando alla componente umana, però, la presenza dell’università nella città è ben diversa. Da un lato, la stessa frammentazione delle sedi è anche motivo di una presenza diffusa in città di studenti, ricercatori e docenti. Lo spazio urbano veneziano, così peculiare, fatto di campi, calli, fondamenta, continue compressioni e dilatazioni, spazi angusti e scorci visivi, costituisce una quotidiana e costante esperienza. Secondo assetti e presenze diverse nel corso della giornata e della settimana, esso costituisce di fatto il tessuto connettivo del campus attuale: da un punto di vista strettamente funzionale è la rete dei collegamenti e delle ‘scorciatoie’, percorsa in modo per lo più individuale, con veloce ‘passo veneziano’, compressi tra calli anguste; nel tempo libero, invece, predilige altri luoghi, di maggiore respiro, dove lo stare prende forma come aggregazione.

Il primo livello proponeva una riflessione tra materiale e immaginario, tra assetti consolidati e usi temporanei, tra permanenza ed effimero.

Il sistema Santa Marta

Il secondo livello era focalizzato sull’area di Santa Marta, dove si concentra la maggior parte delle sedi della didattica.

In questo luogo il campus va inteso come sistema strutturato di edifici e spazi. Ragionando in modo complessivo, come in un masterplan, è possibile affrontare temi quali connessioni, relazioni, distribuzione. È questo il livello di un approccio maggiormente razionale.

Tra gli spunti su cui ragionare era possibile segnalare: lo svolgimento di un sistema di collegamenti che tenesse insieme magazzini 6 e 7, area ex magazzini frigoriferi, cotonificio veneziano, Terese; il ripensamento dell’affaccio del campus verso il canale della Giudecca, partendo dalla prospettiva sempre più realistica di allontanare il porto turistico dalla città storica, liberando così un’ampia fascia di fronte acqueo; le relazioni tra campus, spazi pubblici e tessuto urbano circostante, quello più recente di Santa Marta a ovest e quello storico più denso a est.

Aree puntuali

Il terzo livello proponeva una serie di occasioni puntuali di progetto. Queste prendevano spunto dal processo generale di riorganizzazione delle funzioni e chiedevano di immaginare in modo più puntuale le forme architettoniche e le atmosfere spaziali di singoli luoghi. Allo stesso tempo, però, le occasioni non intendevano fissare perimetri precisi: al contrario erano da intendersi come altrettanti punti di partenza da cui espandere il progetto, ripensando le soglie e coinvolgendo lo spazio urbano circostante.

38 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

THEMES AND AREAS

W.A.Ve. 2022 proposed to reason about the future urban campus in Venice within three possible boundaries of meaning. Each studio laboratory was free to embrace the point of view it deemed most appropriate, deciding to work at one level, choosing the most strategic area, or mixing approaches and scales.

The campus and the city

The first level of analysis corresponded to the scale of the entire historic city.

In terms of its physical texture, today the Università Iuav di Venezia is divided among a series of buildings spread throughout the city. The ideal center is the Tolentini, where the rectorate and the department are located, as well as the aula magna and the library. This block is flanked by the Campo della Lana building, which houses the administrative offices and student secretariat. Teaching, on the other hand, is concentrated in the various buildings in the Santa Marta area: in the cotonificio veneziano (larger classrooms and some laboratories); in the Terese building (smaller classrooms and faculty studios), recently expanded through the acquisition of the east side of the complex as well; and in magazzini 6 and 7 (medium-sized classrooms and laboratories). Two other important venues are palazzo Badoer (home to the Doctoral school, master’s teaching activities and other laboratories and study centers) and Ca’ Tron (exhibition venue and research hub).

Considering the human component, however, the university’s presence in the city results quite differently: on the one hand, the very fragmentation of venues also accounts for the widespread presence of students, researchers and faculty in the city. The Venetian urban space, so peculiar, made up of campi, calli, fondamenta, continuous compressions and dilations, narrow spaces and visual glimpses, constitutes a daily and constant experience. According to different arrangements and presences throughout the day and week, it actually constitutes the connective tissue of the current campus: from a strictly functional point of view, it is the network of connections and ‘shortcuts,’ traveled mostly individually, with fast ‘Venetian pace,’ compressed between nar-

row calli; in free time, however, it prefers other places, of greater breadth, where aggregation takes shape.

The first level proposed a reflection between the material and the imaginary, between established arrangements and temporary uses, between permanence and the ephemeral.

The Santa Marta system

The second level focused on the Santa Marta area, where most of the teaching venues are concentrated. Here the campus should be understood as a structured system of buildings and spaces. By reasoning in an overall way, as in a masterplan, it is possible to address issues such as connections, relationships, distribution. This is the level of a more rational approach.

Among the ideas to be reasoned about, it was possible to point out: the unfolding of a system of connections that holds together magazzini 6 and 7, the former magazzini frigoriferi area, the cotonificio veneziano, and Terese; the rethinking of the campus’ facing toward the canale della Giudecca, starting from the increasingly realistic prospect of moving the maritime port away from the historic city, thus freeing up a large swath of waterfront; the relationships between campus, public spaces and the surrounding urban fabric, the newer Santa Marta to the west and the denser historic fabric to the east.

Punctual areas

The third level proposed a series of punctual project opportunities. These arose from the general process of reorganization of functions and called for a more punctual imagination of the architectural forms and spatial atmospheres of individual places. At the same time, however, the occasions were not intended to set precise perimeters: on the contrary, they were to be understood as many starting points from which to expand the project, rethinking thresholds and involving the surrounding urban space.

Andrea

coordinator W.A.Ve. 2022

39 VENICE FUTURE CAMPUS

IL CAMPUS E LA CITTÀ SEDI E CONNESSIONI

40 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA
S. Stae Ferrovia
S. Tomà S. Marta
Piazzale Roma Ple Roma Zattere a b d e f c 1 3 4 5 6 7 8 2
Venezia S.Lucia railway station
S. Basilio

THE CAMPUS AND THE CITY BUILDINGS AND CONNECTIONS

Università Iuav di Venezia

1. Cotonificio veneziano

2. Magazzini 6-7

3. Terese

4. Tolentini

5. Campo della Lana

6. Palazzo Badoer

7. Fondazione Masieri

8. Ca’ Tron

Università Ca’ Foscari

Accademia di Belle Arti

Santa Lucia

stazione treni / railway station

Piazzale Roma

stazione bus / bus station

Fermate del vaporetto / Vaporetto stops

Connessioni

a. Campo dei Tolentini

b. Campo Santa Margherita

c. Fondamenta de l’Arzere

d. Fondamenta Barbarigo

e. San Basilio

f. Fondamenta Zattere

41 VENICE FUTURE CAMPUS

IL CAMPUS E LA CITTÀ

TEMPO LIBERO

42 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA 1 2 5 6 7 8 9 b c d e f g h nightlife in the mainland 1 3 4 5 6 7 8 2

THE CAMPUS AND THE CITY FREE TIME

Università Iuav di Venezia

1. Cotonificio veneziano

2. Magazzini 6-7

3. Terese

4. Tolentini

5. Campo della Lana

6. Palazzo Badoer

7. Fondazione Masieri

8. Ca’ Tron

Connessioni / Connections

a. Fondamenta Zattere

b. Campo Santa Margherita

c. Campo dei Frari

d. Campo San Giacomo dall’Orio

e. Erbaria – Rialto

f. Fondamenta della Misericordia

Bar, bacari / Bars, bacari

Associazioni culturali / Cultural associations

1. Circolo About

2. Associazione culturale Awai

3. Associazione culturale Spiazzi

4. Laboratorio occupato Morion

5. Emergency

Librerie e spazi eventi / Bookshops with space for events

6. Libreria Marco Polo

7. Libreria Bruno

8. Libreria Toletta

9. Libreria bistrot La luna nel pozzo

Cinema e teatri / Cinemas and theaters

a. Cinema Giorgione

b. Multisala Rossini

c. Videoteca Pasinetti

d. La Fenice

e. Teatro Goldoni

f. Teatrino Groggia

g. Teatro Santa Marta h. Teatro Junghans

43 VENICE FUTURE CAMPUS 3 4
a

IL CAMPUS E LA CITTÀ SERVIZI

44 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA 1 3 4 5 6 7 8 2 3 2 4 1 16 17 5 6 7 18 8 11 10 20 12

THE CAMPUS AND THE CITY FACILITIES

Università Iuav di Venezia

1. Cotonificio veneziano

2. Magazzini 6-7

3. Terese

4. Tolentini

5. Campo della Lana

6. Palazzo Badoer

7. Fondazione Masieri

8. Ca’ Tron

Residenze universitarie / University residences

1. Camplus S. Marta

2. Junghans

3. Jan Palach

4. Domus Giustinian

5. Domus Civica

6. ESU San Tomà

7. S. Giobbe

8. Pastorale Santa Fosca

9. Crociferi

19

Biblioteche / Libraries

10. Biblioteca Tolentini

11. Biblioteca BAUM

12. Zattere Cultural Flow Zone

13. Biblioteca Marciana

14. Biblioteca

Querini Stampalia

15. Biblioteca

Fondazione Cini

Strutture sportive / Sport facilities

16. Centro universitario sportivo

17. Centro sportivo

Sacca Fisola

18. Centro sportivo

S. Alvise

19. Campi sportivi Sant'Elena

Mense / Canteen

20. ESU Rio Novo

45 VENICE FUTURE CAMPUS 9 15
14 13

IL CAMPUS E LA CITTÀ MUSEI E SEDI ESPOSITIVE

46 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA 3 4 5 6 7 8 10 23 22 15 18 16 17 9 20 19 21 31 32 33 25 26 27 28 24 1 3 4 5 6 7 8 2

THE CAMPUS AND THE CITY MUSEUMS AND CULTURAL SPOTS

Università Iuav di Venezia

1. Cotonificio veneziano

2. Magazzini 6-7

3. Terese

4. Tolentini

5. Campo della Lana

6. Palazzo Badoer

7. Fondazione Masieri

8. Ca’ Tron

Biennale

1. Arsenale

2. Giardini della Biennale

Biennale – partecipazioni nazionali / national holdings

3. Spazio punch

4. Giudecca Art District

5. Centro Culturale Don Orione Artigianelli

6. Magazzini del Sale

Biennale – eventi collaterali / collateral events

7. Palazzo Cavanis e Gesuati

8. Palazzo Trevisan degli Ulivi

9. Fondamenta Zattere Spirito Santo

10. Chiesetta Santa Marta

11. Ex convento Santi Cosma e Damiano

Musei / Museums

12. Palazzo Ducale

13. Museo Correr

14. Torre dell’Orologio

15. Ca’ Pesaro

16. Museo di Storia naturale

17. Museo di Palazzo Mocenigo

18. Galleria Giorgio

Franchetti alla Ca’ d’Oro

19. Palazzo Grimani

20. Palazzo Fortuny

21. Casa di Carlo Goldoni

22. Palazzo Grassi

23. Ca’ Rezzonico

24. Palazzo Franchetti

25. Gallerie dell’Accademia

26. Galleria di Palazzo Cini

27. Collezione Peggy Gugghenheim

28. Punta della Dogana

29. Museo di Palazzo Grimani

30. Casa dei Tre Oci

31. Museo Fortuny factory e showroom

Foundazioni / Foundations

32. V-A-C Foundation

33. Emergency

34. Fondazione Cini

35. Fondazione Querini Stampalia

47 VENICE FUTURE CAMPUS 1 2 12 13 14 29 30 34 35

I L SISTEMA SANTA MARTA

THE SANTA MARTA SYSTEM

48 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA
2 3 15 16 18 19 4 5 1
20 23 17 26 27 22

Edifici del campus Iuav / Iuav campus buildings

1. Cotonificio veneziano

2. Ingresso principale / Main entrance

3. Giardino / Garden

4. Cancello / Gate

5. Testata sud (ora Archivio progetti) / Southern header (actual Archivio progetti)

6. Testata nord / Northern header

7. Campo da calcio / Soccer field

8. Terese

9. Ingresso principale / Main entrance

10. Chiostro / Cloister

11. Chiesa in disuso, non sconsacrata / Church (disused but not deconsecrated)

12. Nuova ala est / Recently acquired east wing

13. Ingresso nord / Northern entrance

14. Campo da basket / Basketball field

15. Area ex magazzini frigoriferi / Former magazzini frigoriferi area

16. Magazzino 7

17. Magazzino 6 (futuro Archivio progetti)

18. Magazzino 5 (Ca’ Foscari)

19. Magazzino 4 (Ca’ Foscari)

20. Aule temporanee Ca’ Foscari / Temporary Ca’ Foscari classroom building

21. Residenza universitaria Camplus / Student residence Camplus

22. Canale della Giudecca

23. Chiesa di San Nicolò dei Mendicoli / San Nicolò dei Mendicoli church

24. Rio de le Terese

25. Rio de l’Arzere

26. Rio San Nicolò dei Mendicoli

27. Area portuale / Still remaining maritime port area

28. Area ex Italgas / Dismissed Italgas area

49 VENICE FUTURE CAMPUS 6 7 8 14 28 9
21 11 12 10 25 13 24

AREE PUNTUALI

COTONIFICIO VENEZIANO INGRESSO PRINCIPALE / MAIN ENTRANCE

L’attuale ingresso al cotonificio veneziano avviene attraverso un piccolo giardino. Il muro perimetrale definisce uno spazio raccolto, ma allo stesso tempo preclude possibili rapporti verso sud: tanto verso l’area ex magazzini frigoriferi e, oltre, verso i magazzini 7 e 6, quanto verso il fronte acqueo sul canale della Giudecca. È questo un luogo prevalentemente di passaggio, così come gli spazi interni di fronte alla reception e il grande ambiente, per lo più vuoto, da attraversare per raggiungere le aule.

/ The current entrance to the cotonificio veneziano takes place through a small garden. The perimeter wall defines a collected space, but at the same time precludes possible relations toward the south: as much toward the former magazzini frigoriferi area and, beyond, toward magazzini 7 and 6, as toward the waterfront on the canale della Giudecca. This is predominantly a crossing point, where people pass and go, as are the interior spaces in front of the reception desk and the large, mostly empty hall that must be crossed in order to reach the classrooms.

COTONIFICIO VENEZIANO GIARDINO / GARDEN

Collocata in posizione retrostante rispetto all’ingresso, una lunga fascia libera separa il cotonificio veneziano dalla residenza studentesca Camplus. Gli attuali punti di accesso sono dal bar, dalle uscite lungo il corridoio delle aule e da un cancello carrabile affacciato verso il canale della Giudecca. Pressoché privo di articolazioni, questo spazio risulta poco disponibile ad accogliere usi temporanei, anche di tipo informale. Un suo ripensamento potrebbe farne una importante spina distributiva esterna in senso longitudinale, scandita trasversalmente da una serie di declinazioni.

/ Set back from the entrance, a long clear strip separates the cotonificio veneziano from the Camplus student residence. Current access points are from the café, from the exits along the classroom corridor, and from a driveway gate facing the canale della Giudecca. Almost devoid of articulation, this space appears unavailable to accommodate temporary uses, even informal ones. Through a rethinking of its space, it may become an important external distributional spine in a longitudinal sense, punctuated transversely by a series of declinations.

50 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

PUNCTUAL AREAS

COTONIFICIO VENEZIANO TESTATA SUD / SOUTHERN HEADER

Nella testata meridionale del cotonificio veneziano oggi ha sede l’Archivio progetti, che nel prossimo futuro sarà trasferito nel magazzino 6. Rispetto al resto dell’edificio, che al suo interno è scandito principalmente da grandi aule per la didattica, questa porzione è atipica e piuttosto eccezionale per posizione e conformazione interna. La sua collocazione direttamente affacciata sul fronte acqueo ne fa probabilmente il luogo più adatto a gettare ideali relazioni verso altri luoghi disposti lungo il canale della Giudecca.

/ The southern head of the cotonificio veneziano today houses the Archivio Progetti, which in the near future will be relocated to magazzino 6. Compared to the rest of the building, which in its interior is punctuated mainly by large classrooms for teaching purposes, this portion is atypical and rather exceptional in terms of location and internal conformation. Its location, directly facing the waterfront, probably makes it the most suitable place to cast ideal relations to other places arranged along the canale della Giudecca.

COTONIFICIO VENEZIANO TESTATA NORD / NORTHERN HEADER

Nella parte nord del complesso non sono presenti ingressi o possibili collegamenti verso il tessuto urbano retrostante. A chiusura del complesso è presente un’area attualmente occupata in parte da un campo da calcio e relativi spazi di spogliatoi. Le previsioni per quest’area prevedono il mantenimento delle attrezzature sportive usate dal quartiere; a queste, però, è possibile affiancare alcune nuove volumetrie per ospitare funzioni collettive, da spazi di lavoro per studenti a un nuovo spazio per conferenze o eventi.

/ In the northern part of the complex there are no entrances or possible connections to the urban fabric behind. Closing the complex to the north there is an area currently occupied in part by a soccer field and its related locker room spaces. The plans for this area call for a retention of the sports facilities used by the neighborhood; these, however, can be flanked by some new volumes for collective functions, from student workspaces to a new conference or event space.

51 VENICE FUTURE CAMPUS

TERESE CHIOSTRO /CLOISTER

Il complesso delle Terese attualmente ospita prevalentemente studioli dei docenti e alcune aule di minori dimensioni. La recente acquisizione anche dell’ala est dell’edificio, chiudendo così la corte interna, è l’occasione da cui ripartire per un ripensamento generale di questo spazio collettivo oggi inutilizzato e delle funzioni che attorno a esso si dispongono.

/ The Terese complex currently houses mainly professors’ studios and some smaller classrooms. The recent acquisition of the building’s east wing as well, thus closing off the inner courtyard, is an opportunity from which to start an overall rethinking of this now unused collective space and the functions arranged around it.

TERESE INGRESSO NORD / NORTH ENTRANCE

L’attuale accesso al complesso delle Terese è possibile solo dalla porta rivolta verso la chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, mentre rimane inutilizzato il secondo accesso verso nord. Lo spazio pubblico che affianca il lato nord delle Terese si caratterizza per le dimensioni notevoli e per una particolare sezione stradale articolata su due livelli, che rimane a testimonianza dell’originario canale tombato nella seconda metà del ’900 durante i lavori di realizzazione del quartiere di Santa Marta.

/ The current access to the Terese complex is possible only through the southern door facing the church of San Nicolò dei Mendicoli, while the second access towards the north remains unused. The public space flanking the north side of the Terese is characterized by its considerable size and by the peculiar road section articulated on two levels, which remains as evidence of the original canal that was buried in the second half of the 20th century during the construction of the Santa Marta neighborhood.

52 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

AREA EX MAGAZZINI

FRIGORIFERI

/ FORMER MAGAZZINI

FRIGORIFERI AREA

L’area degli ex magazzini frigoriferi è attualmente occupata da un edificio temporaneo che ospita aule didattiche dell’Università Ca’ Foscari. Quest’area, di proprietà Iuav, è stata oggetto di un importante concorso per la realizzazione di una nuova sede dell’università, vinto da Enric Miralles nel 1999, ma mai realizzato. L’area rimane di strategica importanza per il futuro del campus. Data la sua posizione baricentrica, il programma potrebbe prevedere la realizzazione di un nuovo edificio destinato a funzioni di servizio per il campus.

/ The area of the former magazzini frigoriferi is currently occupied by a temporary building that houses teaching rooms of Università Ca’ Foscari. This area, owned by Iuav, was the subject of a major competition to build a new university headquarter, won by Enric Miralles in 1999, but never realized. The area remains of strategic importance for the future of the campus. Given its barycentric location, the program could include the construction of a new building intended for service functions for the campus.

MAGAZZINO 6

NUOVO ARCHIVIO PROGETTI / NEW ARCHIVIO PROGETTI

L’Archivio progetti rappresenta un’importante struttura archivistica e centro dell’università, dedicato alla documentazione e alla valorizzazione scientifica del patrimonio documentale riferito all’architettura del XX e XXI secolo. La sua nuova collocazione è occasione per fare dell’intero edificio un luogo di conservazione, ma anche di interscambio. Due sono i possibili nuclei tematici: la previsione di uno spazio per esposizioni al piano terra e il ripensamento dello spazio esterno come spazio urbano per eventi e manifestazioni.

/ The Archivio progetti represents an important archival facility and center of the university, dedicated to the documentation and scientific enhancement of the documentary heritage related to the architecture of the 20th and 21st centuries. Its new collocation is an opportunity to make the entire building a place of preservation. Two are the possible thematic cores: the provision of an exhibition space on the ground floor and the rethinking of the outdoor space as an urban space for events and demonstrations.

53 VENICE FUTURE CAMPUS

VISIONI PER IL CAMPUS FUTURO / VISIONS FOR THE FUTURE CAMPUS

54 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

WS1

TIZIANO

AGLIERI RINELLA

WS2

ROBERTA ALBIERO + ARABELLA GUIDOTTO

WS3

ALDO AYMONINO + GIUSEPPE CALDAROLA

WS4

BERGMEISTERWOLF GERD BERGMEISTER + MICHAELA WOLF

WS5

ANDREA BERTASSI

WS6

RICCARDA CANTARELLI

WS7

FERNANDA DE MAIO + DANIELA RUGGERI

WS8

PEDRO DOMINGOS

WS9

FABIO DON + MARCO ZELLI

WS10

ECKERT NEGWER SUSELBEEK

ARCHITEKTEN

WOUTER SUSELBEEK

WS11

FRES ARCHITECTES LAURENT GRAVIER + SARA MARTÍN CÁMARA

WS12

TONI GIRONÈS

WS13

CRISTIÁN IZQUIERDO LEHMANN + NICOLÒ LEWANSKI

WS14

SARA MARINI

WS15

METRO ARQUITETOS GUSTAVO CEDRONI

WS16

ENRICO MOLTENI

WS17

MONOBLOCK ALEXIS SCHÄCHTER

WS18

GUIDO MORPURGO

WS19

RODRIGO PERÉZ DE ARCE

WS20

TALLER CAPITAL

JOSÉ PABLO AMBROSI + LORETA CASTRO REGUERA

WS21

MARGHERITA VANORE

WS22

JORGE VIDAL + GUILLEM PONS + BIEL SUSANNA

55 VENICE FUTURE CAMPUS

PREMI / AWARDS

276 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA
277 VENICE FUTURE CAMPUS

PREMI / AWARDS

GIURIA INTERNAZIONALE / INTERNATIONAL JURY

Markus Breitschmid [CH/US]

Driss Kettani [MA]

Christopher Pierce [US/UK]

PRIMO PREMIO EX AEQUO / FIRST PRIZE EX AEQUO

bergmeisterwolf

/ Gerd Bergmeister + Michaela Wolf [IT]

con / with Gianluca Contran, Ilaria Visentin La linea che svanisce / The Vanishing Line

FRES architectes / Laurent Gravier

+ Sara Martín Cámara [FR/ES]

con / with Gianluca Masiero, Andrea Pizzini Oltre i confini / Beyond Boundaries

MENZIONI D’ONORE / HONORABLE MENTIONS

Aldo Aymonino + Giuseppe Caldarola [IT]

con /with Camila Burgos Vargas, Matteo Vianello

Il campo che non c’è / The Campo to Be

Sara Marini [IT]

con / with Giulia Bersani, Marco Bonotto, Aron De Cesero, Gianluca Drigo, Pietro Franchin, Marta Magnaguagno, Elisa Monaci, Andrea Pastorello, Davide Zaupa

Il fiume di pórpora / The Crimson River

Guido Morpurgo [IT]

con / with Matteo Isacco, Federica Lentati

ATT Iuav – Arsenale Tesi Terese: il Contro-Archivio progetti. Pensare, fare, esporre architettura

/ ATT Iuav – Arsenale Tesi Terese: the Counter-Archivio progetti. Thinking, making, exposing architecture

278 WORKSHOP ARCHITETTURA VENEZIA

GIURIA DEGLI STUDENTI / STUDENTS’ JURY

PRIMO POSTO / FIRST PLACE

Sara Marini [IT]

con / with Giulia Bersani, Marco Bonotto, Aron De Cesero, Gianluca Drigo, Pietro Franchin, Marta Magnaguagno, Elisa Monaci, Andrea Pastorello, Davide Zaupa

Il fiume di pórpora / The Crimson River

SECONDO POSTO / SECOND PLACE

Jorge Vidal + Guillem Pons + Biel Susanna [ES]

Forma, tempo e densità / Form, Time and Density

TERZO POSTO / THIRD PLACE

Rodrigo Perez de Arce [CL]

con / with Andrea Ambroso, Alessandra Dal Mos, Pierluigi Recca

Cosa succederebbe se? La foresta, i padiglioni e i tavoli. Riforma del campus Santa Marta / What if?

The Forest, the Pavilions and the Tables. Santa Marta Campus Recast

279 VENICE FUTURE CAMPUS

Finito di stampare nel mese di Marzo 2024 /

Printed in March 2024

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