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Palestina
Due fortifcazioni parallele scisse da un corridoio, popolato da una molteplicità di tunnel, compongono la macchina organica per l’abitare della Striscia di Gaza. Questo territorio di reclusione, dilaniato dai confitti, si dispone ad accogliere nove livelli per l’abitare collettivo che attingono agli usi e ai costumi del popolo palestinese. Una tesi di laurea in composizione che traspone il problema sociale in architettura, per rispondere con forza alla spersonalizzazione dell’individuo.
Palestina
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Dati di progetto
Progettista: Relatore: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Francesca Filosa prof. arch. Cherubino Gambardella Striscia di Gaza, Palestina 2018 Non realizzato Progetto urbano
Analisi del progetto
Innovazione Luogo Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità Validità Impatto Potenzialità
Vista prospettica
In un lembo di terra di soli 360 km 2 sono rinchiusi più di 1.650.000 abitanti, non tutti con una fssa dimora e più della metà vive in condizioni igienico-sanitarie critiche. Tra il 1994 e il 2006, lungo il perimetro politico della Striscia di Gaza, il governo israeliano decise di innalzare un muro per confnare gli abitanti palestinesi all’interno della loro terra. Nessuno può entrare né uscire senza autorizzazione. Come il confne terrestre anche quello marittimo è presieduto da soldati israeliani. Vige, inoltre, un limite nautico di tre miglia dalla costa. La Striscia di Gaza è il più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo. È un labirinto nel quale si perdono i diritti e l’identità dell’uomo. Qui avviene la spersonalizzazione dell’individuo in una condizione che prometteva di essere temporanea ma che ormai ha raggiunto caratteri di permanenza.
È un popolo violentato che non ha più nulla da perdere. Un popolo per cui la vita non sembra avere valore se non quello della libertà: è disposto a combattere per i suoi ideali, armato di soli sassi, cosciente e frustrato dal non avere alcun aiuto dall’esterno, invisibile agli occhi delle potenze mondiali.
Rifettere sullo status di un luogo, come quello palestinese, alla ricerca della sua anima più recondita e di una bellezza in apparenza irrimediabilmente perduta, impone alcuni delicati interrogativi. Che ruolo svolge oggi questo territorio in rapporto alla popolazione che lo abita? Che cosa rappresenta, nel quadro politico e territoriale internazionale, questo popolo misconosciuto e dimenticato? L’approccio a tali questioni non può essere solo di tipo razionale, ma deve essere anche e soprattutto di natura empatica, teso a cogliere le esigenze, gli stati d’animo, le criticità e le attese di un popolo, con una storia peculiare e diferente rispetto a quella dell’intero mondo occidentale. Un approccio metodologico di questo genere consentie l’elaborazione di un progetto architettonico che non sia calato dall’esterno, estraneo alla storia e alle dinamiche del popolo palestinese, ma che risulti ad esse omogeneo.
L’edifcio è formato da una serie di elementi che attingono al linguaggio architettonico appartenente alla Striscia di Gaza. Diventa così la tessitura della storia di questo paese e degli abitanti condannati alla perdita di se stessi, all’interno di un luogo che dovrebbe essere fortezza anziché un luogo di prigionia.
Il progetto ha una struttura organica: due imponenti fortifcazioni parallele sono separate da un corridoio lineare abitato da afacci decorati in ceramica. Nella cavità intercorrono tunnel percorribili che dal sottosuolo emergono per connettere i due corpi. I Tunnel richiamano alla
Viste prospettiche degli spazi comuni interni
memoria le gallerie sotterranee costruite dai palestinesi per aggirare il muro israeliano.
Il proflo dei due edifci è caratterizzato dalla scansione regolare di pieni e vuoti contenuta nella plastica fuidità delle curve da dove fuoriescono centinaia di fnestre aggettanti, come ciglia di metallo che custodiscono sguardi pronti a scrutare l’orizzonte. La composizione, pertanto, appare come rivelazione nella materia dell’azione modellante esercitata dal tempo e dagli agenti naturali: una montagna organica simile all’edifcio di Paolo Soleri - la Fabbrica di Ceramiche - dove l’idea di monumentalità abbraccia l’idea di elemento autoctono e organico che instaura un rapporto viscerale con il posto, come una struttura destinata a trovarsi esclusivamente in quel luogo. Il progetto per Gaza è un’architettura distinta da forti contrasti sia materici che spaziali. Le gentilezze domestiche dei balconi tondeggianti che afacciano nel corridoio centrale, sono ricoperte da maioliche arabe colorate. Questi elementi si scontrano con la durezza del metallo dei percorsi sospesi e con il cemento ossidato delle mura. Allo stesso modo il verde del giardino posto sul tetto si confronta col colore della terra arida e abbandonata e con il cielo plumbeo simile al colore dell’Oceano e non come l’azzurro accogliente, caldo, del Mar Mediterraneo. All’interno della struttura si sviluppa, per tutti e nove i livelli, una spazialità intrigata: un sistema denso di spazi residenziali e spazi comuni dedicati alla collettività, fondamentali nella cultura orientale poiché sono parte della religiosità e dei i riti quotidiani. Il confne tra queste aree è quasi impercettibile, come nelle trame del sistema edilizio arabo.
Assonometria
Vista prospettica del fronte interno, in evidenza gli elementi tubolari dei percorsi
A interrompere in maniera puntuale il sistema densamente abitato vi sono i pozzi di luce: delle lame luminose che formano delle corti interne e donano respiro all’ordinato labirinto. I camini di luce sono afancati da altri tagli interni costituiti dai sistemi di risalita come ascensori, rampe, scale e afacci. Questi elementi permettono di creare nell’organismo architettonico una connessione visiva verticale e dal punto di vista compositivo rappresentano delle pause all’interno di una densità importante. Il progetto architettonico si completa con un giardino che fa da corona all’edifco. Collocato sulla sua sommità, in modo che la struttura si compia con l’esperienza del verde per ridonare il contatto con la natura, insita nelle usanze arabe, ad un popolo che ne è stato privato.
Viste prospettiche del tetto giardino e dell’esterno
Crediti Scheda valutativa, Testo critico ed illustrazioni di Francesca Filosa.
Pubblicazioni e mostre Il progetto illustrato è stato pubblicato nei seguenti volumi e/o riviste: • Tavoletta C., Insegnare il verosimile, “IQD”, January/March 2019, p. 109 • Gambardella C., Non c’era una volta – L’architettura verosimile, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa, 2020, pp. 136-145
Riferimenti • Ranocchi F., Paolo Soleri, Ofcina Edizioni, Roma 1996 • Burckhardt T., L’arte dell’islam, Abscondita, Milano 2002 • Pappe I., Storia della palestina moderna. Una terra due popoli, Einaudi,Torino 2005 • Condovini G., Storia del confitto arabo israeliano palestinese, Bruno Mondadori, Milano 2007 • De Vet A., Subjective atlas of palestine, 010 publisheres, Rotterdam 2007 • Gelvin J.L., Il confitto israelo-palestinese. Cent’anni di guerra, Einaudi, Torino 2007 • Fisk R., Cronache mediorientali. Il grande inviato di guerra inglese racconta cent’anni di invasioni, tragedie e tradimenti, Il Saggiatore, Milano 2009 • Weizman E., Architettura dell’occupazione, Bruno Mondadori, Milano 2009 • Shoshan M., Atlas of the confict Israel-Palestine, Publication Studio, Portland (USA) 2012 • Alareer R., Gaza writes back. Racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina, Lorusso editore, Roma 2015 • Bartolomei E., D. Carminati, A. Tradardi, Gaza e l’industria della violenza, DeriveApprodi, Roma 2015 • Faster T.G., Il confitto arabo-israeliano, il Mulino, Bologna 2015